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Autore: Ginger_90    12/12/2014    4 recensioni
(dal testo)
- Visto i tuoi bei voti, io e la mamma abbiamo deciso di farti un regalo. Ti abbiamo comprato un motorino – disse papà con noncuranza come appena posai i piatti a tavola e cominciammo a mangiare.
Per poco non mi andarono di traverso gli spaghetti. Cercando di non tossire e afferrando con una mossa repentina il bicchiere pieno d'acqua davanti a me, guardai sbalordita mio padre, come se dovesse scoppiarmi a ridere in faccia da un momento all'altro.
- Un motorino? - ripetei atona convinta di non aver per niente afferrato le sue parole.
- Sì, non fare quella faccia. Ho detto proprio “motorino” – ripeté scambiandosi un ghigno con la mamma e sottolineando delicatamente la parola “motorino”.
(...)
- Scendi giù. É in garage – disse mio padre mettendomi la chiave davanti agli occhi. - Ma... - aggiunse ritirando la mano quando feci per agguantarla avidamente, - potrai usarlo solo se frequenterai anche la palestra che ha aperto non lontano da qui. Corso di nuoto. O preferivi qualcos'altro? Sei sempre stata molto brava a nuotare, no? -
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Li odiavo. Li odiavo tutti, pensai nervosa mentre salivo sul pullman per tornare a casa. Sempre cosi sicuri di sé e a credersi i migliori...

I miei compagni di classe erano il classico esempio di una rara malattia a livello cerebrale nota come morbo dello scimmiottismo ovvero ragazzi viziati figli di papà sempre attaccati alla gonnella delle loro madri che per avere tutto quello che desideravano non dovevano fare altro che piagnucolare un po' con mammina o papino, che magari all'inizio facevano anche finta di dire no per poi cedere impotenti ai capricci dei loro figli.

Il fatto di essermi trasferita cosi tante volte in giro per il paese mi aveva reso timida e dubbiosa verso delle nuove persone da conoscere, cosicché non sprecavo neanche più tempo ad approfondire rapporti con gli altri ragazzi e preferivo starmene a casa da sola a fare i compiti, o per la maggior parte del tempo ad ascoltare musica, leggere o vedere libri e film di qualsiasi genere, oppure semplicemente disegnare o colorare... Adoro colorare: cancellare ogni spazio bianco, rendendo tutto definito. Ogni cosa col suo colore. Forse è una cosa da bambini ne sono perfettamente consapevole, ma d'altronde mi sento ancora un po' piccola; è vero che ho 17 anni ma, anche se non sono più una bambina, mi rilassa tantissimo farlo.

Detto questo, sarebbe abbastanza inutile dire che ai miei genitori questa situazione non andava affatto a genio. Si aspettavano che tornare nella città in cui ero nata e cresciuta fino ai miei primi 4 anni di vita avrebbe contribuito a farmi uscire dal guscio, o meglio, dal muro che mi ero creata attorno ma così non era stato; anzi, forse ero anche peggiorata.

- Sei sempre chiusa nella tua stanza non è normale che una ragazza della tua età non abbia nessuno con cui uscire - aveva detto mio padre una sera mentre stavamo cenando.

- Papà, ti ho già detto com'è la situazione a scuola. Non voglio avere niente a che fare con quelli della mia classe - mormorai indifferente. Ci ero abituata: ogni tanto, ovvero circa ogni due giorni, mio padre metteva la marcia e se ne partiva con la predica del giorno e questa era la sua preferita.

- Sì, ho capito, ma possibile che non ci sia un'altra ragazza oltre ad Ayame con cui andresti d'accordo? - chiese ancora, concitato.

Beh, no. Non capiva proprio. Da quei ragazzi preferivo essere completamente ignorata, piuttosto che diventare la loro nuova attrazione. Come era diventato per Hojo. Mi faceva una pena tremenda: lo deridevano di continuo e, come se non bastasse, la cosa ancora più incredibile era che lui se ne rimaneva lì, tutto contento che se la spassava e rideva insieme a loro come se Akito Hojo fosse qualcun altro. Lui voleva solo entrare a far parte del gruppo più “in” della scuola, anche a costo di sopportare questo, ma non sapeva che era entrato a farne parte solo perché figlio di un noto produttore che aveva catene di erboristerie in tutto il paese.

Certo, c'erano anche le ragazze. Ci avevo provato a far amicizia con loro, davvero, ma dopo mezz'ora di conversazione avevo già lasciato il campo: gli unici argomenti di cui avevo capito qualcosa sentendole parlare così di sfuggita, in classe, erano trucchi, capelli, vestiti, discoteca, ah quant'è bello quello, e quell'altro... il che magari non era poi così male, ma parlando poi direttamente con loro mi ero resa conto che questo a confronto era niente. E io decisamente non potevo farcela.

Evidentemente, per Miroku Watanabe e Kikyo Ichinashi essere figlia di una semplice casalinga e di un dipendente dello Stato non era abbastanza. Me lo avevano fatto chiaramente capire quando scelsero per la loro combriccola i ragazzi più ricchi e benestanti dell'intero istituto che frequentavo. Così, dall'inizio del semestre, me ne stavo da sola in un angolo a seguire le lezioni e a superare compiti in classe mentre loro si annoiavano a morte mostrando il loro disappunto escogitando tanti vari modi per saltare le lezioni. Il problema era che la maggior parte delle volte ci riuscivano alla grande, ed io, ovviamente dovevo capitare proprio nella classe dove risiedevano i capobanda e la maggior parte di loro... E Hojo ovviamente, a rompermi le scatole. Era sempre stranamente gentile con me.

Non ero una secchiona, anzi; ma cercavo semplicemente di restare sempre al passo col programma cercando di prendere almeno una sufficienza, evitando di mettermi troppo in mostra davanti agli occhi dei miei compagni ed evitando così eventuali imbarazzi inutili. Meno mi consideravano e meglio era.

La scelta di frequentare un liceo commerciale, col tempo, non si era rivelata delle migliori: nelle materie tecniche faticavo parecchio per capire gli argomenti, eccedendo invece in quelle umanistiche; ma sembrava che quest'anno con l'arrivo di un nuovo professore di economia le cose fossero destinate a cambiare. Era capace di rendere nitido e chiaro tutto quello che spiegava, e, soprattutto, alle interrogazioni e ai compiti in classe, dava sempre valutazioni giuste ed obiettive... a differenza del professore dell'anno scorso: dopo aver rovinato generazioni e generazioni di studenti non spiegando mai nulla, aveva finalmente deciso di tirare le cuoia, ehm, di andarsene in pensione volevo dire. L'importante per lui era arrivare alla fine dell'anno con il programma finito, bofonchiando qualcosa durante le lezioni e dando i capitoli da leggere a casa da soli. Se capivi, bene, altrimenti se domandavi qualche chiarimento lui ti rispondeva di chiedere una spiegazione a qualcuno in classe. Questo avrei potuto farlo se in classe ci fosse stato qualcuno che aveva avuto il buon cuore di leggerlo, ma è inutile dire che questa opzione era da scartare a priori, e per quanto riguarda i voti si andava a simpatia. Io, che come si è capito non amavo essere al centro dell'attenzione, ero nel mezzo e vagavo tra il 5 e il 6. Ora invece avevo la media del 7 e ancora non me ne capacitavo.

- Neanche qualche ragazza alla fermata del pullman? - Aveva chiesto ancora mio padre, arrivando ormai ad arrendersi, al limite della rassegnazione.

Ah, ok... Forse qui, mi sa che la colpa è davvero un po' mia.

Un'amica la avevo però. Si chiamava Ayame. Aveva un anno e mezzo più di me e ci eravamo conosciute da piccole trovandoci tutti i giorni a giocare al parco e da allora non ci eravamo più lasciate, continuando a sentirci anche se abitavano a chilometri di distanza e crescendo comunque insieme. Ayame aveva perso i genitori in un attentato (erano dei giornalisti, lavoravano entrambi come inviati speciali nelle zone di guerra) e quindinviveva con il nonno, di cui si occupava. Se non ero a casa mia ero da lei e le davo sempre una mano con le faccende di casa e a badare alle piccole pesti a cui faceva da babysitter, magari passando a prenderli a scuola o all'asilo se lei non poteva. Era la sorella maggiore che non avevo e se avevo dubbi o timori su qualsiasi cosa mi consigliava e mi aiutava senza batter ciglio abbandonando qualunque cosa stesse facendo in quel momento e così era anche per me, anche se, a volte, tra le due, ero io quella a rimanere sempre con i piedi per terra.

Bussai, mamma aprì il portone e salendo sull'ascensore schiacciai il pulsante del terzo piano. Entrata in casa, papà era sul divano a guardare la TV, mamma alle ultime prese con i fornelli e Sota, che giocava allegramente con Buyo il gatto, mi venne incontro per salutarmi. Bene, tutto a posto. Salutai, posai lo zaino e mi lavai mani e faccia per poi mettere la mia tuta blu per star più comoda. Quando entrai di nuovo in cucina, papà si avvicinò, dandomi un bacio sulla fronte, e io feci la mia solita smorfia. In realtà mi piaceva che si comportasse così con me, dimostrandomi sempre quanto mi voleva bene, ma mi vergognavo troppo a ricambiarlo (tratto generosamente ereditato dalla mamma).

- Visto i tuoi bei voti, io e la mamma abbiamo deciso di farti un regalo. Ti abbiamo comprato un motorino – disse con noncuranza come appena posai i piatti a tavola e cominciammo a mangiare.

Per poco, non mi andarono di traverso gli spaghetti. Cercando di non tossire e afferrando con una mossa repentina il bicchiere pieno d'acqua davanti a me, guardai mio padre sbalordita, come se dovesse scoppiarmi a ridere in faccia da un momento all'altro e dirmi che era uno scherzo.

- Un motorino? - ripetei atona fermamente convinta di non aver per niente afferrato le sue parole.

- Sì, non fare quella faccia. Ho detto proprio “motorino” - ripeté scambiandosi un ghigno con la mamma e sottolineando delicatamente la parola “motorino”.

- Un motorino... Un motorino!? Oh, papà grazie! - esclamai incredula buttandogli le braccia al collo per stritolarlo. Non ci potevo credere! Avevo un motorino! Il patentino lo avevo preso l'anno scorso, ma così, giusto per farmi un'idea di come sarebbe stato il test per la patente! Sapevo già che non mi sarebbe stato mai e poi mai permesso di averne uno tutto per me, e non l'avevo proprio mai chiesto in regalo ai miei genitori, ma ora... addio pullman strapieni! Beh, addio proprio no ma con quel che guadagnavo facendo doposcuola ai bimbi delle elementari mi sarebbe senz'altro bastato a riempire il serbatoio di benzina almeno per la maggior parte dei giorni della settimana.

- Scendi giù. É in garage – disse mio padre mettendomi la chiave davanti agli occhi. - Ma... - aggiunse, poi, ritirando in fretta la mano quando feci per agguantarla avidamente, - potrai usarlo solo se frequenterai anche la palestra che ha aperto non lontano da qui. Corso di nuoto. O preferivi qualcos'altro? Sei sempre stata molto brava a nuotare, no? -

Sgranai gli occhi. Questo non era un regalo. Era un ricatto bello e buono.

- Grazie, ma non ce n'era davvero alcun bisogno - mormorai guardando entrambi i miei genitori in cagnesco.

- Sì, invece - intervenne prontamente mia madre. - Ti servirà per fare un po' di sport in più, che non fa mai male, e così conoscerai anche persone nuove! Abbiamo già fatto l'abbonamento e pagato per i primi tre mesi quindi non puoi rifiutarti -

Bingo. Ecco il vero motivo: "conoscere anche nuove persone". Sospirai, sconfitta. Dopotutto mi piaceva davvero nuotare, ed era da una vita che mi ero ripromessa di iscrivermi ad un corso di nuoto una buona volta, ma così... era come se ci fossi costretta.

- Quando inizio? - chiesi riluttante.

- Il 26 -

- Ma è fra due giorni! - replicai sorpresa – Non ho né un costume intero, né l'accappatoio e il resto! -

- Non c'è problema, stasera andremo a prenderli - rispose impassibile mia madre continuando a mangiare e dopo aver scambiato uno sguardo d'intesa con papà.

Così, era già stato tutto brillantemente organizzato contro di me. Razza di ricattatori...

  
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