III –
L’Imperatrice
L’Eco dei
Secoli
Singapore. 16 Agosto 2011
Michael non aveva dormito bene dal
giorno del suo ultimo furto. Ogni volta che provava a chiudere gli occhi
l’immagine della donna morta alle Sail Towers tornava a perseguitarlo, e con
lei le sue parole. Michael non aveva
il controllo. Non poteva credere che un giorno sarebbe arrivato qualcuno che
conosceva i suoi trucchi. Alanna sapeva come funzionava la sua magia fin da
quando si erano conosciuti. Era stata la prima a informarlo delle sfumature del
suo potere, ma non credeva che l’Imperatore conoscesse il suo segreto.
Questo cambiava tutto. I suoi
progetti futuri erano da rivedere e temeva di non riuscire a fronteggiarlo. Non
solo, se sapeva che le sue erano illusioni, allora poteva anche sapere che il
suo potere si affievoliva dopo la luna piena e scompariva del tutto il giorno
della luna nuova. Il suo cuore scalpitava ogni volta che si aggiungeva un nuovo
punto a suo sfavore. L’Imperatore non era un nemico che poteva vincere in una
battaglia a parole e mostrandosi sicuro di sé per incutere timore. Anche se era
stato avvertito anni prima, davanti a lui si prospettava una vera guerra che
non poteva permettersi di perdere o avrebbe perso tutto. Le memorie delle sue
vite passate ricordavano l'Imperatore come un uomo crudele, scaltro e senza
scrupoli che manipolava gli altri pur di colpire il suo obiettivo dove poteva
ferirlo di più.
Doveva rendersi introvabile nei giorni in cui
era vulnerabile e fare più attenzione del solito. Se fosse arrivato a lui non
solo sarebbe stato in pericolo ma avrebbe coinvolto la persona che amava di più
al mondo. Si stava pentendo di quello che aveva fatto, indirettamente rischiava
di coinvolgere Angéline in nome del ricordo di una donna.
Pensare a sua sorella gli diede una
stretta al cuore. Era un mese che non la vedeva e aveva tutto il diritto di
andare a trovarla, ma se lo faceva adesso che aveva dichiarato guerra a un uomo
potente come Bowers, l'avrebbe messa in pericolo.
Se l’avesse vista, lei gli avrebbe
preso il volto tra le mani gentili e gli avrebbe detto che tutto sarebbe andato
per il meglio. Aveva bisogno della presenza di Angie, la Regina di Coppe si
infilava nei suoi pensieri quando meno se lo aspettava e non riusciva a
guardare la mano che aveva stretto il coltello.
Michael aveva ucciso.
Era la prima volta che succedeva e
sperava che fosse l’ultima. Per lui, l’omicidio era sempre stato il fallimento
di un piano, significava essere stati poco attenti ed essere stati scoperti.
Non aveva mai messo in conto che qualcuno avrebbe potuto progettare un omicidio
per renderlo debole. Perché così che Michael si sentiva: per la prima volta in
vita sua era insicuro sulla prossima mossa da seguire, era sotto scacco di un
re che giocava da molto più tempo di lui e non aveva la minima remora
nell’usare mezzi illeciti. Non sapeva se fargli un applauso per quella perfidia
o esserne preoccupato. Il suo cervello gli dava delle vie di fuga, dei modi per
salvarsi, ma in tutti Angie rimaneva indietro e non poteva permetterlo. Se
avesse abbandonato sua sorella, la sua coscienza sarebbe morta subito dopo.
Com’era riuscito a trovarsi in una
situazione del genere? Com’era riuscito l’Imperatore a prevedere le sue mosse e
farsi trovare pronto a contrattaccarlo nel modo peggiore possibile? Frugando
tra i suoi ricordi, Michael sapeva che l’Imperatore non poteva vedere il futuro
ma non capiva come aveva fatto a trovarlo e vincerlo a una partita che lui
aveva preparato con cura.
Non era ancora riuscito ad analizzare
gli eventi di quella notte. Li riviveva, ma si sentiva come se non gli
appartenessero, quasi li stesse osservando da oltre un vetro, dove suoni e
odori non potevano raggiungerlo.
Il suo cervello razionale gli diceva
che era stata una macchinazione, che la donna si era suicidata e lo aveva
costretto a impugnare quel coltello ma Michael sapeva che c’era sempre un’altra
soluzione. Avrebbe potuto allentare la presa, avrebbe potuto spingere indietro
la donna. Avrebbe potuto evitare di diventare un assassino.
Sono un assassino.
Andò in bagno e ficcò la testa sotto
il lavandino reprimendo i brividi che l’acqua gelida gli facevano venire. Si
scostò i capelli dal viso, e guardandosi allo specchio cercò tracce del Michael
che era stato qualche giorno prima. Non c’era il suo sorriso superbo né
quell’aria di chi osservava il mondo partecipare a un gioco che capiva solo
lui.
Lo specchio gli rimandò indietro
l’immagine di una persona che non conosceva. Di nuovo, si analizzò come se non
fosse lui il soggetto in esame. Aveva le occhiaie profonde. Gli era già capitato in passato, dopo il suo primo
furto non aveva dormito la notte perché aveva i sensi all’erta, in attesa di
capire se la polizia lo aveva scoperto o meno. Non aveva lasciato tracce, ma
all’epoca non ne era stato sicuro.
E poi ancora più indietro, quando i
suoi genitori urlavano nella stanza accanto e lui sentiva ogni parola di sua
madre mentre affermava che quello che aveva messo al mondo un giorno sarebbe
stato un mostro e che lui e Alain dovevano andarsene.
Erano lontani i tempi in cui si era
sentito piccolo e in balia degli eventi. Il giorno in cui suo padre morì decise
di abbandonare ogni paura e non farsi controllare dal destino. Non si sarebbe
affezionato a nessuno che avrebbero potuto usare per farlo cadere in fallo. Il
giorno che aveva sepolto suo padre era nato Michael Dubois, il ladro. E anche
se Angéline era la sua debolezza e il suo peccato più grande, non permetteva
nemmeno a lei di scalfirlo a sufficienza per fargli smettere di essere un ladro
e un truffatore. Aveva iniziato a lavorare per la malavita, progettando con un
sorriso furti impossibili per poi guardarli con orgoglio, ma non si era mai
sentito il mostro che sua madre aveva descritto.
Almeno fino a ora. Nell’immagine
dello specchio si rifletteva il volto di un assassino. Il viso di un mostro.
Ficcò di nuovo la testa sotto l’acqua
corrente, sperando che riuscisse a lavare via lo sporco che si sentiva addosso
ma quella sensazione strisciante sotto pelle non accennava a diminuire e
nell’acqua che scorreva nello scarico
intravedeva il sangue di quella donna che lo ricopriva da capo a piedi.
Si scostò, ricadendo indietro sul
pavimento freddo del bagno di lusso.
Aveva usato una delle sue identità
fittizie per prenotare una stanza in uno degli hotel più costosi di Singapore.
Ma nemmeno le luci calde e soffuse e i mobiletti in legno di cedro riuscivano a
calmarlo. Nulla avrebbe potuto calmarlo. Nulla, a parte una persona.
Fissò disperato il cellulare abbandonato sul
tavolino accanto al divano. Non aveva mai sentito un tale bisogno di sentire la
sua voce.
«Sono completamente pazzo» mormorò
tra sé e sé rimettendosi in piedi. Stava rischiando tutto, stava rischiando la
sua vita per delle paure che non riusciva a mettere a tacere. I suoi io del
passato avevano ucciso, alcuni più di una volta, ma non erano mai arrivati al
punto di sentirsi così persi e disperati.
Aveva bisogno di capire come.
La luna era ancora nel pieno del suo
splendore e per lui fu un attimo evocare con le immagini delle sue vite
passate. Ne chiamò cinque, quelle che più premevano per uscire fuori e che si
facevano sentire di tanto in tanto per torturarlo con alcune delle memorie più
tristi e allo stesso tempo dolci che un essere umano potesse provare.
Gli occhi verdi di Elena ricambiarono
i suoi mentre congiungeva le mani in grembo, sul tessuto di lana soffice della
gonna lunga fino ai piedi. Accanto a lei, Owen era pieno di furia con la barba
rossa sfatta che si mischiava ai capelli ricci. Ogni cosa di lui parlava di un
uomo che non aveva altro obiettivo nella vita se non la vendetta. Si muoveva
come una corda tesa a testa alta, così diverso dall’uomo che era stato prima
che la sua Emily morisse. Il terzo uomo, Michael lo conosceva bene. Suo padre
lo scrutava con aria superiore e lui si sentì consapevole di essere un
fallimento per quegli occhi e quei ricordi. Alla sinistra di Alain si stagliava
un’altra ragazza. Sembrava ancora più minuta nel suo abito vaporoso di fine
ottocento e incastrata tra suo padre e un legionario romano.
Cinque delle sue memorie più
importanti, scelte tra le tante perché in un momento della loro vita avevano
ucciso e si erano confrontati con l’Imperatore.
– Come avete fatto a non impazzire? –
chiese con voce rotta.
Era una prerogativa della sua magia
creare illusioni viventi, dando voce e forma alle immagini delle sua testa. In
quel caso, Michael aveva proiettato all’esterno le voci che mormoravano dentro
di lui e i visi che vedeva nei sogni.
Elena lo guardò con dolcezza. – Perché
la amavo – gli rispose. – E lei amava me. Non potevo impazzire con questa
consapevolezza. Non potevo permettermelo. Avevo ucciso per proteggerla e
l’avrei fatto mille altre volte.
– Lei mi rimase vicina. – mormorò la
dama vittoriana. Charlotte, si chiamava. – A quel tempo era nostra sorella.
Quando uccisi, nei dintorni di Whitechapel, lei si prese cura di me, mi restò
vicina promettendomi che tutto sarebbe finito bene. – le si velarono gli occhi
di lacrime e Michael sapeva perché. Poco dopo l’omicidio che commise Charlotte,
Anna, sua sorella e Regina di Spade morì, lasciando vedovo il marito sposato da
un anno e la bambina appena nata. Per un attimo, fu tentato di far sparire
Charlotte e farla tornare un mormorio confuso nella mente. – Lui la trovò – disse la ragazza – e me
la portò via davanti agli occhi.
– Dopo Emily, – interruppe Owen. –
non ho mai avuto pace. Lucas e l’Imperatore ce l’avevano portata via. Mia
moglie, uccisa davanti ai nostri figli, sotto il tetto di casa nostra. Avrebbe
dovuto essere al sicuro. La vendetta e calpestare chiunque si mettesse tra me e
i suoi assassini era l’unica ragione che mi tenevano in vita.
– Io non volevo essere un soldato. –
disse il legionario. – Mio padre lo era in gioventù. Apparteneva alla II Augusta e aiutò con le sue mani a
costruire il Vallo di Adriano. Se non fossero stati stazionati a Isca Silurum non l’avrei mai conosciuta.
Non sono diventato un legionario per Roma, quella patria lontana di cui avevo
sentito solo storie, ma per proteggere lei dai nemici. Mi accoglieva ogni volta
con un sorriso e mi sentivo al sicuro solo quando tornavo tra le sue braccia.
Uccidere era l’unico mezzo che conoscevo per tenerla al sicuro e non mi sono
mai guardato indietro né mi sono pianto
addosso.
– Io non l’ho mai incontrata – disse
suo padre facendo un passo avanti – né ho mai conosciuto il vero amore. Ma
questo già la sai. Quello che vuoi sapere è come ho potuto convivere con gli
omicidi che mi sono lasciato dietro. La risposta è semplice: non avevo altra
scelta. O la loro vita o la mia. E una volta superato l’orrore della prima
volta, le altre diventarono via via più semplici fino a diventare parte della
mia vita.
Riguardando il volto di suo padre,
Michael si rese conto del perché avesse giurato di non uccidere: quegli occhi
nocciola erano vuoti. Consumati da una vita fatta di menzogne, bugie e
crudeltà. Michael ricordava quando gli unici scopi nella vita di suo padre era
la creazione di furti sempre più complessi e fantasiosi e l’addestramento di
Michael. Perfino Angéline, sua figlia, era passata in secondo piano con il
passare degli anni.
– E l’Imperatore? – domandò Michael
guardando i cinque che aveva richiamato.
– Ci vuole morti e la nostra memoria
cancellata dal tempo. – rispose Elena grave. – Per lui non c’è altro al mondo
che desidera di più. Noi morti e la regina di nuovo nelle sue mani.
– E ogni volta che ci siamo
ritrovati, – aggiunse Owen chinandosi all’altezza dei suoi occhi – noi e lei,
ha commesso gli atti più atroci pur di portarcela via.
– E Bowers è ancora più formidabile
perché ha impiegato anni a concentrare su di sé denaro e potere. – disse suo
padre
– Come fece Malik ai suoi tempi. –
disse Marco, il legionario. – Raccolse attorno a sé denaro e potere, arrivando
a diventare uno degli uomini più potenti di Babilonia.
Quel nome fu un flash nella sua mente e per un attimo lo vide, mentre accarezzava
il volto di una donna con una spessa treccia bionda fino alla vita e gli occhi
di due colori diversi. Michael la ricordava come bella e sapeva che quel suo io
del passato aveva passato ore a osservarla nei giardini di Malik mentre
corteggiava le sue altre serve. Malik aveva dichiarato quella sua nuova schiava
intoccabile e lui ne era stato attratto proprio per quel divieto. Si era
divertito a incontrarla quasi per caso, aggirando i divieti di quello che a
quei tempi era un amico fraterno e alla fine si era innamorato di lei.
Si prese la testa tra le mani. – Cosa
mi sta succedendo? – si domandò con il
cuore in gola e un senso di oppressione al petto. Da quello che aveva letto,
avrebbe potuto dire che stava avendo un infarto, invece sapeva che era il suo
cuore che si stava spezzando ripetutamente.
– È lui. – disse Charlotte. – Sono i
suoi sentimenti.
– Il suo dolore. – spiegò Elena.
– Il nostro dolore. – disse Owen.
Tutti e cinque si piegarono in avanti
stringendosi il petto nella morsa della mano, come se fossero stati colpiti
tutti insieme da un attacco di cuore. Perfino il padre di Michael era piegato
in due con il viso contorto al dolore. – I suoi sentimenti sono così forti che
superano i secoli. – sussurrò Alain in agonia.
Michael rimase immobile a fissare suo
padre soffrire. Non aveva mai visto quell’espressione sul suo viso che si
rifletteva sulle quattro persone accanto a lui, e sapeva, anche sul suo. Era
impossibile non provare dolore sentendo il proprio cuore ridursi in frammenti.
– Per lui intendete...?
Una nuova fitta lo piegò in due e la
vista si offuscò. Sentiva le lacrime affacciarsi senza riuscire a trattenerle
che mi mischiavano alle imprecazioni e maledizioni che gli salivano alle labbra
in una lingua che non conosceva.
Era la realizzazione di ciò che aveva
sempre temuto: perdere se stesso nelle memorie di qualcun'altro e non avere più
il controllo del proprio corpo. – Atlaeia. – gemette a denti stretti disteso
sul freddo pavimento di marmo. – Amore mio.
Gli anni che aveva passato a
seppellire quelle emozioni sparirono e venne travolto dall’immensità del dolore
che aveva provato lungo i secoli. I nomi, gli aspetti, le espressioni della
Regina di Spade si accavallarono nella sua mente minacciandolo di farlo
impazzire.
– Smetti di lottare. – gli
sussurrarono le precedenti Lune. – Tu sei noi e noi siamo te. Io nostro dolore
è il tuo dolore. La nostra gioia è la tua gioia.
Provò a scacciarle, disperdendo la
magia ma ne aveva perduto il controllo ed era completamento dominato da essa.
Sapeva che non era più lui a manovrare l’incantesimo ma qualcun'altro. Qualcuno
che aveva vissuto millenni prima e aveva avuto la forza e l’arroganza di un
dio. Il suo nome gli risalì alle labbra, a metà tra un’imprecazione e una
preghiera: – Nefer. – mormorò stringendo i pugni. – Lasciami andare.
Le cinque illusioni sparirono,
sostituite da quelle di un ragazzo che aveva circa la sua età. Gli occhi verdi
che spiccavano sotto i ricci scuri e la pelle olivastra lo inchiodarono contro
il pavimento.
Stava fissando negli occhi il suo
capostipite. Il guerriero egiziano sfuggito alla caduta di Babilonia. L’uomo
che aveva amato una schiava più delle sue mogli e dei suoi figli. L’uomo che
alla fine, aveva condannato le loro vite.
– Credi che il mio amore ci abbia
condannati? – domandò con un sorriso storto.
– Sei un’illusione della mia mente.
Sparisci.
Tentò di nuovo di dissipare la magia
ma quella non voleva rispondergli. Le illusioni erano il frutto della sua
immaginazione. Giochi che creava con la mente e Nefer avrebbe dovuto sparire
nel momento stesso in cui lo aveva rinnegato.
– Se mi avessi rinnegato sul serio,
sì, sarei scomparso. – rispose Nefer con il sorriso che si allargava. – Ma tu,
come Owen, come Elena, come Artemide, non hai mai amato l’ignoranza. Non capire
perché i sentimenti che abbiamo provato ti turbino così tanto ti impedisce di
mandarmi via. Vuoi una risposta.
– Allora sii gentile e dammela.
Perché Atlaeia? Perché non posso vivere la mia vita in pace?
Nefer alzò il viso, fissando il muro
senza vederlo veramente e Michael sapeva che a volte, lui aveva lo stesso
atteggiamento quando cercava le parole per una risposta che non sarebbe
piaciuta. – All’inizio, Atlaeia era solo un gioco. Malik aveva ordinato a tutti
di non toccarla e io, noi, che abbiamo sempre desiderato quello che non
possiamo avere, abbiamo iniziato a osservarla, a studiarla perdendoci nella sua
bellezza e nella sua dolcezza. Anche se era schiava da anni, aveva nel fondo
degli occhi una luce irrequieta che nessuna sevizia riusciva a cancellare.
Chiunque incrociasse il suo sguardo non poteva fare a meno di rimanere
incantato da lei. È per questo che Malik la scelse per i suoi esperimenti di magia,
Atlaeia era forte e caparbia. Se le cose fossero andate diversamente, se fossi
stato più umile al mercato degli schiavi, lei sarebbe stata la regina che
meritava di essere.
– Le persone cambiano. – Michael
batté gli occhi, rendendosi conto che stava dibattendo con uno spettro della
memoria, un’illusione creata da un sentimento che non voleva scomparire. –
Verity non è Atlaeia.
Il sorriso di Nefer si allargò. – Nei
secoli, la luce nei suoi occhi non è mai cambiata.
Nefer sparì, portandosi via tutto il
malessere che Michael aveva provato negli ultimi minuti, lasciandolo solo con
se stesso. Aveva di nuovo il controllo sul suo corpo e sulla sua magia e
Michael tornò nella stanza principale sbattendo la porta del bagno dietro di
sé. Non capiva come avesse potuto perdere il controllo in quel modo. Lui non lo
perdeva mai, qualsiasi fosse la situazione. Eppure ora era ricoperto di sudore
gelido che si mischiava all’acqua che gli cadeva sul colletto della camicia dai
capelli zuppi. Non era da lui. La stanchezza, mischiata alla preoccupazione e
allo shock gli avevano impedito di essere razionale e per questo aveva finito
per condividere alcuni sciagurati minuti con delle memorie a cui aveva dato
forma.
Si tolse la camicia e prese il suo
asciugamano dalla valigia, gettandoselo sulle spalle. Doveva ritrovare la calma
e c’era un’unica persona in grado di dargliela.
Prese il telefono e fece il numero di
sua sorella che rispose al quarto squillo. – Michael! – gridò Angie eccitata al
telefono. – Come stai? Dove sei? Quando ci possiamo vedere? – fu costretto ad
allontanare il telefono dall’orecchio mentre Angéline partiva con un resoconto
dettagliato della sua villeggiatura nel sud della Francia.
La ascoltò con attenzione senza
proferire parola, ponendogli solo alcune domande quando sembrava che il
discorso stesse scemando. Ascoltarla sprizzare vita da tutti i pori mentre gli
raccontava del nuovo spartito per violino su cui aveva messo le mani o la
libreria nascosta in una viuzza che aveva scovato passeggiando lo riempiva di
calma. – Quindi cosa stai leggendo adesso?
– Un libro sulle fate. – rispose
Angéline ridendo di gioia. – La storia di una ragazza per metà umana e per metà
fata, figlia di re Oberon. E poi c’è un principe della corte avversaria. Però
c’è anche Puck, che lo preferisco, e un gatto che parla e... e...
– Me lo presti? – chiese Michael
d’impulso. Non credeva che potesse piacergli, ma Angie era così agitata per
quel libro che gli aveva fatto venir voglia di leggerlo.
– Certo! Quando ci vediamo? Così te
lo do.
A Michael morì il sorriso sulle
labbra. Con quello che aveva fatto non avrebbero potuto vedersi per un po’. –
Ti chiamo anche per questo, sorellina. Sono pieno di lavoro e devo studiare per
gli esami. Non sono nemmeno a Parigi, ora. Credo che non potremo vederci questo
mese.
– Ah.
– Mi dispiace. – non riusciva a
sentire la delusione che aveva percepito in quell’ultima parola. Aveva deluso
tante persone nella sua vita, ma si era sempre impegnato al massimo per essere
sempre presente per Angéline. Non poterla vedere gli spezzava il cuore più di
quanto lei potesse immaginare. Come aveva potuto permettere al suo passato di
coinvolgerlo al punto tale da ferire Angéline? – Mi dispiace. – mormorò di
nuovo.
– Però ci vedremo, vero? – domandò
lei triste. – Appena possibile?
– Te lo prometto.
– Allora, okay. – rispose Angie
tornando a essere allegra. – Allora dimmi, chi è la persona che ti fa penare?
Per poco non si strozzò con la saliva
che gli era andata di traverso e tra un colpo di tosse e l’altro fissò lo schermo
del telefono. – Chi? Cosa? – non c’erano molte persone al mondo che potessero
imbarazzarlo, ma Angéline ci riusciva sempre a colpo sicuro.
– Non prendermi in giro, Michael. Sei
mio fratello. Quando qualcosa ti preoccupa stai in silenzio. Lo facevi anche da
bambino quando la maestra ti sgridava. Allora, chi è? Il tuo datore di lavoro?
– No. – rispose Michael ridendo.
Angéline, per quanto innocente aveva un intuito da far paura. – Con lui va
abbastanza bene.
– Qualche collega all’università?
– No, ci ignoriamo stoicamente.
Difficile fare amicizia quando vogliamo sempre i posti migliori per ascoltare
la lezione e siamo in guerra fredda perenne.
– Qualche professore? – azzardò sua
sorella dopo aver rimuginato un po’. – Posso punzecchiarlo con una penna se ti
dà fastidio.
Michael rise. – No, ma si impegnano a
sbagliare il nostro cognome quando mi chiamano per l’appello agli esami.
Era tornato a divertirsi. Sentire
Angéline che gli faceva le domande più strane cercando di farlo sbottonare e
strappargli qualche confessione lo rendeva allegro. Se la polizia avesse avuto
la sua testardaggine lo avrebbero già arrestato.
– Allora Claude! – gridò Angie d’un
tratto. – Ti fa penare lui? Voglio dire se ti preoccupa basta che gli parli. E
poi ho una mente aperta capisco se ti piace. Il problema è mamma? Hai problemi
a dirglielo? Ti aiuto io!
– Claude? No. No, Angie, sei fuori
strada.
Conosceva sua sorella e sapeva che
era partita verso fantasie da fotoromanzo.
– Guarda che me lo puoi dire se vuoi.
Sono tua sorella e sarò sempre dalla tua parte.
Michael sospirò. Angéline aveva
frainteso. – No, Angie, non sono gay. Mi piacciono ancora le ragazze.
– Allora è una ragazza! – esclamò,
minacciando di spaccargli un timpano. – Chi è? Quando posso conoscerla? È
carina? Legge? Studia? Lavora? Andiamo, Michael! Dimmi chi è!
– Angie è solo che... – chiuse gli
occhi, rivivendo la serata in cui aveva conosciuto Verity. – È maleducata,
impreca sempre e non ha il minimo rispetto per chi prova a essere gentile con
lei.
Michael ammetteva però, che il primo
a essersi comportato male era stato lui. Aveva dato per scontato che Verity ci
stesse a priori e facesse solo la sostenuta prima di capitolare tra le sue
braccia. – Però è anche coraggiosa. – aggiunse ricordando il loro scontro a casa
sua. – È fedele, risoluta e coscienziosa. E molto testarda. – finì con un
sorriso.
– Oh. – disse sua sorella al
telefono. – Pensi che possa incontrarla?
Forse, se Verity era ancora a Parigi
e lavorava alla cioccolateria, magari Angéline poteva incontrarla. – Non lo so.
– rispose Michael sincero. – Non le ho fatto una buona impressione la prima
volta e non credo che voglia parlarmi di nuovo.
– Che sciocchezza! – esclamò Angie
con uno sbuffo. – Basta solo che ci riprovi e ti spieghi, no? Se non vi conoscete
come fai a dirlo?
– Angie, non è così semplice. – sentì
in sottofondo la voce di sua madre che la chiamava, dicendole che era ora di
andare a cena e Michael calcolò velocemente la differenza di fuso orario.
Doveva essere sera da loro ed era ora che la lasciasse andare a magiare. – Ci
sentiamo presto, sorellina.
– Sì. – mormorò Angie parlando a
bassa voce come se si stessero scambiando un segreto. – Stasera ho intenzione
di prendere la pasta, ma tu non dirlo a mamma finché non lo faccio. Non vuole
farmi mangiare carboidrati la sera. Conto sulla tua discrezione.
Rise di nuovo, riuscendo a
immaginarsi sua sorella guardarsi intorno furtivamente mentre gli confessava
quella cosa. – Da me non uscirà una parola, promesso.
– Allora a presto. – lo salutò
Angéline.
– Sì, a presto.
Come chiuse il telefono, il senso di
malessere tornò a colpirlo. Voleva chiamare di nuovo sua sorella per scacciarlo
ma sapeva che ora non avrebbe risposto e lui non poteva scaricargli addosso
ancora le sue frustrazioni. Se Angie aveva capito che qualcosa non andava in
lui doveva essere conciato male.
Giocherellò con la rubrica del
telefono, facendola scorrere su e giù a caso con le parole di sua sorella in
mente.
Basta solo che ci
riprovi e ti spieghi, no? Se non vi conoscete come fai a dirlo?
Nei secoli, la luce nei
suoi occhi non è mai cambiata.
Scese la rubrica fino a fermarsi
davanti a quel numero che non doveva avere e che si era ripromesso di non usare
mai e premette il pulsante di creazione di un messaggio.
Ciao, come stai?
Nel momento in cui lo inviò, si chiese se avrebbe mai ricevuto una risposta o il destinatario avrebbe cancellato il messaggio vedendo un numero che non conosceva.
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NdA:
ci ho impegato una vita nonostante il capitolo fosse già
scritto. Purtroppo alcuni impegni mi avevano completamente prosciugata
di energie e non riuscivo a correggere il capitolo.