Pacchetto:
“Kokuo”, ho scelto Kurenai
Note autore: amo i
personaggi secondari e questo contest mi ha accalappiata dalla prima
riga. Qualunque cosa ne esca, sono contenta di aver scritto questa
storia, ringrazio dunque chi ha indetto il contest per l'ispirazione.
Il peso sulla bilancia
La
serratura scatta, spingo la porta ed entro. La stanza è un
buio sporco di luce artificiale proveniente dal lampione in strada,
mi mostra la calma piatta del mio appartamento e di rimando fa
sembrare ancora più caotico il subbuglio nella mia testa. Mi
accascio con la schiena al portone e piango.
In realtà non
so bene perché piango, ma non abito più nel complesso
dei jounin e posso piangere sul serio, singhiozzare e mugolare mentre
mi stringo la maglia all'altezza del petto, perché nessun
civile ha l'udito abbastanza fine per sentirmi attraverso le mura. È
solo uno sfogo, devo aspettare che sia passato; nel frattempo non
penso a niente.
Il silenzio fa risaltare il mio respiro, mi
concentro su quello il necessario per calmarmi, poi mi alzo.
Ci
sono un sacco di cose che dovrei fare, lavarmi i denti, per esempio,
cambiarmi, rimettere la sveglia, ma riesco solo a gattonare vicino al
cuscino e sdraiarmi lì.
Raido mi piace. Mi piace. È
un pensiero che mi fa stringere gli occhi di amarezza perché
sento stringere il cuore di dolcezza. Ora più che mai, vorrei
che Asuma fosse qui, magari a dirmi che non sono codarda come mi
sento o che va bene esserlo un pochino.
Era in suo potere farmi
credere qualsiasi cosa, con quella voce profonda, l'aria
rassicurante, mi avrebbe fatto credere che il mondo è
quadrato. Anche Raido ha questo potere. Ed è esattamente per
questo che ho capito quanto mi piace. Quella sicurezza che sentivo un
tempo grazie a una presenza forte, una voce profonda, adesso è
tornata.
Asuma è morto, non tornerà e io non lo
aspetto. Ma non ho mai pensato troppo al domani, come ninja e per
carattere tendo a non fare progetti a lungo termine, perciò
trovarmi un affetto tanto sentito sotto al naso, in così breve
tempo, mi ha colta di sorpresa. Vorrei dire che non l'ho visto
arrivare, ma la mia sorpresa è stata tutta per la profondità
in cui già ero e non tanto perché ne avevo riscoperta
una così presto.
Ho pensato che fosse bello, tenero, che
fosse positivo per me che tornavo a sentirmi desiderata da occhi
scuri, intensi, attenti, ho pensato che potevo godermelo senza
correre rischi e devo aver fatto male i conti perché
evidentemente qualcosa è scappato dai miei occhi, hanno
parlato troppo.
Non mi racconto balle: sono cosciente che sia
perfettamente normale rimanere traumatizzati dalla perdita di una
persona a cui ero così profondamente legata, eppure non mi
sarei mai aspettata di sentire il panico, il terrore, quando la mano
di Raido ha toccato la mia.
Non pensavo di volerlo così
tanto. Non sapevo di volere che mi toccasse, mi guardasse, non sapevo
di aver voglia di toccarlo, guardarlo.
Mi premo i palmi delle mani
sugli occhi, li sento umidi e premo di più. Che scena, che
imbarazzo. Mi concentro sulla forma perché il contenuto è
decisamente il male maggiore e comunque devo esser sembrata davvero
ridicola, scattare in piedi così dopo aver ritirato la mano
con un gesto tanto scortese, correre fuori dal locale in quel modo...
Ho continuato a correre, non riuscivo a smettere, poi mi sono accorta
che avevo preso la direzione sbagliata e sono dovuta tornare indietro
di un paio di isolati.
Potevo andare a prendere Mirai, non era poi
così tardi, però la mia testa era un tale
casino.
Vorrei che Asuma fosse qui.
Genma
fa saltare Mirai sulle ginocchia, ma mia figlia di due anni già
sa che lui è gay e si sporge per afferrare un lembo della
divisa di Aoba. Anko la prende in braccio subito sopo. Se la passano
come se fosse una bambola e lei ci sta, schiava di tutti loro perché
ognuno la vizia a modo suo. Spero le basti, tutto questo.
Raido mi
tratta come se non fosse successo niente, tutti lo fanno, e io
tornerei a casa ogni giorno con il dubbio di essermi sognata tutto se
non fosse per quegli occhi scuri, che mi scrutano dove non arrivo più
nemmeno io.
Asuma sarà sempre parte di me, una parte così
importante che ho una bambina con una voglia sul fianco
sospettosamente somigliante a una sigaretta. Tanto per. Ma il suo
spirito riposi in pace poiché sono forte, mi sento forte e
riuscirò a tenermi in piedi qualsiasi cosa accada. I nostri
amici non permetteranno che io cada, in ogni caso.
Sono costretta
però a prendere atto del fatto che sono molto più
solida da sola di quanto non lo fossi con lui; mi rendeva dipendente,
mi faceva sentire parte di qualcosa la cui burocrazia la sbrigava
lui. E non ti preoccupare, ci penso io. Tante volte ho sentito
queste parole, tante mi ci sono affidata.
Raido mi spaventa perché
mi ha dimostrato di avere lo stesso carisma, la stessa presa su di
me. Riesce a rendermi dipendente, a costringermi a cedergli terreno
col mio consenso, a fargli spazio così come Asuma se ne è
procurato il necessario perché ci stessimo in due.
Ma forse
la cosa più destabilizzante è quello che non dice, che
non ci diciamo, forse quello di cui dovrei preoccuparmi di più
è quanto profondo sia quello che non viene detto, che rimane
negli occhi giusto per non essere visto da nessun altro e poi cola,
gocciola, lentamente e silenziosamente, nel cuore. Credo sia questo
ad avermi sorpreso, in fin dei conti; che tipo di rapporto avevo con
lui due mesi fa? Non lo ricordo. Conosco Raido dai giorni
dell'accademia e come tutti noi, soldati di Konoha, questo equivale a
un paio di vite, qualunque cosa io trovi in lui ora non era palese
prima. E questo mi sconvolge perché non vedo niente di
diverso, non c'è niente che non conosca, che non sappia
gestire, discutere, vivere, con lui. Che sia cambiata io,
allora?
Genma mi riporta mia figlia, sorrido e lui si mette il
senbon in bocca, ora che non ha più una mocciosa
addosso.
“Come stai, Kurenai?”
Mi guarda negli
occhi mentre lo chiede, lo so che non mi sta chiedendo se mi sono
alzata bene, questa mattina, lo so che si riferisce a quella fuga
pietosa della scorsa settimana e ho deciso di non fingere.
“Mi
sento frastornata,” sorrido e ho un'espressione rilassata
perché dopo una settimana di furiose elucubrazioni posso dire
di aver accettato gran parte di ciò che mi metteva a disagio.
“ma sto bene,” dico, infatti.
Frastornata è un
aggettivo che mi piace, non ha connotazione strettamente negativa o
positiva, mi fa venire in mente un momento in cui ti fermi e devi
fare il punto. La mia bambina è il mio punto e anche lei come
la mamma si rivolge sempre a Raido, quando ha bisogno di aiuto.
Ancora
una volta non faccio in tempo ad aprire la porta di casa che le
emozioni mi assalgono. Raido entra con me, mi infila le dita nei
capelli, alla base del collo, e preme la fronte sulla mia. Poi mi
bacia.
Una scintilla basta per far scoppiare un incendio e non
serve che accenda la luce per sapere che faremo l'amore sul tavolo
della cucina.
Le sue labbra sono morbide e, dopo aver baciato per
anni un uomo con la barba, questo dettaglio mi aiuta a rimanere in
quella stanza, tra le braccia di Raido e non di qualcuno che non può
più stringermi. Allungo le mani sul suo volto, i suoi capelli
sono corti, le mie dita ci scorrono in mezzo con facilità e
scaccio malamente il coprifronte perché mi intralcia. Sorride
e io apro gli occhi per vederne l'effetto.
I suoi occhi non avrei
dovuto vederli in questo momento, adesso so quanto era inevitabile
tutto questo ed essere presa di peso, in collo, e portata nella
camera da letto, non mi aiuta a pensare, a pianificare, a pararmi il
culo prima che sia troppo tardi. Forse era troppo tardi già
quando bussavo alla sua porta per un problema senza sentirmi a
disagio, un anno fa. Forse è diventato tardi un poco alla
volta, come in una salita impercettibile.
Una volta sul morbido mi
aspetto la stessa irruenza, ma ricevo carezze e baci dolci, non mi
spoglia, non mi tocca; mi assaggia e lo fa con i suoi tempi. Ed è
una cosa che mi fa venire gli occhi lucidi, mi attorciglia lo stomaco
al cuore, qualcosa che avevo trovato anche in Asuma e che mi faceva
morire più di tutto. Qualcosa che mi trasmette la sua
sicurezza e mi dice che si prende il diritto di farmi diventare
dipendente. Non preoccuparti, ci penso io.
Ma non ho tempo
per pensare, quando il bacio si fa più intenso e lui mi si
preme addosso.
La sua erezione è dura contro di me,
difficile non notarla, il fatto che non siamo ancora nudi mi balena
in testa per un momento, il tempo necessario a tirare su la maglia
della divisa blu, ma presto perdo traccia di quel che stavo facendo,
poiché lui si muove contro di me.
Sono anni che provvedo da
sola a me stessa ed è tutto così soffice e tragicamente
insoddisfacente che avere un'erezione premuta addosso sembra
improvvisamente qualcosa a cui non potrei più rinunciare.
Stringo la stoffa della sua maglia, quando per un momento mi spaventa
il non sapere se ho più fame io o il mio corpo; per fortuna ci
sono i suoi baci a ricordarmi che non sono con un uomo, ma sono con
lui. Ho imparato a fidarmi di lui e questo fa tutta la
differenza.
Sento i muscoli tendersi e rilassarsi, arti muoversi
da soli, sento il mio ventre caldo e ondate di piacere ogni volta che
si preme su di me, sulla mia clitoride. Vorrei essergli più
vicina di così, vorrei che ci confondessimo e mi spingo verso
di lui senza pudore per fargli sapere che il mondo intorno è
già scomparso e siamo soli.
Questo non lo sposta, non
sembra intenzionato a spogliarmi, troppo occupato a riempirmi di
baci. Le sue labbra sul mio collo mi fanno inarcare e improvvisamente
sono troppo vicina e troppo assuefatta per costringerlo a fermarsi.
Vengo con un'intensità tale da farmi tremare, riverso il
piacere nella stanza senza preoccuparmi dei vicini e sembra che
l'orgasmo si dilati più a lungo di quanto ricordassi.
La
mia testa è leggera, gli occhi pesanti, i suoi baci distanti.
La
cameriera poggia l'ultimo piatto, ci augura buon appetito e se ne va.
Sono contenta di essere finalmente sola con lui perché il
pensiero di un'altra interruzione mi impediva di concentrarmi su
quello che c'è su quel tavolo: tutte le nostre carte scoperte
e quelle da scoprire insieme.
Lui non si stupisce quando gli rubo
un po' di polpo dal piatto e sorride quando gli metto un po' del mio
toroyaki, in cambio.
“Perché non prendi il takowasa
anche tu, se ti piace tanto?”
Faccio spallucce, mentre
mastico il polpo appena sgraffignato.
Raido mi è stato
accanto in così tanti modi che è diventato difficile
trovarne di nuovi. Non tutti si ricordano che appena usciti
dall'accademia noi tre eravamo un team, io, Asuma e Raido, e il fatto
che lo siamo ancora è soltanto cosa buona e giusta, nonché
buffa.
“Poi però non potrei più prenderlo dal
tuo piatto,” ridacchio, infine.
Quella prima notte è
finita così, cullata dal suo calore mi sono addormentata e la
mattina dopo il risveglio è stato agitato. L'ansia per aver
trovato un appartamento vuoto e la confusione, incastrata com'ero in
emozioni troppo grandi per un cuore e un cervello appena svegli, sono
state placate da un biglietto sul comodino contenente il buongiorno e
la promessa di vedersi presto.
Tuttavia, siccome la vita mi ha
fatto dubitare dei lieto fine, il mio cuore si è calmato solo
quando siamo potuti andare a pranzo insieme e gli occhi davanti a me
non erano cambiati di una virgola.
“A che pensi?”
“Che
tre settimane sono abbastanza,” dico, seria.
Perché
va bene fare le cose con calma, ma a un certo punto diventa pazzia
darsi la buonanotte sul pianerottolo, quando dormirci addosso
potrebbe rendere la notte ancora più buona.
L'atmosfera si
riscalda, ne sento il calore intorno e lo vedo nei suoi occhi, per un
momento rimaniamo a scrutarci, immobili, poi Raido scuote la
testa.
“Aah, non so di cosa tu stia parlando!”
celia.
Io rido perché tra di noi non servono parole e ogni
volta che ci siamo lasciati andare in queste tre settimane è
stato perché lo volevamo entrambi.
Non abbiamo parlato di
cosa o come o quando, non credo ne parleremo mai. Lui sa, io so. E
questa sensazione che sento nel petto mi piace, mi stimola, mi
dimostra che sono pronta. Forse non lo ero, prima; forse è
successo tutto troppo in fretta e a un certo punto mi sembrava di
correre per stare al passo di Asuma.
Ora sento che abbiamo lo
stesso ritmo. Sono una donna, una madre e posso essere io senza
essere un noi.
Ma scelgo il noi.
Takowasa
è polpo e wasabi, uno dei cibi preferiti di Kurenai, che ne ha
apparentemente anche per Raido, visto come di lui non ci siano info
al riguardo.
È successa una cosa molto buffa. Per quanto
riguarda i nomi di oc e bambini vari, scelgo sempre qualcosa che
abbia un significato inerente al personaggio; per la figlia di
Kurenai, dopo aver controllato che non ci fosse già, ho
trovato Shorai e Mirai (avvenire, futuro) poiché Asu significa
domani (il ma è come il maru di Shikamaru). Ho scelto subito
Shorai poiché l'altro mi pareva un po' banale. Poi mi son
ricordata che nella serie a cui appartiene questa shot c'è la
figlia di Ibiki che si chiama Shiori e contando che le due bambine
sarebbero state più o meno coetanee mi sembrava ridicolo che
si chiamassero Shiori e Shorai. Quindi mi sono adoperata per cercare
un altro nome e ho trovato Sumire, mi piaceva il suono e significa
violetta (il fiore), Narutopedia dice: “Kurenai's favourite
phrase is "Glory like a violet blooming a single day"
(菫花一日の栄,
Kinka Ichijutsu no Ei)”, e l'ho postata e inviata alle
giudici.
Oggi una mia amica, a cui avevo chiesto consiglio, mi
dice che è uscito un articolo sull'ultimo film di Naruto dove
informano che la figlia di Asuma e Kurenai si chiama Mirai. o.O
...ma!
I luoghi e i personaggi appartengono a Kishimoto. Damn it.