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Autore: Amor31    13/12/2014    0 recensioni
Da quando ha aperto un'attività indipendente con Mirajane, Erza Scarlet non trova pace.
Stremata dalla fatica, decide di prendersi qualche giorno di riposo per riconquistare le forze.
Non ha messo in conto che nei sogni si vive un'altra vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard, Lucy Heartphilia, Luxus Dreher, Mirajane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III

Quel sogno iniziò a diventare ricorrente.
Ogni sera Erza si metteva a letto con la speranza di rivedere il ragazzo che tutto d’un tratto l’aveva fatta sentire diversa – e ancora non aveva deciso se la cosa fosse positiva o negativa – e chiudeva gli occhi immaginando il suo viso. Puntualmente, non c’era una notte in cui non incontrasse Jellal: sempre al parco, sempre alla stessa panchina, sempre in riva al lago. Buck sembrava essere sparito definitivamente, ma presto entrambi smisero di preoccuparsi per le sue sorti: prima o poi sarebbe rispuntato.
La terza volta che si incrociarono Jellal stava leggendo un libro dalla copertina riccamente decorata. Quando Erza si mostrò interessata, il giovane glielo consigliò vivamente e così la ragazza scoprì quanto a lui piacesse leggere. Dai romanzi ai giornali, dal cartaceo al telematico: Jellal era un grande appassionato.
Oltre a parlare dei rispettivi passatempi, i due si raccontarono cose della vita di tutti i giorni: venne fuori che lui era un imprenditore e ciò rallegrò particolarmente Erza, soprattutto quando gli confidò di gestire un pub insieme alla sua migliore amica. Descrissero ciascuno la propria giornata tipo – Jellal doveva essere parecchio indaffarato, se la sua attività lo obbligava a spostarsi non solo di città in città, ma addirittura di Paese in Paese – ed entrambi arrivarono alla conclusione che nessuno dei due avesse una vita molto semplice, anzi.
Per dieci giorni Erza e Jellal si videro – che parola grossa! – senza problemi. Avevano la sensazione che quel sogno – quell’illusione – fosse l’unico rifugio in cui potessero vivere tranquilli, lontani dal caos della quotidianità. Conoscersi sempre meglio non fece altro che avvicinarli e di colpo Erza si accorse che, se avesse potuto, avrebbe voluto che quelle ore di sonno non finissero mai.
Ogni volta che si svegliava e si rendeva conto di non avere nessuno al proprio fianco, percepiva un vuoto all’altezza del cuore. Le erano necessari parecchi minuti prima di convincersi che Jellal non era reale, ma solo il frutto della sua mente.
Si sogna ciò che non si ha o ciò che si vorrebbe avere”: era una frase che aveva letto da qualche parte. O forse gliel’aveva detta sua madre quando, da piccola, le capitava addirittura di parlare nel sonno.
Si disse che, se ne avesse discusso con Mirajane, probabilmente prima l’avrebbe presa un po’ in giro – sempre che non decidesse di darle della pazza – poi le avrebbe consigliato di frequentare qualcuno. Dopotutto, era anche colpa sua se nessuno le si avvicinava: lei per prima impediva che qualsiasi ragazzo le si accostasse. Eppure per Jellal aveva fatto un’eccezione.
Ma sapere di essersi innamorata – sì, ora poteva dirlo, anche se a bassa voce – di una persona che non esisteva non faceva altro che peggiorare la situazione.
Sto rincorrendo un fantasma”. Quello era il principale pensiero con cui si tormentava non appena il sogno terminava. E ripetendosi mentalmente quella frase, sentiva le lacrime premerle alla base degli occhi, pronte a scivolare via.
Ormai era una settimana che non metteva piede al pub. Aveva chiamato Mirajane in più di un’occasione per sapere come stessero procedendo le cose e l’amica l’aveva rassicurata, dicendole che Lucy era una degna sostituta. Ciò la fece sentire leggermente meglio, ma non le impedì di avere l’impressione di essere completamente inutile, oltre che sola.
Così un pomeriggio si fece coraggio e decise di rispondere ad alcuni tra i messaggi lasciati in sospeso. Per prima cosa contattò Millianna – aveva improvvisamente smesso di chattare con lei, visto che la sera aveva avuto fretta di prendere sonno per incontrare di nuovo Jellal. Sicuramente l’amica doveva aver perso le speranze di risentirla – e si scusò per non essersi fatta viva prima. Le raccontò brevemente le vicissitudini dell’ultimo periodo, ma evitò accuratamente di fare riferimenti al sogno ricorrente che riempiva le sue notti; infine le chiese se per lei andasse bene chattare un po’ il pomeriggio della domenica successiva, così da avere più tempo a disposizione per una bella chiacchierata.
Inviato quel messaggio, ignorò bellamente quelli di Gray e Lluvia – se avevano dei problemi, era bene che li risolvessero da soli. Erano grandi abbastanza per capire come ci si dovesse comportare – e rilesse quello di Simon.

 

Ciao, Erza. Stavo pensando… Hai impegni per sabato pomeriggio? Io sono libero dal lavoro e ho visto che al cinema è uscito quel film di cui parli da mesi. Potremmo andarci insieme, che ne dici? Sempre se ti va… Non so, dimmi tu.

Visualizzato alle 1.12 del 3  dicembre

 

La ragazza si chiese cosa avesse pensato l’amico nel momento in cui si era accorto che il messaggio era stato visualizzato, ma non aveva ricevuto risposta. Probabilmente doveva esserci rimasto malissimo e Erza si sentì in colpa. Il fatto che fossero passati dieci giorni non faceva altro che rendere più complicato replicare, ma alla fine si costrinse a contattare il ragazzo.

 

Ciao, Simon. Scusa se non ti ho risposto prima, ma l’ultima settimana è stata abbastanza densa e ho fatto sempre tardi con il lavoro – quella sì che era una bugia. Si augurò che Simon non avesse saputo della sua pausa dal pub. – Anche se sono in ritardo, mi chiedevo se volessi ancora venire al cinema con me. Magari proprio questo sabato, se non sei impegnato. Altrimenti rimandiamo l’appuntamento alla prossima occasione, che ne dici?

 

Rilesse quel messaggio un paio di volte prima di convincersi a premere il tasto Invio. Quando spedì quelle poche frasi, pensò due cose: da un lato sperò che il ragazzo non ce l’avesse con lei e che quindi accettasse l’invito che gli aveva rigirato; dall’altro pregò che rifiutasse la sua proposta. Temeva che Simon potesse comportarsi in modo strano e l’ultima cosa che desiderava era sentirsi o mettere lui a disagio.
Stava per chiudere la chat quando il giovane comparve online. Pochi secondi più tardi Erza ottenne la risposta:

 

Mi dispiace che tu abbia avuto dei contrattempi. Ma non fa niente, recupereremo subito: sabato sono libero, per fortuna. Passo a prenderti alle sei del pomeriggio per lo spettacolo delle sette? Così alla fine del film ci facciamo una pizza, che ne pensi?

 

Be’, cosa avrebbe potuto rispondergli?

 

Alle sei va benissimo. E vada per la pizza.

 

Allora ci vediamo sabato. Un bacio.

 

Ora avevano un appuntamento. Perfetto.
“Siamo amici da sempre”, continuò a dirsi Erza, disconnettendosi e spegnendo il computer. “Siamo sempre andati al cinema insieme. Perché stavolta dovrebbe essere diverso?”.
Si costrinse a calmarsi, ma il solo ripensare all’ultimo messaggio che lui le aveva inviato – “Ci vediamo sabato. Un bacio” – le faceva drizzare i capelli dietro la nuca.
“Quello è solo un modo di dire”, scosse la testa, quasi per liberarsi di quel ricordo indesiderato. “Se ripescassi le conversazioni di anni fa, troverei le stesse identiche parole”.
Fu in quel momento che un nuovo dubbio si insinuò in lei: e se Simon fosse stato attratto da lei? E se avesse provato quella cotta per anni?
Erza rabbrividì e corse ad infilarsi nella doccia, pregando che l’acqua calda le schiarisse le idee.

 

***

 

-È stato un bel film, no?-.
-Sì-.
-Te lo aspettavi così?-.
-Un tantino diverso, a dire il vero-.
-Cos’è, non ti è piaciuto il finale?-.
-No, non è questo…-.
-E allora?-.
-Non l’hai trovato un po’… Scontato?-.
-Il fatto che lui sia morto per difenderla?-.
-Esatto-.
-Sarebbe stato molto più banale se avessero avuto il lieto fine, non credi?-.
-Sì, ma sarebbe risultato più credibile-.
-Non ti facevo una fan del “E vissero per sempre felici e contenti”-.
-Non lo sono. Ma in questo caso avrebbe avuto più senso e sarebbe stato in linea con la trama generale-.
-OK, d’accordo. È inutile provare a farti cambiare opinione, quando sei convinta di qualcosa-.
Erza e Simon camminavano fianco a fianco lungo l’affollato marciapiede nel centro di Magnolia. Era il 13 dicembre e davanti alle vetrine dei negozi si radunavano clienti alla ricerca del regalo perfetto per il Natale incombente, così da rendere difficile il passaggio per chi, come loro, aveva solo intenzione di raggiungere il prima possibile la pizzeria più vicina.
-Non avremmo fatto meglio a prendere l’auto?-, domandò Erza.
-Non siamo così lontani da averne bisogno. Ma stai pur sicura che ti riporterò a casa in macchina-, le sorrise lui.
Come da programma, Simon era passato a prenderla con puntualità alle sei; avevano fatto un giro prima di entrare al cinema e poi avevano assistito allo spettacolo a cui Erza teneva tanto. Ora erano le nove passate e il gorgoglio dei loro stomaci vuoti cominciava a farsi sentire.
-Mi hai detto di aver avuto una settimana pesante-, continuò a parlare il ragazzo dopo qualche secondo di silenzio. -Problemi con Mira?-.
-No, assolutamente! È solo che… Essendo in due, il lavoro ci stressa un po’-.
-Prenditi una pausa, no? Dopotutto, è quasi Natale e alla fine della prossima settimana tutti i locali e i negozi chiuderanno. Approfittane per riposarti-.
Oh, sì, aveva perfettamente ragione. Peccato che la sua pausa si fosse protratta già per dieci giorni e che quindi avesse deciso di tornare al pub per rimboccarsi le maniche.
-Uhm… Le ferie mi annoiano-, borbottò Erza. -A parte qualche uscita extra con gli amici, non so come investire il tempo libero che mi rimane-.
-Sono disponibile a farti compagnia, se dovessi sentirti sola-, rise Simon.
-Eh già, immagino…-.
Ed ecco che partivano le frasi ambigue. Erza tremò.
-Hai freddo?-, le chiese l’amico.
-No, è stato solo…-.
Il ragazzo le circondò le spalle con il braccio destro e le accarezzò la schiena per scaldarla. Nonostante fosse un gesto incredibilmente tenero e cortese, riuscì comunque a farla sobbalzare.
-Dovresti uscire con una giacca più pesante-, le consigliò Simon, senza smettere di coccolarla. -Questo impermeabile è troppo leggero-.
-Me lo ha regalato Mira per…-.
-Non importa. Va bene per gli inizi dell’autunno, non per l’inverno in avvicinamento-.
Le parlava con un tono molto simile a quello che un genitore usa nei confronti dei figli. Erza fu felice che l’amico si stesse dimostrando tanto premuroso, ma d’altra parte era un atteggiamento che la indispettiva. Sembrava quasi che quel consiglio insinuasse che non sapesse prendersi cura di se stessa.
-Vedrò cosa posso fare-, disse a denti stretti, incrociando le braccia sul petto. Ebbe paura di aver messo su il broncio e per tutta risposta Simon le sorrise.
-Dai, la pizzeria è dietro quell’angolo-, le indicò. -Ci basterà svoltare a destra e… Attenta!-.
La mano del ragazzo le arpionò un fianco, ma non impedì la colluttazione.
Il braccio e la spalla destra di Erza urtarono contro un uomo che camminava nella loro direzione a testa bassa e con passo veloce. Il colpo fu abbastanza forte da indolenzirla.
-Ehi!-, lo chiamò indietro Simon, agitando un pugno in aria. -Stia più attento a dove mette i piedi!-.
-Tranquillo, sto bene…-.
-Meno male che ti ho scansata, altrimenti ti sarebbe venuto direttamente addosso!-. Stavolta il ragazzo la prese per mano: -Voglio che tu stia bene, d’accordo?-.
Erza annuì ed entrambi ripresero a camminare. Ma qualcosa di strano era comunque saltato ai suoi occhi, tanto da costringerla a voltarsi per rintracciare colui che l’aveva urtata.
Trench nero.
Capelli blu.
Spalancò le palpebre e cercò di individuare tra la folla la sagoma di quell’individuo, scomparso in un battito di ciglia.
-Sicura di stare bene?-, le domandò Simon, vedendola disorientata.
-S-sì, non preoccuparti-.
-Vieni-, proseguì lui, -la pizzeria è questa-.
Erza si lasciò condurre all’interno del locale e fu immediatamente accolta dal tepore e da un invitante profumo che comunque non riuscì a scacciarle dalla testa l’immagine dello sconosciuto appena incrociato. Fu sempre Simon a riscuoterla dai suoi pensieri, accompagnandola ad un tavolo posto accanto alla grande finestra che si apriva sulla sala principale della pizzeria.
-Buona sera, signori-, li accolse un cameriere.
-Buona sera. Ho prenotato questo tavolo tre giorni fa a nome Carter…-.
-Ah, sì. Risulta dalla lista. Bene, cosa posso portarvi?-.
-Erza, cosa prendi?-, le chiese l’amico.
La ragazza non rispose. Stava guardando intensamente fuori dalla finestra ed era di nuovo persa tra le sue riflessioni.
-Erza?-.
-Sì?-, scattò lei in un secondo momento.
-L’ordine-.
-Ah… Ecco… Una margherita. Una semplice margherita-, disse con fare sbrigativo.
-Per lei, signore?-.
-Stessa pizza-.
-Da bere? Posso proporvi del vino?-.
-Per me basta dell’acqua-, aggiunse Erza. -Non accompagno mai il vino alla pizza-.
-Ci porti una bottiglia di acqua minerale, allora-, precisò Simon. -Basta così-.
Il cameriere si volatilizzò nelle cucine e i due ragazzi rimasero soli – a meno che non si contassero gli altri clienti: era sabato sera ed il locale aveva fatto il pienone.
-Avresti preferito cenare in un ristorante?-, le domandò Simon.
-No, no. Adoro le pizzerie-.
-Eppure mi sembri un po’ distratta. C’è qualcosa che ti impensierisce?-.
A dirla tutta c’era più di una cosa che la agitava, ma Erza scosse la testa: -Niente di particolare-.
-La spalla ti fa ancora male?-.
-Giusto un po’. Entro la fine della serata passerà tutto-, si costrinse a sorridere per provare ad essere convincente.
-Ci mancava solo quel contrattempo-, sbuffò l’amico. -Stava andando tutto troppo bene per essere vero, eh?-.
“Ecco un’altra frase ambigua”, pensò lei. “O forse sono solo io a cercare un significato nascosto oltre ciò che dice?”.
-Ma dai, non è successo nulla di irrimediabile-, aggiunse Erza per rassicurarlo. -Ora ci godremo la pizza e poi torneremo a casa. Devi lavorare, domani?-.
-Solo la mattina. Ho il pomeriggio libero. Tu?-.
-Mattina disimpegnata, pomeriggio occupato. Mira ha deciso di cambiare l’orario di apertura del pub, almeno per la domenica-.
-Come mai?-.
-Perché il sabato la chiusura è fissata intorno alle tre di notte. E non è particolarmente comodo tornare a lavoro alle otto della mattina seguente-.
-Capisco. Be’, ha fatto un’ottima scelta-.
-Già-, convenne Erza. -Almeno nel fine settimana posso dormire un po’ di più-.
Stavolta le fu spontaneo sorridere e Simon credette di avere di nuovo davanti la sua amica. Non poteva sapere che la luce che le aveva improvvisamente illuminato gli occhi era stata provocata dal pensiero di poter stare insieme a Jellal per qualche ora in più rispetto alle normali nottate.
-E dimmi… Tutto bene a casa?-.
-Sono sola-, affermò lei, facendo spallucce. -Di fatto, uso l’appartamento solo per avere un tetto sulla testa. Anche se non c’è nessuno ad aspettarmi, tornarci mi dà l’impressione che quella sia davvero casa-.
Il cameriere tornò al loro tavolo portando la bottiglia richiesta e versando l’acqua nei bicchieri.
-Ancora cinque minuti e le due pizze saranno pronte-, li informò, dileguandosi di nuovo.
-Non hai pensato di condividere il bilocale con Mira? O con qualche altra amica?-, le domandò Simon. -Magari ti sentiresti più…-.
-Da quando Millianna è partita, non ho chiesto a nessuno di vivere con me. Non ci sono più spese da dividere né problemi di vita quotidiana. E questo un po’ mi manca. Ma è anche giusto che ciascuna di noi abbia la propria vita, no? Lei è a ottocento chilometri da qui, io ho messo su un’attività con Mira… Non siamo più bambine. Quando si cresce si fanno delle scelte; l’importante è non pentirsene-.
Erza sentì un groppo stringerle la gola e fu costretta a bere dell’acqua, mentre Simon continuava a guardarla.
-Non fissarmi così-, lo pregò lei. -Mi metti a disagio-.
-Vorrei farti sentire meglio. È per questo che sono felice che tu abbia accettato il mio invito-.
Le sorrise e allungò il braccio verso di lei, finendo per poggiarle una mano sulla sua. Anche stavolta la ragazza sussultò.
-Fa freddo, qui dentro-, mentì spudoratamente Erza, sottraendo la mano da quella dell’amico e sfregandosi energicamente le braccia. -Avevi ragione: mi converrà comprare una giacca più adatta alla stagione-.
Incrociò lo sguardo di Simon e notò che i suoi occhi si erano improvvisamente spenti: un velo di malinconia li appannava.
-Sì-, concordò lui senza alcun entusiasmo. -Sento freddo anch’io-.
Non proferirono parola per i tre minuti successivi. Erza si sentì di nuovo in colpa – aveva sicuramente ferito i sentimenti del suo migliore amico. Ma cosa poteva farci? Lei… Forse lo stava immaginando, ma il ragazzo sembrava davvero essere diventato improvvisamente triste. E di colpo le tornò alla mente il dubbio di qualche giorno prima, quando si era chiesta sei lui provasse qualcosa di più profondo della semplice amicizia nei suoi confronti – ed evitò in tutti i modi di dire qualcosa che potesse peggiorare la situazione. Come erano arrivati a quel punto? Stava andando tutto a meraviglia, no? Poi…
-Le vostre pizze, signori-, annunciò il cameriere, poggiando due piatti di fronte ai ragazzi. -Buon appetito-.
Eccezion fatta per quell’interruzione, il resto della cena non fu molto loquace. Erza e Simon masticarono fetta dopo fetta le succulente margherite che erano state servite loro e interruppero il silenzio solo quando chiesero il conto.
Trenta Jewels fu la somma richiesta dalla cassa e Simon impedì che Erza pagasse per sé.
-Lascia fare a me-, le disse, facendole riporre il portafoglio in borsa. -Ti ho invitata io, no?-.
Avrebbero potuto iniziare una discussione, su quell’ultimo punto, ma nessuno dei due aveva voglia di polemizzare, soprattutto dopo il gelo caduto sul loro tavolo. Dunque uscirono dal locale e si incamminarono di nuovo sul marciapiede, dirigendosi all’auto parcheggiata accanto al cinema.
Salirono in macchina nel più completo silenzio e venti minuti più tardi Simon si arrestò di fronte al condominio in Green Lane. Spense il motore e rimase a fissare un punto davanti a sé, oltre il parabrezza.
-Grazie per la serata-, gli disse Erza. Suonava abbastanza ironico, in realtà, ma la ragazza non seppe trovare parole migliori. -Potremmo vedere qualche altro film interessante, quando avrai del tempo libero-.
-Davvero?-.
-Sì. Tra due settimane uscirà…-.
-Erza, non mentirmi. Ti prego-.
Simon si voltò a guardarla. Il tono della sua voce era indescrivibile: piatto, ma profondo. Probabilmente stava reprimendo ciò che sentiva davvero.
-Io non sto…-.
-Guarda in faccia la realtà-, le disse lui. -Non hai detto una parola per tutta la cena e adesso vieni a dirmi che non vedi l’ora di uscire di nuovo insieme? Pensi che io sia stupido?-.
Erza trasalì. Stava per iniziare la resa dei conti; tutti i nodi sarebbero venuti al pettine lì, in quell’auto. Quella discussione non poteva essere più rimandata.
-Sto parlando seriamente-, affermò la ragazza. -Ci conosciamo da una vita e non ti ho mai trattato come uno stupido. Di certo non comincerò adesso-.
-Allora dimmi: quanto è stato difficile, per te, decidere di uscire con me, stasera?-.
-Ma cosa stai…?-.
-Credi che non me ne sia accorto?-, alzò la voce. -Sono mesi che mi stai evitando. Mesi. Non ti riconosco più-.
-Simon…-.
-Cos’è cambiato tra di noi? Perché non vuoi più avere niente a che fare con me?-.
-Non ho mai detto una cosa del genere-.
-Ma è quello che hai fatto e che continui a fare-, proseguì lui.
-Non ti ho evitato. È come ti ho detto prima: siamo cresciuti. Tutti quanti. Ognuno ha le proprie esigenze e non sempre è facile mettersi d’accordo. Pensi che io sia diversa? Be’, potrei dire la stessa cosa di te. Ma questo non cambia la nostra amicizia-.
-Amicizia…-, mormorò il ragazzo. -Sono anni che non provo niente del genere verso di te-.
Erza ammutolì. Il cuore le si fermò.
-C-come?-.
-Già-, rise amaramente Simon. -L’amicizia è sfumata in qualcosa di più grande. All’inizio non riuscivo a capire per quale motivo fosse diventato improvvisamente difficile parlare con te; guardarti da lontano, vederti sorridere… Erano tutte cose che mi facevano sentire bene. Al contrario, quando tu non c’eri, spariva anche una parte di me. E allora ho capito che qualcosa, nel mio animo, era cambiato per sempre. Non sarei potuto tornare indietro neanche volendolo. Ma non mi importava: l’unica cosa che contava era sapere che nel tuo cuore ci fosse un po’ di spazio per me. Il tempo è passato, siamo andati avanti con le nostre vite… Ed ora eccoci qui, a parlare di un argomento che forse avremmo dovuto affrontare anni fa. Quindi te lo chiedo adesso: c’è qualche possibilità che i tuoi sentimenti nei miei confronti cambino e diventino più profondi?-.
Erza non sapeva più pronunciare una singola sillaba. Quella rivelazione, seppur immaginata spesso nell’ultimo periodo, l’aveva colta comunque impreparata.
-I-io… Non posso prometterti niente-, sussurrò.
Il viso del ragazzo si rabbuiò: -C’è qualcun altro?-.
“Sì”, avrebbe voluto dirgli. Ma sarebbe stato d’obbligo aggiungere “Solo che non esiste”.
-No-, si risolse a dire, anche se il cuore le diceva tutt’altro.
-Allora perché non mi dai una possibilità? Tutto quello che voglio è renderti felice-.
-Simon, ti prego, non insistere-, supplicò lei con voce tremante. Avrebbe voluto piangere, tanto era il dispiacere che stava provando per l’amico.
-Lasciami almeno fare una cosa che desidero da troppo tempo-.
Sganciò la cintura dalla sicura e si sporse verso di lei, prendendole le mani e tendendo le labbra per baciarla. -Solo uno…-, fiatò debolmente, sperando con tutto se stesso che Erza gli concedesse quell’unica libertà.
Ma la ragazza non volle.
Si liberò a sua volta della cintura e aprì lo sportello dell’auto, catapultandosi fuori.
-Mi dispiace-, gli disse, le lacrime che ormai lei impedivano perfino di mettere bene a fuoco il volto di Simon. -Non posso-.
Richiuse il portellone con un tonfo e salì i tre scalini d’ingresso del condominio, ripescando in fretta le chiavi di casa. Aveva paura che l’amico potesse seguirla, ma il ragazzo non fece nulla di ciò: rimase semplicemente seduto in macchina e attraverso il finestrino la vide sparire all’interno del palazzo, senza aggiungere una parola. Batté con forza le mani sul volante e si diede dello stupido, provando ad evitare di piangere a sua volta.
Quando rimise in moto, un quarto d’ora dopo, si disse che non avrebbe mai più cercato Erza Scarlet.

 

***

 

Era salita di corsa lungo le quattro rampe di scale che portavano al suo appartamento.
Entrò come una furia in casa, si strappò di dosso l’impermeabile e si rifugiò nella propria stanza, affondando il viso nel cuscino e bagnandolo di lacrime.
-Cosa ho fatto?-, si chiese, singhiozzando.
Avrebbe dovuto chiedergli scusa. Avrebbe dovuto spiegarsi meglio, non fuggire come una preda di fronte al cacciatore.
-Sono una vigliacca-, continuò a dire, mentre le lacrime le inumidivano anche le labbra. -Ho rinunciato al mio migliore amico-.
Chiuse gli occhi, ma il viso di Simon fece capolino nell’oscurità, provocando un’altra ondata di pianto che la fece tremare da capo a piedi. Allora decise di stendersi, di provare a non pensare a nulla; era ancora troppo scossa per elaborare una soluzione a quel problema.
Stava per infilarsi sotto le coperte quando il computer, lasciato in stand-by poco prima che Simon venisse a prenderla, si riattivò. Erza si asciugò le lacrime e si avvicinò alla scrivania, sedette e ne approfittò per controllare eventuali messaggi.
Non aveva ricevuto posta. Ma in chat c’era una comunicazione da parte di Millianna, che le annunciava che sarebbe tornata a Magnolia per le vacanze di Natale.
La ragazza ringraziò il Cielo per quell’intervento provvidenziale: parlare con l’amica l’avrebbe aiutata ad uscire dalla spiacevole situazione creatasi con Simon. Erano tutti e tre vecchi compagni di scuola e si conoscevano abbastanza da capirsi l’un l’altro.
“Eppure questo non è bastato a farmi rendere conto di quanto lui tenesse a me”, pensò Erza. “Non avevo considerato il fatto che le cose tra noi potessero prendere questa piega”.
Rispose brevemente al messaggio di Millianna – “Vengo a prenderti alla stazione. Dimmi l’ora per cui pensi di arrivare e mi farò trovare lì” – e spense il computer. L’unica cosa di cui aveva davvero bisogno in quel momento era liberare la testa di tutti quei pensieri.
E sperò che dall’altra parte, nel mondo dei sogni, ci fosse qualcuno a consolarla.

 

***

 

Stava piangendo così tanto da non ricordare neanche quando avesse iniziato a farlo.
Stavolta si era immediatamente ritrovata in riva al lago. Seduta per terra, sulle foglie bagnate dalla brina invernale, Erza aveva portato le ginocchia al petto e le aveva circondate con le braccia, nascondendovi il viso. Si stava vergognando di se stessa, in realtà, perché non avrebbe voluto che qualcuno – che Jellal – la vedesse in quello stato. Ma la tristezza era troppo grande per farle badare a quegli aspetti.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era materializzata lì; sapeva soltanto di aver chiuso gli occhi e di essersi abbandonata al fumo che annebbia la mente subito prima di addormentarsi. Forse, portando un altro po’ di pazienza, Jellal sarebbe arrivato. O forse quella notte non sarebbe venuto a farle visita.
-Perché piangi?-.
La voce che aveva ormai imparato a conoscere le fece alzare la testa e Erza lo guardò dal basso con occhi gonfi e arrossati.
-Ho perso il mio migliore amico-, sussurrò.
-Se è tuo amico, tornerà. Gli amici perdonano sempre, anche a costo di impiegarci anni-.
-Ma lui era innamorato di me, obiettò Erza. -Ed io non sono stata capace di accorgermene in tempo-.
Jellal si inginocchiò al suo fianco e le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: -Pensi che sia colpa tua?-.
-Lo è-.
-No-, le disse. -Non hai responsabilità-.
-Ma avrei potuto comportarmi diversamente!-, urlò la ragazza, coprendosi il volto con le mani. -Non ti sei mai sentito in colpa per qualcosa che hai fatto?-.
Jellal non rispose subito. Si prese qualche secondo per formulare nel modo migliore la frase successiva: -È vero, ho commesso azioni di cui non vado fiero. Ma con il tempo, seppur a fatica, ho capito che era inutile continuare a tormentarsi. Quel che è fatto è fatto; pensare a come sarebbero potute andare le cose ti fa stare solo peggio. Bisogna imparare a vivere, ma nessuno ha mai detto che è semplice farlo-.
Si rimise in piedi e le tese la mano: -Alzati-, la incoraggiò. -Fidati di me-.
Erza raccolse l’invito e l’attimo seguente, colta di sorpresa, si ritrovò a premere una guancia contro la spalla sinistra dell’uomo.
-Va tutto bene-, sussurrò lui, accarezzandole i capelli per farla calmare. -Ti prego, non piangere più. Soffrirò anch’io, se queste lacrime continueranno a bagnarti il viso-.
La ragazza si strinse di più a lui, poggiandogli entrambe le mani sul petto e ascoltando il battito ovattato del cuore. Per un secondo fu convinta che Jellal fosse più reale che mai. Altrimenti come avrebbe potuto percepire il suo ritmo cardiaco?
-Sai-, gli disse dopo qualche minuto, -stasera mi è sembrato di incontrarti-.
-Che vuoi dire?-.
-Stavo camminando per strada e un passante mi ha urtata. Andava così di fretta che non si è neanche voltato per scusarsi, ma… Lo so, sto per dire una scemenza… Ti assomigliava. Buffo, non credi?-.
-Già-, mormorò lui di rimando. -Buffo-.
-Avrei voluto che fossi davvero tu-, mormorò Erza. -Così finalmente non avrei più dovuto aspettare la notte per starti vicina-.
Jellal le sollevò il mento con la punta dell’indice e fissò i propri occhi in quelli della ragazza: -Non hai bisogno di desiderare il buio. Ogni volta che chiuderai gli occhi, mi troverai al tuo fianco-.
Una cappa di calore calò sul viso freddo di Erza. Le labbra le bruciarono a contatto con quelle di Jellal e quel bacio, durato per tutta la notte, la accompagnò fino al risveglio.
La mattina seguente, quando dischiuse le palpebre, sentì di avere ancora il sapore dell’uomo sulla bocca.
Niente era mai stato reale come in quel momento.

   
 
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