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Autore: _Angel_Blue_    08/12/2014    15 recensioni
E se i draconiani fossero dei normalissimi adolescenti senza nessun potere che hanno una vita come qualsiasi altro giovane della loro età? Se anche i loro nemici fossero degli esseri umani? Cosa succederebbe?
Sofia era una ragazza normale, le piaceva leggere libri, stava sempre chiusa in casa dove George, con pazienza infinita, le faceva da professore. Forse non aveva degli amici ma perlomeno la sua vita era tranquilla e non doveva pensare ai veri problemi della gioventù.
Poi tutto cambiò, così repentinamente che non ebbe neanche il tempo di protestare o evitare il continuo susseguirsi di catastrofi. Tutto si capovolse e si ritrova di fronte ad una realtà molto più dura da accettare, costretta a dover frequentare una vera scuola per “socializzare” con gli altri.
Con addosso un uniforme orribile, un carattere burbero e sgarbato, il prof decise di iscriverla nell'istituzione Dragoni, dall'apparenza normale quando qui è tutto tranne che ordinario. E tra una lezione con insegnanti impossibili, tra un bacio qua e là, tra segretarie troppo rigide, pettegolezzi e party notturni, Sofia scopre un mondo del tutto nuovo, un mondo che ha sempre voluto evitare, che cambierà la sua vita in una una frenetica corsa verso l'adolescenza.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Fabio, Nidhoggr, Nuovo personaggio, Sofia
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'An Impossible Love'
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 "Together we're
Invincible"
 
-Muse
 
Capitolo 20

Sofia

Trovare un posto appartato dal resto del mondo, dove potessimo sederci con tranquillità e poter chiarire tutto fu molto più difficile del previsto. Senza mai togliere gli occhi da quel Lung così spaesato e malmesso, ci incamminammo verso una strada illuminata malamente da due lampioni di cui luce era un bagliore appena accennato. Quel silenzio quasi spettrale che galleggiava nell'aria mi innervosiva ma non volevo essere troppo indiscreta e ferire quel povero ragazzo biondo che avevo al mio lato. In quel preciso istante sembrava così fragile tanto che mi sarebbe bastato aprire la bocca e fiatare per farlo crollare lì, seduta stante. Non mi passò inosservato la tristezza che gli attraversava gli occhi, del Lung allegro e sempre gentile non c'era neanche l'ombra. Ad un certo punto, mentre imboccavamo una strada ed entravamo in un bar quasi vuoto, presi coraggio e decisi di parlargli.
-Senti, non sei obbligato a dirmi tutto...- mormorai con voce flebile, attenta che nessuno ci sentisse. Lui mi guardò per un istante e mi rivolse un sorriso forzato, privo di quel calore che ricordavo che avesse un tempo. Il draconiano non mi rispose e si sedette su un tavolo da due, nel lato più distante del locale. Io presi posto, ritrovandoci così una di fronte all'altro. Quel mio lato aggressivo voleva prendere per le spalle Lung e scuoterlo con forza, non riuscivo a vederlo così depresso. Provai a mettermi nei suoi panni, se perdessi da un giorno all'altro George che sarebbe stato di me? Un brivido mi riscosse fino alle viscere quando realizzai che sarei stata peggio. Anzi, ero convinta che Lung la stava prendendo fin troppo tranquillamente, io a quel punto già sarei impazzita, avrei urlato contro il mondo intero chiedendo in ginocchio di poter aver indietro il professore, dato che era l'unica persona al mondo che mi rimaneva...
-Sofia, non so neanche da dove iniziare...- sussurrò con voce strozzata Lung.
Io deglutii, non sapendo che dire. Non volevo fargli pressione, cercavo di essere empatica nei suoi confronti, per quanto mi risultasse difficile rimanere zitta e non tempestargli di domande. Ripensai alla morte di Beatrice, mia madre. Lentamente iniziò a formarsi un nodo alla gola, ricordavo quel maledetto giorno come se fosse stato ieri, dopotutto era colpa mia se lei non era più in vita.
Successe tutto un lontano giorno di Luglio. Era una bellissima giornata, il sole illuminava con prepotenza tutto ciò che lo circondava, il cielo era dipinto di un azzurro dal colore quasi innaturale e non c'era neanche traccia delle solite nuvole passeggere. Ricordo ancora come una leggera brezza mi accarezzava il viso, con dolcezza. I miei capelli erano un groviglio disordinato, all'epoca avevo solo quindici anni, visto da vari punti di vista ero solo una bambina che fingeva di essere grande, una adulta. Non sembrava neanche estate, avevo la sensazione che ci trovassimo più che altro in primavera. Le rondini cinguettavano con allegria e l'ambiente era incorniciato da una spruzzata di colori, migliaia di fiori erano ben visibili in ogni angolo della strada. I raggi del sole mi sfioravano la pelle candida come la neve, è buffo vedere come negli anni non sia mai riuscita ad abbronzarmi, il mio derma sembrava non voler produrre melanina, neanche stando dieci ore in spiaggia riuscivo a cambiare quel mio stupido colorito pallido. Mia madre era andata a Matera per vedermi e passare così del tempo insieme. Aveva lasciato la sua altra famiglia nel Regno Unito, quell'estate doveva essere solo per noi due.
Io ero euforica, dopo tanti anni riuscivo a vedere mia madre. Avevamo fatto la pace mesi prima, l'avevo perdonata per avermi abbandonata e riuscivo a cogliere i suoi sensi di colpa per non essere stata con me in tutto quel tempo. Beatrice aveva affittato una macchina e chiedendo il permesso del professore, ci organizzammo per stare un paio di giorni a Rimini. Madre e figlia. Come una vera famiglia. Che altro potevo chiedere? Quella mattina ci alzammo presto, molto presto. Il sole stava sorgendo quando Thomas venne a svegliarmi. Ogni volta che rievoco quei momenti, lo descrivo come l'inizio di un sogno che finì nel trasformarsi in un incubo, il peggiore dei miei incubi. Tutto è offuscato e irreale, come se stessi vedendo la stessa pellicola una e più volte, ma il film fosse danneggiato, impedendomi di vedere con chiarezza l'accaduto.
Quella mattina scesi dalla villa con una enorme valigia e George scherzando mi disse che sembravo sul punto di traslocare e non di trascorrere qualche giorno fuori casa. Con la mi solita sfrontatezza, lo guardai male e gli feci la linguaccia. Dopotutto avevo ancora un comportamento infantile. Ma alla fine tutti ridemmo e notai le occhiate melanconiche che mi lanciava continuamente George. Andai ad abbracciarlo, ripetendogli allo sfinimento che sarei stata attenta, che mi sarebbe mancato e che gli volevo bene come se fosse mio padre. La famiglia non deve essere esattamente colei che ti "crea", ma colei che ti cresce, non era necessario avere lo stesso DNA per definire la parentela. I genitori non sono obbligatoriamente quelle persone che ti fanno nascere, devono essere coloro che si prendono cura di te, dipendentemente se sei suo vero figlio o no. E io con gli anni ero arrivata ad amare il prof come un padre e a considerarlo come tale.
Quando salii in macchina con mia madre notai vagamente una lacrima scendere dall'occhio destro di George. Man mano che ci allontanavano vidi come Thomas e il professore si facevano sempre più piccoli e smisi di guardare dal finestrino solo quando le due figure sparirono nell'orizzonte. I primi minuti del viaggio furono tranquilli, io e mia madre non smettevamo di parlare. Mi accorsi che Beatrice voleva sapere tutto di me, quali erano le mie passioni, se ero fidanzata o cosa mi piaceva fare nel tempo libero. Era tutto così strano ma nello stesso tempo era normale. Così si comportavamo le famiglie normali, no?
Dopo varie ore, quando ci fermammo per riempire la macchina di benzina, decisi di sedermi nei sedili posteriori, volevo sdraiarmi e dormire. Mia madre ovviamente non obiettò. Da quell'istante in poi i ricordi iniziano a farsi confusi e assurdi. Solo i rumori sono riusciti ad avere forma e consistenza in quel flashback. Percepisco la voce di mia madre, mentre sbatteva la porta della macchina e metteva in marcia. Sentivo come l'auto si muoveva, ma i miei occhi erano chiusi, ero troppo stanca per tenerli aperti, le palpebre sembravano pesare un macigno.
Mi cullai con la voce di mia madre, mentre cantava con un inglese perfetto, la sua voce era melodia per le mie orecchie e trovavo dolce quella sua pronuncia appena accennata.
You thought I left, I thought i left too
I thought I left you, but I stayed
I came to see, I came to see you (*)
Dalla radio potevo udire la voce struggente della cantante. Solo più tardi, dopo l'incidente, quando ebbi abbastanza forza spirituale, morale e fisica, andai a cercarla in internet. Sempre ebbi la sensazione che Beatrice mi stesse dedicando quella canzone, come se attraverso quelle parole che in quei secondi mi sembrarono incomprensibili, mi volesse spiegare molte cose. Mi svegliai dopo poche ore. E desiderai non averlo mai fatto.
Sbadigliando, iniziai a stiracchiarmi. Mi sedetti e con gli occhi arrossati dal sonno, guardai fuori dal finestrino.
-Buongiorno principessa- disse con dolcezza mia madre mentre mi osservava dallo specchietto retrovisore.
Io le lanciai un sorriso divertito e fu allora che notai qualcosa. Era una piccola lumaca che riposava a pochi centimetri da me. Avevo solo quindici anni ed essendo una ragazza, lanciai un urlo spaventato e mi allontanai da lì con un salto. Sbattei la testa con il tettuccio della macchina e ciò spaventò mia madre, che fece il grandissimo errore di voltarsi e guardare verso la mia direzione. La sua testa non era voltata verso la strada, quindi non notò la macchina che si avvicinava a noi a grandissima velocità, una macchina che stava andando contro via. Fu troppo tardi.
-MAMMA!- avevo urlato con disperazione. Lei girò la testa, aveva visto la macchina ma non fece in tempo a sterzare che le due auto s'investirono con forza. Fui sballottata da tutte le parti, colpii il braccio con prepotenza e lanciai grida di paura.
Sangue.
Prima di perdere i sensi ricordo il sangue.
Era da tutte la parti.
E mi stava inghiottendo.
Quando mi svegliai mi ritrovavo in un ospedale. Bastarono pochi minuti ed iniziai a ricordare l'incidente. Rammento solo la disorientazione e il dolore. Avevo un gesso nel braccio sinistro e mi doleva tutto il corpo. Ma in quel momento desideravo solo vedere mia madre. Stava bene? Anche lei era ricoverata in quell'ospedale? I battiti del mio cuore accelerarono di colpo e la macchina che avevo al mio lato cominciò a fare bip bip freneticamente.
Nella stanza bianca entrarono delle infermiere e tra loro, riconobbi anche George e Thomas. Appena il professore mi vide sveglia, cosciente e capace di parlare, si buttò tra le mie braccia. Quello fu l'unico momento nella mia vita che lo vidi singhiozzare. E con la coda nell'occhio, riuscì a cogliere un movimento rapido e fugace. Thomas che cercava di asciugarsi delle lacrime di felicità.
-Sofia, è un miracolo- aveva detto George, dopo essersi calmato. -T...t...u sei ancora viva, ho creduto di perderti...-
-Dov'è mia madre?- avevo mormorato con un filo di voce, temendo la risposta.
Il professore abbassò lo sguardo e lanciò un'occhiata al maggiordomo, che annuii con risolutezza. -Oh, Sofia... Tu e tua madre siete state investite... Il conducente era ubriaco, stava guidando contro via e Beatrice non e è riuscita ad evitare la macchina...- Mi accarezzò con delicatezza la testa e bastò osservare i suoi occhi per comprendere la risposta. Ma infondo io sapevo, il mio essere mi aveva già avvisato.
Scossi la testa con perseveranza. I miei capelli mi coprirono la faccia, nascondendo così i miei occhi lucidi. Non avrei pianto, non lì, con tutta quella gente ad analizzarmi. -No... No...- sussurrai più che altro a me stessa.
-Mi dispiace Sofia, tua madre è deceduta all'istante, l'impatto è stato troppo violento... Solo tu sei sopravvissuta, neanche il conducente dell'altra macchina è riuscito a vivere... Sofia, i medici credono che non sei morta perché eri seduta nei sedili posteriori...- man mano che parlavo, il suo tono di voce iniziava affievolirsi, come se gli costasse una gran fatica il solo parlare. -Mi dispiace tanto...-
Fu troppo anche per me. Scoppiai a piangere, i miei singhiozzi risuonarono su tutta la stanza. Furono inutili i tentativi del professore di calmarmi. Prima di essere risucchiata in un vortice nero, sentii qualcosa pungermi la pelle.
-Sofia... Stai bene?- mi richiamò Lung, portandomi alla realtà. Sbattei le palpebre, stranamente avevo gli occhi lucidi.
Sussultai quando una semplice e unica lacrima scese dall'occhio. Una lacrima solitaria, che vagava triste alla ricerca di qualcosa. E quella lacrima ero io, che provavo a non affogare nei miei stessi ricordi, cercavo di lottare e rimanere in piedi nonostante mi portavo alle spalle segreti oscuri che mi seguivano come un'ombra.
-Uhm... Credo di sì...- mormorai imbarazzata. Era ridicolo il fatto che io iniziassi a piangere quando a doverlo fare doveva essere Lung. -Scusa... Ho ricordato qualcosa- cercai di scusarmi con voce impacciata. Ero rossa, sentivo le mie guance bruciare. -Ma sei tu quello a dover parlare qui... Cosa vuoi raccontarmi, Lung?- domandai con tono soave.
Lui mi squadrò a lungo, una ruga di preoccupazione si era formata nell'angolo dell'occhio. Infine, scuotendo la testa cercò di riaggiustare la voce. -Negli ultimi mesi sono sparito perché sono stato a Benevento con i miei genitori, per appoggiare e fare compagnia a mia nonna paterna... Le hanno riscontrato un tumore cerebrale nel mese di Ottobre... Da allora sono sempre stato di là con la mia famiglia... Ho avute poche opportunità di ritornare a Roma e siccome stavo passando un brutto periodo non volevo farti preoccupare perciò non ti ho mai chiamato...-
Oh, Lung... I sensi di colpa iniziarono a riaffiorare uno dopo l'altro. Mentre lui stava soffrendo in un'altra città, da solo, senza l'aiuto della sua ragazza, io lo tradivo con Fabio e non vedevo l'ora di rompere con lui per iniziare la mia storia con Szilard. Possibile che la scuola mia abbia trasformato in quell'essere insensibile? Volevo inginocchiarmi e chiedergli scusa, per essere stata così... così... Stronza
Mi alzai dalla sedia in cui mi ero accomodata e mi buttai tra le braccia di Lung. Qualcosa di caldo mi sfiorò il collo. Lacrime... Ma non erano solo le lacrime di Lung a scendere, ma anche le mie. I due stavamo in un silenzioso pianto, cercavamo di comunicarci, di ritrovare quel filo che ci aveva unito tempo prima.
You thought I left, I thought i left too
I thought I left you, but I stayed
I came to see, I came to see you (*)

***

Matilde

Matilde aggrottò la fronte una volta che furono arrivati davanti all'enorme villa di Nidhoggr. Suo fratello fischiò con approvazione, senza ombra di dubbio la famiglia della "Grande Viverna" doveva essere importante in quella piccola comunità. Osservò con invidia il lungo giardino, tutto era in perfetto ordine. Lei e Mauro sembravano così fuori luogo in quello scenario, pur essendo anche loro molto ricchi, il lusso di Nidhoggr superava di gran lunga quella dei due gemelli. Con ovvie ragioni la viverna era molto temuta nella scuola Dragoni, con un semplice schiocco di dita poteva avere l'intero mondo. L'insicurezza iniziò a pervaderla... E se l'idea di Mauro non avesse funzionato? Fino a quel momento i piani di Matilde avevano fracassato uno dopo l'altro e a vincere è sempre stata quell'irritabile Sofia Schfalen. Ogni secondo che passava il suo odio nei suoi confronti cresceva a dismisura.
-Sei sicuro che la Grande Viverna vorrà allearsi con noi?- chiese con voce tremante. L'idea che Nidhoggr li cacciasse dalla loro proprietà senza neanche ascoltarli la terrorizzava. Secondo Mauro, lui avrebbe afferrato quell'opportunità, dopotutto i gemelli erano i figli del preside dell'istituzione, nella scuola Dragoni erano loro due ad avere più controllo che Nidhoggr, per quanto quest'ultimo incutesse timore e avesse quell'aura di superiorità.
-Si, sono sicuro...- rispose beffardo Mauro per la milionesima volta. -Beh, facciamolo-
Il fratello andò a passo sicuro verso la porta e suonò il campanello. Pochi secondi e udirono una voce femminile.
-Chi siete?-
-Siamo i gemelli Dragoni, Matilde e Mauro, siamo venuti qui per parlare con Nidhoggr, è urgente...-
-Mi dispiace ma avete bisogno di un appuntamento per poter vedere il nostro Signorino...-
Le labbra di Matilde formarono un sorriso divertito. Signorino? Se la situazione non fosse stata così assurda sarebbe scoppiata a ridere. Con la coda nell'occhio notò vagamente che anche suo fratello Mauro cercava di non ridere.
-Diga a Nidhoggr che veniamo qui con intenzioni pacifiche, dobbiamo discutere su Fabio Slzilard e Sofia Schlafen-
-Aspettate un attimo...- disse la stessa voce.
Matilde iniziava a spazientirsi. Possibile che la Grande Viverna fosse così presuntuosa? Lanciò un'occhiata sbieca a suo fratello e quest'ultimo le rivolse un sorriso incoraggiante. Tutto l'ottimismo e la positività di Mauro iniziò a influenzarla. Non poteva arrendersi, non ora. Erano arrivati fin lì per compiere il loro obiettivo. Era felice che il suo gemello fosse sempre pronto ad aiutarla. Era lui quello ad avere le migliori idee, quello che la tranquillizzava quando tutto iniziava ad andarle storto.
Doveva riconoscere che suo fratello era il migliore, nessun'altra persona avrebbe fatto tante cose per lei. Forse poteva sembrare egoista, menefreghista o insolente, ma quando si trattava di Matilde, Mauro era sempre disponibile, farebbe qualsiasi cosa per sua sorellina, nata quindici secondi dopo di lui.
-Nidhoggr ha appena accettato di vedervi, entrate pure-
Appena sentii quelle parole, il corpo di Matilde si rilassò di colpo e poté respirare con tranquillità. Era agitata, era ovvio persino ad un cieco. Mauro le prese la mano, per infonderle coraggio e la guidò dentro la villa dove li aspettava un Nidhoggr elegante.
Matilde rimase senza fiato, impressionata da tanta bellezza in un corpo solo. Gli occhi verdi della viverna sembravano illuminare la sala per quanto fossero chiari e cristallini. Il viso era perfetto visto da ogni angolo, i zigomi risaltavano rigorosi e trasmettevano un sentimento del tutto estraneo a Matilde. Era forse timore? Aveva paura di lui? Lo squadrò con attenzione, e rimase spiazzata davanti a quello sguardo gelido. Era la prima volta che lei e la viverna si ritrovavano una di fronte l'altra da soli in una stanza. Erano troppo vicini e non le piacque neanche un po' quel senso si soggezione che risaliva su tutto il suo corpo. Per dissimulare quel senso di disagio iniziò ad osservare da tutte le parti meno la faccia della Grande Viverna. Aspettò con pazienza che suo fratello prendesse parola, quel silenzio la rendeva nervosa.
-Nidhoggr...- lo salutò educatamente Mauro.
Lei si limitò ad abbassare la testa, dimostrando il suo rispetto verso Nidhoggr.
-Che bella sorpresa vedere i due gemelli Dragoni qui nella mia dimora, i due eredi dell'istituzione Dragoni, i fratelli più conosciuti nella scuola, per la loro bellezza e intelligenza e soprattutto per quel comportamente spietato... A cosa devo la vostra visita?- esclamò a voce alta e dileggiatore la viverna. Matilde poté notare la sua irritazione, sembrava spazientito quasi quanto lo era lei.
-Vogliamo allearci con te- rispose in un fiato lei. Tutti gli occhi si posarono su Matilde. Nidhoggr la analizzò con quel suo sguardo indagatore, sentì como quell'occhiata la spogliava lentamente, mettendo a nudo la sua anima. Rabbrividì, un improvviso gelo cominciò a salirle su per le vene. Che stesse facendo la cosa più corretta?
Dopo un secondo di silenzio, la viverna scoppiò in una risata fredda, priva di calore o sentimento. -Oh, bene... Devo dedurre che i vostri piani per separare Sofia con Fabio non abbiano funzionato bene-
-Neanche i tuoi piani per vincere Schlafen non sono serviti a nulla- ringhiò con tono di sfida Matilde. Grosso errore, suo fratello la tenne stretta como a proteggerla nel caso Nidhoggr volesse colpirla. Quest'ultimo irrigidì il corpo e la guardò in cagnesco.
-Non sfidarmi, Dragoni- l'avvisò in tonò severo, le parole erano sibilate con rabbia. -Cosa vinco alleandomi con voi?-
-Potere, avrai molto più potere che ora, la scuola Dragoni sarà praticamente ai tuoi piedi, ogni suo studente ti adorerà e nessuno potrà ribellarti... Pensaci, noi possiamo permettere tutto ciò... Lo sai, Nidhoggr- rispose suo fratello con impassibilità.
La viverna apparve riflettere a lungo, infine si voltò. -Seguitemi-
Loro obbedirono come due cagnolini ammaestrati. Nessuno fiatò, la tensione galleggiava nell'aria. Matilde era a conoscenza della crudeltà di Nidhoggr. Strane storie girovagavano nel collegio, storie senza un senso logico, storie di un bambino abbandonato, storie di torture, di stupri... I brividi la lasciarono spiazzata, e non era solo per il freddo. Ignorando lo sguardo preoccupato di Mauro, osservò con certa ammirazione la villa. Avevano appena sorpassato il soggiorno che era una grande stanza. Divani di cuoio nero riposavano nel centro, dal soffitto scendeva un candelabro gigante incorniciato da migliaia di diamanti o perlomeno è ciò che le sembrò a Matilde. Il televisore a plasma era enorme, si trovava dentro un mobile di legno abbastanza grande dove ai lati si notavano certi volumi di libri. Un tappetto rosso ricopriva il pavimento freddo, era un rosso da sembrare sangue. Per ultimo, notò dei quadri appesi alle pareti bianche. Non capii bene cosa volessero rappresentare, a Matilde assomigliavano delle macchie colorate su una tela bianca. 
I tre ragazzi iniziarono a salire delle scale a chiocciola. Nella villa erano udibili solo i loro passi, nessun'altro suono entrava nella casa. Matilde volle scappare da lì a gambe levate. Il suo istinto la stava mettendo in allerta da un pericolo imminente. Non le piaceva l'idea di rimanere con suo gemello nella villa di Nidhoggr. E se lui cercasse di farli del male? Di certo non era improbabile, sapeva quanto fosse brutale, non aveva un minimo di pietà. Senza una vera ragione, si chiese chi o cosa lo avesse trasformato nella persona che era ora. Forse lo maltrattavano da piccolo... Forse era stato abbandonato... Forse i suoi genitori vollero farlo crescere in un ambiente carente di amore o affetto...
Basta Matilde, sei venuta qui per un motivo, non per essere la psicologa personale della Grande Viverna si rimproverò con rabbia. Nidhoggr li guidò per un corridoio e svoltò. Infine si ritrovarono in una stanza dall'aria confortante. Era un'altro salotto, solo più piccolo a quello del piano inferiore. C'erano altri divani ma questa volta erano di colore blu. La viverna si buttò in uno di essi e li guardò da basso con disinteresse. -Che aspettate a sedervi?- disse con distacco.
Entrambi gemelli obbedirono e presero posto nel divano più lontano da Nidhoggr. Quel dettaglio non passò inosservato alla viverna che ghignò soddisfatto. -Quindi avete paura di me- sibilò con derisione.
Non risposero.
-Cosa volete esattamente?- domandò con curiosità la Grande Viverna.
Fu Matilde a rispondere. -Che Sofia e Fabio si separino, che uno dei due abbandoni l'altro, io voglio rimanere con Szilard ma nello stesso tempo desidero con tutta me stessa distruggere Schlafen- mormorò la gemella con un luccichio crudele negli occhi.
-Non sarà facile- notò la viverna -Quei due si amano, Fabio è innamorato, lei lo è....Entrambi sono testardi, tu stessa hai avuto opportunità di vederli insieme-
Matilde fece una smorfia esasperata e alzò gli occhi al cielo. -Niente dura per sempre, tanto meno la relazione tra quei due.-
-Forse una soluzione c'è...- iniziò Nidhoggr -Ho già in mente il regalo perfetto per Fabio Szilard e Sofia Schlafen- disse risoluto prima di scoppiare in una risata malvagia.

***

Sofia

Passarono altri giorni nel quale rimasi in stretto contatto con Lung. Non posso dire altrettanto riguardo Fabio. Era volatizzato, ma non mi sorpresi, ormai mi ero stancata di essere costantemente preoccupata per lui. I miei pensieri erano soprattutto verso il povero Lung. Non avevo nessuna intenzione di rompere con lui, non ora, sapendo che stava soffrendo. Non volevo essere altra causa di dolore per lui, non lo meritava. Sapevo benissimo cosa significasse perdere qualcuno di importante, come se un pezzo di estremo valore ti venisse tolto dal tuo corpo, dalla tua vita... Dal tuo piccolo micro-universo. In quei giorni cercai di rimanere vicino al mio ragazzo, perché era ciò che doveva fare una fidanzata. Avrei aspettato prima di lasciarlo, il tempo necessario per far ritornare Lung il ragazzo di prima, sempre sorridente e gentile. Desideravo che una volta che la relazione finisse, che perlomeno rimanessimo amici, lo volevo al mio fianco. Dopotutto lui era stato non solo il mio fidanzato, ma bensì un amico, una persona di cui mi sono fidata, a cui voglio bene e che sarò sempre disposta ad aiutare, anche nei momenti più difficili. Finalmente riuscii a mettere in chiaro i miei sentimenti verso Fabio e Lung. Quest'ultimo era una persona del quale provavo un affetto quasi fraterno, ma non era la mia anima gemella, non sentivo le farfalle nello stomaco, non svegliava in me desideri che non riuscivo a comprendere del tutto. Lung era stato il primo passo per conoscere il vero amore, con lui ho capito cosa significa avere un ragazzo ed essere una fidanzata. Ho compreso l'amore mutuo, l'aiutarsi a vicenda, dare supporto al tuo partner e fidarsi di lui indipendentemente dalle cose che gli altri volevano farti credere. Fabio, invece, risvegliò in me i veri sentimenti, delle emozioni che non conoscevo neanche l'esistenza. Ero innamorata di lui e nient'altro che lui. Grazie a Fabio scoprii un mondo che non avrei mai immaginato mettere piede, ero pazza di lui e non avevo mai abbastanza dei suoi baci, carezze o delle sue parole sussurrate sulla mia pelle. Lui era il ragazzo che volevo davvero al mio fianco. Ho imparato ad amare i suoi difetti, sono riuscita a vedere in lui i suoi pregi, pregi che nessuno era ancora riuscito ad apprezzare. Ho iniziato a capire il suo linguaggio, ho studiato ogni suo movimento, ho capito che senza di lui non posso amare veramente. Lui è stato capace di entrarmi fino infondo, era entrato nella mie pelle, nella mia mente, nel mio cuore. Tutte quelle ridicole idee che mi ero fatta iniziarono a sembrarmi banali... No, io e Fabio non eravamo destinati a fracassare, forse con un nuovo inizio avremmo potuto cominciare tutto daccapo. Riscrivere la nostra storia... d'amore?
Furono questi i pensieri che occuparono la mia mente fino il giorno di Natale. Lung era ritornato a Benevento dove avrebbe passato il Natale con la sua famiglia. Mi chiamava ogni sera, per sapere come stavo. Non riusciva ancora a comprendere la causa del mio pianto al bar. C'erano cose che non potevo raccontare, in certi casi preferivo tenermi tutto dentro perché ero sicura che alla minima parola sarei scoppiata, non volevo ricordare, cercavo in tutti i modi possibili di tenere dentro un baule invisibile tutti quei cattivi momenti che ho passato durante la mia vita. Il professore mi diceva sempre che non era buono tenermi dentro ogni cosa, come un vulcano che accumula gas e lava, sarei esplosa e nessuno sarebbe arrivato in tempo a salvarmi. Io preferivo fare a modo mio, certi argomenti erano un vero tabù perciò era cento volte meglio rimanere zitta e non far uscire nulla delle mie emozioni. Il giorno che sarei saltata in aria, lo avrei fatto sola nella mia stanza, con nessuno ad osservarmi. Non mi piaceva l'idea di dover dipendere da qualcuno, di dover svelare i miei timori a qualcuno che sicuramente non mi avrebbe mai compresa. Non volevo essere giudicata. Per quella stessa ragione avevo iniziato a scrivere un diario. Sembrava una scelta infantile, ma era meglio che niente. Lui mi avrebbe ascoltato, non avrebbe detto una sola parola e potevo fidarmi di lui al cento per cento. E con ciò...
Rammentai il fatto che mi avevano rubato il diario. Nessuno a parte Fabio e la persona che mi aveva rubato l'agenda era a conoscenza del fatto che scrivevo un diario segreto. Il professore non lo sapeva... Thomas non lo sapeva... Lidja non lo sapeva... Ewan, Chloe o Karl non lo sapevano.... Nessuno. Non mi fidavo abbastanza di loro per ammettere che con i miei diciassette anni di età, tenevo ancora un diario. Era un po' imbarazzante... Inoltre tutto, non volevo che si espandesse la voce che Thuban teneva un oggetto nel quale erano scritti tutti i suoi pensieri e segreti. Sapevo che potevano rubarmelo e, nonostante i miei inutili intenti, qualcuno era riuscito ad appropriarsene. Odiavo non poter più scrivere durante la notte... Ma avevo paura di comprarmi un altro diario e che anche quello venisse rubato. Non potevo ripetere l'errore due volte.
Quella mattina mi alzai presto e controllando il calendario sorrisi quando notai quel 25 Dicembre. Era Natale, finalmente era arrivato Natale. Con i Draconiani (Lidja, Chloe, Ewan e Karl) ci mettemmo d'accordo quel pomeriggio per fare uno scambio di regali. Ero euforica, non vedevo l'ora di abbracciarli e stare un po' di tempo con loro. I miei amici non sapevano ancora che quel giorno nel locale, dopo essere uscita, avevo incontrato Lung. Non volevo spiegare i problemi di Lung a loro, doveva farlo lui stesso, non io. Di quel giorno ricordo solo che dopo essermi separata del mio ragazzo davanti al bar dove eravamo entrati a parlare, mi ero diretta pensierosa verso la festa dei draconiani. Appena mi videro mi tempestarono di domande.
Dove sei stata?
Sei impazzita?
Perché te ne sei andata?
Hai pianto?
Lidja era abbastanza angosciata siccome mi ero assentata per quasi due ore. Notai che non mi credette quando risposi che ero andata a fare una passeggiata da sola. Sapeva che gli stavo nascondendo qualcosa ma non investigò oltre. Mi conosceva così bene da sapere che c'erano cose che non potevo raccontare.
Non vedevo i miei amici da quella festa, dove promettemmo di rincontrarci per il giorno di Natale. E non ebbi neanche molte occasioni di mettermi in contatto con loro. Io ero stata occupata ad aiutare George e Thomas ed i miei amici dovevano ricevere parenti nelle loro case.
-Sofia...- mi chiamò George con uno strano tono di voce. Sembrava vagamente divertito o eccitato. Non sapevo dirlo con chiarezza. Stavamo facendo colazione, il professore con la sua solita tazza di caffè e io con un semplice pezzo di torta fatta da Thomas. Amavo i suoi dolci, solo lui riusciva a fare torte così buone. -Oggi verranno due persone a casa...- continuò lui, i suoi occhi sembrarono brillare da dietro quei occhiali rotondi.
Alzai un sopracciglio, scettica. -Ah si? E chi?-
Sapevo che George da qualche parte nel mondo aveva due cugini, ma non li vedevo da quando avevo undici anni. Non potevano essere loro. Tiana, o come la chiamavo io "Zia", era una signora eccentrica e divertente. Aveva trenta anni, era molto giovane e mi era sempre piaciuto passare del tempo con lei. Di Tiana ricordo solo i capelli lisci come spaghetti e castani e gli occhi grandi e grigi. Da piccola la chiamavo "Iana" e mi piaceva quando mi faceva dei regali o quando mi mostrava i suoi trucchi di magia. Ero venuta a sapere che ora viveva in Danimarca ed era sposata. Aveva anche due figli. A volte parlavo con lei nel telefono, l'ultima volta fu nel mese di Agosto, quando stavamo preparando la traslocazione a Roma. Era felice con la sua famiglia e io ero contenta per lei, lo meritava.
Poi c'era lo zio Henry. Era un uomo chiuso, ma sotto quel muro indistruttibile si nascondeva un uomo divertente e dolce. Una volta rubò delle caramelle dalla mensola e sorridendo mi disse "Sarà il nostro segreto". Lui viveva in Spagna, era un avvocato di successo ma non era ancora sposato. Certe volte parlavo al telefono anche con lui, dopotutto gli volevo bene.
-Sono due professori...- rispose il George.
Ero sorpresa. Perché due professori venivano a farci visita nel giorno di Natale? Rimasi in silenzio aspettando che continuasse a parlare.
-Verranno qui per farti un esame, il preside della scuola Dragoni mi ha detto che le tue conoscenze sono ottime e che dovresti già essere all'università... Forse negli ultimi anni ti ho insegnato troppe cose, tanto che ora sei avvantaggiata...- aggiunse pensieroso.
Io rischiai di strozzarmi con il latte. La mia mascella si era spalancata. Non potevo credere alle mie orecchie. Sapevo si essere avanti nello studio rispetto al normale, ma andare all'università? A soli diciassette anni? Se vivessi negli Stati Uniti non sarebbe stato nulla d'insolito, generalmente a quell'età molti studiano all'università, ma in Italia? Poi mi resi conto di un particolare... Io avrei compiuto diciotto anni da lì a pochi mesi. Deglutii a fatica... Non mi sarei aspettata una notizia simile. -Quando dovrebbero arrivare...?-
Come se qualcuno li avesse chiamato, il campanello suonò in quel preciso istante. Sussultai spaventata mentre il sorriso di George si allargò. Era felice come un bambino. -Buon Natale, Sofia-
Quindi... Era quello il regalo del professore!?

***

In quattro ore finii i due esami... Ero sorpresa di me stessa, dopotutto i test erano in inglese. Una volta terminato, George mi spiegò con calma cosa era successo. I professori della scuola avevano notato che le mie conoscenze non erano quelle di una studente di penultimo anno di superiore e senza che me ne accorgessi, ogni volta che facevamo delle verifiche avevano iniziato a consegnarmi dei fogli con domande diverse da quelle dei miei compagni, con domande ed esercizi per quelli dell'ultimo anno. E nonostante ciò, azzeccavo la maggior parte delle domande, sbagliavo poche cose e la maggior parte degli errori erano di distrazione. Perciò, erano arrivati alla conclusione che io non dovevo stare nel quarto anno bensì nel quinto. Per me quei due semestri dovevano essere gli ultimi, tecnicamente, dovevo stare già nell'università.
Il preside era venuto a sapere di quel dettaglio e aveva chiamato George un mese fa. Quando il professore venne a sapere di quel malinteso da parte sua, cercò in internet delle università prestigiose negli Stati Uniti e in Inghilterra. Visto dal punto di vista di età, ero nella classe corretta ma di preparazione educativa, ero troppo avanti. George iniziò a scrivere e-mail a varie università, spiegando il mio stato e chiedendo se potevo fare un esame per vedere se potevo essere accettata in qualche accademia. Solo Cambridge ed Oxford accettarono di farmi fare l'esame. Organizzando un po' di cose, il professore fece in modo che un professore delle due università venisse fino a Roma, per essere presente nel momento che facevo il test. Fece in modo che arrivassero nel giorno di Natale, doveva essere un regalo, una sorpresa. Nel caso sia riuscita a rispondere correttamente 900 domande su mille, avrei vinto una borsa di studio e appena concluderò quell'anno nella scuola Dragoni, traslocherò in un'altro paese insieme a George e Thomas.
Per tutto il giorno provai a vedere il lato positivo di trasferirmi in un nuovo paese, di ricevere una laurea in qualche importante università e di avere così un titolo che mi assicurasse un lavoro e un futuro pieno di meriti e successi. Ma il solo pensiero di abbandonare i miei amici, di dare le spalle la vita che mi ero creata a Roma mi faceva dubitare su tutto. Non potevo lasciarli, quando avevo imparato a conoscere il significato della parola amicizia. Lidja, Chloe, Ewan e Karl, non potevo dirli addio, adesso che avevo qualcuno di cui fidarmi, ora che le mie giornate erano più divertenti, ora che non ero più sola... Quel pomeriggio non uscii di casa, chiamai a Lidja chiedendole scusa per non essere andata all'appuntamento, mi giustificai spiegandole che stavo poco bene. E in effetti, non mi sentivo per niente bene. Mi sentivo vecchia cento anni... Il professore mi spiegò che era una mia scelta e dovevo aspettare un paio di giorni, non era sicuro che vincessi una borsa di studio. Ma se fosse stato così, avevo tempo fino ad Agosto per decidere se rimanere a Roma o cogliere l'opportunità di andare in una prestigiosa università. Volevo urlare che era tutta una pazzia, una cazzata... Ma quando notai gli occhi orgogliosi del professore capii all'istante che non sarei mai stata capace di deluderlo. Lui pensava solo al mio meglio, voleva assicurarsi che il mio futuro fosse pieno di aspettative e opportunità.
Ero confusa, terribilmente confusa. Poi il pensiero arrivò. Rapido come un fulmine.
Fabio.
Dovevo chiarire così tante cose con lui. Dovevo ancora dirgli che lo amavo... In tutto quel tempo non ero riuscita a pronunciare quelle parole, come se il solo provarci mi potesse uccidere. Dovevo sapere quali erano i segreti che occultava, cosa lo tormentava, perché spariva...
No, no e no.
Non l'avrei abbandonato ora. Lui aveva bisogno di me, lo sapevo, riuscivo a percepirlo ogni volta che mi toccava.
Mi rigirai per la milionesima volta nel letto. Alzando lo sguardo, guardai fuori dalla finestra. Era notte, senza accorgermene era già notte. Nell'oscurità della mia stanza, osservai il bagliore della luna, la maggior parte delle stelle erano ricoperte da varie nuvole grige. Nel silenzio più totale sentii il lululare di una cane. Sembrava piangere, sembrava chiede alla luna un perché. Ma non c'era risposta per quel perché, nessuno poteva rispondergli come nessuno poteva rispondere le mie domande. Eppure anche io mi chiedevo perché, mi chiedevo perché a me? Perché ora? Perché nessuno vuole rispondermi? Era un continuo perché, ma sapevo che era inutile farmi tutte quelle domande, le risposte non crescevano dagli alberi. Dovevo tirarmi su le maniche e cercarle da sola. Sospirai affitta, la mia vita iniziava a prendere un cammino diverso da quello che mi ero immaginata.
Non avevo idea quanto tempo rimasi ad osservare il movimento degli alberi, da quanto tempo mi ero messa in ascolto di qualsiasi rumore sospettoso. Secondi... ore... O forse solo istanti rapidi e fugaci. Fatto sta, che quasi caddi dal letto quando il mio cellulare vibrò, avvisandomi che mi era arrivato un messaggio. Pensai che si trattasse di Lidja, forse era preoccupata per me. Alzando con pigrizia un braccio, presi in mano il telefonino.

Da: Fabio
Dobbiamo vederci. E' urgente. Oggi vicino al parco. L'incontro sarà alle 22:30 davanti all'albero di natale di Piazza della Libertà in Castel Gandolfo. Ti aspetto.
Ricevuto: 21;17 – 25 Dic

Ma che diavolo...?
Rilessi il messaggio con occhi sgranati. Nella mia testa si ripeteva la parola urgente... Fabio era in pericolo? Era successo qualcosa di grave? Con un balzo scesi dal mio letto. Una strana oppressione iniziò a salire nel mio petto, impedendomi di respirare. Oh mio dio, che non gli sia successo nulla, pregavo con inquietudine. Era tutto così.... insolito. Fabio non si faceva sentire da giorni, l'avevo visto per ultima volta nella recitazione a scuola. Da allora, sembrava non essere mai esistito. Non una sola chiamata, messaggio... Non era neanche venuto a farmi visita durante la notte. E ora si faceva vivo con quel messaggio... Speravo che fosse tutto uno scherzo, sarei morta se gli fosse accaduto qualcosa...
Indossai il primo maglione che trovai, degli stivali che potessero proteggermi dal gelo, dei guanti, una sciarpa e per ultimo un cappotto grande e nero. Non andai in bagno a vedere il mio aspetto, l'ansia mi teneva nervosa e sapere come ero conciata era l'ultima delle mie preoccupazioni. Scesi gli scalini da due, se mi sbrigavo e prendevo in tempo un taxi potevo arrivare all'ora indicata. Volevo vederlo... Volevo sapere se stava bene... Nei miei pensieri apparve il ghigno beffardo di Nidhoggr e quasi rischio di scivolare dallo sconcerto. Il mio istinto era in allerta e mi stava dicendo che lui stava dietro tutto ciò...Tuttavia, non avevo ancora in chiaro di cosa si trattasse quel "tutto ciò".
Il professore appena mi vide lanciò un'esclamazione di sorpresa. -Sofia! Dove pensi di andare?- quasi si ritrovò a urlare.
Con respiro affannato cercai di formulare una frase di senso compiuto. -Amico... Problema... Devo aiutarlo...- balbettai con le lacrime agli occhi.
-Cosa? Ma è tardi... Non posso farti uscire a questa ora...-
-Per favore...- mormorai in un singhiozzo. Tutte le emozioni che avevo provato e cercato di non far fuoriuscire 
fino a quel momento stavano a punto di venire fuori. La confusione, disperazione, tristezza, solitudine, incomprensione... Tutto in un semplice scoppio. Tutto il mio corpo era scosso da fremiti e George, vedendomi in tale condizione, si alzò dal divano e una vota che si fu avvicinato lo sufficiente, mi abbracciò.
-Non so cosa succede ma so che sarai responsabile...Porti il cellulare?- mi chiese.
Annuii, incapace di emettere un solo suono dalla mia gola.
-Allora vai... chiamami per qualsiasi cosa e non tornare troppo tardi...-
Appena si fu staccato non gli diedi tempo di aggiungere qualcos'altro che uscii dalla villa come un razzo. Corsi come se a seguirmi fosse un branco di lupi mannari. Correvo, nei pensieri c'era solo Fabio. Inciampai varie volte ma ciò non mi impedì di continuare per mio cammino. Potevo arrivare, potevo farcela. Ripensai alla prima volta che avevo visto Fabio.
Era entrato nella classe di biologia... E qualcosa in lui mi aveva attirato... Forse si trattava di quello sguardo sarcastico che con il tempo avevo iniziato ad amare, forse i suoi occhi, due grotte oscure nel quale mi perdevo ogni qualvolta che lo osservavo direttamente agli occhi, forse la tristezza che emanava, come se mi spingesse ad entrare nella sua mente e nella sua anima per sapere cosa lo tormentasse... Da quell'istante fu un continuo susseguirsi di avvenimenti... Conobbi i draconiani, diventai Thuban, mi fidanzai con Lung e iniziai a farmi degli nemici. Ma nulla e nessuno riuscii a far cambiare i sentimenti che provavo verso Fabio, all'inizio l'odiavo, lo trovavo insopportabile, un insensibile che usava le ragazze a suo piacimento. Solo più tardi iniziai a chiedermi del perché di quelle sue azioni. Senza rendermene conto inizia a provare interesse nei suoi confronti, volevo sapere tutto di lui.
Ma nessun momento può essere paragonato a quella notte, al nostro primo bacio quando lui mi disse di amarmi. Oh, in quel momento ero la ragazza più felice del mondo ma nello stesso tempo i sensi di colpa mi uccidevano. Ma poi lui fece l'errore di baciarmi o forse sono stata io a baciarlo, ma quando le nostre labbra si scontrarono, capii all'istante che era lui la mia casa, era lui quello che volevo, lui era tutto ciò che desideravo al mondo. E lentamente inizia a innamorarmi sempre di più, non è possibile che una persona provi un sentimento così forte verso qualcun'altro. Era così inverosimile... Inaudito. Ma io finivo col affezionarmi sempre di più. Tuttavia, ogni volta che facevamo un passo avanti, poi ne facevamo dieci indietro. Lui si allontanava, lui mi schivava o evitava ma questo non mi ostacolò nel continuare ad amarlo. Non era questo l'amore? Affrontare i sali e scendi? Lottare fino alle fine pur di rimanere insieme?
Quando iniziai a vedere le prime luci della strada, avevo la respirazione accelerata. Sudavo, ma il freddo era diventato quasi piacevole. In quel momento passò un taxi e io quasi mi butto in mezzo alla strada pur di parare l'auto. Il taxista si fermò e abbassando il finestrino mi scrutò con aria severa.
-Serve aiuto?-
Non lo guardai nemmeno. Entrai spedita nei sedili posteriori. -Mi accompagni a Piazza della Libertà, ora-
Il giovane mi osservò. Passò in rassegna il modo in cui ero vestita. Ero consapevole del fatto che sembravo una vagabonda ma tirando fuori una borsetta, aprii il mio portafoglio e gli mostrai i biglietti da venti euro. -Posso pagarla perciò si dia una mossa!-
Lui non se lo fece ripetere due volte e mise in moto la macchina. Nel frattempo io iniziai a prendere fiato. La corsa mi aveva affaticato, mi dolevano le gambe. Ebbi un capogiro e sperai di non svenire. Sii forte, Sofia, mi disse una vocina che non sentivo da mesi. Il cuore. Sia il cuore che il cervello avevano smesso di lottare da tempo, da quando mi resi conto di amare Fabio. Nulla poteva fare il mio intelletto per separarmi da Fabio. E il cuore lo sapeva bene. C'era una specie di pace tra il mio istinto e la mia anima, un equilibrio che si era formato da quando avevo ammesso a me stessa che non potevo stare lontana da Szilard e non potevo ostruire lo strano effetto che mi faceva ogni volta che si avvicinava a me.
Tirai fuori il mio cellulare e controllai l'ora. -Merda!- sbottai.
Mancavano solo venti minuti. Non ero sicura di poter arrivare in tempo.
-Può accelerare?- chiesi al giovane ragazzo che era in guida. Dubitavo che superasse i venticinque anni.
-Ci proverò...- rispose poco convinto.
Passarono vari minuti e io non smettevo di controllare l'ora. Si, lo so, sembravo una pazza appena uscita dal manicomio ma l'angoscia mi stava divorando. Ad un certo punto, mentre cercavo di analizzare il messaggio di Fabio, notai che il taxi si era fermato. Sospirai con frustrazione quando mi accorsi dell'orribile traffico che si apriva davanti ai miei occhi.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Pagai al taxista e uscii dall'auto. Stupida, Sofia! Mi sgridò il cervello, che ormai si era alleato con il cuore. Era Natale, era ovvio che centinaia di persone decidessero di celebrarla davanti all'enorme albero che riposava con tranquillità nel mezzo della Piazza. Senza perdere tempo, ricominciai a correre. Ero felice che perlomeno non fossi molto lontana dal punto d'incontro. C'era luce da tutte le parti, gli edifici antichi erano illuminati dai lampioni e dalle varie decorazioni. La piazza era affollata da persone di tutte le età, di uomini, donne, bambini... Tutti facevano un gran baccano. Cercai di sorpassarli, schivandoli e zigzagando come un serpente. Mancavano pochi minuti e io mi stavo avvicinando, riuscivo a distinguere l'alto albero di Natale piantato nella piazza. Si, ce l'avrei fatta, potevo farcela. Pochi passi e lo raggiunsi. Appena arrivai iniziai a cercare con lo sguardo Fabio.
E li vidi. Si, dico "li vidi" perché Fabio effettivamente non era solo. Mi nascosi dietro un cartellone, grande abbastanza da coprirmi tutta. I battiti del mio cuore iniziarono ad accelerare. Chi era la ragazza che stava con Fabio? Non l'avevo mai vista fino ad allora... Aveva i capelli scuri come quelli di Szilard ma erano lunghi e ondulati. Era bellissima, non passava di certo inosservata e vidi come ragazzi e uomini si voltavano ad osservarla meglio. Era tutto ciò che io non ero. Era aggraziata, muoveva i fianchi in modo invitante ed era così femminile e sensuale. Fabio le teneva un fianco, come a volerla proteggere e rivolse uno sguardo assassino a un paio di ragazzi che sembrarono sbavare quando videro la bellissima ragazza che lo accompagnava. Ammisi che era stupenda quanto una dea. Io stessa rimasi incantata davanti a tanto fascino. I suoi occhi sembravano rinchiudere tutta la luminosità della piazza, erano due carbonadi neri e preziosi.
Fabio, per canto suo, aveva la sua solita espressione beffarda... Ma c'era qualcosa di diverso in lui. Mentre teneva stretto la ragazza, appariva rilassato come non lo era mai stato in presenza mia. Ed era... felice. Sorrideva, ma era un sorriso vero, che raramente vedevo nel suo impeccabile viso. Sembravano una coppia così allegra... Non mi resi conto di piangere finché non percepii qualcosa di umido bagnare le mie guance. Un singhiozzo. Poi un altro. No... Era quella la sua urgenza? Voleva farmi capire che non ero nient'altro che una delle tante stupide che si era innamorata di lui? Che non ero tanto diversa dalle altre? Che alle fine, come era successo a tutte, ero finita col credere che io gli interessavo davvero? Voleva arrivare a questo? Io come idiota mi ero fidata delle sue parole... Li guardai per altri secondi. Lui si avvicinò all'orecchio di lei e le disse qualcosa, facendola ridere. Fu allora che mi resi conto di un particolare che avevo ignorato finora.
C'era una bambina con loro. Non sembrava avere più di tre anni. Trattenni il respiro quando vidi l'assurda somiglianza che c'era tra lei e Fabio. Speravo che si fosse trattato di un semplice gioco di luce e che quell'assomiglianza fosse del tutto casuale.
Ma poi la udii. Mentre indicava l'albero di natale urlò verso Fabio. -BABBO! GUADDA!-
Svenni. Caddi a terra e mi presi la testa tra le mani. I miei singhiozzi erano un leggero fruscio paragonato al caos che mi circondava. Nessuno badò a me.
Fabio era padre.
Fabio aveva una figlia.
Fabio amava già una ragazza.
E quella ragazza non ero io.
Fabio aveva afferrato il mio cuore, lo aveva separato dal resto del mio corpo e lo aveva appena distrutto.


Note dell'Autrice:

Ciao lettori!
Eccomi finalmente con l'ultimo capitolo di questa fanfiction... Si, ormai possiamo definire questa storia come conclusa... Non sará finita nei migliori dei modi, ma molte sorprese ho in riservo per voi per il sequel: A new beginning for us
Come vi avevo accennato ho provato a scrivere un capitolo lungo, pieno di dettagli e sorprese... Abbiamo un ricordo importante di Sofia, cioé quando Beatrice muore, due forti nemici si sono appena alleati, Sofia quando sembra aver messo in chiaro i suoi sentimenti verso Fabio, qualcosa sembra andare storto... 
Ragazzi, manca solo l'epilogo e finalmente diremmo addio a A thousand ways to say "I Love You". Scusate per il ritardo, ho avuto problemi, la scuola mi tiene troppo occupata e non ho neanche un secondo per respirare... Dovrei pubblicare l'epilogo tra poche settimane, prima di Natale se ci riesco. 
Comunque mie carissime, ora devo ringraziare quei 54 lettori che hanno messo questa storia tra le preferite, le altre 47 che l'hanno messa tra le seguite e per ultimo, ma non meno importante, grazie a quelle 9 persone che l'hanno messa tra le ricordate. 
Ovviamente, grazie di cuore per le vostre recensioni, per la vostra pazienza e per il vostro supporto. Non so che farei senza di voi.
Siccome questo é l'ultimo capitolo dove ci saranno i nostri protagonisti (nell'epilogo ci sará una bella sorpresa, un nuovo personaggio sempre della saga sta a punto di entrare), voglio che rispondiate sinceramente a delle domande: cosa vi é piú piaciuto di questa storia? Qual'é il vostro personaggio preferito? E cosa cambiereste nella fanfiction?
Prima di lasciarvi voglio dirvi anche che ho pensato di creare un gruppo Facebook per tenervi costantemente aggiornate, se volete ne creeró uno entro la prossima settimana, questo é il mio profilo Facebook ---> Anna Whitt (https://www.facebook.com/ondine.troisiworld
)
Questo é tutto, tanti baci e abbracci,
la vostra:

marty_598

P.S. (*) Pensavi che me ne fossi andata, lo pensavo anche io
Pensavo di lasciarti, ma sono rimasta
Sono venuta a vedere, sono venuta per vederti
[La canzone che canta Beatrice s'intitola I left degli Hunt]
 

   
 
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