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Autore: hiromi_chan    12/12/2014    8 recensioni
“Non temere, piccoletto,” disse Arthur, accarezzando distrattamente l'uovo adagiato sulle sue gambe. “Non permetterò mai che mammina ti metta nome Norberto, fosse anche l'ultima cosa che faccio.”
Merlin alzò un sopracciglio, fulminandolo con un'occhiataccia. “Mammina?”
“Non posso farla mica io la donna, ti pare?” disse il Grifondoro, oltraggiato.
Merlin si strizzò il ponte del naso tra le dita.
E il preside pretendeva anche che lui salvasse l'osso del collo di quell'individuo.

HP!AU in sei capitoli.
[Prima classificata al contest "AU- Wherever we are" indetto da Emmastarr sul forum di EFP.]
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merthur a Hogwarts'
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IV. Quarto e quinto anno – I mostri

 

Quarto anno

 

 

Merlin inciampò sui propri piedi, imprecò e, dando sfoggio di una serie di riflessi pronti piuttosto impressionanti, riuscì nello stesso tempo a non far cadere la teca.

Durante l'estate era diventato ancora più alto e dinoccolato, senza però guadagnarci molto dal punto di vista del peso. Il risultato era che ora non sapeva cosa farsene dei suoi piedi troppo grandi, né pareva avere la minima idea di come gestire degli arti così lunghi.

Secondo la sua mamma era sulla strada giusta per diventare uno di quei modelli che si vedevano sulle riviste Babbane di moda; Merlin ne dubitava.

Secondo Arthur, invece, assomigliava a uno spaventabasseri, o spaventasasseri, o qualcosa del genere.

(“Sembri uno spaventapasseri.”

Un cosa?”

... Non stai facendo molti progressi in Babbanologia, mi pare.

Ehi, vorrei vedere te al posto mio! Il programma del corso è immenso!”)

Arrivato al campo di Quidditch, il mago si sistemò sugli spalti il più attentamente possibile, fissandosi le scarpe. “Quando ci si deve prendere cura di uovo, si guarda il mondo con occhi diversi,” pensò. “Si cerca di stare più attenti a tutto.”

Non fece in tempo a mettersi seduto che si sentì chiamare da una voce familiare.

“Merlin Emrys, e tu che cosa ci fai, qui?” lo salutò una deliziata Gwen. Aveva le guance arrossate a causa del vento, i riccioli neri che volavano da tutte le parti. “Ti sei reso conto che c'è un allenamento di Quidditch in corso?”

Lui si strinse nelle spalle con fare indifferente. “Ho pensato di aspettare Arthur all'uscita dal campo, invece che sotto alla Signora Grassa. Un paio di Grifoni idioti dell'ultimo anno avevano voglia di giocare a Prendiamocela con il Serpeverde. Speravano di lanciarmi addosso un incantesimo Languelingua senza che me ne accorgessi, quindi li ho sistemati e poi ne ho approfittato per fare una passeggiata.”

Lei gli strizzò una spalla, comprensiva. “Mi dispiace molto che succedano ancora queste cose.”

Dispiaceva anche a lui, in realtà, ma in situazioni del genere non poteva fare altro che difendersi, no? “Il razzismo tra Case è proprio demodé,” disse, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Gwen colse il suggerimento e cambiò argomento con rapidità. “Guarda cos'ho portato,” fece, tirando fuori da dietro la schiena un grosso cesto di vimini.

Merlin sollevò il fazzoletto che lo copriva, svelandone il contenuto: delle bottigliette di limonata erano ordinatamente disposte tutte su un lato, accompagnate da una cascata di buste di Tuttigusti+1, Zuccotti di zucca e dolciumi vari.

“Per i ragazzi. Pensavo di distribuirli dopo l'allenamento,” disse la strega.

Merlin fece per ricordarle che aveva sbagliato giorno, perché la squadra di Tassorosso si sarebbe allenata solo l'indomani, ma poi gli rivenne in mente che il capitano dei Grifondoro era Lancelot.

“Sei un angelo, nessuno di loro ti merita,” si risolvette allora di dire. “Nemmeno Lance, anche se è meraviglioso.” Allungò la mano per afferrare un minuscolo tortino a forma di rana, ma l'amica allontanò prontamente le vivande.

“Oh, sta' zitto,” disse, sospirando. “Penso che lui nemmeno mi guarderà mai. Sono troppo piccola e... normale.”

Merlin, al quale non dispiaceva parlare di ragazzi ma che non lo trovava, d'altronde, un grosso argomento di conversazione, alzò gli occhi verso i giocatori.

“Tanto lo so che non ti interessa l'allenamento,” disse Gwen, pungolandolo su un fianco. “A meno che... non ti interessi guardare qualcuno...”

Lui non rispose; si era accorto solo vagamente che l'altra stava ancora chiacchierando da quando aveva individuato uno specifico giocatore nella mischia di quelli che volavano come Schiopodi impazziti.

Pareva che Arthur fosse cresciuto dentro la sua divisa. Durante le vacanze aveva messo su un po' di muscoli e lui per primo ne era iperconsapevole, a giudicare da come dava sfoggio di sé mentre si allenava. Nonostante tutte le arie che si dava e che facevano roteare a Merlin gli occhi al cielo, bisognava ammettere che sul campo Arthur sapesse il fatto suo.

Adesso capiva perché fosse considerato il capitano in seconda: era sempre concentrato e determinato, dava consigli ai compagni e li difendeva ribattendo con energia i Bolidi. Sicuramente, una volta che Lancelot avesse terminato gli studi, il titolo di capitano sarebbe passato a lui.

“Hai visto? Sedute laggiù, oltre ai tipi di Corvonero, ci sono anche Morgana e Morgause,” bisbigliò Gwen.

Faceva uno strano effetto vederle senza Nimueh, dopo che lei era stata espulsa. Niente di buono, a giudicare dal brivido che scosse il Serpeverde. “O sono delle vere fan sfegatate del Quidditch...” iniziò, pensieroso.

“... O Morgana è preoccupata per il suo fratellastro, e così viene a controllare che stia bene,” suggerì Gwen, speranzosa ma niente affatto convinta.

“Hai mai visto Arthur e Morgana parlare insieme? Frequentarsi, o qualcosa del genere?”

Gwen si mosse nervosamente, torcendosi un ricciolo. “In realtà non scorre buon sangue tra loro. Hai letto anche tu quell'articolo sul Profeta... Be', una volta tanto non diceva sciocchezze. Quando avevo una cotta per Arthur, sai, ero piuttosto informata su di lui,” disse in fretta, ma senza avvampare. “Per l'idea che mi sono fatta, non credo che Morgana abbia mai davvero considerato Arthur suo fratello.”

Merlin non rispose.

Nessuno parve accorgersi di loro fino a quando Lancelot non dichiarò che avrebbero fatto cinque minuti di pausa. Allora Gwaine buttò un occhio di sotto e sbracciò per salutarli. Poi si portò l'indice alla labbra. “Ehi, Pendragon, la tua famiglia è venuta a vederti giocare!” scherzò, ridendo come se avesse fatto la battuta più spiritosa di sempre.

Per un momento, Arthur parve preoccupato; scandagliò corrucciato gli studenti sugli spalti e, quando vide la sorellastra accompagnata da Morgause, tutta la sua figura parve temprarsi in una mortale serietà.

Merlin agitò una mano per farsi notare; allora Arthur, capendo che erano lui e l'uovo la famiglia a cui Gwaine si riferiva, scoppiò a ridere con forza, buttando indietro la testa.

Anche il Serpeverde sorrise, arricciando il naso.

“Ero sicuro che non avresti saputo resistere! Prima o poi, tutti vengono a portare i loro omaggi al Principe del Quidditch,” urlò Pendragon, tronfio.

Merlin si esibì in un goffo inchino da seduto, mantenendo la presa sulla teca. “Vedete solo di non scagliarci addosso un altro Bolide come l'anno scorso, Vostra Altezza!”

Arthur fece una smorfia e poi volò a raggiungere gli altri compagni, dando una pacca sul braccio a Percival.

“L'avevo detto che avreste imparato a volervi bene,” cantilenò Gwen, con l'aria di chi la sapeva lunga.

“Io? Voler bene a quell'asino?” protestò Merlin, scioccato.

“Ma sì! In fondo, è solo bastato che uno rischiasse di morire e che l'altro facesse altrettanto bevendo del veleno per lui.”

“Sei molto spiritosa, Gwen. Sul serio.”

 

 

Gli studenti di Grifondoro e Serpeverde erano disposti in una lunga fila che si accartocciava su se stessa e arrivava fino alla porta dell'aula.

Il professor Tristan, la bacchetta lunga come un fioretto stretta in mano, li scrutava al pari di agnellini pronti al sacrificio. “L'armadio è questo qua,” disse ironicamente, indicando il vecchio mobile mangiucchiato dalle tarme. “L'incantesimo lo conoscete: Riddikulus. È tutto, non avete bisogno d'altro,” sentenziò.

Merlin deglutì a vuoto. Da quando il professore aveva spiegato loro che un Molliccio prende la forma di ciò che ti spaventa di più, si era sentito incredibilmente allarmato. Sapeva che si sarebbe trattato solo di fronteggiare un'immagine illusoria e sapeva anche come sconfiggerla, ma... aveva paura di vedere in che cosa si sarebbe davvero trasformato il Molliccio davanti a lui. Non essendo sicuro di ciò che lo aspettava, non sapeva nemmeno come poter ridicolizzare nella sua mente la sua paura.

O forse... la verità era che si immaginava benissimo in cosa avrebbe potuto tramutarsi il Molliccio, ed era questo che lo inquietava più di tutto.

Se non altro, essendo tra gli ultimi della fila avrebbe avuto diversi turni per tentare di concentrarsi il più possibile.

In realtà, con suo grande disappunto, gli sembrò che il tempo scorresse a velocità raddoppiata; tra ragni giganti, copie del professor Muirden e lupi mannari, arrivò anche il turno di Arthur.

Merlin si toccò le labbra con due dita, i propri timori per un attimo dimenticati. Non aveva la minima idea di quale fosse la paura di Arthur e realizzare che l'avrebbe scoperto in quel modo, in mezzo a un vasto pubblico, non gli piacque neanche un po'.

Davanti ad Arthur ormai c'era rimasto solo Percival. Quando il Molliccio, sotto le mentite spoglie di un inquietante clown a molla, venne imprigionato nella sua scatolina dal Riddikulus di Percy, Arthur si preparò. Merlin vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi, segno che aveva preso un grosso respiro.

La scatolina di legno era scossa da violenti spasmi che la deformavano, come se il clown ci si stesse scagliando contro da dentro. Un colpo, un colpo, un altro colpo ancora; l'aria nella stanza si fece pesante, l'euforia generale scemò. La Corvonero e il Tassorosso che stavano in piedi subito dopo Arthur indietreggiarono; lui, invece, fece un passo in avanti, la bacchetta alta.

Fu allora che la scatola si aprì con un botto. Anziché che il clown a molla, uscì da essa una delle creature più terrificanti che Merlin avesse mai visto: era un enorme ammasso gelatinoso di sostanza oscura e gocciolante. Lungo il corpo informe galleggiavano quattro occhi, due nasi e due bocche, così da creare un quadro scomposto e raccapricciante.

Furono in molti a non riuscire a trattenere un'esclamazione spaventata o disgustata, perché la paura di Arthur pareva essere tanto forte da aver contagiato anche tutti loro. Merlin si sentì impotente quando Arthur avanzò verso la creatura, che stava protendendo gli arti alla sua volta.

“Arthur,” lo richiamò il professor Tristan. “Forza. Riddikulus.”

Rid-” iniziò Arthur.

Ma poi l'essere mostruoso venne sconvolto da un tristissimo singhiozzo e Merlin, con stupore, si ritrovò in lacrime; dal corpo del Molliccio si erano appena biforcati due volti e, mentre uno era quello stravolto di una donna con i capelli chiari, l'altro era inconfondibilmente quello di Uther Pendragon...

Durò un battito di ciglia; Arthur non permise che gli altri vedessero di più di quel lato di sé. Il suo incantesimo si levò alto e potente, confinando di nuovo la creatura nella scatola. Poi il Grifondoro si diresse in fondo all'aula quasi a passo di marcia, la testa incassata tra le spalle. Merlin, asciugandosi in fretta gli occhi, fece in tempo a vedere che era sudato e che il suo colorito era vicino a quello del succo di zucca che gli piaceva tanto. Però l'idiota rimaneva testardamente fiero, la mascella contratta.

“Be', per oggi può bastare,” fece il professore di Difesa contro le Arti Oscure, rinchiudendo con rapidità il Molliccio nell'armadio. “Devo dire che la maggior parte di voi ha fatto piuttosto schifo. Ci vuole pratica, ragazzi miei.”

Mentre l'usuale chiacchiericcio iniziava a spargersi di nuovo in mezzo alla scolaresca, Merlin esalò un silenzioso respiro.

Ora più che mai era sicuro che il Molliccio, davanti a lui, avrebbe assunto l'aspetto di un serpente gigantesco e minaccioso.

 

 

I suoi sogni tornarono ad agitarsi di nebulose accuse e presentimenti spiacevoli. Stavolta non attese molto prima di chiedere a Gaius il filtro per dormire.

Un pomeriggio, subito dopo Antiche Rune, si fiondò in infermeria trovando la porta non del tutto chiusa. Stava per chiamare a voce alta il suo padrino, ma si fermò quando sentì un'altra voce concitata.

“Non ce la faccio più. Ogni notte rivedo il tradimento e ho così paura...”

Merlin allungò lo sguardo e vide Gaius poggiare una mano sul capo chino di una ragazza scossa dai brividi.

Richiuse piano la porta, ripensando a quando, l'anno prima, il guaritore gli aveva detto che non era stato l'unico a richiedergli una pozione per il sonno.

Morgana Pendragon, che aveva la fama di essere la migliore del corso di Divinazione, aveva dunque visto in sogno un tradimento. Merlin si fidava poco di quella materia ma, da un po' di tempo, si fidava ancora meno della ragazza.

 

 

Arthur prese l'uovo dalle mani di Merlin con delicatezza. Il Serpeverde, abituato ai suoi modi rudi, rimase stupito come ogni volta dalla cura con cui Arthur sapeva maneggiare il loro futuro draghetto.

“Mi raccomando,” gli disse, per togliersi la soddisfazione di provocarlo un pochino. “Attento a non sedertici sopra per sbaglio. Ah, e non usarlo nemmeno come fermacarte, perché è ovale e potrebbe rotolare via.”

Il Grifondoro ruotò gli occhi verso il soffitto proprio quando uno schiamazzante poltergeist passò sopra le loro teste, agitando una ghirlanda per mano.

“Per chi mi hai preso, Merlin? L'uovo sarà più al sicuro con me qui a scuola che in mezzo a quella colonia di gnomi selvatici a casa tua.”

“Penso che abbiano deciso di andare in vacanza da qualche parte al caldo, sai?”

Arthur arricciò il labbro. In quel momento, un gruppetto di studenti del primo corse proprio in mezzo a loro, costringendoli ad allontanarsi l'uno dall'altro di diversi passi.

“Razza di piccoli Troll fastidiosi,” sibilò Arthur, sdegnato. “Spero che le carrozze partano senza di loro e che perdano il treno.”

“Sei proprio come Scrooge: dato che odi il Natale, ti credi in dovere di rovinare anche quello degli altri,” lo riprese Merlin.

“Scrooge? Lasciatelo dire, stai prendendo Babbanologia troppo sul serio.”

Merlin si strinse nelle spalle. Un paio di fantasmi gli passarono accanto intonando delle carole natalizie.

“Arthur... ma non hai proprio nessun altro posto dove andare?” chiese per l'ennesima volta.

“Quanto ancora dovrò ripetertelo prima che riesca a entrare in quella tua zucca vuota? Mio padre ha organizzato una serie di conferenze che gli daranno una grossa visibilità e non potrei portare l'uovo, visto il rischio di essere fotografato. Meglio stare qui in ogni caso.”

“Morgana cosa fa?” disse Merlin, fingendo indifferenza.

Arthur non parlava mai di lei; l'unico modo che aveva per sondare il terreno era fare qualche allusione del genere.

“Spero che tu stia scherzando e che non mi stia proponendo sul serio di passare le vacanze con la mia sorellastra,” disse Arthur, secco. “Lei e Morgause preferirebbero vedermi morto piuttosto che avermi con loro a mangiare felicemente il tacchino come tre bravi fratelli.”

Merlin annuì. Be', era già un'informazione in più, sebbene non molto rassicurante. “Sicuro che non vuoi venire da me? Mamma sarebbe contenta, lo sai. Fa delle torte di zucca davvero ottime,” aggiunse, tentando di invogliarlo. Non gli piaceva l'idea che Arthur rimanesse a scuola per Natale.

“Sto bene qui,” fece l'altro, stoico. Le sue parole avevano quella piega particolare che non lasciava spazio per alcuna risposta.

Arthur riusciva a essere stupidamente autoritario proprio nei momenti più sbagliati.

Di fronte a quel rifiuto a oltranza, Merlin sentì di non sapere più cosa farsene delle proprie mani. Tese le dita e dopo le tamburellò contro le cosce, il Grifondoro che lo guardava con un sopracciglio alzato come se lo trovasse molto stupido (il che, con ogni probabilità, era vero).

“Allora... ciao,” si arrese alla fine il Serpeverde, raccogliendo le sue valige.

Arthur lo salutò con un breve cenno del capo, l'uovo assicurato alla stretta avvolgente delle sue braccia.

Dal momento in cui gli diede la schiena fino a quando non venne accolto sulla soglia di casa da sua madre, Merlin non fece che pensare ad Arthur: Arthur, che passava il Natale a Hogwarts da solo; Arthur, davanti al quale il Molliccio si era trasformato nell'incubo vivo e morto insieme dei suoi genitori.

 

 

 


Quinto anno

 

 

“Il tuo Pendragon è fuori di testa,” annunciò teatralmente Will, sbattendo la porta della loro camera.

Merlin, che stava lucidando l'uovo a pancia in giù sul letto, lo guardò con scarso interesse.

“Sì, lo so che non è una novità,” sbraitò Will, alzando l'indice, “però qui abbiamo raggiunto nuovi livelli. Tutti siamo impegnati con lo studio o con qualche attività extra, ma-”

“Arthur era intrattabile prima, figurati adesso che è pure Prefetto,” convenne Merlin, più che altro brontolando a se stesso.

“... Ma ciò non giustifica un comportamento simile!” concluse Will, furibondo. Detto questo, si indicò i capelli con la bacchetta e Merlin notò solo allora che, sulla punta della sua testa, era spalmata un'inconfondibile, piccola montagna di escrementi di gufo.

Merlin resistette tre secondi prima di scoppiare a ridere con così tanta foga da doversi tenere la pancia.

“Sì, ridi, ridi pure,” ringhiò l'altro, “me la sono tenuta apposta in testa per fartela vedere, così la pianterai di difenderlo.”

Senza smettere di sghignazzare e rotolarsi sul piumone verde bottiglia, Merlin agitò la bacchetta e i capelli dell'amico tornarono puliti. “Non lo difendo, Will, dai...” riuscì a dire tra i singhiozzi.

“A no? Ti ricordo che due anni fa eri tu a riempirmi il cervello di variazioni molto articolate di ciò che ti ho appena detto io.”

“Anche adesso-”

“Lo facevi senza saltare un giorno, Merlin. Anche adesso ti lamenti di lui, sicuro, ma non suoni più tanto convincente, se vuoi saperlo. Qualche volta ti dimentichi pure di sbuffare e invece sorridi. Stai perdendo colpi.”

Merlin si accigliò; stava davvero perdendo colpi? Era diventato troppo morbido con Arthur? E, soprattutto, quando diavolo era successo? “Dimmi che ha fatto stavolta,” esalò, facendo penzolare la testa dal bordo del letto.

“Ero andato a recuperare Anacleto per spedire quella lettera alla mia prozia (a proposito, grazie per avermi prestato il gufo) e là, a sbarrare l'entrata della Guferia, c'era Pendragon. Gli ho detto di levarsi dai piedi e lui ha detto no, levati dai piedi tu, voglio stare da solo.”

Merlin assottigliò lo sguardo. “Tutto qua?” chiese, per niente convinto.

“Ah, va bene, potrebbe essermi scappata qualche parolina in più,” ammise Will, sbracciando, “ma lui ha colto al volo l'occasione e ha fatto comparire quello schifo sulla mia testa. Poi ha iniziato a soffiarmi addosso come un gatto che vomita una palla di pelo, ribadendo che dovevo andarmene e lasciarlo stare. Ma dico, ti pare un comportamento civile? Grifoidiota sbruffone del cavolo. Non aspettava che l'occasione giusta per scatenare una rissa.”

Merlin si tirò su in piedi alla svelta, allarmato. Quello non era un comportamento tanto normale nemmeno per Arthur.

“Ed ecco che accorri subito in suo aiuto, vedi?” lo accusò Will mentre lui già si stava allacciando le scarpe. “Senti, secondo me non dovresti fare proprio un bel niente. Non se lo merita. Tratta male più del solito anche te, ultimamente, o no?”

Merlin represse con decisione una fitta che gli aveva trapassato lo stomaco a quell'affermazione. Non rispose all'amico, concentrando tutte le sue energie nella ricerca della sciarpa. Per precauzione decise di portare anche l'uovo, visto che pareva avere su Arthur una sorta di effetto tranquillizzante.

“Sai che ti dico? Al diavolo Pendragon, io mi avvio alle carrozze. La gente inizia già ad andare alla stazione,” disse Will, grattandosi la testa. “Cavolo, non vedo l'ora di essere a casa e mangiare i dolci di mia madre e aprire i regali e il resto...” E poi sbuffò e guardò Merlin di sottecchi, come se lo stesse compatendo un pochino. “Tu aspetterai il prossimo turno, non è vero?”

Lui si morse il labbro.

 

 

Arthur stava seduto fuori dalla porta della Guferia, rannicchiato su se stesso contro la brina e il ghiaccio. Aveva incrociato le braccia sopra le ginocchia e la sua espressione era dura e distante.

“Sei terribile, e per fortuna che sei un Prefetto,” esordì Merlin, andandogli incontro piano. “Sei il peggior Prefetto della storia, penso.”

Arthur non lo guardò, ma alzò le sopracciglia per fargli intendere che l'aveva sentito e che aveva una rispostina pronta all'uso.

“Stai bene?” lo precedette il Serpeverde, senza curarsi di nascondere la preoccupazione.

“Tu non dovresti avviarti alle carrozze? Tra un paio d'ore l'Espresso partirà,” fece Arthur, sepolcrale.

“Cambio di programma. Avevo voglia di vederti.”

La testa del Grifondoro scattò in alto. Di solito era bravo a celare le sue emozioni dietro una maschera rigida e incomprensibile, e anche questo avrebbe potuto dirsi il caso. Però c'era qualcosa di nuovo in lui, qualcosa di strano e fragile nelle linee spianate del suo volto che lo fece sembrare... vulnerabile.

La reazione immediata che il cervello suggerì a Merlin fu di mettersi a blaterare a vuoto per scacciare l'ombra dell'insicurezza più totale dal volto di Arthur. “Insomma, ho saputo che hai dato spettacolo. Will mi ha mostrato cos'hai combinato ai suoi capelli e, ehi, non pensavo che fossi in grado di fare una magia del genere. Anche se, a ben vedere, si tratta di un incantesimo piuttosto sciocco, quindi la cosa non mi stupisce più di tanto. In ogni caso, sono venuto perché non potevo perdermi il grande show del Drago Pen che ruggisce dalla sua tana nella torre più alta.”

E l'incertezza, in effetti, scivolò via... ma solo per lasciare il posto a un'aspra dose di veleno. “Questa potevi risparmiartela, idiota,” disse seccamente Arthur. “Se sei venuto qui solo per qualche battuta stupida, puoi pure andartene subito. Non ho bisogno di te.”

Merlin sgranò gli occhi, per un momento deprivato della facoltà di rispondergli per le rime.

Non aveva bisogno di lui?

Non aveva davvero bisogno di lui, quella testa di... Troll?!

“Si può sapere che ti succede?” si riprese, punto sul vivo. Oh, non gliel'avrebbe fatta passare liscia facilmente, adesso, a quell'ingrato di un pallone gonfiato. “Anche se le feste ti rendono nervoso, non c'è bisogno che tu te la prenda con la prima persona che passa. È dall'inizio dell'anno che ce l'hai col mondo intero.”

E anche con me.

Un doloroso senso di delusione anestetizzò per un momento la sua irritazione. “Forse dovresti alleggerire i tuoi incarichi,” suggerì, leggermente placato. Avrebbe comunque voluto suonare tagliente o perlomeno ironico, invece gli riuscì solo di parlare col cuore in mano.

“Non posso,” disse Arthur, scuotendo la testa con aria sconfitta.

Questo Merlin non lo sopportava; Arthur non era tipo da arrendersi così. Era nato per essere un capitano, un Prefetto... lui sapeva guidare gli altri, ma allora come mai sembrava non voler nemmeno tentare di trovare la propria strada?

“Perché non puoi?” fece il Serpeverde, accucciandosi per toccare la spalla dell'altro. “Per non deludere tuo padre? Arthur, tu non gli devi niente.”

Allora lui si alzò di scatto e, prendendolo alla sprovvista, scacciò via il suo palmo. “Che vuoi saperne,” disse, quasi ringhiando. Non era una domanda.

Merlin, per niente intimorito, continuò a parlargli dietro. “Ti conosco, so quanto tu senta il bisogno di dimostrargli il tuo valore,” disse, scandendo bene le parole per assicurarsi che lo ascoltasse. “Credimi, non vale la pena farlo per una persona che non riconoscerà mai i tuoi sforzi.”

“Cosa stai dicendo?” disse Arthur.
“Sto dicendo che Uther Pendragon è un uomo troppo severo e stolto e che ha un cuore di pietra. Non sa riconoscere le cose preziose anche quando-”

“Stai mancando di rispetto a mio padre,” lo sovrastò Arthur; era arrabbiato, adesso. Cercava lo scontro con il tono pieno di spine e con ogni respiro che gli gonfiava il petto.

“Non importa che sia tuo padre, si merita tutto quello che ho detto ed è la verità!” esclamò Merlin. Dio, Arthur era così ottuso e testardo! Forse, se avesse gridato più forte, l'avrebbe preso sul serio. “Fosse stato per Uther Pendragon, sarei morto avvelenato-”

“Non ti permetto di parlare così di mio padre,” disse Arthur a pochi centimetri dal suo naso, puntandogli il dito contro. L'aria era carica di elettricità gelata, il suo tono basso gonfio di avvertimenti, ai quali diede voce: “Attento a quello che dici, o...”

“O cosa?” disse Merlin, avanzando di mezzo passo. Se solo avesse voluto dargli retta, se solo l'avesse considerato degno di essere ascoltato!

A sorpresa, Arthur ruppe la bolla di tensione passandosi una mano tra i capelli. “Tu non lo conosci, non puoi giudicarlo,” disse, perentorio e amareggiato insieme. Nessuno avrebbe mai potuto contraddirlo, su quel punto. Era davvero testardo come Uther Pendragon.

Si allontanò da Merlin, arrivando fino all'imboccatura delle scale a chiocciola, e poi si voltò. “Pensavo che fossi diverso... invece sei solo un malfidato e bieco Serpeverde come gli altri,” sferzò, definitivo.

Merlin sentì distintamente l'accusa far breccia dentro di lui, fino ad arrivare a centrare quel nodo di paure che non aveva mai superato. La frustrazione, come meccanismo di difesa, montò in una nuova ondata.

“Vedi che idee ti ha inculcato in testa?” sbraitò, la voce rotta. Non voleva urlare ma allo stesso tempo lo desiderava ardentemente. “Odia così tanto che esista qualcuno in grado di sopraffarlo, una forza superiore a lui che non può governare né capire... eppure gli è riuscito bene di assimilare gli stereotipi peggiori della società che detesta tanto. Il Ministro Babbano è perfettamente identico ai maghi più cattivi e ottusi che abbiamo qui!”

“Adesso basta!” tuonò il Grifondoro. Il suo corpo vibrava di rabbia trattenuta, la mano serrata sulle guglie della torre era sbiancata. “Noi due abbiamo chiuso.”

“Va bene,” replicò subito Merlin. “L'uovo lo tengo io.”

“No, lo tengo io. Ha bisogno di rimanere al caldo, la Sala Comune di Grifondoro è più adatta dei sotterranei.”

“Meglio un raffreddore provocato dall'umidità che soffrire per stare vicino a gente tanto fredda come te,” sibilò Merlin.

Arthur non lo degnò di una risposta e gli diede le spalle, sparendo come un'ombra giù per le scale.

Il Serpeverde si appoggiò alla parete di mattoni, gli occhi chiusi e il respiro accelerato. Non seppe quanto rimase così; si riscosse solo quando il freddo divenne tanto pungente da fargli provare dolore alle orecchie e al naso, e allora si ricordò che aveva ancora l'uovo tra le braccia.

Mortificato, si sfilò la sciarpa e tentò di avvolgere il guscio in essa; le dita, però, scivolavano goffamente, e lui preferì attribuire ciò alla sua scarsa coordinazione piuttosto che alla discussione con Arthur.

La verità era che si sentiva provato e, sì, forse gli occhi gli pizzicavano in modo allarmante, ma era per la rabbia. In ogni caso, non avrebbe pianto. Non avrebbe dato quella soddisfazione ad Arthur, anche se lui non l'avrebbe saputo.

 

 

Se qualcuno avesse detto a Merlin che gli sarebbe stato impossibile evitare Arthur a Hogwarts, lui ci avrebbe fatto una grossa risata sopra.

Ecco, in verità sbagliava alla grande.

Stava accadendo una cosa fastidiosamente curiosa: pur con il dichiarato intento di restare l'uno fuori dai piedi dell'altro, Merlin e Arthur non facevano che incrociarsi per i corridoi e le aule vuote.

Ormai il Serpeverde era sicuro di conoscere tutti gli orari di Arthur e si era mentalmente preparato a evitare i posti che di solito frequentava; andava perfino in Sala Grande per la cena alle diciotto, perché sapeva che Arthur aveva l'abitudine di mangiare tardi per via degli allenamenti.

Per uno strano scherzo del destino, però, lo incrociava almeno tre o quattro volte al giorno, senza contare tutte quelle in cui faceva in tempo a individuare la sua testa bionda e cambiare strada all'ultimo.

Quando se n'era lamentato con una lunga lettera a sua madre, la traditrice aveva risposto solo: due facce della stessa medaglia tendono ad andarsi a nascondere negli stessi posti. Merlin pensò seriamente che avesse parlato di loro con il preside senza dirgli nulla.

In tutta onestà, quella situazione era penosa. Aggirarsi per quattro giorni per una Hogwarts deserta l'aveva fatto sentire più solo che mai.

“Non avevo deciso di passare il Natale a scuola per tenere il broncio a quell'asino a distanza,” brontolò la sera della vigilia all'uovo. Poi aggiunse, più incerto: “Dici che è meglio che vada a tenergli il broncio faccia a faccia?”

Il silenzio in cui rimase immerso l'ovetto gli parve una risposta abbastanza favorevole, quindi Merlin lo prese con sé e si fiondò giù dal letto, deciso a marciare verso il dormitorio di Grifondoro.

“Voleranno insulti e forse pure qualche pugno,” disse, correndo per i sotterranei. “Era proprio ora!”

Il cuore aveva preso a battergli un po' più forte e no, non si sentiva un idiota, grazie tante.

Avrebbe rimesso quel principino tronfio al suo posto, estorcendogli con la forza le scuse che gli doveva. Era stato ingiustissimo con lui. Merlin aveva solo voluto tirarlo su di morale, invece tutto era degenerato orribilmente senza un'apparente buona ragione e...

La verità era che Arthur l'aveva ferito.

Non solo con quella discussione, ma con il comportamento che teneva con lui da diversi mesi. Merlin aveva covato tutto dentro, chiedendosi per quale ragione al mondo Arthur dovesse farlo sentire tanto inadeguato, e alla fine il dispiacere accumulato era esploso.

Gli strani comportamenti del Grifondoro avevano cominciato a manifestarsi più o meno quando il professor Muirden aveva tenuto quella lezione speciale sull'Amortentia.

Quella volta Arthur si era innervosito per una sciocchezza: aveva detto che Merlin gli stava così appiccicato che non riusciva a sentire altro che il suo odore, o qualcosa del genere. Alla fine aveva cambiato posto e l'aveva lasciato sul banco da lavoro da solo.

Da allora era stato distante e, allo stesso tempo, più insopportabile che mai. Merlin aveva temuto si trattasse di una reazione estrema allo stress, considerati gli allenamenti, lo studio, i doveri da Prefetto e quelli da figlio, l'uovo...

Era stato talmente in pensiero per lui... E Arthur l'aveva ripagato in quel modo.

Lo sfogo in Guferia gli aveva fatto molto più male di tutte le epiche litigate del terzo anno sommate insieme, e quella consapevolezza bruciava sopra ogni cosa. Merlin aveva creduto che, dopo tutto quello che avevano passato, avessero imparato a capirsi – aveva creduto che anche Arthur si fosse affezionato a lui, almeno un pochino... ma si era sbagliato.

“Asino infantile,” berciò, calpestando le scale. Quando quelle presero a scricchiolare sotto i suoi piedi, alzò l'indice come avvertimento. “Non provateci neanche, a spostarvi! Adesso ho da fare.”

Poi, nel momento in cui Merlin svoltò l'angolo che conduceva al dormitorio di Grifondoro, successe: qualcosa lo colpì violentemente da dietro, dandogli solo il tempo di pensare che dovevano avergli scagliato un incantesimo addosso. La sua faccia andò a sbattere contro l'angolo di un quadro, gli abitanti del quale si misero a strillare, e il mondo divenne un cumulo di stelline bianche e suoni sordi.

 

 

“Ragazzo! Ragazzo, per l'amor del cielo, apri gli occhi!”

“Chiamate il vecchio Guaritore, che aspettate?”

“Ma non è a Hogwarts, idiota! È tornato a casa per le vacanze!”

“Il preside, allora!”

“Sono già passato nella mia copia appesa nel suo studio e lui non è lì. Chi lo sa dove va quel Vecchio Drago...”

“Oh, sta rivenendo! Coraggio, giovane mago!”

Merlin tornò lentamente in sé tra un dolore martellante alla testa e il vociare preoccupato dei personaggi dei dipinti.

Si mise a sedere a fatica, cercando di calmare le vertigini, ma non riuscì a impedire a un lamento addolorato di scappargli dalla bocca. “Che è successo?” chiese, confuso.

“Ti hanno attaccato, tesoro,” disse una dama del millesettecento. “Non abbiamo visto chi sia stato. Deve essersi reso invisibile in qualche modo.”

“Oppure eravate occupata a pomiciare con il Barone di Wiccham invece di monitorare il corridoio,” soffiò un frate grasso dalla cornice accanto.

“E voi, allora, eravate forse troppo impegnato a bere dalla vostra fiaschetta per accorgervene?”

“Silenzio!” sbottò Merlin. E poi si accorse dell'assenza di qualcosa di fondamentale e la sua cassa toracica si strinse spiacevolmente. “L'uovo,” esalò, tastando a caso intorno a sé. “Dove...?”

Tutti i personaggi lo guardarono, l'aria triste e colpevole. Un cavaliere si grattò il naso, il frate giocherellò con la propria tunica.

“È stato portato via. Lo hanno Appellato e l'abbiamo visto volare giù per le scale,” mormorò la dama.

Il panico gli scoppiò dentro, lasciandolo frastornato per qualche attimo. L'uovo non era più con lui... gliel'avevano rubato!

Merlin schizzò in piedi troppo velocemente, correndo nella direzione indicatagli dalla dama. Ogni cosa girava, non sapeva bene dove si stesse dirigendo e sentiva le voci dei quadri richiamarlo in un unico appello indistinto.

Arthur aveva detto che avevano chiuso; non sarebbe venuto da lui.

Improvvisamente, aveva paura – anzi, no, si sentiva terrorizzato, proprio come quando Arthur aveva rischiato di bere del veleno. Come allora, un istinto chiarissimo gli stava dicendo dove andare, guidando le sue gambe mentre la testa era tutta presa nella ricerca di un briciolo di lucidità.

Una corda invisibile legata attorno al suo cuore lo stava strattonando avanti, sempre più avanti, fuori dal castello, su per la collina fradicia di umidità... verso la Foresta Proibita.

La notte aveva ingoiato i rilievi scoscesi sul quale si ergeva il castello di Hogwarts; l'erba era viscida e i piedi di Merlin slittavano sulla brina. Il fiato usciva dalla sua bocca in sbuffi d'aria scoordinati, il gelo entrava nei polmoni ogni volta con una fitta sempre più lacerante.

Il mago si gettò tra gli alberi alti e oscuri e, ignorato con determinazione il buon senso, seguì la spinta dell'istinto.

La Foresta Proibita era piena di creature mortali e nessuna di esse, più o meno senziente che fosse, aveva la fama di amare la presenza di visitatori estranei. Il suo uovo, però, era lì, e con lui quelli che gliel'avevano portato via.

Inciampò più volte, Merlin, su radici che sbucavano dalla terra, finendo con la faccia nel fango. Rami, sterpi e rovi gli graffiavano le guance, ma lui non aveva tempo di curarsene. La sciarpa rimase incastrata da qualche parte e non tornò indietro a cercarla. La luna, nascosta da una fitta coltre di nubi nere, non lo aiutava.

La foresta era viva, e neanche questo lo aiutava; qualcosa o qualcuno ululava seguendo una precisa cadenza, piangendo o gridando, Merlin non lo sapeva. Ombre e zampe e chele si muovevano intorno a lui, minacciose; nitriti e mormorii, sussurri nelle tenebre. Tutti dovevano essersi accorti di lui e la magia sensibile di Merlin, seppure stravolta dalla paura, percepiva la loro agitazione. Eppure, nessuno lo fermò.

Correva da diversi minuti quando sentì di essersi avvicinato al cuore della foresta. Qualcosa gli impose di rallentare, controllare il respiro, non farsi scoprire. Merlin si insinuò come un serpente tra le querce secolari che pian piano si diradavano fino ad aprirsi in una piccola radura; al centro di essa, un gruppo di persone incappucciate era disposto in circolo. Stavano intonando una bassa litania di parole incomprensibili, punteggiate di magia.

Merlin si avvicinò ancora un po', deglutendo. I maghi avevano tutti le braccia tese, i palmi rivolti verso l'alto. In mezzo a loro, sopra la terra fredda, l'uovo.

Il Serpeverde, senza staccare gli occhi dalla scena, fece correre le dita verso la tasca dei pantaloni, in cerca della bacchetta. Fu allora che si rese conto di non averla più con sé. Doveva essergli caduta prima, quando era stato messo fuori gioco in corridoio. Esalò silenziosamente un tremito, imponendosi di rimanere concentrato; sapeva scagliare incantesimi anche senza bacchetta, se restava calmo, no?

In quel momento, i rapitori si mossero in simultanea e, facendo diversi lenti passi in avanti, strinsero il cerchio.

Al diavolo la calma.

“Fermi! Che volete fargli?” disse forte Merlin, venendo allo scoperto. Magari, distraendoli, avrebbe potuto guadagnare un po' di tempo.

Gli incappucciati, cinque o sei in tutto, si voltarono all'unisono verso di lui. Uno di loro, un uomo dalla voce profonda, parlò: “Aspettavamo la tua venuta, Emrys, ma non per questo saremo disposti a tollerarla.”

“Vattene ora e verrai risparmiato,” aggiunse una donna che suonava piuttosto anziana.

Merlin ignorò le minacce, cercando intanto di scagliare mentalmente qualche fattura, ma senza successo. Non era mai riuscito ad avere il pieno controllo di quell'abilità e adesso era in ogni caso troppo agitato. “Non mi muovo di qui,” disse, facendo la voce grossa. “Andatevene subito voi e sarò io a non farvi del male.”

Come prevedibile, risero di lui.

“Il drago che nascerà da questo uovo potrebbe aprire le porte del nostro mondo ai Babbani, ragazzino,” riprese l'uomo che aveva parlato per primo.

“Sangue e sangue si mischieranno ancor più di adesso, la purezza originaria della stirpe magica verrà insozzata,” sputò un altro incappucciato.

“Credi che potrà mai venirne qualcosa di buono, se molti più Babbani sapranno di noi?” disse qualcun altro che sembrava spaventosamente giovane e snob.

“I Babbani schiacciano ciò che è diverso da loro e che li spaventa. Nuove persecuzioni e lotte interne nasceranno, Emrys. Se il drago non verrà alla luce, niente di tutto questo accadrà. È ciò che noi Druidi vogliamo.” E questa... questa era una voce familiare, una voce glaciale che Merlin aveva già sentito...

Il mago avanzò verso il gruppo, provocando la reazione immediata degli altri, che sfoderarono le loro bacchette.

Expelliarmus,” pensò invano. Ad alta voce, invece, disse, alzando le braccia: “Aspettate, aspettate un attimo. Secondo il Profeta, voi Druidi siete contrari alla politica anti-magia del Primo Ministro Babbano,” ragionò, tentando maldestramente un altro passo in avanti. “Uther Pendragon vuole limitare i rapporti tra la comunità magica e quella Babbana, dunque voi dovreste, ehm... essere favorevoli all'integrazione?”

“Di Uther Pendragon non ci importa nulla,” sferzò la ragazza che aveva quel timbro familiare e secco. “È un omuncolo insignificante.”

La luce del sole si risveglierà dal suo sonno e unirà i due mondi divisi. Due anime come una sola, due facce di una stessa medaglia porteranno a noi la luce,” disse il Druido che aveva preso la parola più degli altri. Forse era il loro capo, ma a Merlin importava poco, visto che aveva appena recitato per filo e per segno la profezia che lo legava ad Arthur e all'uovo.

“Eliminando un'anima, la più debole e impura tra le due, la luce del sole non sarà in grado di risvegliarsi,” disse la vecchietta, e Merlin capì molte cose.

Erano stati davvero i Druidi ad attentare alla vita di Arthur con il veleno, il terzo anno.

E quanta paura può davvero fare un singolo Babbano a un gruppo di maghi? Il loro bersaglio non era mai stato Uther Pendragon, ma suo figlio. E quello, oh, quello cambiava tutto.

Expelliarmus!” gridò d'improvviso Merlin, sentendo gli occhi bruciare come fossero stati sommersi da un'onda liquida.

L'incantesimo riuscì: le bacchette dei Druidi volarono via ad un sol colpo e lui ne approfittò per fiondarsi tra loro; scivolando sul terreno, graffiandosi le ginocchia, raggiunse finalmente l'uovo per fargli subito da scudo col proprio corpo. Un senso di sollievo immediato lo investì. “Sono qui,” pensò, “andrà tutto bene.”

Ma non sarebbe andato tutto bene.

Le iridi del capo dei Druidi lampeggiarono d'oro nella notte e le bacchette tornarono come boomerang dai loro proprietari. “Notevole, ragazzino, ma non sei l'unico a non aver bisogno d'incanalare la magia in un mezzo esterno.”

“Non ti immischiare, Emrys,” disse la ragazza autoritaria, che Merlin a quel punto riconobbe come Morgause (il Terribile Prefetto... non a caso, non gli era mai piaciuta). “Ti risparmiamo perché sei ancora ingenuo. Hai grandi capacità che devi solo indirizzare sulla giusta strada. Tu sei un purosangue. È il figlio del Babbano, quello che deve morire.”

Merlin, allora, l'uovo stretto al petto, si alzò in piedi, ergendosi contro tutti. “Dovrete passare sul mio cadavere prima di torcere ad Arthur anche un solo capello,” decretò con fierezza.

“Ok!” disse il più alto e grosso dei Druidi. Poi si tirò giù il cappuccio e, perfetto, ci mancava solo quella: era Valiant.

Il Grifondoro si gettò verso di lui a capo chino, la bacchetta puntata in avanti come una spada, e Merlin si voltò per proteggere l'uovo, gli incantesimi che si susseguivano nella sua testa, inutilmente...

Silenzio. Il cuore che martellava dolorosamente nel petto, i respiri collettivamente trattenuti, una nuova presenza che ansimava forte nella mancanza irreale di suoni. Merlin sollevò le palpebre.

Arthur era arrivato.

Era arrivato e aveva scagliato Valiant in aria, appendendolo per la caviglia a un gancio invisibile e, mentre questi gridava e strepitava, i Druidi avevano superato la sorpresa e rispondevano all'attacco.

Arthur fu più svelto di loro: prima si parò dai colpi con un sortilegio scudo e poi pietrificò due Druidi insieme. Merlin boccheggiò per un attimo, guardando la vecchietta che correva via, i corpi di pietra che fluttuavano al suo seguito.

Merlin!” urlò Arthur, riuscendo a suonare spazientito anche in quel contesto.

Il Serpeverde si voltò appena in tempo per accorgersi del fascio di luce scagliato contro di lui dalla bacchetta del capo dei Druidi. Lo evitò gettandosi a terra mentre Arthur correva a coprirlo, distraendo l'incappucciato.

Merlin si alzò, l'adrenalina che gli amplificava la velocità di reazione e gli fermava le gambe tremanti. Individuò una bacchetta abbandonata a terra, appartenuta a qualcuno che Arthur aveva disarmato, e corse ad afferrarla.

“Non hai ancora superato la tua crisi adolescenziale, Morgause?” sentì il biondo gridare sopra le voci concitate.

A quel punto il Terribile Prefetto abbassò il cappuccio, scoprendo i riccioli dorati e l'espressione contrita. “Muori, Arthur Pendragon!” sentenziò.

“Arthur,” disse Merlin, e poi, “Bombarda,” e un enorme albero dietro la strega esplose in scintille colorate. Qualcuno strillò, i due Druidi rimasti afferrarono una confusa Morgause per le ascelle e corsero come fulmini, invisibili nel fitto degli alberi grazie ai mantelli scuri.

Il Serpeverde ansimò. Gli girava la testa e le gambe minacciavano di cedere da un momento all'altro, adesso. Era finita così? Erano salvi, l'uovo era salvo, Arthur stava bene? Si guardò intorno in preda al panico.

Merlin!” lo chiamò il Grifondoro, correndogli incontro.

Lui rimase lì ad aspettarlo – ad aspettare Arthur.

Abbassò le palpebre, tirò su col naso, singhiozzò una volta sola e poi fu tra le sue braccia, l'uovo pressato dolcemente tra loro. “Oh...” esalò, i muscoli che si scioglievano portandosi via la paura, l'ansia, la tensione accumulata in mesi di incomprensioni...

Stordito, Merlin si abbandonò al calore dell'abbraccio, appoggiando la testa sulla spalla solida di Arthur. Lui batté goffamente il palmo sulla schiena di Merlin un paio di volte e poi lasciò la mano alla base della sua spina dorsale, respirando profondamente.

Stringimi forte.

L'uovo, chiuso tra loro, si mosse in modo quasi impercettibile.

E poi il Serpeverde lo vide: Valiant era riuscito a scendere a terra e si stava rialzando in piedi, un'espressione selvaggia che aveva trasfigurato il suo volto, la voglia di vendicarsi l'unica emozione che lo illuminava – e Arthur era voltato dall'altra parte, le braccia ancora intorno a lui, e...

Valiant ringhiò. “Cruci-”

Sectumsempra!” gridò a pieni polmoni Merlin, le iridi che bruciavano ancora una volta.

Un mezzo secondo di stallo e il mantello scuro di Valiant si tinse violentemente di rosso. Il sangue zampillò da un taglio verticale, come se una lama invisibile avesse lacerato la carne del ragazzo. Valiant si guardò il petto, tremando come una foglia. Barcollò e cadde all'indietro.

Merlin sgranò gli occhi, diventando di marmo. Arthur si voltò e vide. Le sue braccia scivolarono via e il Serpeverde si sentì perduto.

“Cosa...?” mormorò Arthur.

“Io – non,” balbettò Merlin, mentre Valiant a terra grugniva.

Proprio in quel momento, qualcuno arrivò verso di loro correndo, provvidenzialmente; Merlin, come in un sogno, restò immobile e annebbiato ad osservare il preside Kilgharrah che raggiungeva Valiant e iniziava a sussurrare le sue magie curative, curvo sopra la ferita.

La testa di Arthur scattò da quella scena a Merlin, ancora, ancora e ancora.

“Non volevo,” riuscì a dire il Serpeverde, pianissimo. Ma non voleva cosa? Arthur era salvo. L'uovo era salvo. Non voleva cosa?

Il preside, dopo aver ripetuto l'incantesimo di guarigione per la terza volta, si volse verso di loro. “Sono arrivato prima che ho potuto,” disse, la voce ferma. “Lo porto al San Mungo; ho fermato l'emorragia, ma temo di non aver estirpato del tutto la maledizione. La ferita potrebbe riaprirsi.”

Un brivido di nausea sconvolse tutti i nervi di Merlin.

“Giovane mago, hai fatto solo ciò che dovevi,” gli disse il preside. Subito dopo si tramutò in un enorme drago dalle squame scure. Fece levitare Valiant sulla sua schiena e si alzò in volo in un batter d'occhio, l'erba e la polvere e i sassolini che vorticavano per lo spostamento d'aria.

I due ragazzi rimasero soli nella radura. La foresta taceva, come se tutti i suoi abitanti avessero assistito allo spettacolo rimanendo nascosti nelle loro tane.

Merlin aveva paura; non si era ancora reso conto di ciò che aveva fatto ma era sicuro che Arthur, ora, l'avrebbe odiato davvero. L'avrebbe evitato come un mostro... un serpente pericoloso e spaventoso. Lui non l'avrebbe biasimato.

Il Grifondoro lo fissò, stranito, e il ritmo dei suoi respiri affannati si spezzò. Nessuno dei due disse nulla. Arthur però, lentamente, estrasse dal mantello la sciarpa verde e argento di Merlin. Gliela avvolse intorno al collo con attenzione e poi gli passò le dita tra i capelli, spostandoli dal grumo di sangue che si era formato dove aveva sbattuto la testa contro il quadro.

Portò anche lui le mani sull'uovo, coprendo lo spazio lasciato vuoto da Merlin, e lo guardò senza aprire bocca, gli occhi duri e luminosi in quella notte infinita.

 

 

L'uovo era stato appoggiato davanti al caminetto, protetto dal contatto con il pavimento grazie a due morbidi cuscini. Il fuoco che scoppiettava piano proiettava una luce tenue e morbida nella Sala Comune di Grifondoro. Sulle pareti correva una fila di vischio verde brillante, intervallato ogni due metri da una composizione di ghirlande e campanellini. Due alberi di Natale avevano trovato posto in angoli estremi; spargevano un dolce odore di pino, amplificato dal calore.

“Il ventiquattro Dicembre...” iniziò Arthur, passando maldestramente una benda tra le dita graffiate di Merlin. “Il ventiquattro Dicembre io sono nato e mia madre è morta.”

Merlin allora comprese.

“Mi dispiace. Non lo sapevo,” disse.

Il Grifondoro scosse la testa senza aggiungere altro. Non era bravo con le fasciature; non faceva che attorcigliare la benda, disfarla e tentare ancora.

“Come sapevi che eravamo in pericolo e anche dove eravamo?” chiese Merlin.

Arthur spinse il labbro inferiore all'infuori in quella sua caratteristica smorfia confusa. “Non ne sono sicuro. Sapevo dove andare e basta. Ho sentito come...” tentò di spiegarsi, indicandosi il petto.

Il Serpeverde gli sfiorò il polso; aveva capito.

Quando l'altro fece per afferrare un cerotto dalla scatola del pronto soccorso, lui lo fermò, decidendo che non fosse il caso. Sciolse in fretta la fasciatura, prese delle bende pulite e fece da solo. Poi disinfettò la ferita vicino alla tempia e vi applicò un cerotto quadrato.

“Non posso credere che uno che inciampa in media tre volte al giorno sappia medicarsi da solo,” commentò Arthur.

“Ho imparato a forza di guardare Gaius,” disse lui, stringendosi nelle spalle.

Il Grifondoro annuì e si voltò verso il camino, le sopracciglia corrucciate. “C'è un'altra cosa,” disse dopo un po'.

Merlin non lo spronò ad andare avanti ma aspettò che fosse lui a parlare. Si accomodò sullo schienale della poltrona, i muscoli indolenziti dalla tensione che si scioglievano a contatto con i cuscini.

“All'inizio dell'anno, durante la seconda lezione di Divinazione, la professoressa Disir è entrata in stato catatonico per qualche minuto e ha annunciato una profezia che mi riguardava,” disse Arthur, guardando fisso davanti a sé. “Ha detto che in un giorno di nascita e morte verrò tradito per due volte da due donne che mi sono vicine. Il giorno è senza dubbio il ventiquattro Dicembre, e oggi Morgause mi ha tradito.”

“Perché non me l'hai detto prima?” chiese il Serpeverde.

Lui accennò un sorrisetto. “Perché tu pensi che Divinazione sia solo un mucchio di sciocchezze superstiziose, Merlin.”

“Avresti dovuto dirmelo comunque, idiota,” borbottò. Se si trattava di Arthur, lui prendeva sul serio qualunque profezia. Aveva imparato presto ad accettare quella che li aveva uniti all'uovo, in fondo. “Dobbiamo dire al preside di Morgause,” aggiunse. “Non so quanto possa esserci d'aiuto, visto che arriva sempre tardi, ma magari potrà organizzare dei turni di guardia per quando tu e l'uovo sarete più esposti fuori dalla scuola, in mezzo ai Babbani.”

Il Grifondoro, a quella proposta, sbuffò.

“Arthur, i Druidi ti vogliono morto,” gli ricordò Merlin, nel caso quella zucca vuota non l'avesse metabolizzato. “Nimueh faceva davvero parte di quel gruppo e, chiaramente, anche Morgause. Hanno degli infiltrati perfino tra gli studenti. Credo che tu debba guardarti la schiena anche da-”

Ma Arthur, intuito alla perfezione dove volesse andare a parare, lo guardò in cagnesco, impedendogli di terminare. “Non posso denunciare Morgause,” affermò con forza, per poi alleggerire il tono. “È la sorellastra della mia sorellastra... Se lo facessi, sai che situazione, poi, durante i pranzi in famiglia.”

“È davvero una sciocchezza,” replicò lui.

Altro che sciocchezza... era una decisione sconsiderata. Arthur doveva proprio avere il cuore grande ed essere così maledettamente magnanimo? Ci voleva un po' di senso della realtà, in quella testa di fagiolo.

“Morgause avrebbe fatto del male all'uovo e anche a te. Niente le impedirà di provarci ancora, se non la neutralizziamo prima.”

“Non puoi spedire tutti al San Mungo come hai fatto con Valiant!” disse il Grifondoro, polemico; ci vollero tre lunghi secondi affinché il peso delle sue parole affondasse completamente in entrambi.

“Non volevo arrivare a tanto,” disse Merlin, la testa bassa.

Dalla sua voce era emerso quanto fosse ferito e spaventato... Ma, nel profondo, sapeva di aver fatto la cosa giusta, e questo era ciò che lo terrorizza: sentiva di aver fatto bene ad usare le Arti Oscure su Valiant, visto che così aveva salvato la vita ad Arthur.

“Lo so che non volevi, io...” si impappinò il Grifondoro, ignaro del conflitto di Merlin. “Prima, quando ho detto...” ritentò, per poi sbuffare, sconfitto dalla sua scarsa abilità dialettica. “Nonostante tutte le cose che ti ho sempre detto, non penso davvero che essere un Serpeverde ti renda malfidato, né tantomeno egoista e cattivo.”

Merlin rialzò la testa, vinto dall'emozione. Per quanto avesse desiderato ascoltare quelle parole da molto tempo, sapeva di aver sorpassato un limite, nella foresta, che l'aveva reso diverso... in qualche modo, in lui si era già spostato il confine tra cosa fosse lecito e cosa non lo fosse, se si trattava di proteggere chi gli stava a cuore.

“Sono stato io il primo a giudicarti, quando non ci conoscevamo bene. Ho sbagliato,” disse ancora Arthur, riferendosi alla prima discussione che avevano avuto nell'ufficio del preside, al terzo anno. “Insomma, sei troppo stupido per essere malvagio, Merlin,” chiarificò.

Lui non poté fare a meno di aprirsi in un sorriso acquoso. “Capisco che non dev'essere facile scrollarsi di dosso i pregiudizi sui Serpeverde, con Morgana e Morgause come modelli,” disse, schiarendosi la gola. “E ti perdono anche per tutto il resto.”

All'espressione interrogativa del Grifondoro, aggiunse: “Ti perdono per esserti comportato come un vero asino negli ultimi tempi... più del solito.”

“Non ti ho mica chiesto scusa per quello,” sbottò Arthur, il tono acuto e oltraggiato. Tuttavia, era visibilmente sollevato.

Dopo qualche minuto, il biondo tornò a parlare, il volto ancora fisso alle fiamme arancioni.

“Ascolta, Merlin. In Guferia mi hai detto che dovrei lasciare alcuni dei miei incarichi, ma devi capire perché non posso darti retta. Voglio continuare a fare ogni cosa, e non solo per mio padre,” disse, imponendosi e bloccando ogni sua protesta. “Non mi va di deludere le aspettative del preside e dei professori, né degli studenti che, giustamente, mi venerano e mi considerano un modello da seguire, quindi non abbandonerò la carica di Prefetto.”

Merlin alzò con molta enfasi gli occhi al soffitto.

“Ovviamente, di andarmene dalla squadra di Quidditch non se ne parla neanche.”

“Ovviamente.”

“Già. Posso farcela, posso fare tutto...” disse Arthur, e allora si voltò, serio e onesto e luminoso. “Posso fare tutto, con te al mio fianco.”

Merlin, completamente preso da lui, sgranò gli occhi.

Oh.

 

 

“Se avessi saputo che intendeva dire che avrebbe fatto di me il suo schiavo personale, non mi sarei lasciato abbindolare!” sbottò Merlin. “Fa quella cosa... quel sorrisetto storto... ci aggiunge due parole meno scorbutiche del solito e ci casco! Certo che può fare tutto, con me al suo fianco... fa praticamente fare tutto a me! Quindi ora sono uno studente, un allevatore di draghi, un sostituto Prefetto, un portaborse, un valletto, un assaggiatore personale, un aiuto-compiti...” si lamentò, tenendo il conto con le dita. “Odio quell'asino. E non mi parli di facce e medaglie, per favore, oggi non è proprio il caso!”

Il preside si portò alle labbra la bacchetta come fosse una lunga pipa, divertito. Poi la estrasse e soffiò dalle narici degli anelli di fumo. “Ti ricordi, giovane mago, che a fine semestre avete i vostri G.U.F.O, non è vero?”

Merlin sbiancò e, quasi cadendo dalla sedia, si precipitò fuori dall'ufficio con una scusa volante.

Il resto dell'anno passò piuttosto tranquillamente, stress da studio a parte; forse, anche i Druidi che frequentavano Hogwarts erano troppo impegnati a starsene col naso sopra i libri per organizzare qualche altro brutto tiro.

 




 

Note:

Per chi non lo ricordasse, l'Amortentia è una pozione d'amore che emana l'odore di ciò che ci attrae.

“Grifoidiota”, poi, è un'espressione meravigliosa e tutti i credits per essa vanno a luxuryloser.

   
 
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