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Autore: Loushappiness_    11/12/2014    1 recensioni
"Perché Harry ne era certo, era l'orizzonte che non avevano trovato: a quel blu, piu bello del cielo e a quel verde, più bello di una distesa d'erba, era mancato un punto di incontro, in un'alternarsi oscillatorio di un'eccessiva quantità di blu e di un'eccessiva quantità di verde, senza trovare la giusta distanza e la giusta misura. E ora spazi troppo grandi li dividevano, mentre l'impossibilità di un incontro accresceva. "
(tratto dalla storia)
Harry Styles & Louis Tomlinson
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'unico complimento che potevi aspettarti da Harry Styles era un sorriso, perché se ti regalava un sorriso significava che non ti odiava proprio del tutto, che forse, in quello specifico momento gli stavi quasi simpatico; ma il momento era breve così come il suo sorriso. Alle volte potevi anche sentirti dire un incolore "ehi amico" seguito però da un "mi passi i compiti oggi pomeriggio? Grazie" prima che lasciasse l'aula senza darti la possibilità di rispondere in alcun modo. Certo non era una persona che ti lusingava o ti faceva sentire speciale, eppure quando ti concedeva, solo per pochi istanti, di ammirare i suoi splendidi occhi verde smeraldo, potevi toccare il paradiso con un dito, prima di essere scaraventato negli inferi dalla perdita di quel contatto visivo.
Non era stato sempre così, Harry, anzi, era sempre stato un ragazzo sorridente e genuino, ma niente più di un cuore spezzato è in grado di cambiare le persone.


 
Poi c'era Louis, in continuo movimento e cambiamento, sempre pronto a regalare un sorriso dove c'era una lacrima, a scherzare, a giocare, a far divertire. Era un uragano che convogliava tutti ad una risata, tutti lo apprezzavano per questo. Eppure neanche Louis era stato sempre così, perché dietro quegli occhi blu c'era un universo, celato alla vista di chiunque altro. Lui era sì un uragano, ma perché era un uragano quello che viveva dentro di lui, uno di quegli uragani furibondi, un'espressione di una natura rivoltosa e rancorosa che distruggeva tutto ciò che trovava. Questo era Louis, una devastazione. Eppure il sorriso lui lo mostrava, se poteva lo esasperava anche, regalando gioia a tutti quegli ingenui che credevano nella bontà d'animo del ragazzo da gli occhi color del ghiaccio, del cielo e del mare, all'interno dei quali vedevano la speranza e l'allegria. Poveri illusi, avrebbe detto chi davvero conosceva Louis, perché nessuno ti svuota di più di chi è già svuotato. 


 
Harry era stanco di stare in classe, la lezione lo stava esasperando più del solito, niente di personale con il Signor Dikam, ma i suoi monologhi storici non facevano proprio per lui... Soprattuto durante le lezioni di matematica. Alzò la mano, prima appena, poi completamente, cercando di attirare l'attenzione dell'insegnante, totalmente assorto nei suoi discorsi. 
"Interroghiamo adesso.." Stabilì di punto in bianco il grassoccio cinquantenne. Il suo sguardo scandagliò la classe, prima di accorgersi del braccio alzato di Harry, troppo distratto per rendersi conto dell'imminente scelta del professore. 
"Prego Styles, venga pure.. Così forse rimediamo a quel 3.." Harry alzò gli occhi, increduli, sbarrati, colmi di preoccupazione, mostrando un'emozione, sebbene l'unico a notarla fosse il professore, i cui occhi scuri erano fissi in quelli verdi di Harry. 
"Io volevo solo andare in bagno.." Sussurrò il giovane, troppo stanco, della lezione e della sorte, che si beffava di lui, per opporsi in qualche modo.


 
Louis sedeva in fondo, circondato da ragazzetti che lo ammiravano, per le due bocciature collezionate, oltre che per il suo carattere spontaneo e da leader. Eppure a lui di quell'ammirazione non importava nulla, perchè lui, il rispetto per se stesso lo aveva perso già da tempo. Amava chiacchierare durante la lezione, ridere, prendere in giro i secchioni del primo banco. E amava passare in rassegna la schiena e i ricci di Harry, seduto qualche banco avanti a lui. Quando Louis realizzò chi fosse il malcapitato, vittima delle domande del signor Dikam, si sentì colpito allo stomaco, sebbene fosse convinto di non poter provare nulla, poiché di lui era rimasto solo un involucro, privo di sostanza. Sogghignò con il suo compagno di banco, prima di riportare gli occhi sull'interrogato e non osare più staccarli; non che avesse molta scelta, poiché quelli sembravano attirati da una forza invisibile e potentissima, attaccati al corpo del riccio, senza possibilità di fuga. Osservava ogni dettaglio di Harry, ogni centimetro del suo corpo, il modo in cui i pantaloni gli cadevano perfettamente sulle gambe snelle, il torace tonico e robusto, il bacino sporgente, eppure così perfettamente stretto e delineato. Osservava il modo in cui muoveva le grandi mani, per l'agitazione e il nervosismo, malcelati, il modo in cui i suoi denti si conficcavano in quelle labbra perfettamente rosee e piene, quando il professore gli poneva una domanda di cui non conosceva la risposta. Ammirava quell'ammasso di ricci, la sua mascella marcata come i lineamenti del viso. E infine i suoi occhi, quei profondi, complessi, illeggibili occhi verdi, che una volta erano stati così cristallini da poter brillare anche nel buio della notte, e che adesso sembrano essersi spenti, lontani anni luce da quelli di una volta. Louis lo guardava, poi lo riguardava ancora e ancora, lo osservava, lo ammirava.. Lo amava. Eppure a se stesso non lo riconosceva, non lo ammetteva, lo giudicava con disprezzo, si diceva di odiarlo, di detestarlo. Ma anche lui lo sapeva che mai avrebbe potuto detestare il ragazzo che si era impossessato di lui fino nel profondo. 


 
"Non ti sto chiedendo di farlo, ma io vorrei che lo facessi.." Harry se le ricordava bene quelle parole, pronunciate appena 5 mesi prima, anche se il tempo aveva smesso di scorrere in modo normale dopo quel giorno. 
"Non puoi capire.." 
"Allora spiegami!"
"No, Harry, non puoi capirMI" 



Una cantilena infinita si susseguiva nella mente del riccio, come una di quelle musichette delle pubblicità, che non se ne vanno dalla tua testa finché non ti viene in mente un'altra canzone, più orecchiabile con cui sostituirle. Ma Harry era perfettamente consapevole che quella canzone non sarebbe mai arrivata, che di Louis Tomlinson ce ne era uno, ed uno soltanto.
Camminò verso casa con la sua solita flemmatica lentezza, il cappotto nero, tenuto aperto nonostante il clima freddo del novembre londinese, il cappellino blu a tenergli la testa calda, anche se avrebbe preferito che gli si congelasse il cervello e insieme a quello, i pensieri. Teneva la testa china, la strada la sapeva fare anche a occhi chiusi, e non c'era nessuno a cui avrebbe permesso di guardare i suoi occhi, era già stato troppo concederlo al professore. Se l'era ripromesso, Harry, si era giurato che non si sarebbe mai più aperto completamente con qualcuno, perché aveva acquisito la consapevolezza, tipica degli insicuri, che chi vedeva l'universo, costantemente celato, dentro di lui, fuggiva, irrimediabilmente. Così, per non correre rischi, aveva optato per una vita da solitario, tanto lui stava benissimo anche da solo, continuava a ripetersi. E ne sarebbe stato anche convinto, se quei dolcissimi, meravigliosi, rassicuranti occhi blu non fossero stati così vicini, eppure così lontani, nel ricordo costante di ciò che aveva quasi toccato, quasi posseduto, prima di venire strappato via da quella realtà, che aveva scoperto illusoria. Eppure se gli avessero proposto di continuare a vivere senza vedere più quegli occhi, ecco allora lui avrebbe preferito di gran lunga morire, perché nessuna sofferta e dolorosa morte sarebbe stata peggiore dell'impossibilità di ammirare, solo ogni tanto e di sfuggita quel cielo racchiuso in quelle iridi. Perché Harry ne era certo, era l'orizzonte che non avevano trovato: a quel blu, piu bello del cielo e a quel verde, più bello di una distesa d'erba, era mancato un punto di incontro, in un'alternarsi oscillatorio di un'eccessiva quantità di blu e di un'eccessiva quantità di verde, senza trovare la giusta distanza e la giusta misura. E ora spazi troppo grandi li dividevano, mentre l'impossibilità di un incontro accresceva. 


 
Louis fissò per qualche istante la pillola bianca, prima di bere un sorso d'acqua e inghiottirla. 
"Louis devi smetterla! Lo sai cosa dice la mamma!" La sua petulante sorella, Lottie, era arrivata ad alimentare i suoi sensi di colpa, ma non le avrebbe mai dato la soddisfazione di ammettere di avere un problema, così la lasciò a parlare da sola e si chiuse nella sua camera, in mansarda. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma non poteva evitare di prendere almeno un antidolorifico al giorno: la testa gli faceva sempre terribilmente male e l'unico modo per mantenere la facciata allegra e sorridente era imbottirsi di farmaci, perché la sua medicina naturale non la poteva avere, non più. Aprì un libro cercando di studiare: era venuto il momento di essere promosso, anche perché l'idea di rimanere indietro mentre Harry andava avanti lo terrorizzava..come se già questo non fosse accaduto. Lui era già rimasto indietro, la paura lo aveva terrorizzato e non era riuscito ad afferrare la mano di Harry e seguirlo, come lui lo aveva implorato di fare.


 "allora che facciamo? Cinema?" Propose Harry con nonchalance. 
La loro amicizia era sbocciata dal nulla, all'inizio del precedente anno scolastico, quando la seconda bocciatura di Louis lo aveva costretto ad andare nella classe di Harry. Erano diventati subito amici: Harry era un ragazzo molto spontaneo e sempre pronto a scherzare, ma anche con un'intrinseca dolcezza e generosità nel cuore. Louis era un adorabile giocherellone, con una tenerezza innata nell'animo che lo faceva sembrare un delizioso angelo, o un principe, dato il suo fascino elegante. Niente a che vedere con i due ragazzi, svuotati e senza alcuna sostanza, che ora di trascinavano per le vie di Londra. 
"Umh si okay.. Se no guardiamo un film a casa, non mi va molto di andare al cinema harreh" 
"D'accordo Lou, che ci guardiamo?" 
"Per me è indifferente.."
"Pure per me.." Quel comportamento non era indice di un'indecisione o di un senso di imbarazzo nei confronti dell'amico, assolutamente! Anzi, i due erano perfettamente a loro agio l'uno con l'altro, così tanto che per loro era sufficiente stare insieme per divertirsi, un qualunque film era fonte di battute e risate, bastava l'altro per sentirsi completi. Eppure questo ancora non lo capivano appieno, sapevano di volersi bene e di trovarsi bene l'uno con l'altro, sapevano che detestavano quando l'altro raccontava di qualche ragazza con cui sarebbe volentieri uscito, sapevano che una morsa attanagliava il loro stomaco quando, nello scherzo, si ritrovavano ad una vicinanza eccessiva, ma quale fosse il reale sentimento celato dietro a quei comportamenti, ancora non lo avevano capito.



Louis abbandonò il libro, preferendo viaggiare indietro nel tunnel dei ricordi, per quanto doloroso, perché solo la memoria, in quel momento, poteva dargli la forza per continuare a respirare. Perché quello era Harry per lui, il suo respiro: quando era con Harry era come se potesse finalmente contrarre il diaframma, allargare la cassa toracica e inspirare di nuovo. Ed ora? Ora aveva un enorme peso sul petto che gli impediva di farlo. Quando era da solo quel peso lo trafiggeva a pieno, più di quanto non facesse nelle 6 ore scolastiche durante le quali un fasullo sorriso non abbandonava mai le sue labbra. Perché si comportava così? Beh, un miscuglio esplosivo fra una buona dose di orgoglio e la speranza di attirare maggiormente l'attenzione, oltre che una notevole quantità di radicata sofferenza, lo avevano convinto che fingere ed enfatizzare allegria fossero il modo migliore per non lasciarsi uccidere dal dolore che provava. 
Eppure non sembrava funzionare molto bene.


 
"ci hai mai pensato a noi due?"
Harry ricordava alla perfezione gli occhi sgranati di Louis a quella sua domanda, e ricordava anche quanto la risposta dell'altro fosse tardata ad arrivare. 
"Cosa intendi Harry?" Il tono angoscioso, così il riccio fece marcia indietro, lo faceva sempre: trovava il coraggio per parlare, per spiattellare, nel bel mezzo di qualche banale conversazione, una frase o una domanda enigmatica, ma anche abbastanza comprensibile, per vedere la reazione dell'amico, che in un modo o nell'altro lo deludeva sempre. 
"La nostra amicizia... Cosa ne pensi?" Aveva rimediato Harry, mestamente. Poi aveva ignorato completamente la risposta di Louis, poiché sapeva che era priva di significato, o quando meno del significato che intendeva lui.



Poi c'era stato il giorno, quel 28 giugno, se lo ricordava bene Harry, d'altronde come avrebbe potuto dimenticarlo? Era stato l'inizio della fine, della fine della loro 'amicizia' come la chiamavano loro, della fine della loro felicità, della fine della loro vita, solo la fine.
Harry chiuse gli occhi cercando di trattenere tutte quelle minacciose lacrime, ma, come sempre, non ce la fece e quelle cominciarono ad inondargli il viso, ricordandogli che ogni giorno, un pezzetto di lui lo abbandonava per sempre, così come aveva fatto Louis. 


 
28 Giugno, ore 02,34, pub all'angolo della 10th con la rose avenue. 
"a quanto sono arrivato Harry?" 
"Ma cazzo ne so lou?!" Aveva sghignazzato il riccio, portandosi un altro bicchierino di liquido trasparente alle labbra carnose. 
"Tu stai tipo a cinquantundici, li ho contati!" Aveva farfugliato Louis, leggermente perplesso per le parole appena pronunciate, prima di fissare gli occhi di Harry, ancora più confuso e scoppiare in una fragorosa risata, seguito dal più giovane. 
"Sei proprio scemo Loulou.." 
"Giochiamo a obbligo o verità, Haz?" 
"Preferirei il gioco della bottiglia, ma credo vada bene anche quello.. "Si era fatto scappare Harry, pensando a voce decisamente troppo alta. Harry, sebbene fosse più piccolo, già aveva identificato i sentimenti che provava, sapeva di non essere come gli altri ragazzi, era consapevole di essere completamente schiavo di quegli occhi blu, e, sopratutto, era stanco di aspettare, aspettare e cercare di interpretare le frasi non dette e gli sguardi distolti. Così, incoraggiato dall'alcol che gli scorreva copioso nelle vene, aveva parlato, fissando poi i suoi occhi in quelli di Louis, per cercare di interpretare la sua reazione. 
Louis lo aveva fissato per qualche secondo, interminabile secondo, per poi ingurgitare l'ultimo bicchiere di vodka alla pesca, afferrarlo per il polso e trascinarlo fuori. L'aveva spinto contro il muro fuori dal pub, nella strada deserta della Londra notturna, poi si era avvicinato velocemente, con le mani poggiate ai lati della testa riccia e confusa di Harry, prima fermarsi ad appena 2 centimetri dalle sue labbra. Gli occhi di Harry erano diventati ancora più grandi, se possibile, ed erano affollati da sconvolgimento ed emozione, mentre dallo sguardo di Louis emergeva il contrasto fra un desiderio intenso ed una profonda paura. Fu Harry che, sotto la luce del lampione della 10th strada, decidendo che quello sarebbe stato il momento decisivo della sua vita, appoggiò le grandi mani sul viso delicato di Louis, prima di posare le sue labbra su quelle dell'amico. Louis ricambiò il bacio, intrecciando le sue mani nei capelli del riccio. Per qualche istante quel contatto provocò a entrambi una fortissima emozione e la sensazione che nulla potesse essere più giusto e irrazionalmente perfetto di quell'unione di labbra e lingue, in un valzer di passione e amore. Poi però la realtà aveva colpito il cuore palpitante e spaventato di Louis, facendogli prendere la consapevolezza che mai aveva voluto accettare. Uno scatto ed era lontano, solo pochi centimetri in realtà, ma sufficienti ad Harry per capire quanto in realtà fosse già distante da lui, quanto avesse appena perso il suo migliore amico e, forse, l'amore della sua vita. Senza forse, lui ne era certo, ma ammetterlo in quel momento avrebbe portato la voragine nel suo petto ad allargarsi ulteriormente e ad inghiottirlo completamente. Gli occhi di Louis erano l'espressione tangibile del suo dissidio interiore, nato dallo scontro fra razionalità del sentimento amoroso e irrazionalità della paura che aleggiava nel suo animo. Fu questione di attimi, istanti, e gli occhi blu di Louis si riempirono di lacrime, dolorose, infuocate, e soprattutto, spaventate lacrime; il terrore si trasmise a Harry come un virus, che subdolo danneggia l'organismo umano, rendendolo mal funzionante, e lo fece tremare, fremere per l'epilogo già previsto, destinato a realizzarsi da li a poco. E così fu, Louis si allontanò brutalmente e corse via, lontano da un sentimento troppo grande e spaventoso per lui, lontano da quello che sembrava essere un enorme e irrimediabile errore, lontano da Harry e lontano da se stesso. Corse veloce, e non si guardò indietro, perché se l'avesse fatto probabilmente le sue gambe non l'avrebbero più sostenuto, l'avrebbero abbandonato e lui sarebbe stato costretto ad accasciarsi al suolo. E lui avrebbe preferito qualunque tortura, piuttosto che dover sopportare gli occhi colmi di delusione e paura di Harry, ancora per un secondo.
"Stai bene Harry?" Sua madre lo guardava preoccupata, come faceva da mesi, lo scrutava, cercava di leggere i suoi pensieri e poi si arrendeva miseramente, quando il riccio innalzava un muro davanti al suo sguardo, impedendo a chiunque la visione della sua parte più intima. Certo, una persona c'era che avrebbe potuto abbattere quel muro, ma quella persona era lontana, troppi spazi li dividevano, e il dubbio di non poterli più colmare riscosse Harry come da un brutto sogno. Il riccio si alzò, facendosi scivolare addosso le parole di sua madre, ansiosa e crucciata, e camminò spedito verso la porta d'ingresso, l'aprì e, senza aspettare oltre, uscì. Era giunto il momento, Harry sapeva che non avrebbe potuto rimandare oltre, aveva bisogno di risposte, di capire se i suoi dubbi, quelli che lo stavano divorando vivo, erano reali o solo fantasmi di una verità mai esistita, se Harry aveva sbagliato tutto, o se l'unico errore era stato quello di arrendersi troppo presto. 
* "louis aprimi!" Gridò per l'ennesima volta il riccio, battendo il pugno alla parete della porta. 
"Lou, ti prego.. Parliamo.." Harry di era lasciato scivolare contro la porta della porta della camera dell'amico, esausto per reggersi ancora in piedi. 
Louis dall'altra parte della porta, seduto nella medesima posizione del riccio, attendeva, cosa non lo sapeva neppure lui, e osservava. Osservava un punto davanti a lui, sul muro bianco. Le lacrime le aveva finite durante quella notte, passata in quella posizione, come a voler essere sicuro che il resto del mondo rimanesse fuori. Aveva smesso di piangere verso le 6 della mattina, quando aveva cominciato a sentire il petto svuotarsi, come se non potesse accettare quel troppo dolore, come se l'unica cosa possibile fosse eliminare ogni residuo di emozione, per non provare più nulla; e così fece, lasciando fuoriuscire dal corpo ogni centimetro cubo di anima, come piccoli spilli che piano vengono estratti da una ferita. Era grato che sua madre e le sue sorelle fossero partite per il weekend, ma era anche tremendamente afflitto perché Harry sapeva dove tenevano le chiavi di riserva, proprio sotto lo zerbino della porta di ingresso. 
"Lou.. Devi fidarti di me.. devi affidarti a me.." L'ultima sussurrata frase apparì più come una richiesta d'aiuto, che Louis non accolse in nessun modo, lasciando che il riccio si alzasse e se ne andasse. Per sempre.



 
Harry non faceva che pensarci, quelle immagini si ripetevano nella sua mente mentre aumentava il passo verso la casa così conosciuta, cerando di mantenere la stessa determinazione di quando era uscito, ma spaventato dall'idea che la scena di quel 28 giugno potesse ripetersi, immancabilmente. 
Harry chiuse gli occhi, continuando a camminare, pregando, pregando perché questa volta le cose andassero per il verso giusto, perché il suo cuore ritrovasse la sua metà, perché il sorriso potesse fare capolino nuovamente sul suo viso. Pregò anche solo di poter vedere, per qualche istante, gli occhi di Louis, nella verità di ciò che erano, e non nella maschera che si ostinava a mostrare a scuola. Pregò finché non aprì gli occhi e lo vide. 


Louis sbattè la porta e cominciò a camminare speditamente sul vialetto, saltò il cancellino, non dandosi la pena di spingere il pulsante per aprirlo, continuò a camminare finché i suoi occhi non si posarono sulla figura, alta, snella e comunque imponente, che si trovava dal lato opposto della strada deserta del quartiere. 


Fu questione di secondi, prima che i loro occhi si incontrassero, come se fossero destinati solo a quello, come se un filo invisibile li legasse, senza possibilità di essere tagliato, nonostante le grandi distanze che erano intercorse fra loro negli ultimi mesi. Non ci fu bisogno di dire nulla, quando i due si ritrovarono faccia a faccia, al centro della strada, dopo aver eliminato con grandi e frettolosi passi, lo spazio fra di loro, come mossi da un impeto irrefrenabile, da una necessità spasmodica di vedere l'uno gli occhi dell'altro ad una distanza ravvicinata.
 
E poi non bastò più quella vicinanza, volevano di più, lo desideravano, lo agognavano, e all'improvviso non ci fu più posto per la paura, per i ripensamenti, per i timori, perché l'amore, quell'amore incontrollato e radicato aveva occupato tutti gli spazi che li separavano, che tenevano divisi quel blu cielo da quel verde Terra e li aveva colmati, immancabilmente, unendo le loro labbra e le loro lacrime…
 
…formando il loro orizzonte perfetto. 


















 
CIAAAO!!
Che dire? è la prima one shot che scrivo e anche la prima storia Larry, anche perchè non mi ritengo proprio una larry shipper, ma nenache una non larry shipper... è complicato, diciamo che sono una larry hoper (me la sono appena inventata, sì) e che spero larry sia vero, ma non ne sono così convinta!
vabbe apparte questo mio conflitto interiore, spero che vi piaccia.. fatemi sapere!!

un bacione
charly xoxo
  
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