Prompt: 19. Regali di
Natale
Titolo: Regali di Natale
Autore: Calime
Fandom: Frozen – Il Regno di Ghiaccio
Personaggi: Anna, Elsa, Re, Regina
Genere: Fluff, Generale Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: Missing Moment
Lunghezza: 2522 parole – 5 pagine (contatore Word)
Note dell’autore: Giusto in tempo per Natale con un prompt a tema!! Questo è il mio
regalino per voi tutti, sperando che apprezziate nonostante la carica di angst :)
Non aspettatevi un allegro Natale, perché la protagonista è Elsa, che potrebbe essere OOC… Dico
“potrebbe” perché per me non lo è. Ho ambientato la one-shot in un periodo abbastanza prossimo
all’incidente, quando ancora Elsa ha fresca la paura ma non ne è divorata e ho supposto che fa
una sconsideratezza spinta dalla preoccupazione per Anna. Comunque, fatemi sapere sinceramente
cosa pensate :)
Ho tenuto “Babbo Natale”, perché ogni Paese ha le sue tradizioni e non mi pareva il caso di
usare proprio il termine in norvegese o altre lingue.
Vi abbraccio tutti, augurandovi un bellissimo Natale! ♥
Snowflakes
Momenti della nostra
vita
07. Regali di Natale
Delicatamente passò le piccole dita tra le foglie e i decori
della ghirlanda natalizia, che teneva in grembo. Seduta sul letto a
baldacchino, troppo grande per il suo corpo di bambina, Elsa
alzò gli occhi all’ampio soffitto, stringendo le
labbra in una linea sottile, le palpebre serrate per isolarsi dalla
realtà e volare via, indietro nel passato.
Riportò alla mente il crepitio del fuoco nel camino, il
calore delle fiamme, l’atmosfera gioiosa e le venne naturale
abbracciare Anna, che le saltò al collo facendola quasi
cadere.
Le foglie appuntite della ghirlanda la riportarono dolorosamente alla
realtà: non si trovava nel salone, non stava abbracciando
Anna, non c’era nessun fuoco a donarle calore –
soltanto una stanza vuota e fredda, e quel regalo anticipato che
stringeva al petto con tutte le sue forze.
«Anna…» mormorò con voce
fioca, accarezzandolo.
Era la Vigilia di Natale, ma aveva rifiutato l’abete
addobbato che il papà voleva sistemare nella camera.
Tuttavia, la settimana successiva le aveva portato un po’ di
vischio, agrifoglio e pungitopo da appendere ai mobili e alle colonnine
del letto. Elsa aveva tentato di dissuaderlo dall’intento, ma
lui era stata irremovibile, facendola ricredere quando si divertirono a
sistemare tutto.
E ciò che teneva con tanta cura tra le braccia –
quella ghirlanda dai piccoli e grandi fiocchi non molto stretti e le
pigne e le bacche colorate non ben sistemate – era il suo
personale Natale. L’aveva fatta Anna con l’aiuto
della mamma e il fogliettino appeso recava la calligrafia grande e
tremolante della sorellina: “Buon Natale, Elsa”.
«Buon Natale, Anna» rispose con un piccolo sorriso.
Fece per alzarsi dal letto e riporla sulla cassapanca, quando
percepì distintamente un forte calpestio in corridoio: passi
veloci e ansiosi si susseguirono in fretta. Preoccupata, corse verso la
porta e subito vi poggiò l’orecchio in ascolto, ma
non riuscì a distinguere alcuna parola, soltanto voci
confuse e familiari.
Cos’era successo?
La preoccupazione fu un crescendo continuo per tutto quel pomeriggio:
altro trambusto aveva sentito qualche ora prima e, ricordandosi la
disposizione delle camere da letto, era riuscita a capire a cosa fosse
dovuto, o meglio a chi.
Qualcosa era successo ad Anna.
Ma cosa?
Perché nessuno non le aveva ancora detto nulla?
Dov’era il papà? E la mamma? E Gerda? E Kai?
Elsa non fece che ripetersi il monito per tutto il tempo, sussurrandolo
appena, focalizzandosi su ogni singolo termine, controllando il respiro
e l’accelerazione del battito. Aveva fatto nevicare appena e
riverberi di ghiaccio erano comparsi qua e là sui vari
mobili e sul pavimento.
Il sole era tramontato e l’ora di cena vicina: presto avrebbe
avuto tutte le risposte.
Due colpi secchi alla porta e poi il vocione gentile di Kai la fecero
scattare come una molla giù dalla sedia. Aprì
subito, lasciandolo entrare e sommergendolo al contempo di domande.
«Anna! Anna! Cosa è successo? Come sta? Kai,
rispondimi per favore. Ti prego…»
Il maggiordomo posò il vassoio con la cena sulla scrivania,
lasciando uscire dalle labbra serie un sospiro. «Non si
tormenti così, principessa. La principessina si
riprenderà presto».
Anna stava male?
Elsa sentì un tuffo al cuore, ma non riuscì a
chiedergli altro: era appena uscito, lasciandola di nuovo sola.
Angosciata, osservò le pietanze abbondanti e si decise a
mangiucchiare qualche pezzo di pane, la zuppa ormai tiepida a causa
della bassa temperatura della stanza e le succose mele.
Soltanto più tardi, quando il cielo si scurì
ulteriormente, il Re bussò alla porta per darle la
buonanotte.
Non appena gli aprì, Elsa si gettò tra le sue
braccia aperte, sfregando il viso bagnato dalle prime lacrime sulla
giubba.
«Padre, Anna… Anna sta bene?» La voce
uscì rotta e soffocata dal tessuto.
Il Re accentuò la stretta. Avrebbe dovuto metterla subito a
conoscenza dei fatti: la sua primogenita ed erede era fin troppo
intelligente e intuitiva, ma non voleva allarmarla prima di essere
certo dell’accaduto. Sciolse l’abbraccio per
poterla guardare in quegli occhi che entrambe le figlie avevano
ereditato dall’amata moglie, e le sorrise con dolcezza,
dispiacendosi di averle procurato involontariamente tutta
quell’ansia.
«Guarirà presto» rispose.
«È ammalata?» Elsa si
allarmò, aggrappandosi con forza al tessuto della giubba.
Il padre le accarezzò le guance con tenerezza. «Ha
preso il raffreddore, ma è normale in questo
periodo».
Quelle parole riuscirono a sciogliere la fastidiosa morsa che le
attanagliava lo stomaco e con le maniche della vestaglia
andò ad asciugare le lacrime versate. Tirò su con
il naso ed annuì, prima di replicare: «Domani
è Natale». Al suo cenno affermativo,
continuò: «Non potrà aprire i regali,
se sta male».
«La febbre è scesa. Sono certo che domani
starà così bene che verrà a svegliarci
all’alba, impaziente di aprirli». Il Re rise
spensierato e fu allora che la figlia si acquietò,
accettando il bacio della buonanotte.
Con Anna, che bussava ogni giorno alla sua porta per invitarla a
giocare, le sue orecchie erano abituate a percepire ogni minimo rumore:
ormai riconoscevano la cadenza dei suoi piccoli passi, quale fosse il
suo ritmo nel bussare e, da quanti colpi dava alla porta, Elsa riusciva
a capire di che umore fosse.
Fu a causa di questo senso sviluppato che si svegliò nel
cuore della notte: non sapeva che ore fossero, né da quanto
stesse dormendo. Il rumore di passi proveniente dal corridoio era
troppo simile a quello sentito durante il pomeriggio, persistente ma
meno violento.
“La febbre di Anna era peggiorata”,
pensò subito. Il respiro le si mozzò in gola e il
cuore perse un battito, mentre la preoccupazione si riversava in
brividi lungo la schiena.
Scese in fretta dal letto per raggiungere la porta. Come quello stesso
pomeriggio, appoggiò l’orecchio
all’altezza della toppa e ascoltò, attenta ai
brusii e ai fruscii che provenivano da fuori.
Non riuscì a distinguere bene le voci e questo la rese
ansiosa e frustrata. Voleva sapere come stava Anna, ma non poteva
uscire. Era bloccata lì dentro, mentre la sua sorellina
soffriva.
Quel pensiero la spinse a reagire. Prese un po’ di coraggio
e, afferrata la maniglia, spinse piano per riuscire a spiare con un
occhio la situazione.
Il buio la accolse, così si arrischiò ad aprire
di più, fino a quando non riuscì a scivolare
silenziosamente fuori.
Più in là, proprio dove si trovava la stanza di
Anna, stavano la mamma e Gerda, che reggeva in mano una candela. Grazie
a quella debole luce Elsa riuscì a distinguere i loro volti
preoccupati e in attesa.
Non tenne conto di quanto rimase lì, nascosta dalla notte,
forse interi minuti o qualche secondo – probabilmente lo
stesso tempo si fermò a tenerle compagnia. Schiacciata
contro il legno intarsiato alle sue spalle, era pronta a rientrare in
camera prima di venire scoperta.
Le lancette del suo personale orologio ripresero a girare, quando
sentì il cigolio caratteristico della porta. Qualcuno era
appena uscito dalla stanza di Anna: il papà?
Le voci si sovrapposero: alcune acute, altre più roche e
profonde. Con lo sguardo fisso sulle due donne e l’unico
punto di luce, Elsa riuscì a scorgere un volto maschile che
riconobbe come quello del dottore. Sforzandosi ancora, strinse le
palpebre per riconoscere chi gli era affianco.
“Padre!”, quasi le
scappò dalle labbra
serrate.
Attentamente ascoltò il sussurrare del dottore, ma non
riuscì a comprendere molto tra il tono basso di voce e
l’utilizzo di alcuni vocaboli a lei sconosciuti. Soltanto
quando vide la mamma e Gerda guardarsi con dei piccoli sorrisi e le
spalle finalmente rilassate, tornò il sereno nel suo piccolo
mondo.
«Buon Natale, Maestà».
L’augurio arrivò chiaro alle sue orecchie: segno
che il dottore si stava congedando e lei, di conseguenza, non poteva
più stare lì. Fu lesta a rinchiudersi dentro la
camera, mentre il cuore scalpitava nel petto per la paura, ma il gruppo
passò oltre e il corridoio ridivenne silenzioso.
“Era già Natale e Anna stava ancora
male”, pensò stropicciando la stoffa
della
vestaglia nei piccoli pugni chiusi.
Attese, restia a tornare a dormire. Poteva mai avere sonni tranquilli,
sapendo che Anna soffriva? Papà l’aveva
tranquillizzata, certo, ma prima di quello.
Sospirò, tenendo lo sguardo basso e fisso
sull’orlo della vestaglia: gli occhi si erano ormai abituati
all’oscurità e il ghiaccio presente in giro
rifletteva la fioca luce della luna e delle stelle, illuminando appena
l’ambiente.
Finalmente sentì tornare la mamma e il papà, che
oltrepassarono entrambe le stanze, fermandosi in fondo al corridoio.
Quando sentì chiudersi la porta e tornare il quieto
silenzio, interrotto dal lieve ticchettio della pendola che scandiva i
secondi, Elsa smise di trattenere il respiro.
Un pensiero prese dimora nella sua testa, così tanto che non
riuscì a cacciarlo via: “E
se… E se…”
Inghiottì a vuoto.
Soltanto per assicurarsi. Soltanto per augurarle
silenziosamente buon
Natale e buona guarigione. Soltanto…
Una lacrima silenziosa scese lungo la guancia, fino
all’angolo delle labbra dove si asciugò.
Per vederla. Soltanto una volta, quella volta.
Non voleva disubbidire ai genitori, né fare del male ad
Anna. Scivolò a terra, rannicchiandosi con le gambe strette
al petto e il volto nascosto.
Ricordava e mai avrebbe dimenticato quello che fu, quello che perse,
quello che successe.
Alzò il viso con gli occhi lucidi, decisa. Nessuno
l’avrebbe saputo, neanche Anna.
In fretta si rimise in piedi e piano aprì la porta, attenta
a non provocare alcun tipo di rumore. Uscì senza richiuderla
e iniziò ad avanzare nella quasi totale oscurità,
con il cuore che sembrò scoppiarle in petto.
Non tornò indietro.
Piede destro avanti, poi il sinistro, e così via, le braccia
stese innanzi per evitare di sbattere contro i mobili.
Finalmente la punta delle dita incontrarono l’ostacolo
cercato: era arrivata. Appoggiò i palmi sul legno recante i
decori caratteristici del castello e della famiglia reale.
Scivolò quindi in alto e un po’ a destra, fino a
quando non incontrò la maniglia.
Per un attimo si trovò ad indossare i panni di Anna: era
così che si sentiva ogni volta? Con quella forte speranza di
vederla?
Scosse la testa per snebbiarla dai pensieri e, senza indugiare
ulteriormente, si affrettò ad entrare.
Orientarsi non fu facile, ma gli occhi e i ricordi furono dei validi
alleati. Non aveva più visto quella stanza da quando avevano
spostato le sue cose, eppure si accorse subito di come il letto di Anna
fosse sempre allo stesso posto.
Si avvicinò silenziosa e presto riuscì a poggiare
le mani sulle pesanti coperte. Il chiarore del cielo stellato la
aiutò: Anna dormiva tranquilla su un fianco, respirando un
po’ affannosamente per via del raffreddore con la bocca
aperta. Riuscì a notare il colorito pallido soltanto a causa
delle guance accese di rosso, ma nonostante ciò sembrava
stare bene – forse stava sognando qualcosa di bello.
«Buonanotte, Anna» sussurrò appena,
persa nella contemplazione.
Non fermò la mano che andò a sfiorarle il ciuffo
di capelli sulla fronte. Le dita accarezzarono quelle ciocche un
po’ umide di sudore, soffermandosi poi sull’unica
bianca: segno indelebile del suo errore.
Gli occhi si inumidirono di una colpa mai espiata e
sussultò, indietreggiando, sopraffatta dai ricordi. Doveva
andarsene! Cosa stava facendo lì?!
«Elsa?»
Quella vocina strascicata e sofferente la riportò
bruscamente alla realtà, ma per fortuna Anna aveva appena
mormorato nel sonno.
«Elsa» continuò a chiamarla, poi
tossì.
Elsa le fu subito accanto. «Shh, Anna. Anna, andrà
tutto bene. Te lo prometto» sussurrò, passandole
una mano sulla fronte calda.
«Elsa…» piagnucolò la
piccola, agitandosi nel sonno.
Sentendola tremare appena, si allontanò di scatto: Anna
doveva stare al caldo, non sentire freddo a causa sua.
“Sarebbe guarita presto”,
sperò.
Fece per voltarsi e tornare indietro, quando si accorse di come la
sorellina avesse allungato un braccio verso di lei per riuscire a
toccarla.
«Elsa, Babbo Natale ha esaudito il mio desiderio»
stava articolando a fatica. «Volevo tanto vederti. Facciamo
un pupazzo di neve insieme?»
Elsa si sentì morire: le labbra tremarono appena e lacrime
iniziarono a rigarle le guance. Le asciugò in fretta con le
maniche della vestaglia per afferrare la sua mano tesa. E a quel
contatto Anna emise un sospiro, rasserenata; rilassò la
fronte e le sopracciglia, mentre le palpebre sbatterono appena senza
però aprirsi.
Sapeva di dover approfittare del momento e uscire, ma non se la
sentì di lasciarla: da quanto non
si trovavano così vicine? Da quanto non stringeva la sua
mano?
Si era aspettata di soffocare sotto il peso delle emozioni e dei
dolorosi ricordi; invece, la testa era stranamente vuota, leggera.
Forse Babbo Natale esisteva davvero, ma lei non era stata una brava
bambina quell’anno: aveva fatto del male ad Anna.
Perciò, non meritava tutto quello. Non meritava quel
contatto.
«Babbo Natale, per favore, fa’ che Anna si svegli
senza febbre. Ti prego. Ti prego. Ti prego»
sussurrò al vuoto, stringendo la morbida mano della
sorellina. «Rinuncerò a tutti i regali di Natale,
lo prometto, ma guarisci Anna».
Fu con il cuore a pezzi che lasciò la stanza.
*
«Mamma! Mamma!»
La Regina mugugnò qualcosa nel sonno, muovendo il corpo
intorpidito. Quando sentì un peso non bene identificato
caderle addosso, pensò che la sua ora fosse ormai giunta.
Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò a
specchiarsi in quelli ridenti della figlia minore.
«Posso aprire i regali? Eh, mamma? Posso?»
Sbatté le palpebre più volte, pensando di stare
ancora sognando, ma il sorriso di Anna era proprio lì
davanti. E, sentendola ridere, la abbracciò forte.
«Anna!» sospirò con sollievo.
«Tesoro mio, come stai? Ti senti bene?»
Anna tirò su col naso, mentre la mano della mamma le tastava
la fronte alla ricerca di un calore che non era più presente.
«Non hai più febbre… Sia ringraziato il
cielo!» Gioì, tenendola stretta e cullandola
dolcemente.
«Mamma, Babbo Natale ha esaudito il mio desiderio! La mia
letterina gli è arrivata!» esultò Anna.
La Regina la guardò con aria confusa, ricordandosi delle sue
richieste: una bambola, un nuovo peluche e… Elsa.
La sua bambina era proprio testarda… Ma se ancora doveva
aprire i regali, come faceva ad essere sicura che Babbo Natale le
avesse portato tutto?
«Elsa è passata a trovarmi! L’ha portata
Babbo Natale!»
La donna rimase ancora senza parole, ma subito pensò che
fosse stata la febbre a portarle degli strani sogni. Non era possibile
che avesse visto Elsa!
«Davvero?» Le sorrise, prendendole il viso tra i
palmi delle mani. Con i pollici le accarezzò le gote paffute
e rosate.
Anna annuì convinta. «Sono sicura che oggi
vorrà giocare con me! Gliel’ha fatto promettere
Babbo Natale».
La Regina sospirò con un piccolo sorriso:
«Perché non vai ad aprire i regali,
intanto?»
La piccola annuì e saltò giù dal
lettone ridendo, mentre correva fuori dalla camera dei genitori.
Non appena fu uscita, si ridistese, voltandosi verso il marito che
aveva osservato tutta la scena.
«Sono contenta di vederla così allegra»
gli disse, sollevata.
«Sarà stato Babbo Natale…» Il
Re scrollò le spalle, lasciandole un bacio sulla fronte
fresca. «Dovevamo chiedergli di regalarci un altro paio di
giorni di tranquillità» ammiccò.
La Regina arrossì sulle guance, rimproverandolo:
«Agdar!»
Lui scoppiò a ridere di gusto, abbracciandola stretta.
«Non è affatto divertente! Mi ha fatta stare
parecchio in pensiero! Non aveva mai preso un raffreddore
così brutto…»
«Sta crescendo» constatò il Re. Poi le
sorrise, baciandole una guancia. «Buon Natale,
cara».
«Buon Natale» rispose lei, accoccolandosi contro il
suo petto.