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Autore: Soul of Paper    07/12/2014    6 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’autrice: Mi scuso tantissimo per il ritardo, in teoria il capitolo avrebbe già dovuto uscire qualche giorno fa. Poi ci si sono messi impegni e casini sul lavoro, uno dietro l’altro, per cui arrivavo a casa la sera esausta e non riuscivo a rileggere un bel niente. Stamattina finalmente ce l’ho fatta a finire e ringrazio di avere aspettato a pubblicare perché ho trovato parecchi strafalcioni: scrivere quando si ha sonno fa brutti scherzi xD. E ho anche cercato di editare un po’ il capitolo, che è molto lungo ma… c’erano da analizzare le conseguenze di quanto successo al luna park anche nella evoluzione dei rapporti tra un po’ di personaggi. E c’è finalmente un momento che tutte voi stavate aspettando e che spero non deluda le attese ;). Anche questo capitolo, come il precedente dovrebbe essere un po’ come i fuochi d’artificio a ferragosto, partire più lento e poi esplodere, ma… da un altro punto di vista ;). Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.
 


Capitolo 42: “The aftermath”
 


“GAETANOOOOO!!!!”
 
Urla fino a che sente scarnificarsi la gola, fino a  che il fumo le entra nelle narici e le toglie il fiato residuo, piegandola in due in un attacco di tosse. Le orecchie fischiano e rimbombano, non sente e non vede niente, un solo pensiero, un solo pensiero fisso: andare da lui, trovarlo, tirarlo fuori da lì. Non può, non può, non può finire così, non può essere – no, non deve nemmeno pensarlo!
 
Si ritrova in piedi, cerca di fare un passo ma inciampa nel corpo dell’uomo sotto di lei, dell’uomo che le ha appena salvato la vita e a cui lei fino a pochi secondi prima stava cercando in ogni modo di salvare la vita. Ma ora c’è un solo pensiero – Gaetano, Gaetano, Gaetano – che sovrasta e zittisce ogni altra cosa, persino la sua coscienza che, in una frazione di secondo, le chiede se davvero può farlo, se può abbandonare un uomo che sta morendo e per cui lei è l’ultima speranza. E la risposta arriva in un’altra frazione di secondo, bruciandole fin nel profondo dell’anima come le fiamme dell’inferno in cui sta per gettarsi.
 
“Camilla!! Camilla!!!”
 
Si chiede se stia impazzendo, se sia definitivamente impazzita, se questo sia l’ennesimo meccanismo di difesa del suo cervello che le fa sentire quello che lei ha bisogno disperatamente di sentire.
 
“CAMILLA!!! CAMILLA, STAI BENE??”

Di nuovo quella voce, la sua voce e poi la coltre nera si dirada leggermente, spandendosi nell’aria, fino a farle intravedere due figure nere che procedono lentamente, una quasi accucciata. Gli occhi che bruciano e lacrimano furiosamente, non sa se per il fumo o se per… per tutto il resto. Li sfrega col dorso della mano e finalmente riesce a mettere a fuoco: non è un’allucinazione, è davvero…
 
“GAETANOO!!!” grida tra i colpi di tosse, sentendo il mondo ruotare su se stesso intorno a lei, la testa leggera, i polmoni che bruciano e collassano per poi tornare finalmente a respirare.
 
Gaetano, con Mancini caricato in spalla e Marchese con Sammy in braccio, entrambi completamente privi di sensi, si avvicinano faticosamente a lei, neri di fuliggine ma vivi.
 
Si sente svuotare come un palloncino e quasi si accascia a terra. Ed è in quel momento che lo sente di nuovo, quel corpo e finalmente torna a vederlo, a vedere De Matteis esanime sotto di lei. Un conato di vomito la scuote mentre prende completamente consapevolezza di cosa stava per fare, mentre si rende del tutto conto che lei per salvare Gaetano sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa, che sarebbe disposta a qualsiasi cosa, non solo a farsi ammazzare, ma perfino ad uccidere. Era una sensazione che aveva provato solo una volta nella vita, quando Livietta e Bobo erano nelle mani di quell’uomo e, mentre gli era saltata addosso con tutta la forza della disperazione, aveva capito che, se fosse stato necessario, pur di salvare sua figlia gli avrebbe sparato, senza esitazioni.
 
Al sollievo si unisce il senso di colpa che la schiaccia come un macigno, mentre di nuovo cerca di comprimergli la ferita che sanguina lentamente, vista l’assenza di battito, mentre riprende massaggio e respirazione sperando, pregando che non sia troppo tardi. In fondo si è interrotta solo per poco tempo, un minuto, massimo due. Ma in situazioni come questa, pochi secondi fanno la differenza tra la vita e la morte.
 
“Camilla! Come sta?” domanda Gaetano, arrivando finalmente accanto a lei, stendendo Mancini in posizione di sicurezza, mentre Marchese fa lo stesso con Sammy.
 
“Ha perso conoscenza, non respira e non c’è battito. Ha perso troppo sangue!” spiega rapidamente continuando a praticare il massaggio, prima di chinarsi nuovamente per soffiargli aria nei polmoni, “Sammy e Mancini?”
 
“Sono incoscienti ma respirano e hanno battito, anche se debole. Per ora, almeno,” risponde Gaetano, sapendo benissimo che la situazione potrebbe precipitare e che hanno bisogno di cure mediche immediate, “sento le sirene, stanno arrivando le ambulanze, dobbiamo indirizzarle qui, subito! Marchese, vai ai cancelli e fai strada!”
 
“Sì, dottore!” urla Marchese, scattando in piedi e ributtandosi nella foschia grigia che ancora permea l’aria.
 
“Ti do una mano: tu comprimigli la ferita e pensa alla respirazione, io gli faccio il massaggio, ok?” propone Gaetano, guardandola negli occhi quando risale dopo l’ennesimo soffio d’aria.
 
Camilla annuisce e in pochi istanti fanno come deciso, in un sincronismo perfetto e automatico come se non avessero fatto altro in tutta la loro vita.
 
“Maledizione De Matteis, forza, non può mollare così!” impreca Gaetano continuando il massaggio, mentre Camilla gli tasta il collo e gli conferma scuotendo il capo che non c’è ancora né battito né respiro, “forza!”
 
“Dottor De Matteis… per favore… so che può farcela… pensi a suo fratello… questa non è la fine… non è la fine!” lo esorta Camilla tra un respiro e l’altro, ricordando le sue ultime parole.
 
Le sirene si fanno più vicine, mentre loro continuano nel loro tentativo disperato di rianimazione, sapendo benissimo che mano a mano che trascorrono i secondi le possibilità che De Matteis riprenda conoscenza si riducono sempre di più.
 
“Sono qui!” urla Marchese, mentre sentono i passi frenetici degli operatori del 118.
 
“Qual è la situazione?” chiede il primo medico che è corso davanti ai barellieri.
 
“Due colpi d’arma da fuoco, uno alla spalla destra e uno al braccio destro. Ha perso molto sangue e non respira e non c’è battito, da… da quanto, Camilla?” domanda Gaetano, continuando il massaggio.
 
“Quasi dieci minuti, credo,” risponde, riemergendo dopo l’ennesimo respiro.
 
“Era presente quando ha perso conoscenza? Quanto tempo è trascorso prima dell’inizio di massaggio e respirazione?”
 
“Ero presente e ho iniziato immediatamente, ma ho interrotto per… un minuto quando è crollata la casa e c’è stato il fumo e…” cerca di spiegare tra un fiato e l’altro.
 
“E loro?”
 
“Intossicazione da fumo, respiro e polso debole, lui ha un piede rotto, credo,” riassume Marchese.
 
“Ci pensiamo noi, spostatevi!” ordina il medico, per poi fare cenno ai due rianimatori, “serve il defibrillatore!”
 
Gaetano e Camilla scattano in piedi per liberare lo spazio il più in fretta possibile. Le gambe di gelatina e la testa leggera, non sa se per lo sforzo di respirare o per… per tutto il resto, Camilla non si accorge del gradino all’uscita della tettoia e sente mancare la terra sotto i piedi, le braccia che fendono l’aria preparandosi ad una rovinosa caduta che non arriva, perché due braccia forti la afferrano per la vita da dietro.
 
“Ehi, professoressa, tutto bene?” le sussurra preoccupato, tirandola a sé e sentendola accasciarsi contro il suo petto.
 
Camilla non riesce a rispondere, si limita ad inclinare il capo fino ad appoggiare l’orecchio al suo petto, a sentire il battito che galoppa sotto al suo viso, come a cercare di convincersi che questo miracolo è reale, che lui è davvero lì con lei.
 
“Duecento! Carica! Libera!” urla l’addetto al defibrillatore, mentre la scarica di corrente elettrica trapassa il corpo inerte di De Matteis da parte a parte provocandogli uno spasmo involontario.
 
Stanno così, aggrappati l’uno all’altra per non saprebbe dire quanto tempo, assistendo a quella scena, mentre altri operatori, dopo aver preso i parametri vitali di Sammy e Mancini, li caricano su due barelle e li attaccano all’ossigeno per aiutarli a respirare. Il camion dei pompieri si ferma poco distante e sentono in lontananza la sirena di una terza ambulanza, chiamata come rinforzo.
 
“Trecento! Carica! Libera!” urla di nuovo il rianimatore.
 
“Forza, dobbiamo caricarlo sull’ambulanza! C’è battito?” domanda il primo medico, aiutando uno dei rianimatori a caricare De Matteis su una barella, mentre l’altro aspetta il verdetto dell’elettrocardiogramma dell’apparecchio defibrillatore.
 
“È ripartito! C’è battito!” grida il rianimatore, mentre anche Camilla, Gaetano e Marchese riescono a sentire i bip meccanici e lenti del cuore di De Matteis.
 
“Ce l’abbiamo fatta, professoressa, ce l’hai fatta!” proclama Gaetano commosso ed orgoglioso, stringendola ancora più forte a sé, sentendola tirare un forte respiro.
 
Camilla si sente come se tutta la tensione accumulata nel suo corpo le fluisse verso il basso e si scaricasse a terra dai piedi. Ma, in una frazione di secondo, una contrazione allo stomaco, ed un altro tipo di tensione rompe gli argini e sgorga verso l’alto.
 
“Camilla!” esclama Gaetano, riconoscendo immediatamente il rumore del conato e riuscendo a malapena ad aiutarla a piegare il busto e a sorreggerle il capo mentre il suo stomaco vuoto vomita acido, terrore, angoscia, senso di colpa e tutto quello che nell’emergenza aveva inghiottito e messo via.
 
“Camilla, cosa ti senti?” le domande preoccupato, sostenendola e sentendo i conati e i tremori che la scuotono percorrergli il corpo.
 
“Signora, come si sente? Ha inalato fumo? È ferita? Ha picchiato la testa?” domanda uno dei medici, avvicinandosi a loro.
 
“No! No! È solo… tensione,” riesce a dire tra i conati e lo stomaco ormai prosciugato che continua a collassare e contrarsi, “sto bene… pensate a loro!”
 
Il medico le lancia un’ultima occhiata prima di unirsi di nuovo agli altri che stanno caricando De Matteis, Sammy e Mancini sulle ambulanze.
 
“Camilla, sei sicura di sentirti bene?” le domanda ancora in ansia, mentre i conati cambiano suono e gradatamente si trasformano in singhiozzi, “Camilla, forse dovresti farti visita-“
 
La parola gli muore in gola quando i singhiozzi aumentano di intensità e avverte le gocce insinuarsi tra le dita che le reggono il capo.
 
“Camilla…” sussurra con un tonfo allo stomaco, sollevandole delicatamente il busto e voltandola verso di sé per confermare ciò che aveva intuito, ossia che ciò che la scrolla e la fa tremare come una foglia è un pianto violentissimo e convulso. Non ha mai visto Camilla così, mai, nemmeno quella notte a casa di Madame, nemmeno quando aveva lasciato Renzo e Livietta aveva iniziato la sua guerra fredda, nemmeno quando Renzo aveva insinuato quelle… quelle cose inconcepibili sui lui e Livietta.
 
“Camilla…” sussurra di nuovo, stringendola forte a sé e sentendola affondare il viso nel suo petto, “cosa c’è? Cos’hai? Mi uccide vederti così!”
 
Camilla scuote il capo e singhiozza ancora più forte a quelle due parole “mi uccide”.
 
“Camilla,” ripete, sollevandole il capo per spingerla a guardarlo, incontrando quegli occhi rosso fuoco, rosso vivo, le guance bagnate e decorate da strisciate di rosso ruggine e nerofumo, quasi come i segni di un guerriero, tracciati involontariamente dalle dita insanguinate di lei e dalla fuliggine da cui lui è coperto, “ti prego, calmati, dimmi qualcosa, io-“
 
“Credevo che fossi morto!” grida, la voce roca, ferale, mai così forte e così fragile allo stesso tempo, prima di scoppiare di nuovo in singhiozzi, incapace di pronunciare un’altra sillaba.
 
“Camilla…” mormora, stringendosela di nuovo al petto, accarezzandole e baciandole i capelli, “amore mio, ti prego, calmati: sono qui, sono qui con te e non vado da nessuna parte! Te l’avevo detto che non ti saresti liberata così facilmente di me, professoressa.”
 
La sente annuire sul suo collo e continua ad accarezzarla, quasi a cullarla, mentre tira qualche forte respiro e pare gradatamente calmarsi.
 
“Noi siamo pronti per andare: qualcuno vuole salire sull’ambulanza?”
 
La voce del medico li riporta alla realtà.
 
“Io vorrei andare con Sammy se… se non servo qui…” proclama Marchese, che aveva assistito a quella scena in disparte, rivolgendosi a Gaetano quasi a chiedergli il permesso.
 
“Vai pure, Marchese: aspetto io i tuoi colleghi,” lo rassicura Gaetano con un sorriso, “hai fatto un ottimo lavoro oggi, Marchese. Devi essere fiero di te stesso: diventerai un grande poliziotto! Hai il sangue freddo, il cervello e il cuore necessari per diventarlo.”
 
“Grazie, dottore,” mormora Marchese, commosso e grato prima di avviarsi verso l’ambulanza.
 
“Se posso… forse… credo sia giusto che io vada con De Matteis,” pronuncia Camilla a fatica, guardando Gaetano negli occhi. La verità è che non vorrebbe mai più staccarsi da lui, mai più, ma De Matteis le ha salvato la vita e ora sta lottando tra la vita e la morte e non merita di farlo da solo.
 
“Sì, se vuole può salire, ma dobbiamo muoverci,” risponde il medico con tono urgente.
 
“Ti raggiungo appena posso,” la rassicura Gaetano annuendo con un sorriso e tentando di posarle un bacio sulle labbra ma lei cerca di ritrarsi.
 
“Gaetano, no, sono disgustosa!” protesta, sapendo benissimo di avere appena smesso di vomitare e piangere e di essere in condizioni assolutamente inavvicinabili.
 
“Ehi, non devi dirlo nemmeno per scherzo, hai capito? Mai più,” sussurra accarezzandole il viso, prima di unire le loro labbra e di abbracciarla forte per un’ultima volta, sentendo la stretta di lei diventare come quella di una morsa, per poi lasciarla andare, dopo un ultimo sguardo, verso l’ambulanza.
 
Un altro tuffo al cuore quanto lo sportello si chiude dietro di lei e osserva l’ambulanza ripartire a sirene spiegate, che presto si uniscono ad altre sirene, questa volta in avvicinamento. Una pantera della polizia lanciata praticamente a tutta birra frena con una sgommata e si ferma poco distante.
 
Grassetti? – pensa, sorpreso, nel riconoscere chi sia l’autista spericolato, vedendo la poliziotta smontare di corsa dalla macchina e correre verso di lui a rapide falcate con quell’altro agente di cui dimentica sempre il nome. Lorenzi, forse? Praticamente quasi tutto quello che resta della squadra di De Matteis.
 
“Dottor Berardi, che succede?!” domanda Grassetti, visibilmente agitata, vedendolo lì da solo, il viso e i vestiti del colore tipico degli spazzacamini.
 
“C’è stato un incendio e una sparatoria. Bisogna cordonare l’area tutto intorno al Luna Park, sorvegliare il lavoro dei pompieri fino a che non avranno finito e cominciare ad analizzare le scene del crimine,” spiega, chiedendosi se Grassetti abbia già saputo o meno di De Matteis: se Camilla ha ragione sulla natura dei sentimenti della ragazza per il vicequestore…
 
“Ma come mai ci dà lei gli ordini? Dov’è il dottor De Matteis? E Mancini?” chiede stupita, avendo risposto alla loro chiamata di richiesta di rinforzi.
 
“Non sono ordini, stavo solo cercando di spiegarle la situazione. Però prima di farlo, se mi permette, vorrei chiederle se gli agenti della scientifica sono già stati allertati. Perché altrimenti conviene farlo il prima possibile: questo parco è grosso e c’è più di una scena da analizzare, di cui una è mezza carbonizzata e sotto le macerie… Magari può occuparsene… Lorenzi, giusto? Intanto la aggiorno su quanto successo…” propone, decidendo di fidarsi dell’intuito di Camilla e sapendo che è meglio che Grassetti sia sola quando dovrà dirle che cosa è successo a De Matteis. Sente di doverle almeno questa premura, anche se non può fare nulla per alleviare l’impatto che la notizia avrà.
 
“No, non sono stati chiamati e, sì, ha ragione, è una buona idea. Lorenzi, puoi farlo tu?”
 
“Certo, Grassetti, subito,” annuisce il ragazzo, allontanandosi di fretta con la solerzia tipica di chi è nuovo del mestiere e ansioso di provare il suo valore.
 
“Voleva parlarmi da sola, dottore?” gli chiede, dandogli la conferma che Grassetti è tutto tranne che una sprovveduta.
 
“Sì… Grassetti… Valentina, mi dispiace, vorrei non doverle dare io questa notizia, anzi, vorrei proprio che non fosse successo quello che è successo ma-“
 
“È successo qualcosa di grave al dottor De Matteis?” domanda d’un fiato, il tono di chi non vorrebbe davvero ricevere una risposta alla sua domanda, perché già nel suo cuore sa che non ne verrà niente di buono.
 
“Purtroppo sì. Come le ho detto, c’è stata una sparatoria e De Matteis è stato ferito. Due colpi: spalla e braccio destro. Lo stanno trasportando d’urgenza in ospedale e credo che sarà operato immediatamente.”
 
“Quali sono… insomma è in pericolo… di vita?” chiede, la voce che si spezza in due punti.
 
“Sì… ha perso molto sangue e aveva perso conoscenza. Ora c’è battito e respira ma… credo che la situazione sia critica… mi dispiace davvero,” conclude, notando come la ragazza si volti per sfuggire al suo sguardo, ma riesce a percepire dal modo in cui sussulta che sta piangendo.
 
Esita per un attimo, prima di estrarre il pacchetto di fazzoletti di carta che tiene sempre in tasca – quello di stoffa è andato – e di porgerglielo con la mano destra, mentre le sfiora una spalla con la sinistra.
 
La mano di Grassetti scatta ad afferrare i fazzoletti mentre lei ancora non si volta e si limita a scartarne rapidamente uno e portarselo al viso.
 
“Lo so che forse non mi crederà, Valentina, ma mi dispiace davvero per quello che è successo a De Matteis, nonostante tutto quello che è successo in questi giorni e quello che… le avevo chiesto di fare. E immagino che la telefonata che mi ha fatto oggi, se possibile, la farà stare ancora peggio… ma non si deve sentire in colpa,” spiega col tono più tranquillo che possiede, mentre la ragazza si volta bruscamente, fulminandolo con due occhi arrossati e umidi e pieni di gelo.
 
“Lei non capisce, lei non sa niente!” sbotta Grassetti, col tono di chi è sull’orlo di crollare.
 
“E invece la capisco benissimo, capisco perfettamente quello che prova, perché è la stessa cosa che ho provato poco fa, quando ho creduto che Camilla fosse gravemente ferita,” risponde, senza riuscire a contenere l’emozione nella voce, ricordando tutto quel sangue e il terrore che si era impossessato di lui per quei pochi interminabili istanti. E la mano ghiacciata che aveva sentito sul cuore, mista a sollievo, quando, praticamente pochi attimi dopo essere usciti da quella dannata casa stregata, aveva avvertito lo spostamento d’aria e il boato del crollo, alla sola idea che era stato davvero ad un passo dal non rivederla mai più, mai più.
 
Grassetti si blocca, guardandolo per la prima volta a viso aperto, non cercando più di nascondere le lacrime, sembrando improvvisamente infinitamente più fragile e, se possibile, ancora più triste.
 
“È così evidente?” gli domanda, e non serve elaborare oltre, sanno entrambi a cosa si riferisce, cioè ai suoi sentimenti per De Matteis.
 
“Un po’…” ammette Gaetano con un sorriso gentile mentre lei scuote il capo.
 
“Deve pensare che sono patetica, non è vero? La classica stupida che si innamora del suo capo che non la guarda nemmeno, oltre ad avere un caratteraccio, e che continua, nonostante tutto questo, ad inseguire un amore impossibile per anni,” proclama, cercando di asciugarsi meglio che può le lacrime che continuano a scorrere a tradimento.
 
“No… non lo penso affatto. Mi creda, Valentina, sugli amori impossibili inseguiti per anni sono un esperto, quindi darei del patetico a me stesso. E poi per quanto riguarda il carattere di De Matteis, diciamo che oggi ho avuto modo di conoscerlo meglio e devo ammettere che è una brava persona e un bravo poliziotto e mi dispiace di averle chiesto… quello che le ho chiesto. Aveva ragione lei a difenderlo quando ci siamo incontrati ieri.”
 
“Che vuol dire?”
 
“Che ha tutti i suoi difetti e un caratteraccio, questo sì, ma è una persona intelligente, che sa ammettere i suoi errori, è onesto e non si lascia corrompere e nell’emergenza è… è davvero coraggioso. Vede… è rimasto ferito per cercare di… di proteggere Camilla da un cecchino che l’aveva sotto tiro e l’ha protetta col suo corpo, si è preso i proiettili al posto suo. Non tutti l’avrebbero fatto: lo sa anche lei che in casi come questo non c’entra l’addestramento o il mestiere che facciamo. È una questione di cuore e di… di carattere, appunto.”
 
“Sì… il coraggio… il coraggio nelle emergenze a De Matteis non è mai mancato. Sono stati i momenti più spaventosi e allo stesso tempo i momenti migliori di questi anni di lavoro con lui. Non posso… non posso pensare che sia-“ non riesce a terminare la frase, chiudendo gli occhi per cancellare l’immagine di De Matteis privo di vita.
 
“E infatti non deve pensarci, ok?” si raccomanda, appoggiandole di nuovo una mano sulla spalla fino a che lei solleva il capo e lo guarda negli occhi, “non è finita fino a quando non è finita e pensare al peggio non serve a niente.”
 
“Sì… sì,” annuisce lei mentre le lacrime continuano a scorrere.
 
“Mi ascolti, lo so che probabilmente l’unica cosa che vorrebbe fare adesso è correre in ospedale da lui ma… qui c’è un’emergenza da gestire. Mi creda che, se potessi, lo farei io,  ma questo non è il mio caso, io non dovrei nemmeno essere qui, se non al massimo in qualità di testimone o di vittima. De Matteis e Mancini sono… diciamo che sono fuori gioco per il momento: Mancini sicuramente ha un’intossicazione da fumo e probabilmente ha pure un piede rotto. Marchese è sospeso ed è in ospedale e dovrà farsi visitare e forse anche io, con tutto il fumo che ci siamo respirati. A questo punto lei è la più alta in grado della squadra, Grassetti e deve prendere in mano lei la situazione.”
 
“Io? Ma io non… come faccio? Non saprei da dove cominciare io…”
 
“Ma certo che lo sa, certo che lo sa! Comunque, si tratta come le ho già detto di coordinare il lavoro con i pompieri e analizzare le scene del crimine. Ci sarebbe da setacciare tutto il parco, ma, date le dimensioni e le risorse a disposizione, le consiglierei di partire dal labirinto degli specchi, soprattutto il tetto, su cui si era appostato il cecchino. Abbiamo risposto al fuoco e potremmo averlo ferito, quindi cerchi eventuali tracce di sangue. Poi ovviamente c’è la casa stregata o… quel che ne resta, se resta qualcosa. E dovrebbe chiamare il questore: visto quello che è successo a De Matteis e Mancini, bisogna assolutamente avvertirlo. Sono sicuro che sono tutte cose che è perfettamente in grado di fare, quasi a occhi chiusi.”
 
“Io non…”
 
“Sono certo che se ci fosse qui De Matteis concorderebbe con me e che è quello che vorrebbe anche lui da lei,” dice per incoraggiarla, mentre lei si asciuga le ultime lacrime.
 
“Forse ha ragione e poi… e poi meglio qui che in ospedale dove non posso fare niente. Almeno mi aiuterà a non pensare… a distrarmi,” ammette la ragazza con un sospiro.
 
“Esatto. Io vado in ospedale e le prometto che se ci sarà una qualsiasi novità sulle condizioni di De Matteis la avvertirò subito, sarà la prima a saperlo, ok?”
 
Valentina si limita di nuovo ad annuire, tirando un forte respiro e ricomponendosi.
 
“Ce la farà Grassetti, contiamo tutti su di lei!” proclama, facendole il saluto militare e un occhiolino e facendola sorridere.
 
“Grazie per… per avermi voluto parlare da sola, per la fiducia e per… per tutto,” sussurra commossa, ricambiando il saluto, prima di aggiungere, con un tono determinato: “le giuro che farò tutto il possibile per trovare chi ha sparato, dottore, non mollerò fino a che non ci riuscirò.”
 
Un ultimo sguardo e si volta per raggiungere Lorenzi, il passo deciso e fiero.
 
Gaetano ha la sensazione di aver appena visto una farfalla rompere le barriere della crisalide in cui era imprigionata e spiccare il volo.

 
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“Mmmm…”
 
“Sammy? Sammy…”
 
“Pietro… Pietro…” mormora prima di aprire gli occhi e trovarsi davanti allo sguardo preoccupato di Marchese.
 
“Marchese? Che ci fai in camera mia?” domanda, sorpresa, prima di guardarsi intorno e di riconoscere le pareti e gli arredi sterili ed impersonali di una stanza d’ospedale, prima di toccarsi il viso e sentire la mascherina dell’ossigeno.
 
In un lampo ritorna alla casa stregata, all’incendio, al fumo, intrappolata in quella stanza e poi…
 
“Pietro!” esclama, drizzandosi a sedere, sentendo una mano gelata stringerle il cuore, strappandosi la dannata mascherina dal volto, “dov’è Pietro?! Gli è successo qualcosa, non è vero? Marchese dimmi la verità!”
 
“No, no, tranquilla, Sammy, tranquilla,” la rassicura, sedendosi accanto a lei sul letto e posandole una mano sulla schiena, “Mancini è in un’altra stanza. Come te ha respirato molto fumo ed ha perso conoscenza ma non è in pericolo di vita. È ancora incosciente, credo e, come te, deve rimanere attaccato all’ossigeno.”
 
Sammy si tranquillizza un attimo, permettendo a Marchese di rimetterle la mascherina.
 
“Ma cos’è successo? Come… come siamo usciti di lì? Ricordo che Pietro cercava di liberarmi, di aprire la porta, ma poi… devo aver perso conoscenza…”
 
“Mancini è riuscito a liberarti, ma è caduto e si è rotto un piede mentre ti portava verso l’uscita. Siete rimasti bloccati, eravate circondati dalle fiamme... Io e il dottor Berardi vi abbiamo trovati e siamo riusciti a portarvi fuori… Mancini… Mancini era disposto a tutto pur di salvarti, Sammy: faticavamo a trasportarvi entrambi e lui si è rifiutato di muoversi di lì fino a che io e Berardi non ti avessimo prima portata in salvo. Era disposto a sacrificarsi per te, Sammy, questo glielo devo riconoscere.”
 
Per quanto Marchese non avesse esattamente stima di Mancini, per quanto detestasse lui e i suoi metodi da bullo, per quanto l’avesse odiato quando aveva scoperto di lui e di Sammy, per quanto negli ultimi giorni la sua opinione sull’ispettore era, se possibile, ancora peggiorata, Marchese deve ammettere che, anche se forse a modo suo, Mancini tiene davvero a Sammy.
 
E deve anche ammettere che, nonostante tutto quello che era successo, nonostante il risentimento che Sammy provava nei confronti del marito, nonostante fosse fino a poche ore fa disposta ad aiutarli a denunciarlo e a trovare prove contro di lui, è evidente, dal modo in cui si è preoccupata per lui, dal modo quasi disperato in cui l’aveva cercato e aveva chiesto sue notizie, che anche Sammy è ancora innamorata di suo marito.
 
Sammy si volta a guardarlo negli occhi, sorpresa da quelle parole e dalle emozioni che suscitano nel suo cuore, agrodolci quasi quanto il tono di Marchese.
 
Continuano a fissarsi per qualche istante, capendosi senza bisogno di parole.
 
“Grazie per avermi… per averci salvati Marchese, grazie,” proclama infine lei, cedendo all’istinto e abbracciandolo, vincendo la paura di un rifiuto e sentendolo esitare un attimo prima di ricambiare il gesto, con la naturalezza e l’innocenza che entrambi avevano un tempo, che i loro gesti d’affetto avevano un tempo, nonostante fossero fidanzati. Ma del resto erano diventati grandi insieme, erano cresciuti insieme e l’affetto, il bene, più che la passione o l’attrazione erano stati i sentimenti che avevano da sempre contraddistinto il rapporto tra lei e Marchese. E, in fondo, arrivati ad un certo punto, era stato proprio questo il problema tra loro.
 
“Non serve che mi ringrazi, Sammy, lo sai,” sussurra, accarezzandole i capelli.
 
“Sei… sei forse la persona migliore che conosco, Marchese e ti voglio bene, davvero, anche se forse non ci crederai,” confessa, sapendo di non meritare ancora il suo affetto dopo il modo in cui era finita la loro storia, dopo il modo in cui lei aveva chiuso gli occhi di fronte alle prepotenze di Pietro.
 
“Ti voglio bene anche io, Sammy e ci credo, ti credo. L’affetto… il bene è forse l’unica cosa che non è mai mancata tra di noi. E non è colpa tua se… se pur essendo tantissimo, non era… non era abbastanza. Avevamo poco più di vent’anni ma spesso sembravamo una coppia sposata da una vita, ed è anche colpa mia, che ho dato tante cose per scontate… ma tu c’eri sempre stata, sempre. E ho capito in questi giorni che la cosa peggiore, quello che mi ha fatto più soffrire, è stato il non averti più nella mia vita d’improvviso ma che è… è questo quello che mi mancava tra noi, Sammy, questo,” spiega, sembrando leggerle nel pensiero e stringendola più forte, “poter parlare di qualsiasi cosa con qualcuno che mi conoscesse davvero nel profondo e che mi volesse bene per quello che sono. Per certi versi tu eri la mia migliore amica, una sorella, più che la mia fidanzata e… perdendoti, così all’improvviso, ho perso tutto…”
 
“Lo so, mi dispiace. E anche tu eri il mio migliore amico, anche se invece io mi rendo conto solo adesso di quanto tutto questo mi sia mancato. E… avrei davvero voluto che fosse abbastanza, te lo giuro, Marchese e… una parte di me dopo tutto quello che è successo lo vorrebbe ancora, sarebbe così… semplice. Perché io con te mi sento a casa, al sicuro, sto bene con te, ma non sarebbe giusto nei tuoi confronti, nei miei confronti perché-“
 
“Perché mi vuoi bene ma non mi ami… lo so. Quando una cosa si rompe non si torna indietro, non si ricompone. E… sai, Sammy, credo che se ci fossimo sposati non saremmo stati felici e… tu l’hai capito prima di me. Avremmo fatto la fine di tanti fidanzatini del liceo che si sposano e dopo un anno o due si separano o, peggio, avremmo tirato avanti e saremmo arrivati ad odiarci. È la vita e non è colpa di nessuno. Ci ho messo anni a capirlo ma sono felice di averlo capito, anche se fa male. Ma mi sento più leggero, come se mi fossi tolto un peso.”
 
“Tu sei troppo buono con me, Marchese, sei sempre stato troppo buono con me ma… anche io mi sento più leggera, come se mi fossi tolta un peso dal cuore, anche se non me lo merito,” ammette, commossa, rifugiandosi ancora di più in quell’abbraccio che sa di casa.
 
Il suono di due dita che bussano alla porta e un colpo di tosse li riportano alla realtà e si staccano con un sorriso e un certo imbarazzo nel vedere una dottoressa che li osserva con un mezzo sorrisino.
 
“Vedo che si è svegliata, signora. Mi dispiace disturbare lei e suo marito ma vorrei visitarla per accertarmi che l’ossigenazione sia sufficiente e che non ci siano altre conseguenze dovute all’intossicazione,” spiega il medico, avvicinandosi.
 
“Sì, ma, in realtà mio marito è Pietro Mancini, l’ispettore di polizia. Marchese mi ha detto che è ricoverato anche lui qui: come sta?” domanda, ritornando alla realtà, mentre la preoccupazione e il senso di colpa nei confronti del marito, nonostante tutto quello che era successo tra loro, o forse proprio per quello, ritornano prepotentemente alla carica, come un macigno sul cuore e sullo stomaco.
 
“Suo marito è ancora privo di conoscenza, ha una frattura al quinto metatarso del piede sinistro, lievemente scomposta che abbiamo già messo in trazione. Dovrebbe riallinearsi in tre – quattro giorni e poi lo dovremo ingessare. Ha inoltre un’intossicazione da fumo più forte della sua, ma non grave. Penso che sarà sufficiente l’ossigenazione, come per lei, non dovrebbe essere necessario intubarlo o arrivare alla ventilazione artificiale,” la rassicura l’altra donna, dopo l’iniziale momento di sorpresa.
 
“Posso vederlo?”
 
“Sì, ma solo dopo la visita, se è tutto a posto...”
 
“Allora io esco. Se hai bisogno di qualsiasi cosa sono qui fuori, ok?” proclama Marchese con un sorriso, per toglierla e togliersi dall’imbarazzo.
 
Sammy annuisce ricambiando il sorriso e lo osserva fino a quando, con un ultimo sguardo, chiude la porta dietro di sé.
 
“Quel ragazzo è davvero un angelo: non l’ha lasciata un attimo fin da quando è arrivata qui con l’ambulanza,” commenta la dottoressa con un’occhiata e un tono che non nascondono del tutto la curiosità.
 
“Lo so… lo so…” sussurra, quasi tra sé e sé, provando un’infinita tenerezza ed un’infinita malinconia insieme e chiedendosi, per l’ennesima volta, perché non si possa scegliere chi amare.

 
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“Gaetano! Cos’ha detto il dottore? Come stai?”
 
“Tranquilla, professoressa, tutto a posto: sono più affumicato fuori che dentro, per fortuna,” risponde con un sorriso, indicando gli abiti ancora anneriti, “non ho neanche bisogno dell’ossigeno. Sono come nuovo, vestiti a parte.”
 
Camilla non riesce nemmeno a rispondere, travolta dal sollievo, si limita ad abbracciarlo forte – forte, mentre lui ricambia con un’intensità tale che si ritrova sollevata a qualche centimetro da terra, completamente avvolta da quelle braccia e da quel corpo che la fanno sentire in pace con il mondo. E non vorrebbe essere da nessun’altra parte.
 
“Camilla!”
 
Una voce familiare li riporta alla realtà. I piedi di nuovo ben piantati a terra, in tutti i sensi, Camilla volta il capo, trovandosi davanti a Marco e Tom che stanno arrivando di corsa, la preoccupazione evidente sui volti d’entrambi.
 
“Cos’è successo a Paolo? Come sta?” domanda Marco, raggiungendoli.
 
 “Vedi, lui-“
 
“Oddio, che hai fatto? Sei ferita?” la interrompe Marco prima che possa spiegare, la preoccupazione che diventa quasi terrore quando lei scioglie del tutto l’abbraccio e si gira, mostrando la maglietta completamente macchiata di sangue, soprattutto sulla spalla e sul petto, oltre ad impronte strisciate di mani e dita. Si era almeno lavata il viso e le braccia, spaventandosi da sola quando si era vista riflessa nello specchio, ma per i vestiti non c’era ovviamente nulla da fare.
 
“No… no… non sono ferita…” spiega, tirando un forte respiro, non riuscendo a trovare la forza o le parole per spiegare o per elaborare, il nodo in gola troppo grande.
 
“È… è il suo sangue, vero?” le domanda, intuendo senza bisogno di altre parole e Camilla annuisce, vedendolo portarsi le mani alla bocca e quasi barcollare.
 
“Tuo fratello mi ha salvata, Marco, si è preso due proiettili al posto mio. Alla spalla destra e al braccio destro. Ora è sotto i ferri per cercare di rimuoverli… aveva… aveva perso molto sangue ma… non ne so molto di più. Non abbiamo avuto più notizie da quando è stato portato in sala operatoria… Mi dispiace tantissimo,” sussurra, sentendosi divorare dal senso di colpa.
 
“Sono… sono felice che stai bene, Camilla,” risponde Marco a fatica, la voce roca, ma capisce guardandolo negli occhi quanto sia sincero, “il… il mio fratellino ha la pellaccia dura… anche quando eravamo piccoli… gli dicevo sempre che la gramigna non… non muore mai…”
 
La voce che gli si spezza in più punti e che contrasta con il sorriso che si sforza di mantenere, gli occhi che si fanno lucidi e le lacrime che non riesce più a trattenere. Un altro sguardo tra loro e Camilla lo abbraccia d’istinto, senza quasi pensarci, sentendolo aggrapparsi a lei in maniera disperata. Gli dà due pacche sulla schiena e poi gliela accarezza in maniera energica, dall’alto verso il basso, come faceva spesso con Livietta per consolarla.
 
“Io… io e Paolo siamo spesso come cane e gatto ma… ma gli voglio bene e… non… non so cosa farei se…”
 
“Lo so e lo sa anche lui, Marco. E anche lui ti vuole bene… credo che tu sia la persona a cui tiene di più in assoluto…”
 
Rimangono abbracciati ancora per un po’, fino  a che lo sente tranquillizzarsi, il respiro più regolare, la stretta che si allenta gradatamente fino a lasciarla andare.
 
“Grazie…” sussurra, commosso, sfregandosi il viso per asciugare le ultime lacrime.
 
Camilla scuote il capo con un sorriso altrettanto commosso, prima di avvertire l’inequivocabile formicolio alla base del collo e di voltarsi, col cuore in gola, verso il punto esatto alle sue spalle da dove lui la sta osservando. In ansia, ricordando benissimo cos’era successo l’ultima volta che li aveva visti abbracciati, cerca ed incontra i suoi occhi azzurri che la scrutano con un’espressione indefinibile ma, apparentemente, tranquilla. Non vi scorge traccia di rimprovero o di risentimento, solo… malinconia.
 
Il rumore di una porta che si apre interrompe il momento e li porta a girarsi verso le doppie porte che danno accesso alle sale operatorie, da cui emerge un dottore con ancora indosso il camice. È lo stesso che li aveva soccorsi con l’ambulanza.
 
“Lei è qui con De Matteis Paolo, giusto?” domanda, riconoscendo Camilla.
 
“Sì, esatto, come sta?”
 
“È una parente?” le domanda, in ossequio all’onnipresente legge sulla privacy.
 
“Sono il fratello, Marco Visconti De Matteis. Come sta Paolo?” interviene Marco, per poi aggiungere, guardandosi intorno, “non ho obiezioni a che anche loro siano informati.”
 
“Abbiamo estratto la pallottola dal braccio. Il proiettile che è entrato dalla spalla destra fortunatamente non ha leso organi vitali ma si è fermato accanto al polmone, senza perforarlo. Rimuoverlo richiederà una certa cautela. In condizioni normali, sarebbe già sicuramente un’operazione delicata, con un elevato livello di rischio. Il problema è che oltretutto suo fratello ha perso molto sangue, gli abbiamo già fatto una trasfusione, una sacca, e abbiamo cercato di ossigenarlo il più possibile, visto che aveva già perso conoscenza ed aveva avuto un arresto cardiaco prima che fosse raggiunto dall’ambulanza. Per fortuna gli sono stati praticati subito massaggio cardiaco e respirazione dalla signora qui presente e poi siamo riusciti a rianimarlo e a stabilizzarlo e non ha avuto ulteriori arresti.”
 
“Camilla…” sussurra commosso, grato e ammirato, capendo benissimo perché la donna nel racconto dello svolgimento dei fatti aveva omesso questo piccolo particolare.
 
“Ma purtroppo il polso è molto debole e non può assolutamente permettersi di perdere altro sangue. Per questo non possiamo procedere oltre fino a che non avrà ricevuto almeno un’ulteriore sacca di trasfusione, anche se l’ideale sarebbero due. Il problema è che suo fratello è di gruppo B-, molto raro e abbiamo usato per lui l’ultima sacca che avevamo. Stiamo contattando le banche del sangue di Roma per cercare di procurarcene dell’altro, ma, visto che lei è qui e che è un parente prossimo… per caso è compatibile?”
 
“No, purtroppo no: sono A+, io e mio fratello siamo agli antipodi quasi in tutto,” risponde Marco, amaro.
 
“Beh, allora proseguiremo le ricerche e-“
 
“Forse non è necessario. Io sono 0-, sono donatore universale. Sono stato appena visitato e… dovrei essere in buone condizioni per poter donare.”

 
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“Sammy… Sammy…”
 
“Pietro, sono qui, sono qui, svegliati…” lo rassicura, vedendolo agitarsi nel letto e sentendolo chiamarla in modo quasi disperato, la voce distorta dalla maschera dell’ossigeno. Lei era stata più fortunata: la dottoressa dopo averla visitata le aveva dato il via libera senza appiopparle nemmeno, come aveva temuto all’inizio, l’apparecchio per l’ossigeno portatile.
 
Pietro sorride e sembra rilassarsi quando sente una mano stringere la sua. Apre gli occhi e, dopo qualche secondo di disorientamento, mette a fuoco il viso della moglie che lo guarda preoccupata.
 
“Sammy… dove siamo? Come stai?” le chiede, in ansia, cercando di mettersi a sedere ma non riuscendoci.
 
“Fermo, non devi muoverti e fare sforzi. Siamo in ospedale e-“
 
“Come stai?” ripete, chiaramente agitato.
 
“Io sto bene, ho solo avuto un’intossicazione da fumo, leggera, è tutto risolto. Anche tu sei rimasto intossicato in maniera un po’ più forte e hai un piede rotto. Te l’hanno messo in trazione, per questo devi muoverti il meno possibile e con cautela. Dovrebbe essere questione di pochi giorni, non ti preoccupare, poi ti ingesseranno e potrai muoverti più liberamente,” lo rassicura, stringendogli di nuovo la mano, “Marchese mi ha detto… mi ha detto che ti sei fatto male mentre cercavi di portarmi fuori e che… che ti sei rifiutato di farti soccorrere finché io non fossi stata in salvo. Ti devo la vita, Pietro...”
 
“Il tuo Marchese è come sempre troppo buono Sammy. Devi ringraziare lui e Berardi e non me: sono inciampato come un idiota e se non ci fossero stati loro saresti morta. Gran bel salvataggio il mio!” commenta con una risata amara per poi aggiungere, guardandola in un modo serio e triste insieme, “anzi, sono anche rientrati per salvarmi, nonostante stesse crollando tutto… io poi sono svenuto e non ricordo bene ma… ho capito perché ti sei innamorata di Marchese, sai? Lui è un uomo molto migliore di me. Io al posto suo non credo che sarei mai rientrato in quella casa, di sicuro non per tentare di salvare qualcuno che mi aveva trattato come io l’ho sempre trattato.”
 
“Lo so Pietro, lo so che Marchese è… è un angelo, è una persona migliore sia di te che di me. Ma purtroppo o per fortuna l’amore non funziona così, non si sceglie chi si ama. E quello che non capisco come tu possa non capire, è che non avrei mai fatto tutto quello che ho fatto, non avrei mai lasciato Marchese, non avrei iniziato una storia con te e non ti avrei addirittura sposato contro  il parere di tutti, se non fossi stata innamorata di te. E non avrei mai potuto innamorarmi di te se fossi stata ancora innamorata di Marchese. Marchese è stato… il mio primo amore, siamo cresciuti insieme… era un amore bello, puro, adolescenziale ma piano piano è finito, si è trasformato in un grande affetto e basta. E l’ho capito quando ti ho conosciuto, perché non avevo e non ho mai provato per nessuno quello che ho provato e che, maledizione a me, provo ancora per te, Pietro! Mai.”
 
“Sammy…” sussurra lui, riuscendo finalmente a comprendere quanto lei sia sincera, a scorgere la verità nelle sue parole e dandosi dell’idiota per le sue insicurezze, per aver dubitato di lei, per il comportamento folle degli ultimi giorni. Per quella rabbia che l’aveva consumato fino a desiderare di distruggerla, di ferirla quanto lei aveva ferito lui. Ma in quella casa aveva capito tante cose: quando Sammy era stata davvero in pericolo nulla aveva avuto più senso. La rabbia, l’orgoglio, il desiderio di vendetta… erano evaporati, spariti, di fronte alla necessità di salvarla, di accertarsi che almeno lei stesse bene, a qualunque costo.
 
Prova ad allungare la mano libera per accarezzarle il viso, come aveva fatto così tante volte durante la loro relazione e il loro matrimonio ma lei la intercetta prima, appoggiandola sul lenzuolo, accanto all’altra.
 
“Però, Pietro, se tornare con Marchese sarebbe un errore madornale, sarebbe solo farci del male a vicenda, a lungo andare, perché non lo amo più, allo stesso tempo a volte l’amore da solo non basta. Perché, Pietro, la verità è che io mi sto chiedendo di chi mi sono innamorata, se tu sei davvero l’uomo per cui ho perso la testa, quell’uomo dolce, tenero, divertente, premuroso, che voleva solo  la mia felicità, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farmi stare bene, per strapparmi un sorriso, quell’uomo che rivedo adesso e che ho ritrovato in quella casa quando mi facevi coraggio e cercavi di tranquillizzarmi mentre tentavi di liberarmi, mentre… mentre eri pronto a morire insieme a me… o se… se sei quella specie di dittatore psicotico, nevrotico, schizofrenico che mi ha seguita, spiata, denunciata. Quell’uomo crudele e sadico che si diverte a maltrattare chi è sotto di lui, a interrogare i sospetti fino a farli crollare psicologicamente, che sembra trarre piacere dalle sofferenze altrui.”
 
“Sammy…” sussurra sentendosi sempre più uno schifo mano a mano che la voce di lei si alza e si incrina, le lacrime di dolore e di rabbia a solcarle il viso.
 
“E fino a che ho questo dubbio, fino a che non so chi sei davvero, non posso… non posso più pensare di poter condividere la mia vita con te, lo capisci? Ti starò vicino ora che stai male, come ti ho promesso il giorno del nostro matrimonio ma… voglio che tu capisca che questo non cambia le cose tra noi.”

 
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“Gaetano! Tutto bene?”
 
“Sì, ho fatto quello che potevo, ora temo che non resti che aspettare…” risponde, avvicinandosi a lei e a Marco, seduti sulle solite, scomodissime, seggiole.
 
“Grazie mille, davvero… non so come ringraziarla,” esclama Marco, grato e commosso, “so benissimo che tra lei e mio fratello non scorre esattamente buon sangue… oddio sembra quasi una battuta adesso…”
 
“Già…” commenta Gaetano, scoppiando insieme a Marco in una mezza risata amara, “e comunque non serve che mi ringrazi: era il minimo che potessi fare ed è quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto.”
 
“Non credo, sa? Non credo che l’avrebbe fatto chiunque…”
 
Senza altre parole si siedono e attendono, attendono e attendono per minuti che si sommano ad altri minuti e che sembrano sempre più interminabili.
 
“Volete che vada a prendervi un caffè?” si offre infine Gaetano, notando la stanchezza sui volti di Camilla e di Marco.
 
Marco sta per rispondere quando un rumore di passi, quasi una carica di bufali, alle loro spalle li interrompe.
 
“Fratellone!”
 
“Zio!”
 
“Francesca?! Nino?! Che ci fate qui?! Francesca, ti avevo detto che stavo bene e che non era necessario che venissi!” esclama con un sorriso esasperato, accogliendo lo tsunami biondo che gli si butta tra le braccia.
 
“Sì, ma io ti conosco fratellone e so che tu minimizzi sempre tutto per non fare preoccupare gli altri. Mi hai detto che avresti passato la notte in ospedale e ho visto al tg quello che è successo: l’incendio, la sparatoria e mi sono preoccupata!” spiega, sciogliendo l’abbraccio per guardarlo negli occhi.
 
“Ma come vedi per fortuna sto bene, sorellina. Non so se dovrei ringraziarti per l’affetto e la preoccupazione o offendermi per la tua mancanza di fiducia in me,” scherza, dandole un lieve pizzicotto sulla guancia come quando erano ragazzi, per poi tornare più serio quando nota un’assenza, “e Jerry? Dov’è?
 
“Papà è rimasto a casa, dormiva già…” spiega Nino, salutando lo zio con una pacca sulla spalla.
 
E poi gli sguardi di Francesca e di Nino si voltano verso Marco e, soprattutto, verso Camilla, che hanno assistito a quella scena in silenzio.
 
“Francesca…” la saluta Camilla, imbarazzata, sapendo che Gaetano è ospite della sorella e temendo che Francesca sia risentita con lei.
 
“Camilla…” saluta di rimando Francesca prima di sgranare gli occhi e portarsi le mani alla bocca quando la vede così sporca di sangue e di chiederle, con sincera preoccupazione, “oddio, Camilla, ma che è successo?! Stai bene?!”
 
“Sì, sì, tranquilla, è che-“
 
“Tom!”
 
“Nino!”
 
I saluti tra i due ragazzi la interrompono prima che possa rispondere.
 
“Nino, questo ragazzo è un tuo amico?” domanda Francesca, sorpresa, guardando quel ragazzo che le sembra improvvisamente familiare. La verità è che, per via delle condizioni di salute di Jerry, esce ben poco la sera e conosce a malapena gli amici di Nino, sicuramente molto meno di quanto dovrebbe. Ma, per sua fortuna, Nino è sempre stato tranquillo e non le ha mai dato motivo di preoccuparsi.
 
“Sì, lui è Tom, il batterista della nostra band…”
 
“Quello che sta per trasferirsi a studiare in America?” domanda Francesca, facendo finalmente il collegamento.
 
“Esatto, Tom lei è Francesca, mia madre…”
 
A quelle due parole – mia madre – Francesca prova come sempre un piacevole senso di costrizione al petto ed un grandissimo senso di orgoglio.
 
“Ah quindi lei è la sorella di tuo zio Gaetano, giusto?” chiede conferma il ragazzo, prima di allungare una mano con un sorriso, “piacere, signora.”
 
“Io invece sono Marco, il papà di questo mascalzone,” si presenta Marco con un sorriso ancora più ampio di quello di Tom, nonostante le circostanze, porgendole a sua volta la mano in una stretta decisa.
 
“Ah, lei è il produttore di vini? Quello che ha quelle cantine sui colli? So che ha ospitato spesso mio figlio, grazie davvero,” proclama Francesca, ricambiando la stretta e il sorriso.
 
“Si figuri: Nino è simpaticissimo, oltre che un bravo ragazzo, e chiunque sopporti mio figlio e la sua batteria ha tutta la mia stima personale,” commenta Marco con un altro sorriso, affidandosi come sempre al suo umorismo.
 
Ma Camilla, che ormai lo conosce bene, riconosce la nota tirata della voce, segno che, come spesso accade, Marco si rifugia dietro alle sue battute e alla cordialità per nascondere la sua sofferenza e la sua preoccupazione.
 
“Ma cosa ci fate voi qui? È per via della storia del Luna Park?” domanda poi Francesca, guardando ancora verso Camilla, che sembra uscita da un film horror e verso suo fratello che sembra essersi rotolato nella cenere, mentre Marco e Tom appaiono illesi.
 
“Sì è che… mio fratello è un vicequestore, come suo fratello e lui…” cerca di spiegare, ma si ritrova a deglutire per sciogliere il groppo in gola: la maschera non regge più.
 
“Mi ha difesa da un cecchino e… si è preso due pallottole destinate a me,” conclude Camilla, commossa, e Francesca capisce finalmente il motivo di tutto quel sangue.
 
Nino poggia una mano sulla spalla di Tom mentre Francesca osserva quello sconosciuto così gentile senza riuscire a pronunciare una sola parola. Perché lei era ed è ormai un’esperta mondiale della nobile arte di nascondere i problemi più gravi dietro ad una facciata di… leggerezza e a volte persino di allegria. E capisce benissimo di avere di fronte a sé un altro massimo esponente della categoria.
 
Di nuovo una porta che si apre ed un rumore di passi, lo stesso medico di prima.
 
“Come va?” domanda Marco in apprensione, notando lo sguardo preoccupato del medico.
 
“Purtroppo non possiamo procedere con l’intervento. La sacca donata dal signor Berardi non è stata sufficiente per raggiungere un livello tale da consentirci di operare, anche se quantomeno è servita per stabilizzare un po’ di più i parametri vitali di suo fratello. Ma la lesione interna continua ovviamente a sanguinare e quindi più tempo passa e più suo fratello si indebolisce e più l’intervento si fa rischioso. E non possiamo nemmeno pensare di lasciare lì il proiettile: è troppo vicino al polmone e potrebbe spostarsi e perforarlo, soprattutto se suo fratello riprendesse conoscenza… basterebbe anche un attacco di tosse…. Gli serve quindi urgentemente un’altra trasfusione e purtroppo nessuna delle banche del sangue di Roma può permettersi un prestito, come vi ho detto il B- è il gruppo per cui è in assoluto più difficile trovare un donatore compatibile. Stiamo contattando anche tutte le banche del sangue delle città più vicine e speriamo di avere risultati a breve.”
 
“Forse posso… forse posso aiutarvi io: sono anche io 0- come mio fratello. Di solito non dono perché… ho… ho paura degli aghi ma dovrei essere idonea a farlo,” interviene Francesca, sorprendendo tutti i presenti, soprattutto Marco che la guarda non riuscendo più a trattenere le lacrime.
 
“Grazie… grazie mille… io… io non ho parole, grazie,” sussurra commosso da tutta questa solidarietà, sia da parte di Gaetano che da parte di Francesca che è, in fondo, una perfetta sconosciuta.
 
“Ma si figuri, non serve che mi ringrazi: è quello che farebbe chiunque…” risponde Francesca, replicando involontariamente quanto detto da Gaetano poco prima, mettendogli una mano sulla spalla prima di trascinarlo in un abbraccio spontaneo dei suoi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, dandogli un paio di pacche sulle spalle, per poi staccarsi e aggiungere con un sorriso, “e poi suo fratello ha salvato la vita a Camilla e quindi ha salvato indirettamente anche quella del mio fratellone e la mia, glielo assicuro, evitandomi una crisi familiare senza precedenti. Quindi ha tutta la mia eterna gratitudine!”
 
Gaetano e Camilla arrossiscono visibilmente, guardandosi in imbarazzo, mentre Nino e Tom si scambiano un’occhiata eloquente.
 
“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?” domanda Francesca, che ignora assolutamente tutti i precedenti tra Marco e Camilla.
 
“No, no, però forse ora è meglio che andiamo a fare questa donazione. Ti accompagno, visto che so cosa ti succede quando vedi un ago,” risponde Gaetano, prendendo sotto braccio la sorella e seguendo il medico. Camilla presume che, oltre fornire il suo supporto morale, Gaetano ne approfitterà anche per spiegare a Francesca tutti i retroscena con Marco e De Matteis, onde evitare altri imbarazzi.
 
Marco continua a seguire con lo sguardo Francesca fino a che lei e Gaetano scompaiono dietro un angolo del corridoio, ancora sbalordito e senza parole.
 
“È… è… ma è sempre così?” chiede a Camilla con tono ammirato.
 
“Sì, è sempre così. È un ciclone ed è impossibile non volerle bene,” conferma Camilla con un sorriso.
 
“Dici che c’è speranza che con la trasfusione un po’ del carattere del donatore o dei donatori passi al ricevente?” le domanda ricambiando il sorriso, facendo di nuovo ricorso al suo fidato humour.

 
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“Sammy mi ha detto che voleva parlarmi…”
 
Marchese cerca di mantenere un tono asciutto e neutro, distaccato, ma la verità è che vedere la sua nemesi su quel letto di ospedale, il piede immobilizzato e il colorito cinereo – in tutti i sensi – gli fa un certo effetto. Improvvisamente il terribile mastino sembra solo un vecchio cane sdentato, sembra incredibilmente umano e debole, rispetto all’immagine che aveva sempre avuto di lui, rispetto al timore che aveva sempre nutrito nei confronti dell’ispettore.
 
“Sì, Marchese. Volevo… volevo ringraziarti per aver rischiato la tua vita per salvarmi: pochi al tuo posto l’avrebbero fatto dopo tutti i… precedenti tra noi e-“
 
“Dovrebbe ringraziare anche il dottor Berardi, perché ha rischiato la sua vita esattamente tanto quanto me e anche a lui non ha dato esattamente dei buoni motivi per farsi amare, ispettore,” replica Marchese, asciutto e lievemente sarcastico.
 
“Lo so e lo ringrazierò personalmente, Marchese e mi scuserò con lui. Ma a te sento… sento di dovere molte più scuse, Marchese: quello che ho fatto a Berardi è un’inezia, comparato a quello che ho fatto a te.”
 
“Faccia come vuole riguardo al dottor Berardi, ma per quanto riguarda me, ispettore, se posso proprio essere sincero, delle sue scuse non me ne faccio niente. Non so quali siano i motivi di questo pentimento, se l’aver visto la morte in faccia, se l’aver capito di essersi comportato come un idiota con Sammy e il voler cercare di recuperare, se sia sincero o se sia tutta una strategia, e sinceramente ho cose più importanti da fare che stare qui a domandarmelo. Se davvero è sincero e se davvero vuole rimediare, dimostri con i fatti che è pentito di ciò che ha fatto, sia per quanto riguarda il suo lavoro, sia per quanto riguarda la sua vita privata con Sammy, che merita di stare con un uomo vero, che la ami, la rispetti e la renda felice e non con una specie di bullo di mezza età che sfoga su di lei le sue frustrazioni. E ora, se non aveva altro da dirmi, visto che mi sembra che lei e Sammy stiate bene, andrei ad informarmi su come sta il dottor De Matteis.”
 
Mancini è completamente ammutolito, apre la bocca un paio di volte ma non riesce ad emettere suono.
 
Marchese gli lancia un’ultima occhiata ed esce, senza voltarsi indietro.

 
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“Camilla!”
 
“Mamma!”
 
Le voci la interrompono prima che possa rispondere: questo ospedale ormai è peggio di un porto di mare.
 
“Mamma, Livietta!” le saluta, prima di aggiungere con tono di rimprovero, rivolta alla madre, “mamma, ma ti sei messa in macchina a quest’ora? Ti avevo detto di non venire, che non era necessario!”
 
“Come potevi pensare che rimanessimo a casa dopo aver visto quella specie di apocalisse al tg? Abbiamo preso un taxi e…. O PER L’AMOR DI DIO, CAMILLA! Che ti è successo?!” esclama Andreina non appena vede lo stato dei suoi vestiti, portandosi una mano al petto con l’aria di chi sta per svenire.
 
“Mamma, mamma, stai calma, non mi è successo niente, sto bene, non mi sono fatta niente, tranne questi terribili graffi alle mani,” la rassicura con ironia, mostrandole i palmi leggermente sbucciati, mettendole poi una mano sulla spalla e facendola sedere.
 
“Stai bene davvero?” domanda di nuovo Andreina, il cuore ancora in gola.
 
“Sì, sto bene davvero, davvero, davvero,” ribadisce con un sorriso.
 
“Ma allora perché sei ancora qui? Chi è che sta male?”
 
“Sammy ha avuto una lieve intossicazione da fumo, a quanto pare niente di grave, c’è Marchese con lei. Idem il marito di Sammy e-“
 
“Buono quello!” commenta a mezza voce sua madre facendole alzare gli occhi al cielo.
 
“E poi… si tratta del dottor De Matteis che-“
 
“Quello-“
 
“Mamma!” la interrompe con tono ed occhiata fulminanti, prima che possa aggiungere uno dei suoi soliti epiteti contro il vicequestore, spiegando per l’ennesima volta quella sera, sentendosi ormai come un disco rotto, “il dottor De Matteis è in sala operatoria perché mi ha difesa da un cecchino che ci aveva sotto tiro, mi ha fatto da scudo umano e si è preso due proiettili al posto mio. Gli devo la vita, mamma.”
 
“Quindi è il sangue è…?” domanda Livietta, mentre Andreina è ammutolita, comprendendo perfettamente, dall’estensione delle macchie, quale sia la gravità della situazione e il pericolo scampato dalla figlia.
 
“Marco, Tom… Nino?!” chiede poi Livietta, notando finalmente gli altri presenti.
 
“Livietta, signora Andreina,” le saluta Marco, avvicinandosi alla ragazza e all’anziana.
 
“Signor Visconti… mi… mi dispiace per suo fratello,” proclama Andreina, con sguardo basso e tono indubitabilmente sincero.
 
“Anche a me…” conferma Livietta, prima di guardare di nuovo verso Nino, “ma tu cosa ci fai qui?”
 
“Vedi, io-“
 
“Dov’è Gaetano? Mamma, gli è successo qualcosa?!” chiede Livietta spaventata, facendo l’ovvio collegamento.
 
“No, il mio fratellone ha la pellaccia dura, oltre che la testa dura,” li raggiunge la voce di Francesca che torna, sorridente anche se pallida come un cencio, accompagnata proprio da Gaetano che la sorregge temendo che si possa sentire male, per poi aggiungere, vedendo i loro volti preoccupati, “tranquilli, ho solo donato del sangue ma è che… sono una fifona.”
 
“Gaetano, per fortuna, cominciavamo a temere che fosse morto,” commenta Andreina con sarcasmo, riferendosi evidentemente non solo ai fatti della serata ma alla sua assenza degli ultimi giorni dopo la mancata partenza per Torino.
 
“Signora Andreina…” abbozza in imbarazzo, non sapendo che cos’altro dire, temendo di essere diventato una specie di Renzo 2.0 agli occhi della donna.
 
“Ci è andato vicino mamma, per soccorrere prima me e De Matteis e poi Sammy e suo marito. E la colpa di quello che è successo negli ultimi giorni è soprattutto mia e della mia testardaggine,” interviene Camilla, mettendosi letteralmente in mezzo, per poi avvicinarsi a Gaetano e passargli un braccio intorno alle spalle, guardandolo negli occhi mentre lui ricambia commosso, passandole a sua volta un braccio intorno alla vita.
 
Sposta poi con decisione lo sguardo verso la madre che non apre più bocca, limitandosi ad osservarli in un  modo indefinibile.
 
“Sembri lo spazzacamino di Mary Poppins!” è invece il commento ironico di Livietta che si avvicina ad entrambi, appoggiando una mano sulla spalla della mamma e l’altra su quella di Gaetano, trascinandoli in un abbraccio di gruppo, “sono felice che stiate bene, tutti e due.”
 
“Livietta…” mormorano entrambi, commossi e sorpresi.
 
“E comunque… anche io ti voglio bene, qualsiasi cosa succeda tra te e la mamma… a te e all’impiastro,” sussurra poi nell’orecchio di Gaetano, provocando una fitta al cuore e un magone incredibile sia a lui, sia a Camilla che ha sentito tutto e che stringe i due tesori della sua vita ancora più forte, sentendosi tremare le vene e i polsi al solo pensiero di avere rischiato di non vederli mai più.
 
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“I pompieri mi confermano che l’incendio è domato ma, prima che le macerie raggiungano una temperatura tale da essere mosse, ci vorranno ancora parecchie ore, probabilmente non prima di domani a mezzogiorno almeno. Dobbiamo decidere come procedere. Lei ha qualche indicazione?” domanda il responsabile della scientifica, squadrandola da capo a piedi con un certo scetticismo.
 
“Voglio che setacciate tutta la zona intorno a questa casa e intorno al labirinto per impronte, tracce, qualsiasi cosa. Meglio concentrarsi però prima sul labirinto, in particolare il tetto: qui c’è stato troppo via vai di gente e le prove, ammesso che ci siano, potrebbero essere ormai compromesse. Bisogna capire quale possa essere stata la via d’ingresso e quella di fuga del malvivente. Il dottor Berardi mi ha detto che potrebbe essere stato ferito, quindi se ci fossero delle tracce di sangue potrebbero aiutarci nella ricostruzione. Fate passare tutta la recinzione: a prima vista il malvivente dovrebbe avere scavalcato per entrare, ma un fucile di precisione non è così agevole da trasportare, nemmeno smontato. Per uscire avrebbe potuto usare l’ingresso principale, dato che i colleghi l’hanno sfondato, ma rischiava di essere notato…. Quindi…”
 
“Quindi perimetro e area intorno alla casa stregata e al labirinto. D’accordo,” annuisce l’uomo con aria più seria e convinta.
 
“Dove mettiamo i fari, dottoressa?” domanda uno dei giovani agenti mandati come rinforzo dalla questura insieme agli esperti della scientifica. Ormai, con l’incendio spento, era buio pesto.
 
“Non sono una dottoressa, ma comunque servono ad illuminare il tetto del labirinto degli specchi. Per evitare di inquinare la scena, posizionateli sui tetti delle attrazioni accanto: credo che quello del tiro a segno e quello dell’autoscontro possano andare bene. Prima però aspettate che gli agenti della scientifica vi diano il via libera e che abbiano finito di controllare la presenza di tracce visibili intorno alla casa. E verificate anche che i tetti reggano prima di caricarli con i fari e prima di salirci. Abbiamo avuto abbastanza feriti per stasera.”
 
Gli agenti si mettono sull’attenti e corrono ad eseguire gli ordini.
 
“Agente Grassetti?” domanda una voce alle sue spalle facendola involontariamente sobbalzare. SI volta ed incontra lo sguardo stupito di un uomo sulla sessantina.
 
“Signor questore, buonasera,” lo saluta, mettendosi sull’attenti, prima di aggiungere con tono amaro, “anche se non è affatto una buona serata.”
 
“È lei che mi ha fatto chiamare, giusto?” domanda il questore che è stato raggiunto dalla telefonata mentre stava attendendo il volo che l’avrebbe riportato a Roma dopo una breve vacanza in Sardegna.
 
“Sì, esatto.”
 
“Da quello che ho capito, il dottor De Matteis e l’ispettore Mancini sono entrambi feriti e all’ospedale. Voglio che mi racconti tutto, passo a passo, chiaro?”
 
“In realtà io non ero presente, dottore, e i testimoni sono tutti in ospedale, so solo quanto mi è stato riferito quando abbiamo ricevuto la chiamata di emergenza dal dottor De Matteis e alcuni dettagli fornitimi dal dottor Berardi,” spiega, decidendo di togliersi subito dente e dolore.
 
“Berardi? Gaetano Berardi? Cosa ci faceva qui?”
 
“Sì, esatto. Stava… stava collaborando con il dottor De Matteis in questa indagine, per il caso Scortichini, credo… sa si era occupato del caso Misoglio anni fa… E, a quanto ho capito, è intervenuto per aiutarci a soccorrere la moglie dell’ispettore Mancini, che era intrappolata nella casa stregata in fiamme. Comunque ora le racconto meglio tutto quello che so dal principio…”

 
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“Dottore, come sta?”
 
“Siamo riusciti a portare a termine l’intervento e a rimuovere il proiettile. Il signor De Matteis sta ancora terminando l’ultima sacca di trasfusione ma le sue condizioni sembrano migliorare gradualmente e i suoi parametri si stanno lentamente stabilizzando. Respira autonomamente e ha battito. Dovremo valutare con più calma un’eventuale ulteriore trasfusione ma potrebbe anche riuscire a reintegrare il resto del sangue perso autonomamente, dipenderà dal decorso postoperatorio. Non possiamo ancora sciogliere la prognosi, le prime 24 ore sono decisive per scongiurare possibili complicazioni, verrà tenuto in osservazione e chiaramente dovremo valutare al risveglio le possibili conseguenze a livello neurologico. Ma, considerate le tempistiche della rianimazione, praticamente immediata, che dovrebbe aver mantenuto l’ossigenazione dei tessuti, credo che, salvo imprevisti, possiamo avere un cauto ottimismo.”
 
Marco esala il respiro che aveva fino ad allora trattenuto insieme alle lacrime, questa volta di sollievo. Sente una mano sulla spalla e si volta verso Camilla, commossa quanto lui.
 
“Grazie, grazie mille… se non fosse stato per te-“
 
“Tuo fratello non sarebbe nemmeno rimasto ferito,” commenta Camilla con amarezza.
 
“Piantala, Camilla, non voglio nemmeno sentirlo,” la rimprovera con affetto, prima di rivolgersi verso Gaetano e Francesca, “e grazie anche a voi per tutto… siete stati… incredibili e… non vi sarò mai grato abbastanza.”
 
“Si figuri! Non deve ringraziare noi ma la genetica: almeno i nostri genitori qualcosa di buono l’hanno fatto. Oltretutto il gruppo sanguigno è praticamente l’unica cosa che io e il mio fratellone abbiamo in comune, a parte gli occhioni azzurri,” ribatte Francesca con un sorriso gentile, facendogli l’occhiolino.
 
“Io e mio fratello invece abbiamo in comune solo gli occhi azzurri,” replica Marco ricambiando il sorriso prima di aggiungere, più serio, “grazie davvero.”
 
“Comunque stiamo portando suo fratello in terapia intensiva per tenerlo sotto osservazione mentre si risveglia dall’anestesia. Se al risveglio i parametri rimarranno stabili lo porteremo in reparto e vi verremo a chiamare quando sarà possibile fargli visita. Però un parente, massimo due,” raccomanda il medico alla folla riunita di fronte a lui.

 
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“E quindi presumibilmente il dottor De Matteis è rimasto gravemente ferito mentre cercava di proteggere la compagna del dottor Berardi da un cecchino? Invece l’ispettore Mancini è rimasto intossicato e ferito mentre cercava di aiutare la moglie intrappolata tra le fiamme?”
 
“Esatto.”
 
“E Berardi ha salvato l’ispettore Mancini e consorte?”
 
“Sì… insieme a… all’agente Marchese,” ammette Grassetti, temendo la reazione del questore.
 
“Ah, Marchese, sì, ultimamente ho sentito molto parlare di lui da De Matteis,” commenta il questore con un tono indefinibile che preoccupa Grassetti.
 
“Sì, lo so, in tal proposito, se posso permettermi-“
 
“Signor questore, dottoressa, mi scusi se vi disturbo, ma, dottoressa, abbiamo finito di piazzare i fari. Quali sono i nuovi ordini?” li interrompe un altro dei giovani agenti, mettendosi sull’attenti e rivolgendosi principalmente a Grassetti.
 
“Non sono una dottoressa,” ribadisce Grassetti, vedendo che il questore rimane in silenzio, “gli agenti della scientifica non hanno più bisogno di voi?”
 
“No, signora.”
 
“D’accordo. Allora, visto che gli agenti della scientifica si stanno occupando del perimetro, voglio che voi cominciate a setacciare il parco. Siete in quattro, quindi formate due coppie: due di voi partano dall’angolo a sudest e due di voi da quello a nordovest e procedete da nord a sud e da sud a nord, passando tra le attrazioni con le torce, fino a quando vi incontrerete. Qualsiasi cosa sospetta troviate, impronte, tracce, qualsiasi cosa, la fotografate e chiamate uno degli agenti della scientifica. Non toccate nulla. Terminata questa perlustrazione, ne inizierete una seconda in orizzontale, da ovest a est e viceversa. Chiaro?”
 
“Chiarissimo, con permesso,” risponde l’agente, correndo a chiamare gli altri per riferire gli ordini.
 
“Come le stavo dicendo, ho sentito molto parlare da De Matteis del suo collega Marchese prima di partire per le ferie: caldeggiava una sua promozione e me ne ha detto meraviglie. Sicuramente meritate, a giudicare dal gesto eroico di oggi,” commenta il questore mentre Grassetti rimane di sasso.
 
“Cosa?” domanda, sbigottita.
 
“Da come mi ha parlato, credevo che ne fosse a conoscenza,” risponde il questore col tono di chi teme di avere detto troppo.
 
“Ah, sì, cioè, sapevo della promozione ma… il dottor De Matteis non… diciamo che con noi di solito non si lascia andare a molti complimenti,” cerca di improvvisare, comprendendo che De Matteis, forse per via dell’assenza del questore, non gli aveva ancora parlato della sospensione di Marchese e il questore non l’aveva approvata. Quindi, di fatto, Marchese ufficialmente non è affatto sospeso.
 
E di sicuro non sarebbe stata lei a far sapere il contrario al questore.
 
“Il dottor De Matteis è severo ed esigente, è vero… però direi che i suoi metodi funzionano perché, a quanto vedo, non sarebbe solo l’agente Marchese a meritare una promozione. Mi sembra che se la stia cavando egregiamente, nonostante l’emergenza, dottoressa,” la elogia il questore con un sorriso, facendola arrossire.
 
“La ringrazio signor questore…” abbozza, in imbarazzo.
 
“Spero quindi che non se ne abbia a male e non la  prenda come una mancanza di fiducia nei suoi confronti, ma vorrei chiamare il dottor Berardi e chiedergli se può venire a darle una mano, con anche l’agente Marchese, naturalmente, se, come spero, la loro visita ha avuto esito favorevole. Lei capisce, Berardi è stato ed è ancora un’istituzione qui a Roma, ne ho sentito sempre meraviglie ed è una persona di grande esperienza, poi probabilmente conoscerà alla perfezione i dettagli di questo caso, se ha collaborato con il dottor De Matteis, e sinceramente sarei più tranquillo se sapessi che c’è lui a supervisionare il tutto in sua assenza.”
 
“Certo, signor questore, lo capisco perfettamente e da quel poco che ho potuto conoscere il dottor Berardi è un poliziotto eccezionale,” conferma Grassetti con un sorriso, sentendosi incredibilmente sollevata, “anche perché l’unica cosa che conta adesso è trovare prima possibile chi ha… chi ha ferito il dottor De Matteis e l’ispettore Mancini.”
 
“Esattamente, Grassetti: quello che è successo stasera è un fatto di estrema gravità, un attacco vero e proprio al corpo di polizia. Questo caso ha preso priorità assoluta su tutto: voglio che Ilenia Misoglio venga ritrovata il prima possibile, anzi, che si faccia anche l’impossibile per trovarla!”

 
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“Sì, capisco perfettamente signor questore. Arriviamo immediatamente, non si preoccupi.”
 
“Era il questore,” spiega Gaetano con un sospiro a Camilla, “il questore di Roma.”
 
“E cosa voleva da te?” domanda sorpresa ed in apprensione.
 
“Una mano per coordinare le indagini e le ricerche mentre De Matteis è… indisposto, anche se non so a che titolo… A quanto pare Grassetti gli ha detto che collaboravo con De Matteis,” spiega con un mezzo sorriso, grato alla ragazza anche se teme che scoppierà l’apocalisse quando il questore, inevitabilmente, parlerà con De Matteis e Mancini, “non vorrei lasciarti qui così ma…”
 
“Stai tranquillo, lo so, il dovere ti chiama. E poi… bisogna trovare questo... non posso nemmeno definirlo pazzo perché mi sembra terribilmente lucido e… diabolico, se mi passi il termine. E bisogna trovare Ilenia, assolutamente.”
 
“Camilla, il pazzo lucido e diabolico può essere proprio Ilenia o qualcuno assoldato da Ilenia,” le ricorda, posandole un dito sulle labbra per bloccare le sue proteste e aggiungendo, “non è che non mi fidi della tua intuizione, professoressa, ma il tono di quella lettera non prova niente e lo sai e poi… arrivati a questo punto sinceramente non voglio escludere alcuna ipotesi. E chiunque sia stato, ti giuro che lo troverò, Camilla, fosse l’ultima cosa che faccio.”
 
Quelle ultime parole la colpiscono come un macigno, perché la prospettiva della morte è ancora troppo, troppo vicina. L’ha praticamente vista in faccia, ne ha sentito l’odore nelle narici. Si morde la lingua prima di dirgli che per lei l’unica cosa che conta davvero è che lui stia bene. Sa benissimo e ha sempre saputo quali sono i rischi del mestiere di Gaetano e non vuole farlo sentire in colpa o farlo preoccupare.
 
“Stai solo attento, ti prego,” si raccomanda, accarezzandogli il viso prima di allontanarsi di un paio di passi da lui.
 
“Marchese, devi venire anche tu, il questore vuole anche te!”
 
“Me? Ma se sono sospeso…” commenta il ragazzo, stupito.
 
“Apparentemente non lo sei, Marchese, non ufficialmente, vieni, ti spiego tutto in macchina,” lo esorta Gaetano, prima di congedarsi dai presenti.
 
“Grazie ancora, Gaetano,” proclama Marco con sincera gratitudine, rivolgendosi poi agli altri, “a questo punto è inutile che stiate tutti qui, rimango io con mio fratello tanto, avete sentito, le visite sono limitate.”
 
“Ma papà, voglio restare anche io con te!” protesta Tom, evidentemente impensierito all’idea di lasciare il padre da solo.
 
“No, non serve, tranquillo, vai a riposarti che tra pochi giorni ti aspetta un viaggio intercontinentale e un trasloco intercontinentale!”
 
“Appunto, mi abituo già al fuso orario nuovo,” commenta il ragazzo con un sorriso da schiaffi, “e poi sei tu che non mi vuoi mai fare guidare fino alla Fattoria di notte da solo, no?”
 
“Qualunque cosa dirò potrà essere usata contro di me? È così che funziona con te, giovanotto?” domanda Marco esasperato, scuotendo il capo, ma non potendo evitare di sorridere con affetto e gratitudine di fronte alla preoccupazione del figlio, “prendi un taxi allora, pago io.”
 
“Ma ci metterei un’ora ad andare e soprattutto una a tornare qui se… se dovesse succedere qualcosa e-”
 
“Se volete posso ospitare io Tom, tanto lui e Nino sono amici, possono dividere la stanza e non è un problema fare un letto in più,” si offre Francesca, sorprendendo di nuovo Marco, “e così domattina Tom può venire qui con più facilità.”
 
“Per me va bene,” conferma Tom con un sorriso, “grazie mille, signora.”
 
“Io non vorrei disturbarla, davvero…”
 
“Ma si figuri, Marco, quale disturbo! Ricambio almeno in parte tutte le volte che Nino è stato ospite da voi…”
 
“Grazie mille, Francesca, lei è davvero un angelo,” esclama Marco, nuovamente commosso.
 
“Si vede che non mi conosce: non si lasci ingannare dai capelli biondi e dagli occhi azzurri!” ribatte con un sorriso, “andiamo ragazzi?”
 
 “Camilla, andremmo anche io e Livietta, vieni con noi?” interviene Andreina, con quel tono che più che una domanda è un ordine a tutti gli effetti.
 
“Beh, io-“
 
“Vai, Camilla, è inutile che tu stia qui,” la esorta Marco con uno sguardo che non ammette repliche.

“Siete con… De Matteis Paolo?” li interrompe una voce sconosciuta: un altro medico.
 
“Sì, sono il fratello.”
 
“Suo fratello si è risvegliato, l’abbiamo visitato rapidamente e i suoi parametri erano stabili e sembrava rispondere agli stimoli a cui lo abbiamo sottoposto. È  ancora intontito dall’anestesia, per cui si è riaddormentato ed è importante che riposi e recuperi le forze. Dato che i parametri vitali sono stabili e che per ora non sembrano esserci danni neurologici apparenti, abbiamo portato suo fratello in reparto e quindi può essere visitato ma da una persona alla volta, massimo due. Come ho detto, è importante che si riposi e-”
 
“Sì, certo, non si preoccupi, vengo solo io, loro-“
 
“No, in tal proposito, in realtà ci sarebbe un problema: per caso qualcuna tra voi si chiama Camilla?” lo interrompe il dottore, alternando lo sguardo tra Camilla, Francesca, Andreina e Livietta.
 
“Sono io… ma perché le serve saperlo?” domanda sorpresa.
 
“Lei è la moglie del signor De Matteis?”
 
“No… no… sono… una conoscente…” risponde, sempre più sbigottita, “perché?”
 
“Vede, come ho già detto il signor De Matteis sta riposando ed è ancora sotto i postumi dell’anestesia… diciamo che è come se avesse preso dei sonniferi ed è un sonno… pesante, se capisce cosa intendo, non del tutto naturale: anche quando si sveglierà nuovamente potrebbe ancora essere intontito, confuso. Come dicevo, è importante che si riposi per recuperare, ma c’è un problema: è da quando era in terapia intensiva che ha iniziato a chiamare il suo nome e lo fa con sempre maggiore frequenza e adesso comincia ad agitarsi. Quindi mi chiedevo se lei… insomma… se potesse venire a visitarlo. Magari sentendo la sua voce si tranquillizzerà e sarebbe importante per il suo cuore… se non si calma e se i parametri dovessero andare di nuovo fuori dal range di tolleranza, dovremo riportarlo in terapia intensiva,” spiega il medico, mentre tutti guardano Camilla come se le fosse cresciuta un’altra testa, soprattutto Marco ed Andreina che conoscono benissimo i rapporti idilliaci tra lei e De Matteis.
 
“Oddio… solitamente credo che il dottor De Matteis sia molto più tranquillo quando non deve sentire il suono della mia voce ma… era con me quando ha perso conoscenza e c’era appena stata una sparatoria. Magari teme ancora che io sia in pericolo, che anche lui sia in pericolo,” ipotizza, guardando sua madre e Marco, più meravigliata di loro, “comunque, certo che posso fargli visita, non c’è problema.”

 
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“Grazie mille, Camilla, davvero!”
 
“Smettila di ringraziarmi, Marco, se no mi farai sentire ancora più in colpa. Tuo fratello mi ha salvato la vita e fargli sentire la mia melodiosa voce è il minimo che posso fare, sperando che non peggiori la situazione. Magari si sveglierà subito per implorarmi di tacere,” ironizza, cercando di sdrammatizzare.
 
Andreina e Livietta se ne sono andate, dopo numerose insistenze, lasciandole però in eredità un cambio pulito che, finalmente, non la fa più sembrare uscita da un film di Tarantino. I vecchi vestiti sono già stati imbustati, nel caso potessero servire come elementi probatori, e sono custoditi nella sua borsa.
 
Tirano entrambi un profondo respiro ed entrano nella stanza a lui riservata: fredda come tutte le stanze di ospedale, con il loro odore nauseabondo di disinfettante. Ed eccolo lì, supino sul letto, il bip meccanico dei macchinari che controllano costantemente la presenza e la frequenza di battito e respiro, collegato a tubicini di cui preferiscono entrambi ignorare la funzione, il braccio destro immobilizzato, la pelle pallida quasi quanto il lenzuolo, nonostante le multiple trasfusioni.
 
Camilla sente Marco inspirare forte, gli lancia un’occhiata e le sembra improvvisamente più vecchio di almeno dieci anni. Gli posa un braccio sulle spalle, cercando di fargli forza con la sua presenza.
 
“Ca…mi…lla…”
 
Il suono li coglie, nonostante tutto, di sorpresa. È una voce roca, gutturale, aspra, probabilmente conseguenza di anestesia, perdita di fluidi e intubazione che però gli è stata fortunatamente già rimossa, al suo posto solo una maschera per l’ossigeno.
 
Lancia uno sguardo a Marco prima di avvicinarsi al letto.
 
“Dottor De Matteis, sono qui, stia tranquillo,” cerca di rassicurarlo, adottando involontariamente il tono materno che utilizzava con Livietta quando aveva gli incubi notturni.
 
“Ca…milla?” domanda di nuovo aprendo lievemente gli occhi, lo sguardo vitreo e appannato di chi non è realmente sveglio, mentre le pupille si muovono come per cercarla nella stanza.
 
“Sì, sì, sono io, sono qui e va tutto bene. Sto bene e lei sta bene, non c’è più alcun pericolo, siamo al sicuro. Deve stare tranquillo e riposarsi, ok?” ribadisce, posandogli la mano destra sull’avambraccio sinistro, appena sopra la leggera fasciatura che, si rende conto con un moto di imbarazzo, serve a coprire il segno lasciato dai suoi denti.
 
È una questione di un attimo: De Matteis ruota la mano e le afferra prima il polso e poi la mano in una stretta quasi disperata. I lineamenti si distendono, gli occhi gli si richiudono ed un bip più lento e regolare scandisce il tempo nella stanza.

 
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“Quindi a suo avviso quando sarà possibile interrogare la moglie dell’ispettore Mancini e… la sua compagna?”
 
“Penso domani,” risponde Gaetano, dopo aver terminato di fornire il bollettino medico e il riassunto di tutti gli eventi della giornata, almeno quelli riferibili al questore.
 
“E potrò anche far visita a De Matteis e Mancini?”
 
“Sì, penso di sì, per allora dovrebbero essere entrambi coscienti. E in tal proposito, signor questore, io la ringrazio per la fiducia e ovviamente farò tutto ciò che serve e rimarrò qui ad aiutare i ragazzi, ma sinceramente prima di mettermi a coordinare questo caso, vorrei che lei chiedesse un parere al dottor De Matteis, dato che dovrebbe essere questione di poche ore e che mi sembra che Grassetti se la stia cavando egregiamente.”
 
“Concordo con lei sul lavoro dell’agente Grassetti e sicuramente chiederò un parere al dottor De Matteis anche se, visto che stavate già collaborando, non vedo perché dovrebbe avere obiezioni. Ma mi sembra evidente che De Matteis e Mancini rimarranno in ospedale per ancora qualche giorno e non posso lasciare un caso di questa rilevanza e complessità ed un’intera squadra omicidi in mano a degli agenti, per quanto preparati.”
 
“Capisco perfettamente...”

“Benissimo. Mi tenga aggiornato su ogni scoperta e… se ci fossero… cambiamenti nello stato di salute di De Matteis da qui a domattina, mi chiami pure in qualsiasi momento,” conclude il questore e Gaetano sa benissimo che non si sta certo riferendo a possibili miglioramenti.

 
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“No… Camilla…”
 
“Shhh… tranquillo, sono qui,” lo rassicura, prendendogli di nuovo la mano.
 
“Sinceramente a questo punto comincio a temere che ci siano sul serio dei danni neurologici, nonostante le rassicurazioni del medico,” ironizza Marco, scambiando con lei un’occhiata eloquente, completamente sconcertato dal comportamento del fratello.
 
“Eddai!” lo rimprovera Camilla, anche se pure lei non sa più cosa pensare.
 
È ormai notte fonda e sono ancora entrambi al capezzale di De Matteis dopo l’ennesimo, inutile tentativo da parte di Camilla di lasciargli la mano. Ogni volta che prova a farlo, De Matteis o glielo impedisce stringendola peggio di una tenaglia o, tempo qualche secondo, ed inizia a chiamarla e ad agitarsi.
 
Tanto che la situazione comincia a ricordarle i primi mesi di vita di Livietta e le notti insonni passate al suo fianco quando regolarmente e matematicamente, ogni volta che provava a rimetterla nel suo lettino e sollevava anche l’ultimo dito, la figlia riprendeva a piangere peggio di una sirena.
 
“Seriamente… l’ultima volta che l’ho visto comportarsi così è stato con nostra madre e aveva cinque anni,” ribadisce Marco, sembrando leggerle nel pensiero.
 
“Beh, insomma… probabilmente lo choc, il senso del dovere, l’anestesia, penserà che siamo ancora in quel Luna Park sotto tiro del cecchino,” risponde, cercando una spiegazione razionale.
 
“Mah… sarà… “ sospira Marco, ben poco convinto, “sinceramente se non conoscessi te e soprattutto mio fratello e i vostri rapporti tutt’altro che idilliaci, comincerei a pensare che tra voi due ci sia del tenero.”
 
“Eh?!” esclama, mentre la sua mente ritorna, inevitabilmente, a quel… a quel… bacio improvviso ed assolutamente inspiegabile. Ma non può essere… no, sarebbe assurdo anche solo pensarlo.
 
“Magari sarà un effetto collaterale della trasfusione con il sangue del tuo Gaetano…”
 
“Come no… e comunque Marco, guarda che se siamo qui è per cercare di tranquillizzare tuo fratello ed è già agitato a sufficienza, senza che ti ci metta pure tu a suggerire al suo subconscio scenari da incubo. Se invece è un tentativo da parte tua per spingerlo a svegliarsi per mandarti a quel paese, mi sa che non funziona…” ribatte con altrettanta ironia, per mascherare l’imbarazzo, “e comunque sappi che, anche se con te non mi sono comportata in maniera proprio esemplare e anche se la nostra storia è finita in un modo degno della peggiore soap opera, gli intrecci alla beautiful con fratelli, parenti o amici del mio attuale compagno o dei miei ex me li sono sempre risparmiati.”
 
“Ah, per noi invece sono praticamente una tradizione di famiglia,” rivela, mantenendo il tono leggero della conversazione, affrettandosi però ad aggiungere, prima che la mandibola di Camilla caschi sul pavimento dallo choc, “no, non tra me e mio fratello, figurati, non abbiamo gli stessi gusti praticamente in niente e Paolo fa una vita quasi monacale ma sai… famiglia nobile, facoltosa, matrimoni quasi tutti combinati… nel corso dei secoli di casi ce ne sono stati parecchi. Quasi tutti nel ramo Visconti, ad essere sincero.”
 
“Chissà perché la cosa non mi stupisce…” commenta con un sospiro, prima di riaccomodarsi sulla seggiola e prepararsi ad un’ulteriore lunga veglia.

 
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“Avete trovato qualcosa?”
 
“Niente di realmente utile,” ammette con un sospiro il responsabile della scientifica, massaggiandosi il collo dopo essere rimasto accovacciato troppo a lungo, confermando quanto aveva già temuto ad una prima occhiata dopo essere salito sul tetto, “alcuni bossoli del fucile di precisione e tre proiettili, presumibilmente riconducibili alle vostre pistole. Niente sangue, niente impronte digitali. Il cecchino deve avere usato questo muretto che regge l’insegna come base d’appoggio per il fucile e come copertura, come testimoniato da questi segni lasciati dal metallo del fucile strisciando contro il muretto. Si deve essere inginocchiato qui, a giudicare dalla polvere smossa. A quell’ora, con il sole a picco, il tetto doveva essere incandescente e questo, unito all’assenza di fibre e di impronte riconoscibili di piedi, mi fa pensare che indossasse una tuta tecnica.”
 
“Insomma, un lavoro degno di un professionista.”
 
“Sicuramente chiunque sia stato aveva pianificato il tutto e l’uso stesso del fucile presuppone un certo grado di preparazione, come lei ben sa: è voluminoso, difficile da ricaricare ed ha un forte rinculo. Però, anche se la balistica non è la mia specialità, e vorrei quindi magari sentire il parere di un collega più esperto, io esiterei a parlare di un professionista. O meglio, dipende da cosa lei intende con professionista.”
 
“Cioè?”
 
“E cioè, l’agente che ha analizzato la zona dove è stato ferito il dottor De Matteis ha trovato quattro proiettili del fucile, che dobbiamo sommare ai due con cui è stato ferito il dottor De Matteis. Sei colpi sono tanti con un fucile del genere, presumibilmente bolt-action, tra il tempo per ricaricare e quello per prendere bene la mira. E non so cosa ne pensi lei, ma un professionista, anche se il dottor De Matteis era steso a terra, non avrebbe mancato quattro volte, soprattutto non con un raggio simile, guardi,” spiega, mostrandogli sullo schermo del suo tablet la foto della zona, “i marker gialli numerati indicano i punti d’impatto, ben visibili sull’asfalto, quelli arancio invece dove sono stati trovati i proiettili, spostati durante le operazioni di emergenza. Se lei si concentra sui marker gialli, noterà che hanno un raggio molto ampio e irregolare. Come se il cecchino dopo i primi colpi, più precisi, avesse ad un certo punto perso la testa e avesse iniziato a sparare troppo rapidamente, senza quindi poter prendere bene la mira, forse anche con mano tremante. Un professionista non l’avrebbe fatto: si sarebbe riposizionato sul tetto e avrebbe sparato uno, massimo due colpi, ma accurati. Il dottor De Matteis è stato molto fortunato.”
 
“Sì… ha ragione. Anche a noi ha sparato tre volte, credo, e non ci ha presi, però eravamo in movimento e non eravamo un bersaglio facile. Ma De Matteis era immobile e quindi… in effetti è strano.”
 
“Sì, i novellini stanno finendo di rastrellare l’area e stanno cercando i proiettili rimanenti, così potremo avere un quadro più completo.”
 
“I tetti limitrofi?” chiede Grassetti che si sta appuntando ogni virgola, in piedi accanto a lui.
 
“Niente,  nessun segno, solo polvere. Credo che sia sceso dal tetto e poi sia scappato via terra, uscendo dal cancello principale, probabilmente approfittando del fatto che i rinforzi non erano ancora arrivati e che dovevate badare ai feriti e all’incendio…”
 
“Con un fucile di precisione in mano o in una valigetta? Vestito con una tuta da cecchino?” interviene di nuovo Grassetti, evidentemente scettica.
 
“Bella osservazione Grassetti, però in effetti prima che arrivassero i rinforzi, abbiamo fatto in tempo ad entrare nella casa stregata, portare fuori Sammy e Mancini e… ci saranno voluti almeno dieci minuti. Tutto il tempo necessario per riporre il fucile, cambiarsi per dare meno nell’occhio e darsela a gambe. Potrebbe anche aver nascosto il fucile e la tuta qui da qualche parte: questo parco è immenso e credo che il nostro cecchino lo conoscesse molto bene.”
 
“Però se si fosse cambiato qui o, a maggior ragione, se avesse lasciato qui gli strumenti del mestiere, potrebbe aver lasciato qualche traccia.”
 
“Esattamente Grassetti, però bisognerebbe setacciare anche l’interno di tutte le attrazioni e questo richiede risorse che al momento non abbiamo a disposizione. Se non rinveniamo elementi utili ovviamente lo faremo, ma ora dobbiamo dare la precedenza a recinzione e casa stregata. Raggiungiamo Marchese e speriamo che abbia buone notizie da darci.”

 
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“Marco… Marco…”
 
“Mmmm… Camilla?” bofonchia, aprendo gli occhi ma vedendo solo le sue ginocchia, prima di cercare di alzare lo sguardo e sentire un dolore lancinante al collo: maledetta cervicale.
 
“Che ore sono?”
 
“Sono le quattro del mattino ormai. Vai a riposarti un po’, ma in un letto vero, prima che ti venga anche il colpo di frusta.”
 
“Ma… non posso allontanarmi… io…”
 
“No, sono io che non posso letteralmente allontanarmi, come vedi,” ribatte, facendo segno alla mano di De Matteis che tiene ancora la sua, “è inutile che stiamo qui tutti e due: non appena si sveglia, ti telefono, ok?”
 
“Ma… ma… mi dispiace darti così tanto disturbo,” prova a protestare, ma conosce benissimo quello sguardo e sa che non c’è obiezione che tenga.
 
“Se non fosse stato per tuo fratello ora starei sì riposando, ma l’eterno riposo. Quindi credo che passare una notte insonne sia il minimo che possa fare per sdebitarmi… forza, a letto, march!”
 
“Hai un’idea di quante volte ho sognato di sentirti dire queste quattro parole?” le domanda con una faccia da schiaffi, per stemperare la commozione e allontanare le terribili immagini che la prima frase aveva creato nella sua testa, per poi aggiungere, facendole l’occhiolino, “e comunque se volevi che vi lasciassi soli, bastava dirlo…”
 
“Vai!” esclama, trattenendo a stento una risata e scuotendo il capo esasperata: Marco non cambierà mai.
 
Suo fratello invece… non sa davvero più cosa pensare.

 
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“Ci sono novità?”
 
“No, dottore. Molte impronte digitali sulla cancellata esterna, nella zona dove sono impilati quei materiali da costruzione. Quasi tutte parziali e in parte cancellate. Sinceramente, anche se fossero identificabili, dubito possano appartenere alla persona che stiamo cercando, considerato che sembra non dimenticarsi mai i guanti. Niente sul resto della recinzione o sulla cancellata sfondata. C’è inoltre un piccolo cancellino laterale, probabilmente usato in passato come uscita di emergenza per i visitatori ma è chiuso a chiave. Anche lì c’è qualche impronta ma dubito possa esserci utile.”
 
“Gli agenti hanno trovato qualcosa nel loro rastrellamento?”
 
“No, almeno in apparenza no, tranne alcuni proiettili, sia del fucile di precisione sia di pistola. Lei capisce che un parco di queste dimensioni, abbandonato oltretutto e spesso frequentato da barboni e vandali, è pieno di rifiuti assortiti e di impronte e tracce lasciate dalle persone più svariate. Per la carità, fosse capitato quando era ancora in funzione sarebbe stato ancora più complicato ricavarne qualcosa di utile ma anche così…”
 
“Capisco, la ringrazio. A questo punto penso che finché le macerie della casa stregata non si saranno raffreddate, sia inutile stare qui. Grazie a lei e ai suoi uomini per aver fatto le ore piccole con così poco preavviso. Potete andare a riposarvi.”
 
“Si figuri: dopo quello che è successo vogliamo tutti trovare il colpevole il prima possibile. E grazie a lei, dottor Berardi: è un piacere collaborare con lei,” proclama il responsabile della scientifica prima di chiamare a raccolta i suoi sottoposti e allontanarsi.
 
“Grassetti, Marchese, andate anche voi a riposarvi un po’…”
 
“Io veramente… vorrei andare all’ospedale,” rivela Grassetti, in lieve imbarazzo, “lei cosa pensa di fare dottore?”
 
“Credo che verrò anche io all’ospedale,” decide, sia perché vuole accertarsi delle condizioni di De Matteis, sia perché conosce la sua professoressa e sa che, con ogni probabilità, non si è mossa da lì.
 
“Dottore, se mi permette vorrei rimanere qui: i ragazzi sono tutti principianti e ormai è quasi giorno e voglio dare un’altra occhiata in giro, non che si siano lasciati sfuggire qualche dettaglio per via del buio o dell’inesperienza.”
 
“Marchese, la cosa ti fa onore, ma sarai esausto e non credo sia il caso che ti sforzi in questo modo. Riposa qualche ora e poi puoi tornare qui.”
 
“No, dottore, sul serio, non sono stanco, ho troppa adrenalina in corpo e poi sono già stato fermo fin troppo e… non so cosa sarà della mia carriera tra qualche giorno e… meglio che mi renda utile finché posso…” lo rassicura, semiserio, anche se con una lieve traccia di apprensione.
 
“Dopo quello che hai fatto oggi, Marchese, io credo che la tua carriera non potrà che avere evoluzioni positive. Comunque va bene, fai come ritieni più opportuno ma al primo segno di stanchezza torni a casa, ok? In taxi!”

 
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Apre gli occhi, avvertendo uno strano calore e una strana sensazione alla mano sinistra, come… solletico?
 
Una luce bianca e fredda lo acceca. Sbatte un paio di volte le palpebre, fino a che il mondo torna a fuoco, ma il mondo sopra la sua testa è tutto bianco.
 
Volta il capo, in cerca della sua mano e in mezzo al bianco vede finalmente una macchia più scura. Una cascata di ricci, ricci castani, riposano su quello che riconosce essere il lenzuolo del letto in cui è disteso, accanto ad una mano sottile e lattea, ancora stretta nella sua.
 
Confuso, cerca di muovere la mano destra ma non ci riesce.
 
Chiedendosi se sia tutto un sogno bizzarro, lascia andare quella mano sconosciuta, sollevando poi la sua mano sinistra. Tremando come una foglia, a fatica, riesce infine a scostare quella massa soffice, quanto basta per rivelare un viso placidamente addormentato.
 
Camilla?!
 
No, è impossibile, deve essere un sogno – è il primo pensiero, mentre i suoi occhi si guardano di nuovo intorno alla ricerca di una spiegazione.
 
Il braccio destro immobilizzato, bloccato al petto. La mano sinistra bendata, i macchinari di cui riesce finalmente a sentire il suono.
 
Un ospedale… il fuoco… il cecchino… i proiettili… Camilla.
 
Il cuore in gola, la guarda di nuovo: non sembra ferita. Sta bene, è salva, è viva. Ed è vivo anche lui, miracolosamente è vivo anche lui.
 
Senza nemmeno rendersene conto, cedendo ad un impulso irrefrenabile, allunga le dita fino a sfiorarle la guancia destra, tracciando linee invisibili e tremanti su quella pelle morbida. La sente e poi la vede sorridere, un sorriso ampio, dolce, luminoso e quasi infantile, così diverso dai sorrisi sarcastici e sprezzanti a cui l’ha abituato, ma anche da quelli che condivideva con suo fratello quando sembravano felici insieme. Un’espressione di cui non l’avrebbe mai ritenuta capace, non lei, sempre così forte, combattiva e fiera.
 
Non può evitare di sorridere di rimando – e perché dovrebbe evitarlo? – mentre continua ad accarezzarle lo zigomo e la guancia in maniera quasi automatica.
 
“Gaetano…”
 
Si blocca bruscamente, il cuore nello stomaco, il sorriso congelato sul volto che gradatamente svanisce, mentre ritorna alla realtà. Berardi… ovvio.
 
“Gaetano…” mormora ancora Camilla, sorridendo e allungando la mano per cercare il suo viso sul cuscino accanto al suo, ma trovando solo un braccio nudo che non è… non è il suo. È troppo… sottile.
 
Apre gli occhi, confusa, gli occhi assonnati e appannati fissano quella mano e quel braccio sconosciuti, un camice e infine…
 
“De Matteis?” chiede, stupita, ricordando improvvisamente tutto, alternando lo sguardo tra quella mano ancora appoggiata sul suo viso, che lui non accenna a muovere nemmeno di un millimetro, e quegli occhi che sembrano studiarla placidamente, senza battere ciglio, come se fosse la situazione più normale del mondo.
 
Lo vede muovere la bocca e provare a dire qualcosa ma dalla sua gola esce solo un suono strozzato.
 
“Non riesce a parlare?” gli domanda, preoccupata, dandosi dell’idiota per non avere capito prima, rimettendosi a sedere e sciogliendo quel contatto di cui finalmente riesce a darsi una spiegazione: De Matteis non aveva avuto altro modo per attirare la sua attenzione e svegliarla.
 
“Non si preoccupi, le chiamo subito un infermiere,” lo rassicura, allungando la mano verso il telecomando con tutti i pulsanti, tra cui la chiamata, ma la mano di lui di nuovo la blocca. De Matteis scuote il capo e indica la bottiglia d’acqua ancora intatta sul comodino.
 
“Ha sete? Però forse è meglio che prima la veda un infermiere,” ripete, ma lui scuote nuovamente il capo.
 
“D’accordo,” acconsente, non volendo che si agiti, alzandosi dalla seggiola per raggiungere il comodino e versare l’acqua in un bicchiere di plastica.
 
Cerca di porgerglielo ma la mano di De Matteis trema troppo e, soprattutto, lui è troppo reclinato per poter bere senza soffocare.
 
“È proprio sicuro di non volere che chiami un infermiere?” gli chiede per un’ultima volta e lui per tutta risposta, testardo come sempre, tenta di mettersi a sedere da solo.
 
“Fermo, fermo, ma è matto? Vuole che si riaprano i punti?” esclama, mollando il bicchiere sul comodino e poggiando le mani sul braccio e sulla spalla sinistra di lui, impedendogli di alzarsi, “aspetti un attimo che la aiuto, ok?”
 
Sperando di non fare danni, aziona con il telecomando il meccanismo del letto per sollevargli leggermente il busto. Poi si siede accanto a lui, prendendogli la mano sana e posandosela sulla spalla destra, prima di passargli a fatica un braccio intorno alla schiena, facendo attenzione a non toccare la spalla ferita. Nonostante tutti gli accorgimenti, sente il bip meccanico dell’elettrocardiogramma accelerare in maniera quasi esponenziale.
 
“Stia tranquillo, devo solo risistemarle i cuscini. Si regga a me, così la sollevo, ok? L’ho già fatto altre volte, non si preoccupi,” lo rassicura, sentendolo aggrapparsi a lei e riuscendo finalmente a compiere l’operazione senza troppo sforzo e, soprattutto, senza danni.
 
“Piano, sorsi piccoli,” si raccomanda, appoggiandogli il bicchiere alle labbra e aiutandolo a bere, per poi riporre il bicchiere vuoto sul comodino, “tutto bene?”
 
“Adesso sì… grazie…” mormora a fatica, dopo vari tentativi di schiarirsi la voce, posandole la mano sul braccio per trattenerla prima che possa alzarsi. E il sollievo che invade Camilla alla conferma che De Matteis riesce a parlare e che davvero, apparentemente, non ci sono danni neurologici permanenti, è più forte dello stupore per quel gesto.
 
“Si figuri… sono… sono io che devo ringraziarla, che avrei… avrei già dovuto ringraziarla,” ammette, facendo finalmente quello che il giorno prima non aveva avuto il coraggio di fare, “le devo la vita, dottor De Matteis e-“
 
“Paolo,” la interrompe, deciso, nonostante la voce roca.
 
“Come?” non può fare a meno di chiedere, colta completamente di sorpresa.
 
“Paolo: è il mio nome,” ribatte con un sorriso che la coglie, se possibile, ancora più di sorpresa.
 
“Lo so… lo so… ma… perché?” osa infine chiedere, guardandolo negli occhi, non riferendosi solo a questa richiesta inattesa ma a tutto quello che è successo negli ultimi due giorni.
 
“Perché ci conosciamo da anni, siamo quasi diventati cognati e abbiamo visto la morte in faccia insieme… non ti basta?”
 
“A me sì, è a te che non è mai bastato, nemmeno quando… quando stavo con tuo fratello,” protesta con un sopracciglio alzato, “e comunque non è solo questo che intendevo, e lo sai.”
 
“Allora ci riesci a darmi del tu, anche se solo per contraddirmi,” replica con una mezza risata che la lascia a bocca aperta, e che suona così… così strana – e non solo per il timbro ancora arrochito della sua voce – per poi aggiungere, più serio, “e comunque ho fatto solo il  mio dovere, Camilla.”
 
“No, non è vero: hai fatto molto di più e sai anche questo,” gli fa notare, guardandolo di nuovo negli occhi.
 
“Diciamo che… ho sempre desiderato avere una buona scusa per metterti al tappeto,” ironizza, capendo però dallo sguardo di Camilla, che non si sposta né si abbassa di un millimetro, che lei pretende una risposta seria e onesta.
 
“Mettiamola così,” esordisce con un sospiro, il tono improvvisamente grave e triste, “so che avresti fatto lo stesso per me, se non te lo avessi impedito. Per me e per chiunque altro, purtroppo.”
 
“Purtroppo?”
 
“Sì, purtroppo. Tu… tu daresti la vita anche per un estraneo, Camilla, se lo vedessi in pericolo. A volte… a volte sembra che non ti rendi conto di quello che fai passare a chi ti vuole bene e si preoccupa per te.”
 
“Ma cos’è? Un’epidemia?” sbotta, esasperata, “prima Gaetano e adesso lei… cioè tu, insomma, mi sembra di sentire il mio ex marito! Io non voglio far soffrire nessuno ma ho una coscienza e non posso ignorarla!”
 
Non sempre almeno – la punzecchia proprio la vocina della sua coscienza, mentre il senso di colpa si impadronisce di lei al ricordo di cos’era stata quasi capace di fare, quando aveva creduto che Gaetano fosse rimasto intrappolato dentro quella casa in fiamme.
 
“Lo capisco ma… maledizione, non è per niente facile tenerti lontana dai guai! Almeno in questo non invidio per nulla Berardi,” commenta con un sospiro, abbassando lo sguardo.
 
“Non ho bisogno di qualcuno che mi tenga lontana dai guai e-“ protesta veementemente, prima di bloccarsi quando si rende del tutto conto di cosa lui ha detto, e di domandargli, stupita, “come, almeno in questo?”
 
“Sì, invidio Berardi,” conferma con una mezza risata amara, che suona ancora più strana della precedente, “non dirmi che la cosa ti sorprende.”
 
“Certo che mi sorprende… ho sempre creduto che… che avessi una pessima opinione di Gaetano, per non dire che lo disprezzassi. E che non lo sopportassi…”
 
“Si può invidiare anche una persona che si disprezza ma… non disprezzo Berardi. Sarebbe molto più semplice se potessi disprezzarlo. Anche se non approvo certi suoi metodi, avendolo visto in azione non posso fare a meno di dover riconoscere che è una brava persona e… sa il fatto suo,” ammette con un altro sospiro, appoggiando di più il capo sui cuscini e chiudendo gli occhi per qualche istante, prima di riaprirli e di guardarla in un modo così triste e così… vulnerabile che le provoca una fitta al petto, insieme, di nuovo, a quella sensazione che c’è qualcosa di… di stonato.
 
“Camilla… hai un’idea di cosa significhi essere ‘quello che è venuto dopo’ il leggendario vicequestore Berardi? Il più giovane commissario ad aver mai diretto la squadra omicidi di Roma, quello con la media più alta di arresti, che vantava perfino due anni nell’Interpol, eccetera, eccetera, eccetera? Dover subire continuamente un paragone del genere durante il primo incarico importante della propria carriera? Rendersi conto che tutti lo amavano, lo rispettavano e lo rimpiangevano, mentre io… io ero considerato un povero incompetente senza esperienza e che aveva fatto carriera troppo in fretta per via del suo cognome? Anche se lui era più giovane di me quando era stato nominato per la prima volta alla omicidi e anche se pure Berardi non è che fosse figlio di due poveracci, ma avevano ragione: io non avevo abbastanza esperienza mentre Berardi evidentemente o ce l’aveva o aveva più talento di me…”
 
Di nuovo quel tono così amaro e… senza filtri. Camilla realizza in un lampo che cosa c’è che non va, qual è la nota stonata: De Matteis normalmente non confiderebbe mai a nessuno queste cose, meno che mai a lei. La mente le ritorna a quella notte quando lei e Marco l’avevano trovato ubriaco di gin. Ora non è ubriaco, non biascica le parole, non è euforico, ma è esattamente come quella sera: senza filtri. Si dà di nuovo dell’idiota, mentre all’imbarazzo si unisce il senso di colpa e la sgradevole sensazione di… di starsi approfittando di lui, di un suo momento di debolezza. Di avere già sentito fin troppo.
 
“Dottor De Matteis, è sicuro di stare bene?” gli chiede, ritornando al lei quasi senza rendersene conto, “senta, ora le chiamo gli infermieri e si fa visitare. Credo che sia ancora sotto i postumi dell’anestetico e non-“
 
“Camilla,” la interrompe con tono deciso quanto esasperato, afferrandole la mano per impedirle di alzarsi, “ti assicuro che non sono mai stato meglio: certo, non muovo il braccio ma non sento dolore e anzi, mi sento… leggero, libero e-“
 
“E questo significa che ha ancora i postumi dell’anestetico e che non è pienamente lucido e… consapevole e credo che-“
 
“No, no, anzi, credimi, è… è come se il velo che mi ero messo davanti agli occhi si fosse spostato, come se tutti i muri che mi ero costruito per non vedere e accettare la realtà fossero caduti e finalmente vedo tutto chiaramente e non mi sono mai sentito così lucido e consapevole come in questo momento,” dichiara stringendole la mano e guardandola negli occhi con un’intensità quasi febbrile che la spaventa.
 
“Dottor De Matteis… Paolo, per favore, ascoltami,” lo implora, ricambiando la stretta e lo sguardo, sperando di riuscire a farsi capire, “un conto è prendere consapevolezza di certe cose, un conto è invece condividerle con gli altri e soprattutto con chi si sceglie di condividerle. E se ti lascio parlare adesso, appena sarai tornato completamente in te ti odierai per avermele raccontate e soprattutto mi odierai ancora di più per non averti impedito di parlarmene.”
 
“No, Camilla, lasciami parlare, ho bisogno di parlare, di tirare fuori tutto quello che ho covato in questi anni e che mi stava opprimendo, che mi stava soffocando, che mi ha fatto diventare questa specie di… di caricatura: un povero nevrotico rompicoglioni odiato e deriso da tutti e-”
 
“No, non-“
 
“Non provare a negarlo perché è così, lo so che è così!”  la interrompe con un tono risoluto che non ammette repliche, per poi aggiungere in un modo quasi… quasi disperato, “ma io non sono così, tutti pensano che io non senta niente, che sia freddo ed insensibile, che non mi importi nulla degli altri ma non è così.”
 
Camilla si sente sempre di più come quel passante che si ritrova sulla scena di un incidente nei secondi prima che accada e che, pur rendendosi conto di cosa sta per succedere, non può fare nulla per impedirlo. Può solo cercare di soccorrere i feriti dopo che è già avvenuto.
 
“Paolo, lo so che non è così e se… se mai l’avessi dubitato non lo penso, non più. Hai il tuo carattere, se… se non sei sotto effetto dell’alcol o dell’anestesia sei riservato e schivo, ombroso. Ami l’ordine e la disciplina e sei un po’… vecchio stampo… ma ognuno è fatto a modo suo e questa non è una colpa,” cerca di rassicurarlo e lui per tutta risposta scuote il capo, un mezzo sorriso malinconico sulle labbra.
 
“Ti ringrazio, Camilla:  lo so che se dici questo è solo per gratitudine perché ti ho salvato la vita, o forse per pietà perché sono in questo letto di ospedale. Ma non è solo una questione di carattere. Quando sono arrivato alla omicidi qui a Roma ho capito subito che il mio arrivo non era affatto gradito, prima di tutto perché non ero Berardi, e poi perché quasi tutti i miei sottoposti pensavano di avere più esperienza di me e forse non avevano tutti i torti. Ogni volta che c’era un’operazione pericolosa, lo capivo che non si fidavano di me, che mi guardavano come a chiedersi se fossi in grado di affrontarla, se fossi in grado di guidarli. Piccolo e la Ferrari hanno chiesto quasi subito il trasferimento, Torre è rimasto ma lo capivo bene che non mi sopportava e non mi stimava. Poi sono arrivati gli agenti giovani,  tra cui Grassetti e Marchese. Volevo che almeno loro mi rispettassero e allora ho cercato di essere ancora più severo, più autoritario, forse ho perfino cercato di sembrare più vecchio di quello che ero e che sono, ma nulla di tutto questo mi ha mai reso più autorevole.”
 
Paolo è ormai un fiume in piena, un fiume salato, amaro, triste, rabbioso ma consapevole, di quella consapevolezza che si acquisisce solo quando i freni inibitori se ne vanno. Quando si smette di raccontare palle non solo agli altri, ma soprattutto a se stessi. Camilla conosce quella sensazione e sa che non c’è modo di contenerlo, di arginarlo, che ormai può solo ascoltare, capire, condividere e dimostrargli che, per qualsiasi motivo abbia scelto proprio lei per questa specie di confessione solenne, anche se probabilmente è solo per caso, perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, lei non gli darà alcun motivo per pentirsene. Giura a se stessa che, qualsiasi cosa lui le dirà, non ne farà mai parola con nessuno.
 
“Tranne forse Grassetti, tutti andavano dietro a Torre e alle sue lamentele, anche se non me lo dicevano in faccia. Mi temevano, è vero, ma di sicuro non ho mai ottenuto il loro rispetto e la loro fiducia, la loro stima. Tutte quelle cose che invece Berardi era riuscito a conquistarsi, tanto che Torre ne decantava le gesta ad anni di distanza, quando pensava che non lo sentissi, giusto perché pure le nuove leve non potessero non sapere quanto fosse incredibilmente… figo e quanto io non fossi alla sua altezza. E poi sei arrivata pure tu, la leggendaria professoressa, la vestale di Berardi-“
 
“La vestale??”
 
“Sì, l’amica, per così dire, di Berardi, nonché la sua migliore consulente, a sentire i racconti di Torre e le voci che giravano. La donna di cui tutti in questura sapevano anche se tutti fingevano di non sapere. Ma per me eri solo l’ennesima eredità di un passato ingombrante , che non riuscivo a far dimenticare. E quando ti ho incontrata, ho capito subito dal modo in cui mi guardavi, dal tono sarcastico e ostile con cui mi parlavi, come se fossi un povero imbecille, che eri delusa di dover avere a che fare con me e che anche per te non ero e non sarei mai stato all’altezza di Berardi.”
 
“Se ero ostile e sarcastica e irritata e ti trattavo come un imbecille è innanzitutto perché tu per primo hai iniziato con quei toni, dopo avermi fatto fare un’anticamera di un’ora!” protesta d’istinto, prima di fermarsi un attimo e rendersi conto che, dopo tutto quello che le ha detto e tutto quello che è successo nelle ultime ore, merita che anche lei sia sincera con lui, “e comunque, per onestà intellettuale, devo ammettere che se siamo partiti col piede sbagliato, probabilmente è anche perché quel giorno ero di umore nero e, sì, ero delusa di dover avere a che fare con te, ma non per te o per la tua abilità o meno nelle indagini, visto che non ti conoscevo nemmeno, ma perché non eri Gaetano, perché avevo appena scoperto di avere perso per sempre l’uomo di cui ero innamorata da anni. Sarei rimasta delusa da chiunque avessi trovato al suo posto, fosse stato anche il più brillante investigatore del pianeta, non c’era nulla di personale in questo.”
 
“Forse all’inizio no, ma anche andando avanti le cose tra noi non sono migliorate. Tu continuavi a considerarmi un incompetente, non all’altezza di Berardi, non alla tua altezza e il peggio è che una parte di me doveva ammettere che avevi ragione,” confessa con un tono, se possibile, ancora più amaro e più malinconico, “che, anche se non avevo idea di come fosse in realtà Berardi e potevo quindi illudermi che le lodi e il rimpianto nei suoi confronti derivassero semplicemente dal fatto che faceva l’amicone con i suoi agenti, con te questo non mi era possibile. Tu avevi e hai un talento investigativo che io non avevo e non ho, riuscivi a fare tutto quello che io non riuscivo a fare, senza una sola ora di addestramento e ti ho ammirata quanto detestata per questo. E poi hai deciso di consolarti per la mancanza di Berardi e con chi? Proprio con mio fratello! Quando ho capito che Marco si era davvero innamorato di te, proprio di te, tra tutte le sue conquiste mordi e fuggi, ho cercato in ogni modo di essere più civile, di adattarmi all’idea che saresti diventata mia cognata ma-”
 
“Ma poi ho lasciato Marco in quel modo orribile e… umiliante e quindi, comprensibilmente, se prima già non mi sopportarvi, dopo hai proprio iniziato ad odiarmi…”
 
“Odiarti?” chiede, non riuscendo a trattenere un altro moto di riso amaro, “vuoi la verità, Camilla? Certo, quando ho visto quanto Marco soffrisse per quello che era successo, quanto faticasse a riprendersi dalla botta, anche se faceva come sempre il buffone e il farfallone per mascherarlo, avrei davvero voluto strozzarti. Ma la verità è che quando Marco mi ha annunciato che vi eravate lasciati e che non saresti quindi diventata mia cognata, l’unica cosa che ho provato è stato un incredibile sollievo.”
 
“Beh, certo, in fondo lo capisco: forse non c’è nulla di peggio di quando una persona a cui vogliamo bene, soprattutto un parente stretto, si innamora di qualcuno che non sopportiamo e che non riteniamo adatto a lui,” riflette, vedendolo però scuotere di nuovo il capo.
 
“Era quello che mi dicevo anche io e ho sempre cercato di convincermene, ma non è così semplice, magari fosse stato così semplice! Perché invece c’è qualcosa di peggio, di molto, molto peggio, Camilla,” confessa, guardandola ancora negli occhi in quel modo così intenso e disilluso, col tono di chi sta pronunciando una verità ovvia e scontata che lei però non riesce a comprendere.
 
“Cioè?”
 
“Davvero non lo immagini? Con il tuo intuito? Dopo tutto quello che è successo ieri? O forse non lo vuoi capire, come del resto non lo volevo capire nemmeno io…”
 
Camilla non sa cosa dire, è completamente confusa, si limita a ricambiare quello sguardo, cercando di leggerlo, di leggergli dentro ma con lui è sempre così dannatamente difficile.
 
Lo vede esitare un attimo, stringendo le labbra, pensieroso, prima di allungare la mano sinistra, ancora tremante, afferrando la sua mano destra e stringendogliela forte. Incrocia i suoi occhi azzurri, sempre più sconcertata da questo, ennesimo, gesto inspiegabile, così non da lui.
 
Ma so davvero chi è lui? – è l’ultimo pensiero coerente che le passa per la testa, perché lui, usando la mano di lei per farsi leva, si solleva leggermente e poi la attira verso di sé.
 
In un attimo Camilla si ritrova con quelle labbra premute sulle sue in un bacio delicato, innocente, che dura poco più di un battito di ciglia. Colta di sorpresa, nonostante tutto, rimane paralizzata, rigida, immobile, fino a che lo sente staccarsi e allontanarsi leggermente.
 
“Hai capito adesso?” le sussurra a pochi centimetri dal viso, la voce di cartavetra, guardandola negli occhi.
 
Camilla è sotto choc, completamente sotto choc, tanto che non riesce né ad annuire – certo che ha capito, ha capito eccome – né a respirare, un turbinio di pensieri in testa, mentre tutto è finalmente chiaro e… incomprensibile ed inconcepibile allo stesso tempo.
 
Sente un calore sulla guancia, dita che le sfiorano la pelle, come quando si è svegliata e in un lampo si risveglia dalla catatonia, vedendo di nuovo il viso di lui farsi ancora più vicino, troppo vicino. D’istinto volta il viso e le labbra di lui si scontrano con la sua guancia.
 
Puntando le mani sul materasso si spinge indietro, a distanza di sicurezza, recidendo ogni contatto tra loro. Continuano a fissarsi, lei ancora sconvolta, lui improvvisamente triste, per istanti interminabili.
 
“Mi dispiace, scusami io… lo so che non avrei dovuto ma… se non ci avessi almeno provato finché l’anestetico me ne dava il coraggio… l’avrei rimpianto per sempre…” mormora con un sorriso malinconico, poggiando il capo sul cuscino e chiudendo gli occhi.
 
“No… cioè… non… non serve che ti scusi ma io-“
 
“Ma ami Berardi, giusto?” le domanda, con il tono di chi sa già la risposta, guardandola ancora negli occhi.
 
“Cosa ci fate qui?! Non è orario di visita e al massimo può rimanere qui un solo parente!”
 
La voce severa e irritata che proviene dal corridoio li porta a voltarsi verso la porta.
 
Gaetano, Marco e Grassetti sono lì in piedi, come tre statue di sale, appena prima della cornice della porta e sembrano non riuscire nemmeno ad udire le rimostranze del medico, osservandoli con la stessa espressione scioccata che, Camilla ne è sicura, ha ancora anche lei sul viso.
 
Il cuore le finisce dritto nello stomaco mentre cerca gli occhi di Gaetano, provando a leggere la sua reazione, ma lui alterna lo sguardo tra lei e De Matteis, un’espressione indefinibile sul volto, un’espressione che non gli ha mai visto e che la spaventa.
 
“Ah, si è svegliato, signor De Matteis?” domanda il medico, sorpreso, mettendosi letteralmente in mezzo, prima di rivolgersi a Camilla con tono contrariato, “ma perché non ha chiamato qualcuno?”
 
“È colpa mia: Camilla ci ha provato, ma io…“
 
“Ma poi ci ha provato anche lei,” sussurra Gaetano, tra sé e sé, guadagnandosi un’occhiata da Grassetti e Marco che, essendo vicini, hanno sentito tutto.
 
“D’accordo, d’accordo. Comunque, a prima vista mi sembra che stia bene, ma ora è meglio che la visiti,” proclama il medico, prima di guardarsi intorno, “se poteste uscire…”
 
“Sì, certo, scusate torno… torno più tardi!” esclama rapidamente Grassetti, imbarazzata e sotto choc, con l’aria di chi ha appena ricevuto una tegola gigante in testa, prima di eclissarsi ancora più rapidamente, tanto che la sentono allontanarsi di corsa.
 
“Vado anche io,” dichiara Gaetano, asciutto, guardandola un’ultima volta negli occhi prima di girare i tacchi e andarsene.
 
“Aspetta, Gaetano!” lo chiama Camilla, il cuore in gola e un gusto metallico in bocca, riuscendo finalmente a muovere i piedi, ad alzarsi e a lanciarsi all’inseguimento, dopo un’ultima occhiata ai due fratelli, pregando che non sia troppo tardi.
 
“Gaetano, aspetta!” lo chiama di nuovo, vedendolo procedere a passo spedito lungo il corridoio.
 
“Gaetano!” ripete, senza nemmeno rendersi conto di stare ormai correndo, tanto che quasi gli va a sbattere contro quando lui, infine, si ferma, le mani strette a pugno, prima di sospirare e di voltarsi verso di lei, il volto completamente impassibile.
 
“Camilla, siamo in un ospedale,” le ricorda, la voce neutra, prima di deglutire e passarsi una mano sugli occhi, sembrando improvvisamente stanchissimo.
 
“Lo so ma… dobbiamo parlare… dobbiamo assolutamente parlare,” lo implora, incontrando quegli occhi azzurri, arrossati e  appannati con i suoi.
 
“Adesso? Qui in mezzo? Sono due giorni che cerco di parlarti Camilla, ma tu mi hai detto che volevi che mi concentrassi sull’emergenza e l’ho fatto, che riflettessi e ho riflettuto ma… a questo punto forse è meglio se rifletti un po’ anche tu prima che… che affrontiamo questa conversazione. Non credi?” le domanda, il tono neutro, pacato, tranquillo, niente rabbia o risentimento o… gelosia, solo una nota triste e malinconica.
 
E questo le fa tremendamente paura, più che se stesse urlando, perché le ricorda i momenti che avevano preceduto ogni loro peggiore litigio. Ma c’è anche qualcosa di diverso che non sa spiegare, non sa definire ma che non la tranquillizza affatto, tutto il contrario.
 
“Sì, adesso: non possiamo più aspettare e ti avverto che non mollerò fino a che non mi avrai ascoltata,” risponde, decisa, nonostante il cuore che le batte all’impazzata e le mani che le tremano, “ma non qui, vieni.”
 
Lo prende per un braccio, sorprendendosi quando lui non si ritrae e si lascia anzi guidare docilmente, come rassegnato. Si guarda intorno lungo il corridoio fino a che trova una stanza vuota, che chiaramente al momento non ospita alcun paziente, prima di chiudere la porta dietro di loro.
 
Rimangono in piedi a fissarsi per qualche istante, poi Camilla si siede sul materasso nudo di uno dei due letti, in attesa di essere rifatti per un nuovo occupante o forse tristi testimoni dei tanti tagli alla sanità.
 
Gaetano prova a sedersi sull’altro letto, vicino ma così distante, ma Camilla, per tutta risposta, si alza e si siede accanto a lui, strappandogli, nonostante tutto, un mezzo sorriso.
 
“Non posso proprio sfuggirti, professoressa,” sospira, scuotendo il capo prima di guardarla negli occhi.
 
“Vuoi sfuggirmi?” gli domanda, seria, fissandolo di rimando, il cuore in gola in attesa della risposta.
 
“Non lo so… dipende da cosa vuoi tu, Camilla,” risponde, altrettanto serio, di nuovo quel tono pacato quanto sicuro, deciso.
 
“In che senso?” gli domanda, confusa.
 
“Che forse sei tu che vorresti sfuggirmi, Camilla…”
 
“Se volessi sfuggirti non ti avrei portato qui. Anzi, io voglio confrontarmi con te, chiarirmi con te, spiegarti cosa è successo, quello che hai visto tra me e De Matteis e-“
 
“Non credo ci sia molto da spiegare, Camilla. Ho assistito con i miei occhi a quel bacio, anzi a quei due baci e… mi sembra evidente che De Matteis sia innamorato di te. E, non so perché, ma la cosa non mi stupisce quanto forse dovrebbe. Te l’avevo anche detto quando l’ho conosciuto, anche se tu non volevi credermi… ricordo perfettamente il modo in cui ti ha guardata in quel vestito da sera e… e lo capisco, perché eri bellissima, ancora più bella del solito. Capisco tante cose, finalmente,” proclama, sempre con quel tono malinconico e tranquillo.
 
“Gaetano, prima di tutto tu… tu sei convinto che quasi ogni uomo possa interessarsi a me, anche se, beh, sì, in questo caso ci hai azzeccato. E poi parlare di innamoramento qui mi sembra francamente eccessivo: in fondo io e De Matteis ci conosciamo appena. Anzi, evidentemente lo conosco ancora meno di quanto pensassi…”
 
“Camilla, qui non c’entra niente la gelosia e comunque non è vero, e lo sai, né che non conosci De Matteis, né che non sia innamorato di te. Camilla, uno come De Matteis non… non fa un gesto del genere… non si mette a nudo in quel modo per una donna che gli piace e basta, anestetico o non anestetico. Anzi, per quel poco che lo conosco io, mi sembra evidente che per lui non esistono vie di mezzo nei rapporti con le persone: o tutto o niente,” le fa notare con il tono di chi sta pronunciando un’ovvietà e Camilla deve ammettere che non ha tutti i torti.
 
“E poi comunque il punto non è cosa prova De Matteis e cosa hanno significato per lui quei baci, o, meglio, lo è fino ad un certo punto. Camilla, il punto per me è cosa provi tu per lui, che cosa quei baci hanno significato per te,” rivela, guardandola di nuovo negli occhi come se volesse scrutarle fin nel profondo dell’anima.
 
“Che cosa? Gaetano, se hai assistito con i tuoi occhi a tutta la scena, avrai notato che è stato lui a baciarmi, non io. E che io mi sono sottratta! Al secondo bacio, d’accordo, non al primo, ma solo perché mi ha colto di sorpresa e non-“
 
“Camilla… Camilla,” la interrompe, bloccandole le mani che muove vorticosamente nella concitazione della spiegazione, “Camilla, non sto recriminando e non ti sto incolpando né di quei baci, né di nulla. Ho visto che ti sei sottratta e che hai respinto De Matteis, certo che l’ho visto. Però io non ti stavo chiedendo questo, ti sto solo dicendo che vorrei capire quello che hai provato e perché l’hai respinto, anzi, vorrei che prima di tutto lo capissi tu.”
 
“Cosa vuoi dire?” gli domanda, completamente spiazzata sia dalle sue parole, sia da quel tono ancora così tranquillo e allo stesso tempo agrodolce.
 
“Voglio dire che anche se hai respinto De Matteis ho visto come... come gli parlavi, con dolcezza, con preoccupazione, anche il modo in cui l’hai respinto, cercando di non ferirlo di… di attutirgli il colpo e, come sai, sui tuoi rifiuti sono un vero esperto, Camilla,” commenta, con un pizzico di ironia, per poi aggiungere però, nuovamente serissimo, “quello che voglio dire è che si percepiva chiaramente che ci tieni a lui, Camilla.”
 
“Certo che ci tengo a lui: gli sono grata, Gaetano, mi ha salvato la vita!”
 
“Non è solo questo, non è solo gratitudine… si vedeva che… che nonostante tutto eri a tuo agio con lui, almeno fino al momento in cui ti ha baciata e-“
 
 “Scusami, ma allora, da quanto… da quanto eravate lì?” gli domanda, sempre più in imbarazzo.
 
“Da poco in realtà, da quando De Matteis stava decantando le tue doti investigative. Eravamo stupiti ma stavamo per bussare, quando ha iniziato a parlare di te e di Marco e a quel punto Marco si è bloccato e ci siamo bloccati tutti. È stato come… quando assisti ad un incidente senza poter fare niente per impedirlo e anzi, continua a ingigantirsi,” ammette, mentre Camilla si sorprende per l’ennesima volta di quanto i loro pensieri siano simili. Ma teme di non riuscire a farglielo capire. Allo stesso tempo però, si sente sollevata dal fatto che Gaetano non abbia sentito la parte che lo riguardava, sapendo quanto sarebbe stato umiliante per De Matteis e imbarazzante per lui.
 
“Comunque… c’era un’intesa tra voi, Camilla che riconosco e che tu hai solo con le persone di cui ti fidi completamente.”
 
“Mi fido di lui, sì, è vero, perché, ti ripeto, mi ha salvato la vita e perché in questi due giorni ci sono stati vari episodi che mi hanno fatto vedere De Matteis sotto una luce diversa. Insomma, me l’hanno fatto rivalutare. E quando si affronta un’esperienza del genere insieme è chiaro che si crea un legame, Gaetano, ma-“
 
“Quello che mi chiedo è quanto sia forte questo legame, Camilla. Ne sei attratta? Ti piace? Ti prego di rispondermi sinceramente. Solo questo,” la prega, senza distogliere gli occhi dai suoi, una traccia di vulnerabilità nella voce.
 
“È un bell’uomo, oggettivamente ma… finisce lì. Non mi attrae né di più, né di meno di quanto mi potrebbe attrarre un qualsiasi altro uomo di bell’aspetto che vedo per strada,” spiega, ricambiando lo sguardo, completamente sincera.
 
“Fiducia, gratitudine, stima, attrazione: non è poco,” le fa notare con un sospiro e di nuovo quella… quella tranquillità che la spaventa, “in fondo, abbiamo cominciato così noi due no?”
 
“E invece è poco, Gaetano, è pochissimo se paragonato alla fiducia, alla gratitudine, alla stima e all’attrazione che ho per te. Ed è nulla se paragonato all’amore immenso che provo per te! Perché non riesco a fartelo capire!?” esclama, arrabbiata con se stessa più che con lui, non potendo evitare di alzare la voce, sentendo il viso caldo e gli occhi che le bruciano mentre continua a guardarlo, senza abbassare lo sguardo, un terribile dolore al petto, “ma tu hai un’idea di cosa ho provato quando ho pensato che fossi morto, eh?! Che non ti avrei più rivisto?!Maledizione, Gaetano!”
 
Si trattiene a forza dal dire quello che stava per dire, dal confessare quello che stava per confessare, non solo perché se ne vergogna ma perché non sarebbe giusto scaricare questo fardello di sensi di colpa su Gaetano, non con il lavoro che fa e che continuerà a fare. Non può certo dirgli che stava per abbandonare De Matteis per correre da lui. Che se De Matteis fosse morto le sarebbe dispiaciuto, certo, e si sarebbe sentita terribilmente in colpa, ne avrebbe sofferto ma sarebbe sopravvissuta. Ma se fosse morto Gaetano… la verità è che non sa se si sarebbe mai ripresa.
 
“Camilla…” lo sente sussurrare preoccupato, ritrovandosi avvolta nel suo abbraccio, rendendosi conto solo in quel momento di avere il viso pieno di lacrime, “Camilla, amore mio, ti prego, non piangere. Non volevo farti piangere e… sono un idiota e ti capisco se… se sei arrabbiata con me ma ti garantisco che ti credo, che… che mi fido di te e di quello che provi per me. E che se ti ho fatto queste domande non era per rinfacciarti qualcosa o per farti una scenata di gelosia, non era questa la mia intenzione. Volevo solo capire con te quello che era successo tra te e De Matteis in questi due giorni, capirlo insieme, io e te.”
 
“Gaetano…” mormora, sentendo di poter tornare a respirare, asciugandosi gli occhi per guardarlo di nuovo negli occhi, comprendendo immediatamente quanto è sincero.
 
“Camilla, credimi, non ho più alcun dubbio su di te, né su quello che provi per me e mi scuso se ho dubitato in passato, con Marco e con il questore. E avevi ragione a rimproverarmi e a risentirti per la mia stupida ed inutile gelosia, perché… perché so bene, per esperienza diretta, quanto tu sia leale e fedele e che non mi tradiresti mai, mai. Anzi, che sei talmente leale e fedele che probabilmente preferiresti sacrificare te stessa e la tua felicità piuttosto che tradire la mia fiducia, che farmi soffrire. E io non voglio questo: io ho paura di perderti, è vero, ho una paura tremenda di perderti, ma non vorrei mai, mai che tu ti sentissi obbligata a stare con me per un motivo diverso dall’amore. Voglio essere sicuro che tu ti senta sempre libera di essere sincera con me e soprattutto con te stessa, professoressa, se un giorno quello che provi per me dovesse cambiare. Quando ti ho vista con De Matteis in quella stanza, per un attimo ho rivisto me e te, anzi, me e te e Renzo e-“
 
“Non è la stessa cosa, Gaetano, non-“
 
“Camilla, non sto dicendo che lo sia, ti prego, lasciami spiegare,” la blocca posandole un dito sulle labbra, “Camilla, quello che voglio dire è che quando vi ho visti insieme, per un attimo mi sono messo nei panni di De Matteis. Mi sembrava di rivedere noi due quando finalmente ti ho confessato per la prima volta quello che provavo e provo per te. Ma, subito dopo, mi sono messo forse per la prima volta nei panni di Renzo e, anche se può sembrarti assurdo, ho capito che, con la mia stupida gelosia, stavo facendo esattamente come lui. Quando io e Renzo ci siamo… chiariti nel mio appartamento, gli ho rinfacciato di non volere la tua felicità, di preferire che foste entrambi infelici, tu e lui, piuttosto che tu potessi essere felice con qualcun altro. E ho capito solo poco fa, che se tu davvero dovessi innamorarti di un altro, per qualsiasi motivo dovesse accadere, per colpa mia, tua o di nessuno dei due, non sarebbe facendo l’idiota, arrabbiandomi con te o con lui che cambierei le cose, che potrei riavere il tuo amore, che potrei essere di nuovo felice con te.”
 
“Gaetano…” sussurra commossa, capendo finalmente tutto: il suo tono così tranquillo, pacato e triste. Non sa se sia possibile, ma sente di amarlo ancora di più, il cuore che le duole in quella maniera dolce che solo lui suscita in lei, tanto intensamente che sembra scoppiarle nel petto.
 
“E ho riflettuto su tutto quello che è successo in questi giorni… Camilla, quello che avete passato tu e De Matteis insieme, come hai detto giustamente tu, può creare un fortissimo legame tra due persone. Lui c’è stato per te mentre io non c’ero. Vi siete avvicinati moltissimo mentre io e te abbiamo avuto un sacco di problemi. E vedendovi in quella stanza e per come si è comportato con te, ho capito che De Matteis è davvero innamorato di te e che è una brava persona, che è qualcuno che potrebbe meritare il tuo amore, che potrebbe renderti felice. E visto che… che io e te non stiamo… non stiamo più insieme, che tu non sei più impegnata con me, non potevo… non avrei più potuto vivere con la mia coscienza se non ti avessi dato almeno la possibilità di riflettere e di capire che cosa davvero provavi e provi per De Matteis, e, se avessi capito di sentire qualcosa per lui, di fare un passo indietro su noi due, Camilla.”
 
“Gaetano, tu sei l’uomo… sei l’uomo più straordinario… più… più meraviglioso che io conosca. Ma mi dispiace dirti che questa volta mi tocca proprio contraddirti su due cose,” proclama tra le lacrime che sembrano sgorgare a tradimento e che contrastano col sorriso che non riesce più a contenere, sollevando una mano per accarezzargli il viso, guardandolo negli occhi, così carichi di preoccupazione, di preoccupazione per lei, per il suo bene, per la sua felicità.
 
“Questa volta?” le domanda ironico, facendola ridere, mentre ricambia la carezza, asciugandole una ad una le lacrime, “su cosa ho torto questa volta professoressa?”
 
“Sul fatto che non sono… che non sono più impegnata con te. E sul fatto che potrei essere felice con De Matteis. Il secondo fatto è in parte diretta conseguenza del primo, ma non solo,” gli spiega con un altro sorriso.
 
“Quindi vuoi dirmi che… che stiamo di nuovo insieme?” le chiede, con un tono speranzoso e un sorriso che le ricorda da morire Tommy e che la fa sciogliere.
 
“Non lo so… immagino che debba essere anche tu a dirmelo, dottor Berardi,” risponde, facendogli l’occhiolino, “ma il punto non è questo. Il punto è che, sia che io e te siamo ufficialmente una coppia o meno, io sono impegnata con te qui, e qui.”
 
Gaetano sorride ancora di più, vedendola posarsi una mano sulla testa e una sul cuore.
 
“E sono impegnata con te da tanto, tanto tempo, da ben prima che stessimo insieme, da quando ufficialmente ero impegnata con Renzo. E quello che ho finalmente capito in questi mesi con te, Gaetano, anche se forse una parte di me l’ha sempre saputo, è che quando si ama davvero nessuno può prendere il posto che occupa la persona amata nel proprio cuore. Potrà prendere altri spazi più piccoli, potrà esserci affetto, stima, gratitudine, tutto quello che vuoi, ma quel posto è intoccabile: la persona che ami è inchiodata lì e non la puoi schiodare nemmeno se lo vuoi, è come un segno indelebile. E anche se avevo un bellissimo rapporto con Renzo, anche se gli volevo un bene dell’anima, quando sei entrato tu nella mia vita hai ben presto sbalzato Renzo da quel posto che avrebbe dovuto essere solo suo di diritto. Tu ti sei preso quel posto, Gaetano, nonostante abbia lottato in ogni modo per evitarlo e non ti sei più mosso da lì, nonostante i miei rifiuti, i trasferimenti, gli anni passati, Renzo, Marco… Tanto che quando ti ho rivisto a Torino, dopo un breve e inutile tentativo di evitarti, tutto è ripreso come se non ci fossimo mai salutati, perché per il mio cuore era così: tu eri sempre rimasto lì, non eri andato da nessuna parte. Sei qui e non c’è posto per nessun altro.”
 
“Camilla, tu lo sai che per me è esattamente lo stesso, che tu sei l’unica donna che abbia occupato quel posto nel mio cuore. E non credo che qualcuno potrà mai schiodarti da lì, fino a che non smetterà di battere,” confessa, emozionato, dandosi però di nuovo dell’idiota quando la vede irrigidirsi non appena finisce di pronunciare le ultime parole.
 
“Scusa Camilla io-”
 
“No, non è colpa tua però… potresti evitare le metafore sulla morte per qualche giorno almeno? Credo di essere particolarmente sensibile sull’argomento e che lo sarò ancora per un po’,” ammette, sentendosi trascinare in un abbraccio fortissimo, che le toglie il fiato.
 
Si gode quella pace e quel calore per un po’, il viso nascosto nel suo petto, fregandosene della cenere e del fatto che, probabilmente, sembrerà di nuovo uno spazzacamino. Parendo, come sempre, leggerle nel pensiero, lui le solleva il mento e le sorride, cercando di pulirle le guance con le dita, avvicinandosi sempre più pericolosamente alle labbra, fino a sfiorarle languidamente in un modo che le fa mancare il fiato.
 
“Gaetano, aspetta,” lo blocca, prima che la situazione, sfugga loro di mano, “c’è un’ultima cosa che voglio spiegarti e-“
 
“Camilla, ti prego, basta, non serve,” la rassicura, cercando di avvicinarsi a lei, ma lei di nuovo poggia le mani sul suo petto per bloccarlo.
 
“E invece ho bisogno di spiegarti, ho bisogno di farlo, fino in fondo, non solo perché te lo devo o perché lo meriti, ma perché ne ho bisogno io, per me stessa e per noi due. Tu hai passato anni a dimostrarmi in ogni modo quello che provavi per me, non arrendendoti mai di fronte al muro che mi ero costruita per via delle mie paure e dei miei sensi di colpa. E nonostante tutto ciò, anche se lo so benissimo che mi ami, anche se mi fido ciecamente di te, quando ti ho visto con Claudia anche io ho dubitato, anche io sono stata gelosa, molto gelosa. E tu mi hai spiegato cosa stesse accadendo, mi hai rassicurata su quello che provavi per me e per Claudia e anche io ora voglio spazzare via ogni possibile dubbio, perché mi rendo conto che ciò che hai visto in quella stanza tra me e De Matteis destabilizzerebbe chiunque, Gaetano, avrebbe destabilizzato anche me al tuo posto.”
 
“Camilla…”
 
“Tu hai detto che… che De Matteis potrebbe rendermi felice. Ma tu davvero pensi che De Matteis e io nella vita di tutti i giorni potremmo mai essere felici insieme? Non è così, non sarei mai felice con lui,  Gaetano, anche se non ti avessi mai conosciuto, anche se quando tornai a Roma da single io e De Matteis non fossimo partiti col piede sbagliato e avessi per qualsiasi motivo deciso di iniziare una relazione con lui invece che con suo fratello, credo che le cose sarebbero finite mille volte peggio del disastro tra me e Marco. Non solo non sarei mai arrivata ad amarlo, ma, passata la breve fase degli opposti che si attraggono, avremmo finito per odiarci. Perché  io e De Matteis insieme siamo una combinazione quasi più esplosiva di te ed Eva, Gaetano: non andiamo d’accordo praticamente su niente. Una convivenza tra noi, ma anche solo una relazione duratura, sarebbe stata un incubo per entrambi, saremmo arrivati a distruggerci, a farci del male a vicenda, anche senza volerlo.”
 
Gaetano ammutolisce, comprendendo quanto lei abbia ragione, ma del resto la sua professoressa ha praticamente sempre ragione.
 
“E c’è un’altra cosa. A volte… a volte ho l’impressione che una parte di te abbia paura che io mi sia innamorata di te per... come posso dire? Per il fascino della divisa. Perché con te ho vissuto situazioni estreme di pericolo che, come ho detto io stessa, possono sicuramente creare un forte legame tra due persone. Ma non è così: per me l’amore non è una specie gara a chi mi salva più volte la vita o a chi è il migliore poliziotto, non funziona così. A parte che so benissimo che se fossi arrivato prima tu di De Matteis avresti fatto lo stesso o anche di più, so benissimo che tu daresti la vita per proteggermi Gaetano e non ne ho mai dubitato.  E, certo, il modo in cui svolgi il tuo lavoro, la tua passione, la tua intelligenza la tua onestà sono tutte cose che hanno contribuito a far crescere sempre di più la stima e la fiducia immense che provo per te e che è ovviamente hanno contribuito a fare in modo che non potessi non innamorarmi di te, ma c’è molto di più di questo, molto di più. Gaetano: nella vita, nell’amore e nei rapporti di coppia, si spera, non ci sono solo le emergenze e le situazioni tra la vita e la morte, ma c’è la normalità, la vita vera di tutti i giorni.”
 
Gaetano di nuovo non riesce a parlare, chiedendosi per l’ennesima volta come lei… come lei riesca a leggergli dentro in questo modo. A intuire i suoi stati d’animo e le sue paure più nascoste prima che riesca ad intuirle lui stesso. Perché non ci aveva mai pensato, non consciamente, ma è vero: una parte di lui, almeno prima che diventassero una coppia, durante tutto il lunghissimo corteggiamento, per tutti quegli anni in cui l’aveva inseguita senza successo, aveva temuto di rappresentare per lei solo un… un brivido, un momento di evasione dalla routine quotidiana. Che lei avesse trasferito su di lui, avesse incarnato in lui, in un certo senso, la sua passione per le indagini, per i misteri. Da quando l’aveva rivista a Torino e si erano avvicinati sempre di più, non solo loro due ma anche lei e Tommy, dopo… dopo la casa di Madame e, soprattutto, dopo che avevano fatto l’amore per la prima volta, tutti i suoi dubbi sembravano essersi sciolti come neve al sole. Ma forse una parte di lui, un piccolo demone in un angolo nascosto del suo cervello e del suo cuore continuava ad avere paura, ad avere paura di non essere alla sua altezza, che lei un giorno si sarebbe risvegliata e si sarebbe accorta che lui era solo chiacchiere e distintivo, che si sarebbe accorta che era stato tutto solo un enorme fuoco di paglia. Un demone che si era risvegliato quando avevano rincontrato Marco, quando gli aveva spiegato come erano andate le cose tra lei, Marco e Renzo. E le sue insicurezze in campo affettivo che, lo sa bene, hanno radici profonde, fin dalla sua infanzia, avevano fatto il resto, alimentando la sua assurda gelosia che, di nuovo, aveva ruggito quando l’aveva vista con De Matteis anche se, finalmente, l’amore per Camilla, il desiderio di vederla felice avevano prevalso ed erano riusciti a fargli capire quanto fosse stupida ed inutile.
 
“Gaetano,” sussurra, prendendogli la mano e distogliendolo dai suoi pensieri, portandolo a guardarla negli occhi, quegli occhi così intensi, così aperti, attraverso i quali riesce finalmente a leggere tutto, tutto, senza ombre, senza alcun dubbio, senza alcun punto oscuro. Ma non perché Camilla sia cambiata, comprende con un sussulto, ma perché lui è cambiato, perché ha messo definitivamente a tacere quel demone, perché ha smesso finalmente di dubitare di se stesso, prima ancora che di lei.
 
E Camilla sembra nuovamente capire perché gli regala forse il sorriso più bello che lui abbia mai visto sul suo viso.
 
“Gaetano, quello che mi ha fatto innamorare di te è stato proprio il fatto che con te sto bene sempre, sempre, potrei stare con te per giorni in una stanza vuota e non sentire il bisogno di nient’altro. E non parlo solo di fare l’amore. Con te sto bene anche solo quando parliamo o quando mi sei vicino, con te mi sento sempre a casa, serena, protetta, in pace col mondo, dovunque siamo. Ed è stato sempre così, Gaetano, praticamente fin da subito: agli inizi noi parlavamo solo di indagini, è vero, una volta mi hai perfino fatto una battuta in proposito chiedendomi se non potessimo provare a parlare di altro, anche se era un modo velato per chiedermi di uscire a cena con te e… diciamo non solo a cena. Te lo ricordi?”
 
“Come potrei dimenticarlo?” mormora, scuotendo il capo e sorridendole di rimando, sentendo il cuore scoppiargli nel petto, “tu mi hai risposto che non amavi il caos, che era poi un modo velato per dirmi che avevi paura di quello che sarebbe successo se fossi uscita a cena con me e non solo a cena. Non solo delle conseguenze di una relazione extraconiugale, ma che forse avevi paura di innamorarti di me…”
 
“Già e tu, che sei sempre stato più saggio di me, avevi cercato di farmi capire con quella metafora non troppo velata di pioggia, temporali e colpi di fulmine che da quello che provavamo e che proviamo non si poteva e non si può scappare. Mi ci sono voluti anni per accettarlo ma, come ti ho già detto, ci avevi azzeccato in pieno. Perché la verità è che l’importante non era di cosa parlassimo, Gaetano, se di indagini, di meteorologia, di anagrammi o dei massimi sistemi, ma il come ci parlavamo, quello che mi trasmettevi con la tua presenza, con la tua vicinanza, con i tuoi gesti. Io non mi sono innamorata di te solo perché eri e sei un bravo poliziotto o perché mi hai salvato più volte la vita, ma perché in un certo senso salvi la mia vita ogni giorno da quando ti conosco, perché quando ci sei tu con me vivo davvero invece che limitarmi a sopravvivere. E sarebbe stato così anche se tu non avessi fatto il mestiere che fai, se tu fossi stato… che ne so, un mio collega, uno di quelli che fanno innamorare tutte le alunne come pere cotte, o un collega di Renzo, anche se devo dire che come architetto non ti ci vedo proprio.”
 
“Per la carità!” esclama con una risata commossa, “vista la mia abilità coi numeri, sarei già finito in galera per avere mandato al creatore qualcuno nel crollo di una delle mie solidissime creazioni.”
 
“O se fossi stato un vicino di casa, l’impiegato in banca o in posta, il bidello, lo spazzino o il presidente del consiglio: per qualsiasi motivo ti avessi trovato sul mio cammino, conoscendoti non avrei potuto fare a meno di innamorarmi di te,” spiega con una punta di ironia, prima di aggiungere, serissima, “a parte gli scherzi, Gaetano, quello che provo per te non cambierebbe di una virgola anche se, per qualsiasi motivo, tu non potessi più fare questo mestiere. E sarà così anche quando, come mi auguro che accada, invecchieremo insieme ed inevitabilmente il massimo dell’azione per noi sarà passare da una stanza all’altra di casa nostra, cucinare, leggere un libro o cambiare i canali su un telecomando. Ma sono sicura che solo parlandoti, guardandoti, avendoti accanto, tu mi sapresti trasmettere tutto quello di cui ho bisogno per essere felice esattamente di ciò che ho e spero di poter fare anche io lo stesso per te.”
 
“Camilla, tu… tu lo fai già adesso, lo fai da sempre. Tu sei… tu sei la mia casa, Camilla, la mia vera famiglia, da così tanto tempo. E forse te l’ho già detto ma non mi stancherò mai di ripetertelo: tu mi hai fatto capire cosa voglia dire amare, cosa voglia dire vivere davvero, Camilla. Prima di conoscerti ero un uomo solo, che aveva paura di innamorarsi, di soffrire e-
 
“E non avevi tutti i torti ad averne paura, visto quanto ti ho fatto soffrire Gaetano, per tanti anni e me ne vergogno e-
 
“No, Camilla, non avevo ragione e anche se non mi avessi mai ricambiato, ti sarei sempre stato grato, Camilla perché hai riempito, hai reso reale, una vita vuota e piena di nulla, piena di vacuità di cui mi circondavo per tenermi impegnato, per distrarmi, per non sentire e non ammettere nemmeno con me stesso quanto fossi solo. E per merito tuo ora sono padre, Camilla, padre davvero e non solo per… per DNA. Mi hai salvato dal più grande rimpianto che avrei mai potuto avere in vita mia. E poi c’è Livietta che... che è straordinaria e più la vedo crescere e più ritrovo in lei così tanto della tua forza, della tua intelligenza e soprattutto del tuo grande cuore, Camilla,” confessa, lasciandole una mano per asciugarle le lacrime che le vede di nuovo sgorgare dagli occhi, “e poi c’è tua madre che è… altrettanto straordinaria  e anche in lei rivedo diverse cose di te, Camilla: non solo la tua intelligenza ma… quell’istinto di protezione verso le persone che ama, che la rende assolutamente formidabile e… parecchio temibile, a dir la verità.”
 
“Ah, non parlarmene!” esclama con una mezza risata, prima di farsi di nuovo seria e aggiungere, “mi dispiace per come si è comportata prima, Gaetano, ma non credo che ce l’abbia realmente con te e-“
 
“Camilla, non importa, anzi, tua madre ha ragione ad avercela con me perché mi sono comportato come un idiota in questi giorni, con la mia stupida gelosia, le mie paranoie, i miei dubbi, le mie insicurezze e ti giuro che mi dispiace e mi scuso ancora con te. E ti garantisco che ho capito… ho finalmente capito e non succederà più. Mi impegnerò per meritarmi ogni giorno la tua fiducia, Camilla, e per riconquistare la fiducia di tua madre, se me ne darete la possibilità.”
 
“Gaetano, non serve che ti scusi perché… avevi i tuoi buoni motivi per sentirti insicuro su noi due, per colpa della mia incoerenza e i miei tira e molla di questi anni e di tutto il dolore e tutta l’insicurezza che ti hanno, che ti ho provocato, anche se tu cerchi di non farmelo pesare, e che non potevo e non posso pretendere di cancellare magicamente in due mesi dalla tua mente e dal tuo cuore,” ammette, abbassando lo sguardo, sentendosi ancora terribilmente in colpa, sentendo fino in fondo il peso di tutti i suoi sbagli di questi anni e anche di questi ultimi giorni, “anzi, sono io che mi devo scusare con te perché in questo ultimo periodo ho dato per scontate troppe cose, ti ho trascurato durante la nostra prima vacanza insieme, ho dato per scontato il tuo amore, il tuo appoggio, il tuo essere così generoso nell’accettare di aiutarmi e nel mettere a rischio perfino la tua carriera per assecondarmi. E soprattutto mi devo scusare con te per averti nuovamente deluso ieri-“
 
“Camilla tu non mi hai affatto deluso ieri, assolutamente, cosa stai dicendo?” le domanda, incredulo, sollevandole il mento per costringerla di nuovo a guardarlo negli occhi.
 
“Ti avevo… ti avevo promesso di stare lontana dai guai e invece non ho mantenuto la promessa: sono corsa da Sammy, pur sapendo che avrei potuto morire e-“
 
“E se non l’avessi fatto, ti saresti odiata per tutta la vita Camilla, mi avresti odiato e io non voglio questo, non ho mai voluto questo. Camilla, io l’ho sempre saputo che tu sei una donna leale, coraggiosa, altruista, che non può fregarsene e stare a guardare mentre qualcuno sta morendo di fronte ai suoi occhi, che non può sentire qualcuno implorare aiuto senza fare niente. Ed è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te e per cui ti ammiro tanto, anche se non è l’unico. Camilla, io non voglio certo che tu cambi, anche perché sarebbe ipocrita da parte mia chiedertelo, visto che anche io sono fatto così.”
 
“Gaetano…” sussurra, sentendo il peso del senso di colpa che la stava schiacciando fin da quando aveva scoperto che Sammy era corsa a quell’appuntamento al posto suo, fin da quando era uscita da quell’auto e aveva scavalcato quella cancellata, farsi più leggero.
 
“Camilla, quello che volevo da te, quello che mi hai promesso, è che non ti saresti andata a cacciare volutamente nei guai se non era più che necessario, se non ti fossi trovata in un’emergenza che non potevi evitare. Ed è esattamente quello che hai fatto, Camilla, avvertendomi della lettera, fidandoti di me e intervenendo solo quando non c’era altra alternativa. Non solo, ma il modo in cui hai affrontato l’emergenza, il modo in cui hai agito ieri è stato… semplicemente straordinario ed è andato ben oltre ogni mia più rosea aspettativa o speranza! Hai valutato i rischi, hai mantenuto il sangue freddo e il controllo anche in mezzo ad una sparatoria, vedendo la morte in faccia, sei riuscita a soccorrere De Matteis e a salvargli la vita. Sei stata bravissima, Camilla, non so come tu abbia fatto, da dove prendi questa… questa forza incredibile che hai, ma hai agito molto meglio di quanto avrebbero fatto molti agenti addestrati, credimi.”
 
“E oltretutto, in tutto questo, sei riuscita di nuovo a trasmettermi quel coraggio, quella sicurezza, quella serenità che mi servivano per entrare in quella casa e fare quello che dovevo fare e soprattutto per lasciarti lì fuori, sapendo benissimo entrambi che… che avremmo potuto non rivederci più,” ammette, la voce che si spezza, mentre sente le guance farsi umide quanto quelle di lei, riflettendosi in quegli occhi che lo guardano con così tanto amore da togliergli il fiato, ma si fa forza e, con la voce roca, riprende a parlare, “e, anche se non credevo fosse possibile, sei riuscito a rendermi ancora più orgoglioso di te di quanto fossi già e mi hai dimostrato per l’ennesima volta quanto sono incredibilmente fortunato ad avere la stima e l’amore di una donna assolutamente fuori dal comune come sei tu.”
 
Camilla si lascia sfuggire un singhiozzo e poi gli getta le braccia al collo e lo abbraccia più forte che può, sentendolo ricambiare con una forza tale che si ritrova seduta in braccio a lui, completamente avvolta da quella pace che solo lui le può trasmettere.
 
“Gaetano, sono io che sono fortunata ad averti accanto… fortunata è dire poco e… orgogliosa e… ti amo, ti amo da morire,” sussurra dopo qualche minuto di silenzio e di… di pace, staccandosi lievemente da lui per guardarlo negli occhi, prima di rendersi conto di cosa ha detto, notare l’angolo della bocca di lui sollevarsi lievemente e alla fine scoppiare con lui in una risata liberatoria.
 
“Non avevi detto niente metafore sulla morte, professoressa?” la punzecchia con affetto, guadagnandosi un colpo sulla spalla.
 
“Sei tremendo, lo sai?” ribatte con un sorriso, scompigliandogli i capelli, prima di abbracciarlo nuovamente, questa volta con meno disperazione e più dolcezza.
 
“La sai tu una cosa, professoressa? Non so come sia possibile ma… ti sento ancora più vicina adesso di quanto già ti avessi sentita in quel loft e… come posso spiegarti? Sento che… che siamo cresciuti in questi giorni, insieme. Il nostro rapporto è… è cresciuto. Capisci cosa voglio dire?” le domanda, la voce tremante, sentendola annuire sul suo petto.
 
“Lo capisco benissimo, Gaetano,” ammette lei, la voce altrettanto tremante e roca, sollevandosi un’altra volta per guardarlo negli occhi, “e anche per me è lo stesso e… e anche se questi giorni sono stati tremendi e anche se ci aspettano ancora giorni difficili, lo so, anche se ho fatto tanti errori… non rimpiango niente se… se è servito ad arrivare a… a questo.”
 
Lui le sorride e la abbraccia nuovamente, con tutta la tenerezza di cui è capace. Ben presto però, sentirla così vicina, su di lui, sentire la sua pelle, il profumo della sua pelle, risveglia in lui un desiderio lancinante, acuito dai giorni di lontananza forzata.
 
“Camilla…” le sussurra, staccandosi lievemente da lei, “quindi, riassumendo: abbiamo chiarito che tu mi ami tanto quanto ti amo io, cioè moltissimo, e che ne siamo entrambi consapevoli. Giusto?”
 
“Mi sembra evidente,” risponde lei, stupita dal tono di lui, apparentemente serio ma… giocoso allo stesso tempo, chiedendosi dove voglia andare a parare.
 
“Benissimo. E abbiamo anche chiarito che io ho la massima fiducia in te, tanto quanto tu ce l’hai in me. Confermi?”
 
“Anche questo mi sembra evidente…” ribatte con un sorriso, sempre più incuriosita.
 
“E inoltre mi impegno solennemente a non farti più stupide scenate di gelosia e-“
 
“Quindi vuoi dirmi che non sarai più geloso?” gli domanda con un tono indefinibile.
 
“Beh, insomma, non sto dicendo che se vedrò qualcuno che ci prova con te farò i salti di gioia, Camilla, non sono un santo. È ovvio che mi darà fastidio ma mi controllerò, mi fiderò di ciò che provi per me e del fatto che… saprai gestire la situazione. E interverrò solo se… se la… la controparte dovesse crearti problemi, insomma, se tu dovessi avere bisogno del mio aiuto per… gestire la situazione,” spiega, aggiungendo poi, facendosi più serio, “in quel caso però non garantisco di riuscire a controllarmi.”
 
“In quel caso, credimi, sarò io  per prima a non riuscire a controllarmi. E lo stesso ovviamente vale per te e le tue ammiratrici, caro il mio pinguino,” ribatte con un tono d’avvertimento, facendogli l’occhiolino e vedendolo sorridere, esasperato.
 
“Bene… quindi, visto che mi sembra che abbiamo chiarito tutto quello che c’era da chiarire e anche di più… non credi che sia arrivato il momento di fare pace?” le domanda, giocoso, guardandola negli occhi.
 
“A me sembra che abbiamo già fatto pace, Gaetano. O no?” gli domanda di rimando, lanciandogli un’occhiata interrogativa.
 
“Intendo dire… fare pace come si deve,” chiarisce, non trattenendo più il sorriso, mentre lei scuote il capo divertita ed esasperata.
 
“Mmmm… dottor Berardi… temo di non capire. Perché non mi chiarisce meglio che cosa ha in mente?” gli domanda con un altro sorriso, il tono che si fa sempre più roco, avvicinandosi di più a lui, quasi inconsciamente, mordendosi il labbro.
 
“Con molto piacere, professoressa,” ribatte prima di catturare quelle labbra con le sue.
 
Per qualche secondo è un bacio dolce, tenero, intenso, che esprime il sollievo che entrambi provano, la gioia immensa nell’essersi finalmente ritrovati. Ma ben presto diventa sempre più famelico, sempre più urgente, le mani che cercano il contatto, la pelle, sotto i vestiti, azzerando le distanze tra i loro corpi che si muovono l’uno contro l’altro, la temperatura che sale rapidamente fino a farsi incandescente.
 
“Gaetano, aspetta!” lo implora Camilla, percependo chiaramente che la situazione sta per sfuggire dal loro controllo, staccandosi da lui con uno sforzo sovrumano, alzandosi in piedi a fatica, le gambe che sembrano di gelatina.
 
“Credimi, lo voglio anche io, più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non… non qui, non in un ospedale,” si affretta a chiarire, vedendo lo sguardo di lui farsi cupo e preoccupato, ferito da quel rifiuto.
 
“Hai ragione…” ammette con un sospiro, cercando di recuperare il controllo, per poi aggiungere con un sorriso, alzandosi in piedi, “anche se pensavo che certe situazioni ti piacessero, Jessica.”
 
“Ehi, Ivano… ma non avevi appena detto che eravamo cresciuti noi due?” ironizza, per poi guardarlo da capo a piedi e sussurrargli, maliziosa, “a meno che non ti riferissi solo a certe… parti anatomiche.”
 
“Camilla!” esclama, esasperato, “guarda che così non mi aiuti affatto.”
 
Si guardano per qualche istante, indecisi sul da farsi: sia l’appartamento di Francesca che quello di Andreina sono, ovviamente, off-limits. Poi l’espressione di Gaetano si illumina.
 
“Senti, professoressa, visto che prima di qualche ora non potrò tornare sulla… scena del crimine e visto che ho assoluto bisogno di un po’ di riposo, e anche tu, pensavo… Hai mai notato quanti alberghi deliziosi ci sono qui nei dintorni?” le chiede con voce ironica e carica di desiderio insieme, prendendola sottobraccio e cominciando a condurla verso la porta.
 
Lei, per tutta risposta, si aggrappa al suo braccio, gli stampa un bacio sulla guancia, prima di sussurrargli nell’orecchio, con lo stesso medesimo tono, “Gaetano, ti ho mai detto che a me gli alberghi piacciono moltissimo? Ci vivrei in albergo!”
 
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Silenzio.
 
Finalmente silenzio: i motori delle auto si sono ormai allontanati, uno a uno, niente più sirene, niente più rumore di acqua che scorre, niente più puzza di fumo.

Silenzio e pace.
 
È arrivato il momento: o ora o mai più.
 
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Osserva ancora una volta le macerie, il calore che si disperde nell’aria ancora non troppo soffocante tipica delle mattine d’estate, in quei rari momenti di pace prima che la calura torni come una cappa opprimente.
 
Bisognerà aspettare, non è ancora il momento.
 
Continua poi il suo giro di perlustrazione in questa specie di film di Tim Burton in legno e rifiuti e ruggine e vernici scrostate. È quasi un addio all’infanzia, all’adolescenza, l’ennesimo segno che ormai è diventato grande e che tutto passa, che niente dura in eterno, che quello che una volta era un luogo sereno e spensierato ora è una discarica a cielo aperto, un luogo per barboni, vandali e… e assassini. Che quello che una volta era un ragazzo sereno e spensierato ora è un uomo pieno di pensieri, di preoccupazioni e di responsabilità. Meno innocente, più consapevole, non sa se pesi più il piatto di ciò che ha perso o di ciò che ha guadagnato.
 
Ma ora c’è un pensiero fisso: trovare chi è stato, trovare Ilenia. Sperando che le due cose non coincidano.
 
Guardandosi intorno alla ricerca di ogni minimo dettaglio, qualcosa gli fa voltare bruscamente il capo verso sinistra, verso una riproduzione di un castello medievale che, se già in origine era abbastanza squallida, ora, così in rovina, è proprio triste.
 
All’inizio non capisce cosa abbia attirato la sua attenzione e poi la vede: un’ombra che si muove dietro le finestre a bifora.
 
Sa benissimo che non può trattarsi di uno dei ragazzi: due sono rimasti a guardia del perimetro e uno della casa incendiata. Potrebbe chiamarli ma non può permettersi di perdere l’effetto sorpresa: le bifore sono senza vetri e dall’interno possono chiaramente sentirlo se non sta attento.
 
Con il cuore che gli rimbomba nelle orecchie e quello strano mix di eccitazione e paura che ha sempre provato prima di entrare in azione, estrae la pistola dalla fondina, togliendo la sicura. Sa che qui non si scherza, che il suo avversario è più che capace di uccidere. Se si arriverà allo scontro, dovrà sparare senza esitazione.
 
L’ombra sembra procedere in direzione dell’ingresso del castello. Si acquatta contro il muro, tenendosi basso, sotto le bifore, preparandosi a saltargli addosso non appena uscirà, cogliendolo di sorpresa.
 
Rimane in attesa, paziente, evidentemente chi è dentro il castello sta controllando fuori, non è uno sprovveduto. E poi è questione di qualche secondo: una figura infagottata e nera sbuca fuori all’improvviso, in apparenza disarmata: nelle mani non luccica nulla.
 
Marchese si getta in un placcaggio quasi da professionista, afferrando l’avversario per le gambe, facendolo inciampare e crollare a terra. Cerca di rialzarsi ma lui è più rapido, schiacciandolo sotto di sé e bloccandolo senza troppa fatica: è più basso di lui e non particolarmente forte. Gli gira le mani dietro la schiena, ammanettandolo con una delle reggette in plastica che ormai porta sempre con sé in tasca, in caso di un arresto imprevisto “in borghese”, ringraziando per una volta Mancini e le sue paranoie da film poliziesco a stelle e strisce. Stringe la plastica intorno ai polsi, provocando un urlo di dolore.
 
Un urlo femminile.
 
Il gelo nel cuore, tenendola bloccata con le gambe sulle sue, rialza il busto quel tanto che basta per voltarla. Con mano tremante scosta il cappuccio nero e incontra capelli corvini, un caschetto corto, sbarazzino, che non gli è familiare ma che copre un viso e due occhi assolutamente inconfondibili.
 
Ilenia.
 
 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine del giallo, tutto risolto, no? Ilenia è stata presa, Camilla e Gaetano hanno finalmente fatto pace e… Ovviamente sto scherzando: il capitolo conclusivo di questo caso sarà il prossimo e sarà giallo-giallo e pieno di azione. Come avrete potuto notare questo è stato invece un capitolo più introspettivo e soprattutto medical/rosa, in cui si sono analizzate le conseguenze di quanto successo negli ultimi giorni sui rapporti tra i personaggi. E vedere la morte in faccia ha aperto gli occhi a diverse persone, come sempre accade in questi casi. Lo so che il capitolo è lunghissimo,  ho cercato di condensare il più possibile certe scene ma diciamo che c’erano parecchie cose da affrontare e alcuni semi da gettare ;).
Spero che la riconciliazione tra Gaetano e Camilla non abbia deluso le vostre aspettative, se così non fosse fatemelo sapere, come sempre i vostri pareri mi aiutano tantissimo a tararmi nella scrittura e a capire dove faccio meglio e dove devo correggere, tagliare ecc… Speravo di pubblicare già qualche giorno fa, in coincidenza con la… ripresa delle riprese di PAP ma non è stato possibile. Comunque finalmente ci siamo e quindi spero che potremo presto vedere questa benedetta e attesissima sesta serie ;).
Come sempre vi ringrazio per avermi seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
   
 
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