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Autore: _fix    11/12/2014    1 recensioni
Forse era stata la musica, o forse era semplicemente perché dal primo momento in cui s’erano visti, qualcosa era scattato.
Ma Georgia non sapeva cosa, precisamente, era nato in quel momento.
L’unica cosa che sapeva, era che non c’era un filo.
Un legame.
Erano semplicemente muri di una casa pronti a crollare. Muri fragili, sorretti dalle cose non dette, dalle parole sussurrate sotto le coperte di una fredda notte d’inverno.
Ma fra loro non c’era alcun legame.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Like a lightning




- a Rebecca.
La grafia può cambiare, anche lo stile. Ma le idee sono sempre quelle -




 



Tra loro, evidentemente, non c’era alcun legame.
Nulla che li potesse accomunare, che li rendesse uguali, o almeno simili. Erano praticamente gli opposti, e lo aveva sempre saputo. Forse era stato un caffè, o forse il progetto di scienze. Forse era stata una Philip Morris rubata dal pacchetto appena comprato, o forse era stata una pizza.
Forse era stata la prima notte insieme – o almeno per modo di dire – a guardare Nothing Hill a solo un isolato di distanza.
- A me questo film piace.
- A me Hugh Grant piace.
Forse era stata la musica, o forse era semplicemente perché dal primo momento in cui s’erano visti, qualcosa era scattato.
Ma Georgia non sapeva cosa, precisamente, era nato in quel momento. L’unica cosa che sapeva, era che non c’era un filo.
Un legame.
Erano semplicemente muri di una casa pronti a crollare. Muri fragili, sorretti dalle cose non dette, dalle parole sussurrate sotto le coperte di una fredda notte d’inverno.
Ma fra loro non c’era alcun legame.
- Eppure sembrate così affiatati.
Georgia sedeva su una panchina di legno, l’unica ormai da quattro anni. Ogni mattina aspettava l’arrivo del bus, beveva il suo caffè caldo e ripassava a mente la lezione del giorno. La lezione che poi avrebbe dimenticato, ma erano dettagli.
- Evidentemente non siamo fatti l’uno per l’altra.
- Ma lui è il capitano della squadra di baseball, andiamo!
Georgia fulminò con lo sguardo l’amica, e lei capì che era il momento di tacere. Da ormai troppo tempo le cose fra lei e James non andavano come avrebbero dovuto, ma quasi tutti, compresi loro due, negavano l’evidenza. Forse per convenienza, o forse perché erano troppo stanchi anche per lasciarsi. Una storia durata due anni, una storia iniziata molto tempo prima, quando le loro mamme, amiche di culla, avevano iniziato a progettare il loro matrimonio fin dalla loro nascita.
- E’ finita.
- Se lo dici tu.
Era ormai chiaro che a Georgia non fregasse più nulla, e non poteva più nasconderlo. E sfortunatamente, non le faceva nemmeno male. Non sapeva ancora come avrebbe affrontato la questione, né quali parole avrebbe usato per fargli capire che ormai non erano più nulla. O forse non lo erano mai stati. Il bus arrivò, con la consueta puntualità. Georgia e Sam salirono, presero posto nei sediolini infondo e non proferirono parola per il resto del viaggio.
Un giorno, Georgia lo vide. Fu quasi per caso. Di solito non staccava gli occhi dal suo ipad luminoso, ma quella mattina forse qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa di nuovo, di inaspettato, era accaduto. Non lo aveva mai visto prima d’allora, eppure la colpì subito. - Sei come un fulmine a ciel sereno Forse era nuovo, molto probabilmente non aveva nemmeno la sua età. Pensò subito che non era nient’altro al di fuori che bello. Ma non di quella bellezza standard, da un paio di sguardi, un sorrisetto ammiccato e poi il dimenticatoio. Era di un bello che rimaneva, un bello che si stampava nella mente, ti ritornava durante la lezione di trigonometria. Un bello da pensare durante un film, così, d’improvviso.
Proprio come un fulmine.
E ci vollero due settimane per studiarlo bene. Per ricordare come saliva sul bus con la sua camminata sicura, ma distratta. Con la sua aria assente, ma da persona che forse capiva meglio di tutti quelli che sedevano lì, annoiati della stessa vita. Di come lentamente, apriva la borsa, cacciava le cuffie e ascoltava qualcosa di dolce, di lento, di magico. Di come i capelli, ramati, s’intrecciassero con la lunga ragnatela di ciglia nere come la pece. Di come li scostasse repentinamente, ma con un movimento armonioso. Ipnotico. Ci vollero due settimane per far in modo che Georgia avesse il coraggio di sedersi in quel posto vuoto. Due settimane per conoscere Zayn Malik.
 

- Posso avere una sigaretta? Zayn la guardò stranito.
Fumava, e anche troppo. E forse gli era sempre risultato facile fumare davanti a lei. Ma quella domanda lo spiazzò. Sarà stato per gli occhi lucidi, per il freddo pungente o semplicemente perché era una novità, ma gli offrì il pacchetto.
- Fuma, ma non prendere il vizio.
- Sai che non faccio promesse
- E’ giunta l’ora di iniziare.
 

Quel giorno, sull’autobus, Georgia gli aveva chiesto il numero. Quello stesso pomeriggio, aveva scoperto che abitavano a pochi isolati di distanza, ma lui non aveva mai frequentato la sua scuola.
ra nuovo, per modo di dire. Abitava lì da una vita, ed era così strano che non si fossero mai incontrati. Erano sempre stati vicini, eppure da sempre erano stati distanti. Quello stesso pomeriggio, sul tardi, erano usciti a prendere un caffè insieme e da allora sembrava conoscerlo da sempre.
eorgia non gli parlò di James. Zayn non gli parlò di Elisabeth.
E questo forse, fu il loro più grande sbaglio.
 

Quattro mesi dopo, Georgia capì che c’era qualcosa che nel loro rapporto non andava. Era sempre filato liscio, ma Zayn, un giorno, così, di punto in bianco era sparito. Non rispondeva ai messaggi, né alle chiamate, né alle e-mail. L’ultima volta, insieme, avevano visto insieme un film e sembrava andare tutto come al solito. Per il verso giusto. Poi era sparito, così, nel nulla. Non un messaggio, né una frase. Nemmeno una parola di addio. Georgia sentì, dentro di se, qualcosa che la turbava. Forse il sesto senso, forse un sentimento oscuro, o forse una sensazione.
Restava il fatto che le mancava.
Poi tornò. Georgia provò a chiedergli qualcosa sulla sua assenza. Un giorno si presentò fuori casa sua, bussò alla porta e aspettò paziente che gli aprisse. Quel giorno non parlarono della sua assenza. In realtà non lo fecero mai. Zayn la tirò a sé, baciò ogni centimetro della sua pelle. La spogliò lentamente, con una meticolosità quasi nevrotica, una lentezza immane, a tratti fastidiosa. Fu calmo, pacato, lento. La toccò piano, dolcemente, quasi con la paura di farle del male. Poi le accarezzò i capelli, la tirò verso il suo petto e lasciò che dormisse.
uardava il soffitto, Zayn, e pensava che forse potevano diventare qualcosa di più.
Poi dormì.

 
Zayn era convinto che ogni posto di quel mondo appartenesse a loro due. Ogni cosa parlava di loro. Il comodino riordinato, la cucina limpida, la vasca da bagno, il chiosco vicino scuola, i pacchetti di sigarette vuoti, il caffè di primo mattino, l’incrocio fra il parco comunale e la biblioteca, il bar all’angolo, la sua coperta preferita, il cinema, i sedili posteriori della sua auto, la fredda aria invernale, il sole caldo del mattino, i raggi pesca del tramonto che le coloravano i capelli di un dolce caramello. I gelati alle quattro del pomeriggio, le chiamate alle cinque del mattino, le chiacchierate sul porticato di casa, le notti insonni, i litigi nel vicolo della trentaquattresima, le corse del tardo pomeriggio, le giornate a studiare, le urla, le bugie e le cose non dette. I muri di casa sua, la tv accesa, le lenzuola bianche. James ed Elisabeth. Un giorno la verità sbucò fuori per caso. - Obbligo, giudizio o verità Zayn aveva sempre avuto timore di quel gioco. Non aveva mai sopportato che qualcosa o qualcuno potesse rompere la sua barriera protettiva. Nessuno avrebbe dovuto conoscerlo. Eppure partecipò. Non si mosse di un millimetro quando
– Allora giochiamo? – esclamò Mag, seduta attorno il tavolino basso, con i popcorn stretti nelle gambe affusolate. Erano domande stupide, a volte spinte. Ma erano giovani, incoscienti, con un po’ di malizia e decisamente brilli. Eppure Georgia ricordò tutto di quella sera. Zayn iniziò a parlare di come, per anni, si fosse ritrovato a vagare per i locali con la sua vecchia compagnia. Di come avesse passato tre mesi in carcere per uso di stupefacenti e di come avesse incontrato Elisabeth. Lavoravano insieme, al tabacchi vicino casa di suo padre, in estate, in una città poco lontana da lì. Elisabeth lo aveva sempre visto con occhi diversi, sin dal primo momento. Aveva impiegato una settimana per baciarlo e tre per portarselo a letto. Cinque per decidere che erano ormai fidanzati, nove per capire che dovevano andare a convivere E Zayn c’era stato. Aveva pensato che forse era la cosa migliore da fare. Sistemarsi con una ragazza, magari creare una famiglia e lasciare il college prima del tempo. Poi un giorno Elisabeth iniziò ad accusarlo di tradimento. Gli lanciava ogni oggetto che le si parasse davanti. Iniziò ad essere paranoica, a non uscire più di casa. Decise che Zayn dovesse rinunciare al lavoro e stare con lei. Erano ormai una cosa sola, e Zayn doveva farsene una ragione. Per un anno rimase chiuso in casa, uscendo giusto il minimo indispensabile, a badare ad Elisabeth e alla sua forma elevata di bipolarismo. Poi se ne andò, senza tornare mai più.
 

Elisabeth era incinta. Zayn l’aveva scoperto un giorno d’inverno. Georgia aveva appena lasciato casa sua. Avevano discusso su un film durato tre ore, mangiato tanti popcorn e poi avevano giocato a un gioco di ruolo. Georgia la vide, ma non la riconobbe. La ignorò, e forse sbagliò. Elisabeth corse verso casa di Zayn, bloccò la porta prima che si chiudesse ed entrò in casa. Si sedette sul letto e lo aspettò lì che rientrasse dal fumare una sigaretta.
- Cosa ci fai qui? Esci immediatamente da casa mia.
- Sono incinta, è tuo.
 

Zayn anche quella volta sparì, senza lasciar traccia. Georgia provò a chiamarlo, ma non rispondeva. Né una lettera, uno squillo. Nulla. Lasciò la scuola, tornò da suo padre. Georgia lo seguì lì, ma ugualmente non lo trovò.
Zayn non tornò mai più. Lascio Elisabeth. Lascio Georgia. Lasciò tutti. Sparì nel nulla, senza dare spiegazioni e scegliendo la fuga come la scelta più giusta. Si dissolse nel buio con l’abilità di un ladro, in pochi secondi.
Come un fulmine.
 
 
 
Una mattina, il telefono squillò.
Uno, due, tre squilli.
- Pronto?
- Georgia?
Avrebbe potuto riconoscere quella voce anche fra miliardi. Anche con la musica al massimo del volume, ad un concerto dei The Script, con le cuffie nelle orecchie, la voce di sua madre a palla, i lamenti del professore di Scienze.
L'avrebbe riconosciuta.
Non parlò.
Dall'altro capo del telefono ci fu un sospiro, poi una serie di respiri.
Stava per chiudere.
- E' da quando sono piccolo che tendo a fare così, a comportarmi in questo modo. Non riesco in alcun modo a restare davanti le difficoltà. Sono un codardo, un egoista, uno che non si prende le proprie responsabilità e non c'è alcuna giustificazione per ciò che ho fatto.
Tra di noi non c'è stato nulla di concreto, nulla di effettivo, nulla di evidente. Era qualcosa che forse sentivamo, che avevamo, ma che tenevamo per noi. Sono uno stronzo, lo so.
Dovresti chiudermi il telefono in faccia, o non avrei dovuto chiamare per alcuna ragione al mondo.
Forse non ti merito, forse non mi meriti. In realtà non ci meritiamo.
Ma noi siamo qualcosa, anche se non lo siamo.
Diciamo che siamo, ma non. Diciamo anche che a me piaceva quello che eravamo o forse no.
Diciamo che mi piaceva stringerti, accarezzarti le guance rosse quando tossivi per il fumo, ubriacarmi con te il venerdì sera. Mi piaceva picchiare quel coglione del tuo ex ragazzo, litigare con te per il mio comportamento immaturo e fare pace.
Mi piaceva fare l'amore con te, passare la mano fra i tuoi capelli, stringerti a me forte, da fondere i nostri respiri, i battiti del nostro cuore, le nostre labbra, le ciglia, le gambe.
Forse mi piaceva anche rimanere.
E forse non ci sono scuse.
Ora non riesco a trovarle anch'io. Puoi non perdonarmi, puoi odiarmi, puoi fare ciò che vuoi.
Non posso chiederti di aspettarmi, non ne sarei capace.
Avrei voluto pensare che forse avevo fatto la cosa giusta. Infondo, non eravamo nulla di ufficiale, era qualcosa ma nulla di più.
Eppure quel qualcosa mi piaceva.
Mi piace.
E forse, niente, potrei essere in viaggio.
Forse ho corso come un fulmine per arrivare qui da te.
Forse, sono qui.
 
 
Il campanello bussò.
   
 
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