Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 2: Welcome
Un raggio di sole
entrò on forza da una fenditura della cassa, illuminando il volto della
giovane ragazza bionda, destandola. Aprì piano le palpebre, ancora assonnata. La sua visione era resa sfuocata dal lungo sonno
e i suoi occhi non erano più abituati alla luce, ma riusciva a scorgere
da dove proveniva: un quadrato luminoso davanti a sé.
Due figure evidentemente
maschili si sporgevano in controluce. Due uomini con il viso grezzo e lo
sguardo sinistro.
Il primo sulla destra aveva
le guance mal rasate sul viso squadrato, il secondo portava un vecchio berretto
di lana blu un po’ scolorito. La osservarono con curiosità per una
manciata di interminabili secondi, tanto che lei si chiese se fossero davvero
le persone che dovevano accoglierla. Le avevano assicurato, prima di farla
partire per quel viaggio della disperazione, che sarebbe arrivata in un cortile
poco lontano dalla casa in cui Vasilij
l’avrebbe accolta e che due suoi uomini fidati di nome Boris e Serghej avrebbero condotto lei e Mihael
direttamente da lui.
Le sembrava di essere ancora
in un sogno, e che quei due volti non fossero altro che un’immagine
creata dalla sua fantasia mista ai suoi desideri più profondi.
I suoi dubbi si diradarono
quando uno dei due sporse un braccio villoso all’interno della cassa
dandole un leggero schiaffetto per svegliarla del tutto, per poi parlarle in
russo.
“Siete Natassia e Mihael, da Baravichy, vero?”
Subito la bionda si rese
conto di un fatto di rilevanza, a cui aveva davvero, e forse stupidamente, poco
pensato: quella sarebbe stata una delle ultime volte in cui avrebbe potuto
parlare russo. Da lì in avanti avrebbe dovuto imparare l’inglese.
Stessa cosa valeva per Mihael.
“Siamo… Siamo
arrivati?” chiese con un sussurro.
“Sembra
proprio di sì, bellezza… Benvenuta a Londra. Io sono Serghej, e lui invece
è Boris.” Le rispose il tipo col cappello.
Il bieco sorriso che le
faceva come segno di benvenuto però sparì in un attimo dal suo
volto, trasformandosi in un’espressione preoccupata. Si tirò un
poco indietro rivolgendosi al compagno, sussurrando le frasi, come se non
volesse farsi sentire da Natassia.
“Ho paura che il
bambino…”
Non finì la
frase. Afferrò con tutta la
delicatezza possibile un piccolo arto di Mihael che
giaceva inerme sul petto della donna.
Lei fu come risvegliata da
quel gesto. Quasi si era dimenticata, presa com’era dalla felicità
di essere arrivata a destinazione e di aver lasciato probabilmente per sempre
“Mihael!”
Chiamò presa dal panico “Mihael, rispondi, Mihael!”
Lo scosse con un braccio spaventata, piuttosto violentemente, temendo il
peggio, temendo che fosse morto di sete e di stenti mentre lei dormiva.
Non avrebbe resistito, non ce
l’avrebbe fatta se quella fosse stata la cruda verità. Si sarebbe
uccisa senza esitazioni.
Emise un lungo sospiro di
sollievo vedendolo aprire gli occhi e stiracchiare le gambe. Era solo
profondamente addormentato, e Natassia
ringraziò Dio per averlo fatto sopravvivere. Il suo cuore si era come
alleggerito: ce l’avevano fatta entrambi. Potevano rifarsi una vita
lontano da Baranavichy. Il futuro era Londra.
La giovane uscì dalla
cassa con estrema fatica, con Mihael sempre in
braccio, aiutata dai due uomini di Vasilij.
Effettivamente, si trovava in
un cortile asfaltato, con tanti garage. A parte loro quattro, era deserto.
Era tutta anchilosata, aveva
mal di schiena. Le giunture scricchiolavano una dopo l’altra per aver
cambiato la posizione che teneva da troppo tempo lì dentro, e il suo
stomaco brontolava sonoramente. Soprattutto tuttavia era in pensiero di nuovo
per il piccolo: pareva spossato nonostante avesse dormito, tutto abbacchiato
sulla sua spalla sinistra, senza alcuna vitalità. I suoi occhi azzurri
erano stranamente spenti. Era evidente che non stesse bene. Il viaggio era
stato estenuante e lo aveva molto indebolito. Mihael in effetti si sentiva malato, con la testa pesante e le
ossa che dolevano, come quando aveva la febbre.
“Amore?”
cercò di farlo parlare, come per avere una prova in più del fatto
che fosse realmente sopravvissuto “Hai visto che siamo arrivati? Ce
l’abbiamo fatta, siamo a Londra! Non sei contento, tesoro?”
“Sì… Ma ho
fame, e ho mal di testa…”
“Siete stati
fortunati.” Lo interruppe Serghej “Sono
in ‘sto giro di trasporto di clandestini da
qualche anno, e credimi, i marmocchi come il tuo muoiono come mosche durante i
viaggi nelle casse. Hai avuto un gran culo, bellezza.”
Le addrizzò un sorriso
sghembo poco rassicurante. Natassia cercò di
evitare quello sguardo e appoggiò una mano sulla fronte del figlio
constatando che era realmente bollente.
“Mihael ha la febbre… Devo portarlo a riposare! Conducetemi da Vasilij, vi
ha mandati lui, no? Ha detto che aveva
l’appartamento…”
“Sì, Vasilij ha mandato me e Boris a prenderti, ma ti
darà l’appartamento solo domani, perché ha delle faccende
da sbrigare adesso.”
“Ma Mihael
sta male, non possiamo dormire fuori!”
“Non è un
problema nostro! Ti accompagniamo fino alla casa, e tu vedi di restare nei
paraggi, perché se ti perdi sono cazzi tuoi! Andrò a comprarvi
anche da mangiare, visto che immagino che tu non abbia soldi.”
La donna abbassò lo sguardo piena di vergogna. Il suo arrivo nel paese della
Speranza non era iniziato bene. Si sentiva piena di aspettative infantili,
straniera in un mondo crudele che non l’avrebbe certo accolta a braccia
aperte. Avrebbe dovuto sputare sangue per rifarsi una vita, era certo. Ma
l’importante in quel momento era pensare a cosa fosse meglio per suo
figlio, e questo era assolutamente il meglio che lei potesse offrirgli.
“Accompagnala, Boris,
io vado a comprarle qualcosa.” Riprese Serghej.
“Va bene, ci vediamo
dopo.” Rispose l’altro incamminandosi.
Camminarono per una piccola
stradina che partiva dal cortile insinuandosi tra due file di case popolari
tutte sbilenche e addossate le une alle altre. Il cielo era chiazzato di
nuvole, ma non faceva troppo freddo. Non ci misero molto a fermarsi sotto una
specie di porticato ricoperto da un intonaco giallo scuro crepato in molti
punti a causa dell’umidità. Le avevano detto la verità
quando era partita: la casa di Vasilij non era
lontana da dove era uscita dal camion.
Boris si mise davanti a lei
con le mani sui fianchi, e iniziò a parlarle con aria solenne.
“Mentre aspettiamo Serghej, voglio approfittarne per dirti alcune cose
importanti che dovrai sempre ricordare. La prima è che Vasilij, come avrai intuito, ti da
un opportunità davvero grande affittandoti quell’appartamento.
Sì, affittandotelo, non regalandotelo. Questo significa che pretenderà
un pagamento.”
“Lo so cosa
vuole.” Tagliò corto Natassia “Il
60% dei miei guadagni settimanali, più campo libero sul mio conto…”
“Esatto, devi dargliela
gratis, per farla spiccia. Quando vuole lui, come vuole lui e dove vuole lui.
Lui dev’essere il tuo padrone assoluto, e non
potrai mai dirgli di no.”
Abbassò la voce per
entrare in confidenza con lei. Le sue parole divennero un mormorio.
“Guarda
che non scherzo, quello fa sul serio, e non è un uomo che si fa molti
scrupoli. Oltretutto, al contrario
della maggior parte delle sue ragazze, tu hai una fragilità in
più: tuo figlio. Se fai un torto a Vasilij,
questo se la prenderà con il bambino per fartela pagare cara, stanne
certa. Te lo ritrovi morto ammazzato, o forse anche peggio, te lo dico
io… Fai attenzione. Mai dire di no a quell’uomo.”
La giovane non poté
fare altro che annuire, cercando di nascondere il tremore. Iniziava a temere
quel Vasilij, era sicura che Boris non stesse
scherzando. Mihael era il suo punto debole, e
chiunque per aver avuto potere su di lei avrebbe capito che doveva minacciare
di fare del male al figlio. Era stretta in una morsa. L’idea che qualcuno
avesse potuto toccare in qualsiasi modo il suo angioletto la faceva impazzire
di dolore. Se c’era qualcuno che non se lo meritava, era proprio lui.
“Il secondo punto
riguarda proprio il tuo marmocchio.” Continuò
l’uomo “Solitamente Vasilij permette raramente
alle sue puttane di avere figli, perché sono solo delle seccature in
più da mantenere. Tu l’hai avuto prima, e quindi sei
un’eccezione. Devi però arrangiarti da sola per dargli da
mangiare, lui non ti farà sconti famiglia, chiaro?
Ah, e un’altra cosa: se rimani incinta da adesso in poi vale la stessa
regola delle altre, ti obbligherà ad abortire. Anche se credo che sia
abbastanza sensato, dato che ne hai già uno…”
“Ho capito, ho
capito.” Rispose lei con un viso grave.
Istintivamente la sua presa
si era stretta intorno al corpo di suo figlio. Le regole di Vasilij
erano dure. Era un uomo senza pietà. Si chiese se sarebbe mai riuscita
ad uscire dal giro in cui si era dovuta invischiare,come
aveva sperato prima di partire per Londra.
Mihael nel frattempo non ascoltava. Sonnecchiava contro sua
madre, con un dito appoggiato sulle labbra e la testa troppo pesante per
restare sorretta. Non era per niente eccitato all’idea di essere arrivato
in Inghilterra. Aveva capito perfettamente che le pene della sua giovane matiuska non erano finite. E lui odiava
vedere sua madre che stava male, che piangeva, che tornava a casa sfiancata nel
cuore della notte, oppure, che degli uomini estranei venissero a casa a fare
non si sapeva bene cosa, visto che ogni qualvolta questa accadeva veniva subita
chiuso a chiave in quella specie di sgabuzzino che avrebbe dovuto essere la sua
cameretta.
In poco tempo arrivò Serghej con passo spedito. Boris tacque e si fece
leggermente da parte. L’uomo era arrivato con un sacchetto della spesa in
mano. Lo posò a terra e ne estrasse un hotdog che
porse alla bionda.
“Tieni,
questo è per te. Ce ne sono altri dentro. Ti ho preso anche
dell’acqua, degli snack, delle composte di mela. Ah, ti ho comprato anche
una coperta,visto che tuo figlio è malato.
Così ‘sta notte non prenderà troppo freddo.”
Natassia posò a terra Mihael
senza nemmeno prendere l’hotdog e frugò
nel sacchetto. Prese la coperta quasi piangendo di gioia e immediatamente la
avvolse intorno al corpo scottante del bambino, prima di sedersi contro il muro
del porticato e accettare finalmente il pasto. Mihael
stava sulle sue gambe così infagottato sempre contro di lei,
l’orecchio contro il suo seno a sentire il battito del suo cuore.
Gli venne data l’acqua
che tanto desiderava da prima. Bere fu davvero un sollievo per le sue piccole
membra stanche. Natassia staccava dei bocconi di hotdog e glieli porgeva per far mangiare anche lui. Avevano
entrambi una gran fame.
“Grazie,
mamma. Sono felice che possiamo
mangiare adesso.”
“Anch’io
sono felice. Vedrai che domani
sarà ancora meglio, avremo la casa! Così potrò chiedere al
signor Vasilij di poter andare a comprarti delle medicine
per farti scendere questa brutta febbre.”
Serghej e Boris se ne andarono a malapena salutandola.
Lei e Mihael
continuarono a mangiare in silenzio, per poi aspettare la fine della giornata,
immobili come statue, nel loro angolino di portico. La sera non tardò infatti ad arrivare, doveva essere pomeriggio al momento
del loro arrivo. Con la sera poi, arrivò il buio.
Natassia strinse contro di sé il figlio malato per
scaldarlo, prima di scivolare in un profondo sonno senza sogni.
Eccomi qui con il
secondo capitolo… Spero sia gradito come il primo! Ringrazio il mio amore
Frecchan e la carissima Elly_Mello,
KeR, e _pEaCh_ per le recensioni! Grazie mille!
Spero che continuiate a leggere con interesse! E come sempre… Sono lieta
di rendervi emo!XD
Chuuuuu!
Lolly