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Autore: suni    06/11/2008    5 recensioni
Aveva bisogno di crederci. Di dire a se stesso che sarebbe bastato volere e non arrendersi per riuscire a raggiungere il suo obiettivo, indipendentemente da quanto chiunque si fosse adoprato in senso contrario, compreso l’obiettivo stesso. Lo avrebbe fermato a qualunque costo. [Naruto]
E qualsiasi cosa fosse successa ne era sicuro, non si sarebbe fermato. Aveva percorso troppa strada per permettere che un ostacolo lo rallentasse e avrebbe annientato qualunque oppositore, qualunque. Lo avrebbe fatto senza esitare, anche se dentro avrebbe sanguinato a morte. [Sasuke]
La resa dei conti è vicina…
[SPOILER! Shippuuden fino all’episodio 423!]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Volontà

Un piccolo, breve esperimento a due voci.

Non so bene che senso abbia, anche la costruzione è un po’ strana.

Spero non sia troppo sgradevole.

(Ripeto, spoiler consistenti fino al 423 dello Shippuuden. Siete avvisati…)

A presto

suni

 

Volontà

 

(Speranza e vendetta)

 

 

 

 

 

Tornare a casa e trovarla per metà in macerie. Sakura stremata, Kakashi in ospedale, ridotto a uno straccio sbrindellato – e ancora grazie che fosse vivo. Tsunade, anche lei, quasi morta. Tutto per lui e la cosa che aveva dentro.

Tutto per Kyuubi, il demone volpe.

Non era esattamente il rientro ideale.

Il futuro gli sembrò preoccupante.

 

Strana notizia. Questo Pein doveva essere una specie di dio, eppure Suigetsu giurava di aver sentito gli Akatsuki discutere dell’uomo con uno sharingan che lo aveva fermato, permettendo l’intervento dell’Hokage.

C’era un solo uomo con uno sharingan, a Konoha.

Gli sfuggì un sorriso.

Lo nascose immediatamente a se stesso.

 

 

 

Konoha si rialzava con la resistenza abituale: era già sopravvissuta a molti disastri, aveva radici piantate nella terra e teneva duro, sempre. Lui era uno shinobi di Konoha e come la sua patria avrebbe tenuto la testa la testa senza cedere. Piuttosto sarebbe morto.

Pensava spesso all’espressione del viso di Sasuke, la sua mano sollevata nell’intento di lanciare un colpo, trattenuta da quella di Orochimaru. L’ultima immagine che aveva di lui lo vedeva frenato da un mostro che gl’impediva di nuocere.

Era un tale controsenso.

 

C’erano dei tizi che gliel’avevano giurata per la faccenda del jinchuuriki delle otto code. Quando Madara gli aveva dato la notizia lui aveva risposto con un’occhiata squisitamente indifferente e un’esclamazione di scherno verso quei poveri illusi.

Che bastassero tre cretini della Pioggia a ostacolarlo non era neanche da prendere in considerazione. Non ce la facevano nemmeno Naruto e i suoi amici spostati, che pure si impegnavano tanto e con tanta dedizione.

Quante maledette scocciature.

 

 

 

Sasuke portava un mantello nero e rosso, come quello che aveva indossato Itachi?

Proprio il suo, magari. Forse in quel modo pensava di sembrare qualcuno che non era. Forse così si sentiva un assassino più credibile. Qualunque cosa fosse, lui si diceva che quando l’avesse visto gli avrebbe aperto gli occhi e ricordato chi fosse veramente. Allora cercava nello sguardo smeraldino di Sakura un conferma di cui non aveva realmente bisogno. Il fallimento non era un’ipotesi da calcolare.

Di fatto, era impossibile che si verificasse: lui non era un avversario qualunque, non era soltanto un nemico da eliminare. Lui era il suo migliore amico – ricordava ancora il suono della voce di Sasuke mentre faceva quella confessione – e al momento del dunque, ne era certo, questo avrebbe influito più di tutto il resto.

I legami non si spezzano.

 

Naruto si stava ancora allenando per diventare forte abbastanza da riportarlo indietro?

Decisamente probabile. Forse era la sua maniera di rifiutare una realtà avvilente. Forse così riusciva ancora a illudersi di non aver perso qualcosa di prezioso. Era talmente testardo e infantile, con quell’idea del team indistruttibile e dell’unione incancellabile dei suoi membri. Lui, a quel pensiero, non riusciva quasi più a ricordarsi dell’epoca in cui era stato quasi convinto di simili idiozie.

Naruto coltivava una fantasia irreale: se un tempo quello che li legava era stato importante, poi era stato distrutto. Aveva estirpato accuratamente ogni vincolo per diventare il vendicatore che aveva scelto di essere - la delusione negli occhi di Naruto al momento in cui gli aveva detto della sua volontà, la ricordava bene.

Erano in frantumi, quei legami.

 

 

 

Sapere che gli Akatsuki lo cercavano non gli faceva veramente paura.

Non era la cosa più importante, per lui. La cosa più importante era che con loro si trovava Sasuke e che per questo, presto o tardi, sarebbero entrati obbligatoriamente in collisione. Quel giorno, ne era certo, il castello delle menzogne che il genio diceva a se stesso sarebbe crollato come la finzione che era. Ce l’avrebbe fatta, lo avrebbe fatto rinsavire.

Aveva bisogno di crederci. Di dire a se stesso che sarebbe bastato volere e non arrendersi per riuscire a raggiungere il suo obiettivo, indipendentemente da quanto chiunque si fosse adoprato in senso contrario, compreso l’obiettivo stesso. Lo avrebbe fermato a qualunque costo, senza permettere ai rischi e alla caparbietà ottusa di Sasuke stesso di fermarlo. Perché lui era Uzumaki Naruto e non si arrendeva davanti a niente.

Nel momento in cui si fossero incontrati di nuovo non sarebbe rimasto inerme a guardarlo scappare, non lo avrebbe lasciato continuare a avanzare sulla sua strada di sangue e morte, che prima o poi lo avrebbe ingoiato nelle propria tenebra. Perché era la persona più importante che ci fosse nella sua vita e quindi, che gli stesse bene o meno, lui lo avrebbe aiutato.

Era questo, essere un amico.

 

Non si preoccupava del fatto che gli altri Akatsuki volessero Naruto morto.

Non aveva più la minima importanza, l’unica cosa che contasse era ottenere la vendetta che aveva cercato tanto a lungo, per cui aveva rinunciato a tutto. Quando era stato un membro del team sette forse ne avrebbe sofferto, ma la persona che era diventato non aveva più nulla a che vedere con quel patetico, debole e ridicolo ragazzino.

Faceva tacere la voce debolissima dentro di lui che gli ricordava di risate e battibecchi, di bronci, proteste e spintoni. Quando avesse rivisto Naruto, il giorno della fine di Konoha, l’avrebbe messa a tacere definitivamente guardandolo morire. E allora sarebbe arrivato esattamente dove voleva arrivare, a lavare via l’onta del disonore dal suo nome e a ottenere finalmente la giustizia che il villaggio gli aveva vilmente negato.

E qualsiasi cosa fosse successa ne era sicuro, non si sarebbe fermato. Aveva percorso troppa strada per permettere che un ostacolo lo rallentasse e avrebbe annientato qualunque oppositore, qualunque. Lo avrebbe fatto senza esitare, anche se dentro avrebbe sanguinato a morte. Anche se, nonostante gli sforzi, non sarebbe riuscito del tutto a dimenticare.

Non era mai stato un buon amico.

Ma mi sarebbe piaciuto esserlo, Naruto.

 

 

 

 

   
 
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