Ognuno merita un lieto fine - LunaLovegoodHP
Mi
siedo sul letto con
gli occhi ancora socchiusi, ma non ho più sonno. Non ho
più paura. Sono salva.
Finalmente. Sono di nuovo sul mio letto comodo che per cinque anni
è diventato
quasi il mio migliore amico. Un compagno di incubi che mi pervadono
ogni notte
e non smetteranno mai. Sono in una gabbia: senza una via
d’uscita, senza
speranza. Certo, la sofferenza degli innocenti è finita, ma
quante vite di
persone innocenti, incoscienti di ciò che facevano, di che
torture e inganni
subivano, è costata questa guerra? Sicuramente non
abbastanza da non lasciare
al vento il fatto che migliaia di persone morivano. E morivano
perché io,
perché noi, non siamo stati in grado di proteggerle. La
verità è che, seduta
qui su questo letto così comodo, mi sento in colpa.
“Lascia
stare, sono morti” mi sussurra la mia
mente, ma io non mollo, non posso.
Siamo
morti in troppi. Non solo noi, potenti
maghi; sono morti anche così tanti Babbani...
Mi
alzo, non voglio pensare a queste cose. Non
era questo che intendevo dicendo di essere salva. La salvezza purtroppo
si vede
solo dal fatto che sono di nuovo qui; io, Sidney Müller, nata
americana, ma
dall’età tre anni abitante di Londra e dagli
undici anni abitante di Hogwarts,
nel mio letto verde-argento nel dormitorio femminile del Sotterraneo
Serpeverde. Nelle classi, nei dormitori, nell’aria nulla
sembra essere
cambiato. Ma come la spieghiamo allora la mancanza di così
tanti alunni, come
spieghiamo le classi, i dormitori vuoti? Com’è
possibile, com’è soltanto
possibile che abbiano dimenticato Albus Severus Potter o magari sua
sorella,
Lily Luna, una volta mia grande amica? Vorrei tanto che la loro morte
non fosse
vana, che non fossero dimenticati. Non lo perdonerei a nessuno, ma
soprattutto
non perdonerei me stessa per averlo permesso.
Mi
vesto con la solita divisa e per un paio di
minuti bisticcio con la cravatta, finché non lascio perdere
e la lancio contro
il muro, infuriata. Sento per un po’ ancora l’eco
delle mie urla – Noooo! –. La
stanza è vuota, tanti letti vuoti che attendono che qualcuno
li occupi di
nuovo, ma in questa stanza è impossibile. Ne sono
l’unica abitante. Mi sento
così sola, ma non voglio più pensarci.
Così osservo se, oltre alla cravatta,
non ho dimenticato altro e spostando una ciocca di capelli bruciati
dall’Incendio di mesi fa chiudo gli occhi, lasciando che una
lacrima pesante mi
bagni il viso; dopo averla pulita rapidamente esco dalla stanza,
entrando in
quella delle ragazze del quinto che, in due gruppi da quattro, ridono
tra di loro.
Sul serio, sembra che il mondo si sia dimenticato di ciò che
è successo. Lascio
perdere e vado avanti tenendo la testa alta; riconosco solo una di
quelle
ragazze: il suo nome è Elizabeth Katrin Whale, una ragazza
con occhi freddi
come il ghiaccio, taglienti come una spada e blu come
l’oceano. Mi saluta e mi
sorride, ma io non ricambio, il che la fa un po’ arrabbiare.
Anche da lontano
sento che dice: – Si sente chissà chi, solo
perché è del sesto – e riesco quasi
a immaginarmi come con quegli occhi guarda attraverso la porta che io
in fretta
chiudo. Con l’immaginazione vedo come si arrotola qualche
ciocca dei suoi
capelli ricci e scuri attorno al dito e dice altre cose spiacevoli su
di me.
Entro
nella stanza vuota del quarto. Nessuna
ragazza è sopravvissuta all’esplosione causata da
quei luridi maghi che non
capisco e non voglio capire da dove venissero. Cerco di non piangere,
ma è più
forte di me. Provo angoscia. Quanto vorrei che James Sirius fosse
accanto a me
ora. Purtroppo lui ha deciso di andare in Bulgaria, lontano da tutti,
ma io so
che lui scappa dal passato. Senza di lui Hogwarts è
così vuota. Neanche Mrs.
Purr, da sempre la mia gatta preferita e fedele a me dalla morte di
Gazza,
riesce a rallegrarmi più. Quella guerra non ha portato via
soltanto i miei
amici, ma anche la mia felicità. Non riesco ad abituarmi
all’idea che James
abbia preferito la solitudine alla sua migliore amica, dal giorno della
mia
cerimonia di Smistamento in cui con tristezza lui guardava me che,
invece di
andare da lui, mi dirigevo verso l’altro tavolo, quello
Serpeverde. Nonostante
la lotta tra le Case, siamo diventati grandi amici e ora la guerra mi
ha
portato via anche lui. Non voglio rimanere in questa stanza, fa venire
in mente
troppi ricordi.
Allungo
il passo e con decisione abbasso la
maniglia e spingo la porta che porta alla stanza delle ragazze del
terzo.
Vorrei tanto ci fosse un altro modo di arrivare in Sala Comune, ma
purtroppo il
destino non è a mio favore e quindi mi tocca passare per
un’altra stanza piena di
ragazzine che non capiscono la sofferenza, che non hanno incubi come me.
-Serve
aiuto, ragazza degli incubi? – domanda
una ragazzina carina, con degli occhi enormi e dei capelli rossi come
il fuoco,
che mi ricordano molto Rose Weasley, ma non è lei, visto che
Rose è una
Tassorosso. “Allora è così che mi
chiamano ora? ‘Ragazza degli incubi?’ ”,
penso e, non aspettando una risposta, chiudo gli occhi per non
piangere; voglio
scappare, lontano da tutto e a tutti, ma per ora appena riapro gli
occhi, ho
una tredicenne di fronte che aspetta una risposta.
-
No – borbotto e avanzo, ma lei mi prende la
mano e mi ferma e, senza capire perché, invece di staccarmi
e scappare, mi giro
e la guardo.
Lei
china il capo e senza dire nessuna parola
apre un pacchetto che prima non avevo notato, e io subito capisco cosa
c’è
dentro: è una collanina d’argento con un ciondolo
a forma di una “R”. Nascondo
la bocca con una mano e comincio a piangere fregandomene di tutte le
ragazze
che mi guardano stupite.
-
Sapevo che sarebbe stata felice se lo avessi
avuto tu. Sei l’unica che veramente può tenerlo.
Rose l’avrebbe voluto – detto
questo, nasconde il viso tra le mani e, lentamente, quasi
inudibilmente,
piange. Vorrei consolarla, ma invece rimango impietrita a guardare come
piange
al ricordo di mia sorella. Non erano dello stesso anno, mia sorella
apparteneva
a quel quarto piano vuoto, dove l’eco regna, ma come me e
Lily erano molto
amiche. Piango anche io. Non la consola, ma cosa mi importa, ora, della
sua
sofferenza, se soffro anche io? Con gli occhi gonfi e lucidi prendo la
collana
e la osservo. È piena di minuscoli fiorellini, che sembrano
delle bellissime
rose bianche. Le lacrime mi coprono la visuale e, avvicinando la
collana al
petto, ringrazio la ragazza, senza saperne neanche il nome. Non me lo
ricordo.
Corro
per lasciare dietro i dolori, in quella
stanza, ma quelli mi perseguitano nelle ultime due stanze piene di
alunni che
non capiscono cosa mi succede. Apro l’ultima porta e
finalmente mi sento
libera. E lo sono. Finalmente respiro.
Vedo
ragazzi del mio anno, che condividono il
dolore con me, ma comunque non capiscono e non posso prendermela con
loro, a
tutti quelli della mia età, tranne a me, hanno cancellato la
memoria lasciando
che sentano un vuoto ovunque, ma che non lo comprendano. Che soffrano,
ma non
capiscano. Che ridano, ma si sentano in colpa. È una
condanna peggiore della
mia? Possibile. “Dove siamo arrivati, se per cancellare il
dolore dobbiamo
anche cancellare la memoria?” penso, ma non ricevo nessuna
risposta.
Esco
dai sotterranei e corro velocemente a
lezione, sapendo che anche se ora mi impegno al massimo, non
arriverò in tempo.
Eppure arrivo, in ritardo, ma arrivo, cosa che rallegra molto la
professoressa
Cooman, la quale, oltre a me, ha solo altri cinque studenti Corvonero
che
frequentano le sue lezioni.
-
Signorina Müller, sa dirmi che vede nella sua
tazza? – mi domanda e io penso che potrebbe anche pensare di
insegnarci altro,
non sempre la stessa roba noiosa, ma decido di non dirlo a voce. Non
voglio
ferirla, ho già ferito troppe persone essendo “la
ragazza-sfortuna”.
-
Vedo... una croce – mi si spezza la voce. Chi
altro dovrà morire, chi altro dovrà soffrire,
perché porto sfortuna ovunque
passo?
-
Morte... sofferenza! Temi le tue azioni...
porteranno... sfortuna! – “Grazie. Non solo tutti
mi credono quella che porta
sfortuna, tu lo devi pure affermare ad alta voce?”, penso
irritata, ma come al
solito tutta l’ira me la tengo dentro.
La
lezione finisce e io tiro calci alle sedie
prima di uscire. Sento una mano fredda coprirmi la bocca non
permettendomi di
gridare, ma cerco di liberarmi tirando calci, non colpendo, purtroppo,
nessuno.
Qualcun altro mi copre gli occhi e poi quello che succede non sono
affari miei,
o forse dovrebbero. Cerco di liberarmi e mi stupisce che, essendo a
Hogwarts,
nessuno abbia notato cosa mi sta accadendo. Mordo le dita di chi mi
tiene
chiusa la bocca, ma in cambio ricevo una gomitata in testa che mi fa
perdere i
sensi e cadere a terra.
Quando
apro gli occhi mi accorgo di trovarmi
nello stesso posto. Mi siedo, ma non posso appoggiare la testa,
perché non
trovo niente dietro di me su cui appoggiarmi. Sento delle risate e
presto noto
che sono di alunni di svariate età e classi. Il numero
è incomprensibile, ma so
benissimo che ci sono tanti alunni a Hogwarts.
Solo
dopo un po’, mi accorgo che molti di loro
li conosco, anche molto bene.
-
No no no no no no! – urlo disperatamente.
Questo è un incubo, non la realtà. Cerco di
mordermi, ma i miei denti non
riescono a toccare la mia mano. È una trappola. I muri che
un secondo fa
vedevo, ora spariscono. Tento di urlare di nuovo, ma la mia voce sembra
essere
volata via con le prime parole.
Tento
di correre, ma scopro di essere legata e
qualcosa che sembra essere un palo, ma in realtà mi accorgo
che è una spada,
quella con cui ho ucciso Yaxley, il capo dei ribelli che ci hanno
attaccato,
conficcata dentro qualcosa che all’inizio mi pare un
manichino, ma quando vedo
che gira la testa verso di me, capisco essere un corpo vero. E non
è corpo
qualsiasi. Quello è il corpo di Yaxley che, legato al
pavimento, tiene in un
certo senso ferma me.
Gli
altri, invece, come degli zombie, che
veramente sono, si avvicinano a me e mi accorgo che le loro mani sono
ricoperte
di sangue. Di un colore rosso molto scuro. Voglio piangere, ma neanche
quello
posso fare. E loro continuano ad avvicinarsi, tanto che a un certo
punto mi
sembra che mi uccideranno in un modo o nell’altro:
schiacciandomi o
soffocandomi con l’odore terribile di sangue. Odio
quell’odore. Mi ricorda
troppo quella terribile guerra. Mi ricorda gli incubi...
“Anche questo è un
incubo!”, mi autoconvinco, ma non aiuta. Ricordo
così bene quando durante la
guerra se avevo incubi c’era sempre James a consolarmi. Un
semplice urlo e lui
veniva a consolarmi. “Lui ti ha abbandonata per rimanere
solo”, mi autoconvinco
di nuovo, ma questo mi fa solo sentire peggio.
Lo
zombie che somiglia terribilmente a Albus
Severus si avvicina a me e mi tocca con delle mani freddissime, ma
soprattutto
più sporche di sangue degli altri. I suoi capelli sono
scompigliati e gli occhi
sono così terribili, spaventosi, che vorrei tanto poter
scappare. Ciò che mi
preoccupa di più è il perché io non
posso toccare me, ma lui si! Cerco di
urlare, ma appena apro la bocca sento un pugno pieno di sangue in bocca
e dal
disgusto mi agito ancora di più, ma non posso scappare. Mi
viene in mente un
piano stupido, rapido, magari anche impossibile, ma comunque decido di
attuarlo: mi abbasso e sbatto con la testa contro il pavimento,
così perdo i
sensi e gli occhi si oscurano. Finalmente non sento niente.
Apro
gli occhi rapidamente e solo in quel
momento capisco di star urlando. Sono sudata e tremo, ma non sono
talmente
fuori controllo da non capire di essere in mezzo a tutti gli alunni di
Hogwarts
che ridono di me. È una sensazione terribile. Piango e
tremo, ma stavolta
almeno so che quelli non sono zombie.
-
Hai gli incubi! “No no no no!”
“aaaaaaah!”
“aiuuuuto!” – ridono tutti. Cerco di
nascondermi, ma è impossibile. È una
trappola. L’hanno fatto apposta. Non è cambiato
niente, è vero. Ma in un altro
senso. Sembra che la guerra continui. Sempre quel disprezzo. E io sono
l’oggetto di disprezzo che viene deriso.
Mi
giro e, nascondendo il viso tra le mani,
scappo, ma qualcosa mi ferma. Abbasso le mani per vedere chi
è e lancio un urlo
di stupore misto a felicità che provo nel vedere quella
persona.
-
James Sirius! – urlo contenta e lo abbraccio.
Lui mi stringe e io piango, stavolta di gioia.
-
Sidney – sussurra dolcemente e mi accarezza i
capelli – E voi ragazzi, che avete da guardare, eh? A
differenza vostra, io e
lei ricordiamo tutto, non siamo come voi persone a cui hanno modificato
la
memoria, a cui hanno cancellato i ricordi di quella dannata guerra! Non
permettetevi più di deriderla o dovrete vedervela con me!
– urla e io per
ringraziarlo gli do un bacio sulla guancia. Almeno quello è
il mio intento.
Quando mi avvicino con le labbra, lui gira il viso verso di me e
così gli bacio
le labbra. Subito spalanco gli occhi e imbarazzata mi stacco
dall’abbraccio, ma
lui mi sorride e dice: – A tutti capita di sbagliare il posto
che si cerca – e
io capisco il significato di quelle parole. Ricordo molto bene quando
suo
fratello aveva per sbaglio baciato Rose, mia sorella, perché
quando le stava
dando un bacio sulla guancia, proprio come aveva fatto James, lei aveva
girato
la testa. Poi si avvicina e, prendendomi dalla sprovvista, mi bacia le
labbra e
mi sembra quasi di volare. Provo un emozione che non mi era mai
capitato di
provare, perciò non voglio staccarmi, ma poi mi vengono dei
dubbi e mi
allontano lasciandolo un po’ rattristito.
-
Perché sei tornato? –
domando e lui alza le spalle, sollevando un
sopracciglio – Non volevi stare... solo? – aggiungo
e lui scuote la testa
ridendo.
-
Volevo stare lontano dai miei dolori, non ho
mai voluto stare solo – mi risponde e io, stupita, scuoto la
testa. Ciò che sta
dicendo non è vero! Ricordo bene quando...
-
Tu non sei James Sirius! – grido e mi
allontano terrorizzata e lui mi sorride scuotendo la testa.
-
Mi hai scoperto. Ma dimmi, non trovi in me...
qualcosa di simile a lui? – mi chiede con tono ironico. Io lo
guardo meglio. Ha
gli stessi occhi e mi sembra di vedere anche qualche somiglianza nei
loro visi.
Credo di capire chi è, ma mi sembra comunque una cosa
impossibile.
-
Tu... allora chi sei? – domando con voce
tremante e lui cerca di toccarmi la guancia, ma io lo allontano, bado a
ciò che
fa, perché ho paura possa farmi del male.
-
Mi stupisce il fatto che tu non abbia
capito... ma... sono Albus Severus – mi dice ridendo.
Spalanco gli occhi e
tutto che ricordo è di essere svenuta.
-
Dove mi trovo? – domando e Albus Severus
ridendo mi tiene stretta la mano. Non reagisco, lascio che me la tenga,
in
fondo eravamo molto amici, prima.
-
Ci troviamo in una casetta molto carina in un
bosco, non credo ti servano altre spiegazioni. – dice con
tono divertito e io
avrei voglia di tirargli uno schiaffo, ma quando tento di alzarmi un
terribile
dolore mi attraversa la testa – Quando sei svenuta ti sei
fatta male – mi
rassicura, vedendo la mia reazione.
-
Ora che facciamo? – domando.
-
Viviamo qui – dice, come se fosse una cosa
ovvia.
-
Ma io non ti ho dato mica il permesso di fare
tutto questo! – urlò e subito me ne pento, quando
sento che la testa mi sta per
esplodere.
-
Oh sì, me lo hai dato quando hai accettato il
mio bacio – ride.
-E
questo che significa, scusa? – chiedo
disorientata.
-
Niente... o magari sì... se tu provi qualcosa
per me – detto questo, si abbassa e mi bacia. Sempre la
stessa sensazione. Sì,
provo qualcosa per lui. E credo proprio sia amore – come
immaginavo –. Mi
sorride e mi accarezza la mano. Chiudo gli occhi e credo, per la prima
volta,
di essere felice.
-
Ma James Sirius è vivo? – domando poi con tono
calmo, quasi sereno, anche se non molto adatto alla domanda.
-
Oh sì. Ma vive in solitudine.
-
Sa che sei vivo? – domando ancora.
-
Sì, lo sa molto bene. Ma soffre per la morte
di Lily Luna, è stato uno shock terribile.
Annuisco
e, appoggiando la testa sul cuscino, mi
addormento. Ecco dove vivo ora: in una casetta in bosco. E non voglio
cambiare
casa mai più. Qui mi piace, anche molto.
Note:
Trovate
tutte le Fanfiction di "Radiopotter"
anche qui: http://www.radiopotter.com/forum/viewtopic.php?f=25&t=725