Rieccomi! Sta volta ho
fatto veloce! Non so se riuscirò sempre ad avere questo ritmo! In ogni caso
spero sempre di ricevere tante recensioni come per il capitolo scorso! Noto che
c’è tanta gente che ci tiene proprio a unirsi a noi popolo emo!XD
Ringrazio:
L chan, KeR, la mia dolce metà Frecchan, KLMN e la carissima Elly_Mello.
Grazie
a tutte! Spero di ricevere ancora le vostre recensioni!
Lolly<3
Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 3: Home
Mihael era immerso in un profondo sonno ristoratore quando
venne svegliato bruscamente da una scrollata.
Grazie alla coperta
fornitagli il giorno prima e al dolce calore materno non aveva avuto freddo, e
si era sentito protetto, tanto da addormentarsi placidamente. Essendo stato poi
svegliato con tanta violenza spalancò di colpo le palpebre per vedere chi fosse
stato. Riconobbe all’istante i volti squadrati e sprezzanti di Serghej e Boris. Quest’ultimo aveva una mano appoggiata
sulla sua spalla, e l’altra su quella di sua madre.
La donna dopo un attimo di
stordimento, sembrò ricordarsi di colpa cosa sarebbe dovuto accadere quella
mattina. Era ora di incontrare finalmente il famigerato Vasilij,
ma di ricevere soprattutto la sua nuova casa.
Si mise in piedi con un balzo
lasciando Mihael seduto a terra. Non lasciò nemmeno
il tempo ai due uomini di parlare.
“Sono
sveglia, sono sveglia! Possiamo andare!”
Serghej scoppiò a ridere di gusto. La sua risata assomigliava
al latrato di un vecchio cane feroce.
“Si vede
che sei proprio impaziente! Andiamo, meglio non aspettare ancora.”
I due, seguiti da Natassia che teneva per mano Mihael
rassicurandolo sul fatto che avrebbe potuto sdraiarsi su un vero letto, si
diressero dalla parte opposta della strada e quindi del porticato sotto il
quale lei e il figlio avevano dormito. Entrarono nel portone in legno scabro di
una palazzina grigia e triste, che non presentava alcun balcone ma solo una
facciata di finestre quadrate e tutte uguali. Salirono delle vecchie scale in
pietra per arrivare al primo piano. La porta dell’appartamento di destra era
leggermente socchiusa.
Boris le fece segno di
avanzare. Doveva entrare da sola. Natassia penetrò
timorosa nell’appartamento dando prima una bussata leggera, stringendo forte la
manina del figlio.
Si ritrovarono in quella che
doveva essere una minuscola sala-cucina dalle pareti ingiallite. Davanti a loro
c’erano un vecchio divano marrone e un tavolino. Da due finestre si
intravedevano i camini grigi sui tetti di Londra.
Un uomo corpulento, con radi
capelli brizzolati sulla testa tonda, incastrata in mezzo alle spalle sopra un
corto collo taurino. Diede una forte aspirata al sigaro che teneva tra le dita
tozze prima di parlare in perfetto russo.
“Natassia,
immagino. Io sono Kirill Vasilij”
La bionda chinò il capo
davanti all’uomo a cui doveva la fuga da Baranavichy.
Mello si nascose per tutta risposta dietro le sue
gambe aggrappandosi ai suoi jeans slavati. Non gli piaceva quel tipo. Per
niente. Aveva un’aria cattiva e solitamente le persone con quello sguardo non
facevano anche che farli soffrire entrambi.
Poi, percepiva la paura di
sua madre. Ne avvertiva il debole tremore standole così appiccicato.
“Immagino che Boris e Serghej ti abbiano già dato il benvenuto.” Continuò lui “Vado quindi subito al sodo. Da oggi in poi
questa sarà la tua casa. Qui nell’angolo c’è il bagno, invece dietro quella
porta a destra c’è la camera da letto. Letto matrimoniale. E’ non è messo lì
solo perché il tuo moccioso possa dormire con te. In teoria
il suo posto è il divano.”
Vasilij non aveva nascosto la sua cruda personalità. Era
andato subito al dunque, per intimorire la povera ragazza e non farle venire
strane idee. Sapeva come farsi rispettare dalle sue puttane, lui.
“Lavorerai
da subito, non voglio che tu perda del tempo. Verrò settimanalmente a farti visita, per ritirare
la mia parte e dirti se c’è qualche lavoretto che devi fare qui a casa… A volte
ci sono dei miei amici che desiderano dei trattamenti speciali, non so se mi
spiego.”
Natassia deglutì il nodo che le si era formato in gola. Sempre
le stesse storie. Le sembrava impossibile che quella non fosse Baranavichy, ma
Londra. Il copione era identico.
“E un'altra cosa… Il tuo bastardo
non deve dare problemi, chiaro? Appena vengo a sapere
che ha disturbato o che ha creato noia a qualcuno ci penso io… E stai pur certa
che non lo rivedrai più, almeno, non più in questo stato.”
“Mihael
non darà alcun fastidio!” gridò lei terrorizzata.
“Sarà meglio per voi.”
Il bambino si strinse ancora
di più alla gamba della madre. Vasilij era cattivo.
Ne aveva ormai la certezza, era tanto crudele. Lo usava per ricattare la sua
mamma… Una cosa orribile. Lo odiava a morte, eppure non poteva fare niente.
Già, come avrebbe potuto lui, uno scricciolo indifeso, per di più in quel
momento pure con la febbre, a farla pagare a quell’uomo? Semplicemente, era
impossibile.
A grandi passi rumorosi sul
vecchio parquet tutto ammaccato Vasilij avanzò,
arrivando davanti a Natassia.
Sorrise, indirizzando lo
sguardo al bambino. Ma il suo non era un sorriso benevolo. Era una smorfia, e
più Mihael lo guardava e più gli veniva voglia di
fargli qualcosa di brutto. Non importava cosa.
“E poi,
sai, Natassiuska,
sarebbe davvero un peccato rovinare questo bel visino da angioletto. E’ proprio carino…”
Mihael non permise a quella mano enorme e che puzzava di
sigaro di toccargli i capelli come sembrava avesse intenzione di fare. Con uno
scatto nonostante la febbre, si scostò di lato e si gettò sul divano.
“Ha la febbre… Ha bisogno di riposare…”
si scusò prontamente la donna per il comportamento del figlioletto.
“In bagno
c’è un armadietto con dentro dei medicinali. Dovresti trovarci anche qualcosa per far scendere la
febbre. Come vedi l’appartamento vale quel che ti chiedo come pagamento…”
A mala pena Natassia finì di ascoltarlo prima di precipitarsi nel
bagnetto. In effetti in quella stanzetta microscopica
oltre ad un lavandino e un gabinetto in ceramica scadente e una doccia c’era un
armadietto bianco appeso al muro. Dentro c’erano medicinali e oggetti per il
pronto soccorso di ogni sorta, dal mercurocromo alle pastiglie per l’ulcera.
Non ci mise molto a trovare
una bustina di paracetamolo, che porse poco dopo al bambino sdraiato sul divano,
sciolta in un bicchiere d’acqua del rubinetto.
Riluttante, Mihael prese la medicina senza fare storie, anche se aveva
un sapore terribile. Gli ricordava quello della menta, ma era artificiale,
assolutamente imbevibile. Voleva far piacere a sua madre, più che altro.
La vide finalmente sorridere,
mentre gli accarezzava il capo e gli sussurrava parole dolci. Quel sorriso,
leggero, appena accennato, gli scaldò enormemente il cuore… Era raro che Natassia sorridesse con sincerità. Ogni volta Mihael custodiva quell’espressione all’interno del suo
cuore. Era così che voleva ricordarsela, quando era da solo…
L’atmosfera creatasi fu
brutalmente interrotta da una grossa mano insensibile che afferrò il braccio
sottile di Natassia tirandola su in piedi con
pochissima grazia.
“Finiscila con queste
smancerie.” Intimò Vasilij “E’ venuto il momento di testare la merce, non ti pare? E se sei
brava, potrei anche farti portare qui un televisore come premio.”
“Ma Mihael…”
“E smettila di parlare di Mihael! Ti ho già avvertita che se diventa un problema te
lo faccio portare via. Ah, se solo fossi stata una delle mie ragazze quando ti
hanno messa incinta, vedevi, non te l’avrei di certo fatto nascere, il piccolo
bastardo.”
Era la seconda volta che Vasilij parlava di Mihael
riverendosi al bastardo. La ragazza
non poteva sopportarlo… Lui non lo era, non era un
bastardo, al contrario, lui era un angelo. Vasilij
non capiva.
Che lei non fosse
assolutamente in grado di dire chi tra i suoi numerosi clienti avrebbe potuto
essere il padre del bambino, non era rilevante. Semplicemente era stato un
piccolo miracolo, ne era fermamente convinta. Aveva sempre fatto attenzione,
eppure era successo… Quindi l’unica spiegazione possibile era che
effettivamente Qualcuno aveva voluto che lui venisse al mondo.
Eppure… Eppure non poteva in
alcun modo ribellarsi a quelle frecciate taglienti, mentre veniva letteralmente
trascinata in quella camera da letto.
E Mihael?
Mihael se ne stava accoccolato in posizione fetale
nel divano, quasi volesse scomparire. Il suo era un urlo gridato senza usare la
voce. Stava male oltre che fisicamente, anche psicologicamente. Vasilij lo aveva fatto sentire indesiderato come mai prima
di quel momento.
Perché Mihael
non era certo stupido. Aveva avvertito tutto il disprezzo di quell’uomo verso
la sua matiuska,
che considerava solo una delle sue puttane, e verso di lui, il piccolo bastardo.
Una rabbia e una tristezza
inconsolabile iniziavano a crescere dentro di lui. Sarebbe esploso prima o poi,
ne era sicuro.
Era in più
convintissimo che Vasilij sarebbe stato punito
all’Inferno una volta morto… Eppure si chiedeva se tutto questo era giusto. Se
lo chiedeva da tempo, ogni volta che sua madre era costretta a lavorare. In qualche modo avrebbe dovuto
fare qualcosa. Non riusciva più a sopportare le porte che sbattevano e i gemiti
attutiti dallo spessore dei muri proveniente dalle camere da letto, a Londra
esattamente come era a Baranavichy.
Infondo non chiedeva molto, solo una vita felice con la sua cara matiuska.
Si tappò di colpo le orecchie
e strinse le palpebre, mentre le lacrime iniziarono a colare sulle guance
arrossate.
Serrò forte i pugni uno contro l’altro, tenendo la croce del rosario che
aveva al collo, pregando che tutto finisse. Pregando che Londra fosse davvero
la svolta delle loro miserabili vite. Come gli aveva insegnato Natassia, iniziò pian piano a mormorare tutte le preghiere
che sapeva a memoria. Infondo, non erano proprio le preghiere più sussurrate,
quelle che Dio ascoltava di più?