Questa piccola one-shot riprende il mito di Atalanta inserendo al posto dei personaggi mitologici, quelli potteriani. Non è il massimo, ma l'ho scritta di fretta per un contest scoperto all'ultimo momento! =)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
I lunghi boccoli castani ondeggiavano dietro la fanciulla, spinti un
po’ dal vento, un po’ dalla corsa che lei stava
intraprendendo. Quel cinghiale, che fuggiva davanti a lei, era
consapevole di avere una prospettiva di vita ormai molto corta, ma
stava ugualmente tentando di salvarsi. Anche per gli animali, come per
gli uomini, valeva il detto “la speranza è
l’ultima a morire”.
Ma la sua speranza finì dopo pochi minuti. Una piccola
distrazione dell’animale gli valse una freccia piantata nel
cuore. Tra la gente girava voce che la dea Diana cacciasse in quei
boschi. Difatti spesso era stata vista una ragazza che vestiva, come la
dea, una corta tunica e dei calzari identici a quelli che gli artisti
rappresentavano ai piedi della divinità. E, a maggiore
conferma della credenza popolare, sulla spalla destra della fanciulla
era quasi sempre ben visibile una faretra piena di frecce, insieme a un
arco molto ben elaborato. Ma nessuno era mai riuscito ad identificare
chi fosse questa incarnazione della dea della caccia.
La ragazza, che avrà avuto all’incirca 17 anni, si
avvicinò alla carcassa, ormai immobile, e dopo avergli
legato le zampe, se la caricò in spalla e si diresse verso
il castello, dove risiedeva il re dell’Arcadia.
Per prima cosa passò dalle cucine, lasciando alle mani
esperte degli elfi cuochi la sua preda. Non vedeva l’ora di
gustarla. Odiava dover far lavorare quelle creature, ma doveva
ammettere che erano dei maestri nell’arte di preparare il
cibo. E le erano molto riconoscenti per la prelibata selvaggina che lei
ogni giorno portava loro da preparare per i pasti.
Dopo aver preso qualcosa da mangiare per riprendersi dalla fatica, si
avviò verso la sua stanza, meditando di fare un lungo bagno
caldo e rilassante.
- Hermione!
L’apostrofò quello, non appena lei
varcò la porta dei suoi alloggi.
- Salve padre.
- Quante volte te lo dovrò ripetere? Non sta bene che una
fanciulla, e per di più una principessa come te, si vesta
con una corta tunica e vada a caccia nei boschi.
- Padre, e io quante volte devo ripetervelo che queste convenzioni mi
fanno sentire in gabbia? Vi prego, lasciatemi libera di vivere la mia
vita a modo mio.
Aveva calcato molto sulla ripetizione degli aggettivi possessivi. Ma
lei era fatta così. Principessa di un regno che sarebbe
passato un giorno nelle sue mani, non aveva il minimo spirito politico.
Odiava tutto ciò che la teneva incatenata al castello, ogni
sorta di cerimoniale, quando invece, il suo sogno era solo quello di
poter essere trattata come una ragazza qualsiasi. Le piaceva cacciare,
stare immersa nella natura, sentire la voce delle piante e degli
animali.
Ma suo padre non perdeva occasione per rinfacciarle quando questo fosse
poco consono. Secondo lui sarebbe dovuta rimanere nei suoi alloggi a
tessere, come una perfetta matrona, ed uscire solo per delle
passeggiate nei giardini del castello, accompagnata dalle ancelle.
Questo si conveniva ad una principessa.
- Piccola mia, sei consapevole quanto me che ormai mi rimane poco da
vivere. Devi iniziare a prendere in mano alcune questioni. Prima tra
tutte quella del tuo matrimonio.
- IL MIO MATRIMONIO????
Lei urlò. Non le era minimamente passato per la testa che
avrebbe dovuto affrontare quell’argomento così
presto. Era vero che molte fanciulle, nel suo paese, si sposavano in
giovane età. Anzi erano la maggioranza. Ma lei, essendo
della famiglia reale, era sempre stata convinta di poter prendere la
sua decisione con la dovuta calma del caso.
- Non mi sembra il caso di reagire a questo modo. Sai che per accedere
al trono devi essere sposata. Sei una donna, e in quanto tale il regno
non ti spetterebbe e corriamo il rischio che si scatenino delle guerre
civili alla mia morte. Perciò ti chiedo di iniziare a
pensare a quale, tra i tuoi molti pretendenti, sia quello che vorrai
avere accanto a te per il resto della tua vita.
Detto questo, il re uscì, lasciando la figlia più
che mai sbigottita all’idea di dover prendere marito. In
fondo non era nemmeno maggiorenne ancora!
Il bagno caldo e rilassante che aveva in mente da quando era rientrata,
in quel momento le sembrava la cosa migliore da fare per cercare di
calmare i nervi. Litigare con suo padre non era mai una buona idea.
Soprattutto perché ogni volta si ritrovava a sentirsi in
colpa, anche quando era palesemente dalla parte della ragione. Lui
aveva questo potere.
Così chiese alle ancelle di prepararle la vasca, e, mentre
sentiva il rumore dell’acqua e i profumi degli oli e dei
saponi, si avvicinò alla sua libreria personale per
scegliere un libro da leggere mentre faceva il bagno.
Quello era un vizio, l’unico per la precisione, per cui
ringraziava sempre di essere nata figlia del re e non di un qualsiasi
popolano. Intendiamoci, amava passare del tempo a parlare con gli
abitanti del suo popolo, ma non sopportava l’idea che quelli
non sapessero leggere o scrivere.
Lei invece amava i libri, e aveva avuto la migliore istruzione che si
poteva desiderare. Veniva presa spesso in giro dal suo precettore.
- Sei una ragazza fuori dal comune. Tutte sognano di essere principesse
per poter vivere nel lusso sfrenato e non dover faticare. Mentre tu ami
il tuo rango solo perché ti consente di leggere. Ormai
sembra quasi che io sia diventato inutile!
Una volta scelto il tomo (un resoconto sulle ribellioni degli elfi
domestici dagli albori fino al suo tempo), si spogliò e si
immerse nella vasca, chiedendo alle ancelle di lasciarla sola. Avrebbe
chiamato lei quando sarebbe stato il momento di avere un po’
di aiuto.
Non sopportava averle intorno. Non era nel suo stile farsi cospargere
di profumi. Le davano fastidio. Ma loro insistevano, e
l’unico modo per scamparla, ormai aveva imparato che era
cacciarle dalla stanza da bagno e richiamarle solo quando fosse
già asciutta e vestita.
Passarono alcuni giorni, e il padre della bella riccia non aveva perso
mai nessuna occasione per ribadire alla figlia l’importanza
che trovasse un uomo da sposare. Lui era malato, e i medici non gli
davano molte speranze. Era fondamentale evitare il rischio che la sua
morte avvenisse quando ancora non c’era un erede degno.
- E sia. Mi sposerò. - concesse lei alla fine, dopo averci
ben riflettuto. – Ma ad un patto. – aggiunse.
- Quale, figlia mia?
- Che colui che mi avrà in sposa mi batta nella corsa.
Il padre inorridì.
- Ma non è assolutamente dignitoso! Sei una fanciulla, non
puoi cimentarti negli sport da uomini.
- Questa è la mia condizione, padre.
Era testarda e risoluta. L’uomo sapeva che una volta presa la
sua decisione era impossibile farle cambiare idea. E alla fine cedette.
- Va bene. Invierò un messaggio a tutti i tuoi pretendenti.
- Perché non un araldo in ogni città della Grecia?
- Sei pazza! Così tutti i regnanti assisteranno a questa
perdita di dignità!
- No, padre mio. Sapete bene anche voi che nessuno può
battermi quando corro.
In pochi giorni tutta la Grecia ascoltò il messaggio
proveniente dal regno di Arcadia. Gli araldi recitavano ovunque queste
parole: Udite, udite, cittadini! La principessa Hermione,
figlia del re d’Arcadia, ha proposto una sfida verso tutti
gli uomini che la vorranno chiedere in sposa. Solo chi
riuscirà a batterla nell’arte della corsa,
potrà avere diritto alla sua mano!
Questo messaggio fu recapitato anche in un piccolissimo regno, di cui
quasi nessuno era a conoscenza, se non coloro che con esso confinavano.
Qui era seduto sul trono il giovane Draco, appena incoronato dopo la
morte del padre.
Alto, biondo, occhi di ghiaccio come la sua anima. Non aveva mai visto
la principessa, ma era consapevole che il regno a cui avrebbe avuto
diritto se fosse riuscito nell’impresa era molto grande. E
questo gli faceva gola.
Era spietato, opportunista. Pensava esclusivamente al suo tornaconto
personale.
Ed era talmente tronfio e sicuro di sé che decise di
partecipare alla sfida convinto di vincere.
“Come potrà mai una semplice fanciulla vincere
contro di me? Sono imbattibile in ogni pratica sportiva. Compresa
quella da camera!”
Rise tra sé, e, chiamati gli elfi domestici, si fece
preparare un oggetto che avrebbe potuto utilizzare come passaporta.
Essere mago, oltre che re, era per lui una grandissima soddisfazione.
Arrivò il giorno in cui i pretendenti dovevano iniziare a
sfidare la principessa.
Lei si ergeva, bellissima, all’inizio della pista da corsa,
nello stadio. Rimasero tutti folgorati dalla sua persona, e furono
ancora più stupiti quando lei decretò le regole
per la gara.
- Chiunque voglia gareggiare con me deve essere ben conscio di
ciò a cui andrà incontro. Di sicuro starete
pensando tutti che sarà molto facile battermi nella corsa. E
allora, dato che siete così sicuri, io decreto che coloro
che non riusciranno nell’impressa perderanno la loro vita.
Mormorii diffusi saturarono l’aria dello stadio. Erano tutti
increduli di fronte a una tale proposta. Alcuni aveva anche iniziato a
nutrire seri dubbi sull’esito delle gare. Se la principessa
aveva messo una posta così alta avrà dovuto pure
avere le sue buone sicurezze!
Ma il primo a sfidarla, non si curò minimamente della cosa e
si posizionò sulla linea di partenza.
- Ti do un po’ di vantaggio.
La voce di Hermione lo fece vacillare per un momento.
- Cosa? Non se ne parla. Non posso approfittare di voi. Siete solo una
fanciulla, non mi sembra il caso di infierire a questo modo.
- Datemi retta, e partite. Io partirò poco dopo.
- Mia diletta, siete sicura di ciò che dite?
- Sono perfettamente conscia della situazione. Voi, messere, siete
consapevole, invece, che in gioco c’è la vostra
vita?
- Mia signora, lo so benissimo, ma sono altrettanto sicuro di non
rischiare nulla. Non voglio sminuirvi, ma è naturale che noi
uomini siamo migliori in certi ambiti.
- Partite, ora, e vi dimostrerò il contrario. Se siete
così sicuro che vincereste anche partendo nello stesso
momento non vedo dove sta il problema. A questo modo mi date solo la
possibilità di dimostrare la veridicità o la
falsità di una mia teoria. Accettate dunque, o devo
immaginare che preferiate ritirarvi?
Sempre brava con le parole. Sapeva che punti colpire in un uomo.
L’orgoglio prima di tutto.
- Non sia mai che mi ritiri. Potrei dare l’impressione di
aver paura. E ciò non accadrà mai di fronte ad
una donna. Nulla di personale, madamigella, solo puro orgoglio maschile.
- Partite allora!
Il giovane non se lo fece ripetere nuovamente e iniziò a
correre.
La folla mormorava più di prima, ma ciò non
stimolò la ragazza a partire. Rimase ferma finché
non vide il suo avversario ormai a metà del tracciato della
corsa. Solo allora si mosse. I suoi piedi sfioravano il suolo con una
delicatezza da farla sembrare simile ad una dea. Era veloce, molto
veloce.
Tutti gli uomini presenti impallidirono vedendola raggiungere in pochi
istanti l’uomo che la precedeva, e superarlo dopo solo due
secondi.
E ammutolirino definitivamente quando la videro prendere una freccia
dorata e scagliarla contro di lui. Lei ferma sulla linea di arrivo. Lui
ancora alcuni metri indietro. La vita lasciò quel corpo
troppo orgoglioso per ammettere che una donna poteva batterlo.
E fu così con tutti i successivi sfidanti, che furono molti.
Unica differenza era che non facevano più molte storie
quando lei comunicava che avrebbe concesso loro un vantaggio. Anzi, lo
accettavano di buon grado, sperando sempre che lei partisse un secondo
troppo tardi per poterli raggiungere. Speranza che veniva
immancabilmente stroncata quando lei prendeva la freccia dorata sulla
linea di arrivo e la scagliava contro i loro cuori.
Passarono alcuni giorni, e nessuno era ancora riuscito a battere la
ragazza.
Fu la mattina del quinto giorno che allo stadio arrivò
Draco. Scese in campo, perfettamente consapevole di quello che era
accaduto fino a quel momento. Dei messi regolarmente uscivano dalla
città per portare le notizie nei regni dai quali provenivano
i giovani rimasti vittime di Hermione, e lui ne aveva incontrati molti
sulla strada, e quelli l’avevano aggiornato.
Era sicuro di riuscire laddove tutti avevano fallito. Credeva di avere
un asso nella manica. La magia. Al riparo da occhi indiscreti fece un
incantesimo sui suoi calzari, facendo in modo che fossero quelli a
dargli la velocità necessaria a battere la fanciulla.
Non sapeva che era inutile e non avrebbe vinto comunque. Ma la dea
Venere, consapevole di ciò, si avvicinò a lui.
Era un ragazzo aitante, con un fisico perfetto. E la dea non poteva
permettere che una bellezza di quel genere finisse in modo tanto
brutale. Perciò decise di aiutarlo.
- Draco.
- Dea Venere. Quale onore! A cosa devo la vostra visita?
Freddo, glaciale, come i suoi occhi. Neanche agli dei portava rispetto.
E questo la diceva lunga.
- Mio caro ragazzo, non posso sopportare di vederti sconfitto da quella
fanciulla. Perciò vengo in tuo aiuto.
- So badare a me stesso.
- No. Anche lei ha i suoi trucchi, e i tuoi non basteranno per vincere.
Se ascolti me, invece, avrai salva la vita, e otterrai anche il regno
che brami.
Il ragazzo soppesò l’offerta. In fondo non ci
perdeva nulla. Se avesse utilizzato un trucchetto in più
poteva solo essere un qualcosa a suo vantaggio.
- Cosa devo fare?
- Prendi queste mele. Ogni volta che la principessa sarà
tanto vicina da poterti superare, lasciane cadere una. Vedrai che
rimarrà ogni volta indietro per raccoglierle.
La dea porse al ragazzo dei pomi d’oro, poi sparì
alla vista.
Il ragazzo entrò sulla pista da corsa e vide per la prima
volta la principessa.
Era bellissima. Il sole la illuminava dando dei riflessi dorati ai suoi
boccoli castani, e faceva risaltare le forme perfette del suo fisico.
Non seppe mai il motivo, ma si sentì completamente in suo
potere. Doveva vincere assolutamente quella corsa perché
quella creatura, solo con la sua presenza, gli aveva stregato il cuore.
“Ho avuto la mia piccola vendetta per come mi ha
trattata,” pensava intanto Venere, mentre vedeva il ragazzo
algido e freddo sciogliersi alla sola vista della principessa.
Hermione, dal canto suo, non credeva che tanta bellezza potesse
esistere veramente. E sperò con tutto il cuore che lui
potesse vincere la gara. Non voleva uccidere un essere così
perfetto.
- Ti concedo il vantaggio, - gli disse, come aveva detto a tutti i
precedenti sfidanti.
Lui la fissò annuendo, poi scattò in avanti ed
iniziò a percorre il tracciato.
Come sempre, quando lui fu a metà del percorso, anche la
fanciulla scattò. Stavolta ci mise più del solito
a raggiungere la sua preda, ma comunque era a pochi passi da lui,
finalmente, quando vide qualcosa di tondo e luccicante cadere a terra.
Non aveva mai amato comportarsi come conveniva alle ragazze, ma il
vizio, tutto femminile, della curiosità era insito in lei
come in qualsiasi altra donna. Per questo si fermò a
raccogliere il pomo d’oro, per poi partire di nuovo
all’inseguimento.
E la scena si ripeté altre due volte. Dopo
l’ultima scattò nuovamente, ma si accorse che
ormai il bel giovane era sulla linea d’arrivo.
Gli si affiancò e lo fissò negli occhi.
- Bene, mio signore. Avete vinto la gara, perciò siete degno
di divenire mio sposo.
Erano passati ormai molti mesi da quel famoso giorno in cui Draco aveva
vinto la corsa contro Hermione, e i due, felicemente sposati, sedevano
nel giardino del castello del regno d’Arcadia.
- Ora puoi dirmelo piccola. Come diamine facevi a correre
così veloce?
- Piccolo incantesimo di velocità sui calzari, caro.
- Anche io l’ho fatto, ma non è bastato.
- Mi sottovalutavi, mio signore, il tuo incantesimo era molto leggero!
Sorrise e si sporse verso di lui per baciarlo.
E pensavano entrambi che avrebbero voluto continuare a vivere
così, per sempre felici e contenti.