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Autore: Harriet    14/12/2014    0 recensioni
Amir è un giovane pakistano appena arrivato a Londra. La sua storia cambierà drasticamente quando entrerà in contatto con il Sunflower, un teatro periferico, bruttino e pieno di fantasmi.
Nel futuro straordinario di Amir ci sono incontri sovrannaturali, guai quotidiani e molti spettri da liberare. Anche quelli che affollano la mente di Joel Bennett, il proprietario del teatro.
Londra, le sue storie e un mondo di stranezze e meraviglie. Il Sunflower ha aperto le sue porte anche per voi.
[XXX: Capitolo finale!]
Genere: Drammatico, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XXIX

La Battaglia del Sunflower

 

My fall will be for you
My love will be in you
You were the one to cut me
So I'll bleed forever

(Nightwish, Ghost love score)

 

20 marzo 2010

 

È morto.

Le parole rimbombavano nella mente di Virginia, ferma al centro della stanza. Il tempo stava ancora scorrendo? Forse. Il pub si riempiva. Persone le camminavano intorno. Lei restava immobile e pensava

è morto.

- Perché chiedevi di me?

Fu come aprire gli occhi, pur non avendoli mai chiusi. Si trovò lo spettro davanti, fragile e tremolante, poco chiaro, confuso nella penombra e nelle luci della sala, più basso, esile e dimesso di com'era Amir nella realtà vera. Una creaturina smarrita che si sente in colpa per lo spazio che occupa – anche se è uno spazio incorporeo. Per un attimo il cuore di Virginia fu inondato da una pena devastante.

- Chi sei?- Chiese ancora lui.

- Virginia. Non ti ricordi di me?

- Non ti conosco. Mi dispiace.

- Io sì. Amir. Dammi la mano.

Il fantasma aprì la mano, titubante. Lei spalancò la sua e lasciò che la goccia rossa scivolasse su quella del ragazzo.

- Ti prego.- Mormorò, serrando le palpebre. - Ti prego, fai tornare la storia giusta.- Il respiro le si bloccò in gola, insieme a una tempesta di pianto - Ti prego, riportami a casa!

I rumori sparirono tutti insieme. Il mondo era vuoto di rumori. Vuoto di tutto. Virginia teneva gli occhi chiusi e sentiva il mondo che veniva cancellato.

Poi qualcuno le gettò le braccia al collo.

- Che ci facciamo al Gateway?

Virginia Bennett cacciò l'urlo di gioia più forte della sua vita.

- Sei vivo!- Abbracciò Amir, saltellando come una bambina, tirandogli i capelli, singhiozzando contro la sua spalla.

- Certo che sono vivo. Perché non dovrei esserlo? Ti prego, Virginia, smetti di piangere, va bene? Spiegami cos'è successo.

- Qual è l'ultima cosa che ti ricordi?

- Io ero... Oh, Dio. Ero nel salotto di casa nostra e loro sono venuti a propormi un patto.- Virginia finalmente si staccò da lui e lo guardò in viso: era terrorizzato.

- Hai fatto un patto con non so bene chi. Te lo ricordi, questo?

- Che cazzo, volete parlare piano?- Intimò uno dei camerieri. Virginia prese Amir per mano e lo trascinò fuori dal locale: era notte e faceva freddo, ma l'aria sul viso la fece sentire più sveglia e presente.

- Tu hai accettato di uscire dalla nostra vita. Di non esserci mai entrato.- Gli disse. Gli stringeva la mano con tutte le sue forze, incurante di fargli male: era troppo importante appigliarsi a lui, al fatto che fosse vivo, vero e lì.

- Ho visto Joel sul punto di morire. Virginia, stava morendo e io ho fatto il patto perché lo volevo salvare!

- E il patto ha creato un'altra realtà. Dove eravamo quasi tutti morti, compreso te. Saresti morto tentando di sedare una rissa nel pub. Joel sarebbe morto per aver ecceduto con i sonniferi, Angela sarebbe morta in un incendio, e io avrei avuto una vita di merda. Il tuo arrivo ha smosso così tante cose, e senza di te...

Amir la abbracciò di nuovo.

- Mi ricordo qualcosa.

- L'altra realtà? Ti ricordi l'altra realtà? Perché io sì, ed era un incubo.- Affondò il viso nei capelli di Amir. Reale, solido, tangibile. Magro, teso come sempre quando qualcuno lo stringeva. Profumava vagamente di sapone, della lana del suo maglione, dell'umidità nell'aria e del fumo del pub. E anche di qualcos'altro di indefinito, che per Virginia era l'odore del Sunflower. Era infreddolito e la pelle del suo viso era gelida, ma il suo corpo emetteva calore, perché era vivo. Non era mai stata così felice di constatare l'esistenza di qualcuno.

- Mi ricordo la solitudine. E la sera in cui sono morto. Come hai fatto a rimettere le cose a posto, Virginia?

- Il sangue è una cosa potente, se si tratta di magia o di patti. Ce l'ha detto Allen Waymore, te lo ricordi?

- Sì, ce l'ha detto quando gli ho sanguinato sulla tomba, la scorsa estate. Che c'entra?

- Nell'altra realtà ero al cimitero di Springmere per portare i fiori sulla tomba di mio zio. Ho visto la macchia del tuo sangue sulla sua tomba e ho ricordato. E anche Annie.

- Annie! È viva?

- No. Sì. Non sono sicura. Non si è salvata, ma non è morta e non è nemmeno un fantasma, adesso.- Si sciolse dall'abbraccio e lo riprese per mano, trascinandolo in una corsa. - È stato Nevan ad aiutarci. È venuto da noi e ci ha detto che avrebbe trovato il modo per recuperare la tua storia. Ha detto che la creatura che ti ha rispedito qui si chiama Oblio. Nevan l'ha affrontato. Mi dispiace, Nevan è morto. Ma ha ritrovato la tua storia, e Annie ha ereditato le storie di Nevan.

Lanciò un'occhiata ad Amir, totalmente spaesato di fronte a quella valanga di informazioni. Non poteva fermarsi a confortarlo, a spiegargli le cose con più calma. Dovevano correre, e lo sapeva anche lui. Ne ammirò la determinazione nel tenere il passo furioso di lei.

- Virginia, ti prego, dimmi che giorno è. Il mio ultimo ricordo risale alla mattina del 20 marzo.

- Adesso è la sera del 20 marzo.

- La sera? Oh, Dio, dobbiamo andare al teatro! La sera del 20 marzo è previsto lo spettacolo di Clyde Wendell al Sunflower! Clyde Wendell è... Un'infezione. Non so come spiegartelo, ma lui e Abigail Corrigan sono nemici. Lei è il Ragno. Sono loro che vi hanno fatto del male. Dobbiamo andare al teatro, e... Tu stai bene?

- Io sto bene.

- Cambiare la realtà deve avere cancellato il morbo.

- Che morbo?

- Vi avevano contagiati tutti. Se non facciamo qualcosa, lo faranno di nuovo. Portami al teatro. Sto morendo di freddo. E mi stai stritolando la mano.

- Non mi importa. Ho bisogno di stringere. Dai, corri!

Corsero, infilandosi nella metro ancora mezzi abbracciati. Lo sentiva tremare e sapeva che non era solo il freddo. Era qualcos'altro. Il ricordo della realtà alternativa, forse. O forse sentiva che il teatro era in pericolo.

- Dobbiamo radunare tutti, Virginia. Portarli al Sunflower. Devo trovare Angela: ho bisogno di quella magia. Quella che... Insomma, so cosa possiamo fare per salvare il teatro, forse.

- Telefono ad Aidan. Cazzo, stamattina abbiamo litigato!

- Non era colpa vostra.

- Cosa?

- Te lo spiego domani. Se ci arriviamo, a domani.

 

*

 

Perché cazzo sono disteso sul letto? Dov'ero, prima di collassare? A cosa stavo pensando?

Il telefono distolse Aidan dalle domande.

Virginia.

Virginia? Dopo la litigata di stamattina? Credevo non mi avrebbe rivolto la parola mai più, a meno che non fossi andato a strisciare davanti a casa sua...

- Ehi.- Iniziò, timidamente, in attesa di capire cosa lo aspettava dall'altra parte.

- Stai bene?- Gli urlò Virginia, con il tono di voce di chi ha appena ritrovato un parente dopo una tragedia.

- Sì, certo. Mi hai visto due ore fa.

- È notte.

- Cazzo. Un po' più di due ore fa. Che ci facevo a letto?

- Te lo spiego dopo. Vai al Sunflower e aspettaci lì.

- Aspetto chi?

Un suono esasperato dall'altra parte del telefono.

- Tu ricordi tutto, vero? Amir, mio zio, il Sunflower... Me.

- Eh, cazzo, avrei dei problemi, se mi fossi scordato tipo delle cose più consistenti della mia vita negli ultimi due anni.

- Non sai quanto è vero quel che hai detto. Vai al teatro e aspettaci. Non entrare. Sta succedendo un grosso casino. E... Aidan, Amir dice che non è colpa nostra se stamattina abbiamo litigato, ma ce lo spiega meglio un'altra volta.

- Wow. Quindi sarà molto più facile del previsto rimetterci insieme?

- Cretino. Muoviti e vai al teatro!

Virginia riattaccò e Aidan rimase a fissare il telefono, assonnato e confuso. Si passò una mano sugli occhi ripetute volte, tirò indietro i capelli rossi arruffatissimi, tentò di ripescare nella memoria passaggi di quella giornata fuori posto. Aveva litigato con Virginia... Per cosa, poi? Si erano lasciati. Più o meno. Aveva telefonato ad Amir per avere un consiglio e...

- La sua amica Annie è morta.- Si disse, ricollegando i pezzi degli eventi.

E dopo?

Dopo si era buttato sul letto, aveva la testa che gli sembrava fasciata di gommapiuma, i rumori gli arrivavano distorti e gli stava salendo una nausea bestiale.

E dopo...

Perché aveva l'impressione che per il resto della giornata

(non esistevo. per il resto della giornata non sono esistito)

- Dio, che casino.- Si alzò in piedi, corse in bagno e si lavò il viso diverse volte, ripetendosi che presto avrebbe saputo la verità e che Amir e Virginia avevano bisogno di lui. Funzionava, ripetersi le cose importanti. Glielo aveva insegnato sua mamma alle elementari e lui non aveva mai smesso. Quando l'accidia ti imprigiona, tu prova a dirti cosa ti stai perdendo, a rimanere fermo.

Perché sto rivangando queste cose proprio adesso?

Perché hai bisogno di ricordarti che esisti. Perché eri morto, nell'altra storia. Eri morto mentre combinavi qualche puttanata insieme a quegli idioti irresponsabili dei tuoi inquilini, con quel cazzo di rottame di auto.

Ma ora siete ritornati alla storia giusta.

 

*

 

Joel si rigirò sulla schiena e guardò il soffitto del suo salotto. Si sentiva meglio, adesso, ma doveva essere svenuto. Quando era successo, però? Il suo senso del tempo non gli veniva in aiuto: era tutto molto caotico, nella sua testa, e per giunta i suoi ultimi ricordi risalivano alla mattina, mentre fuori dalle finestre c'era buio.

Si tirò su e si ritrovò a fissare sgomento le macchie rosse sulla propria camicia. Aveva addosso un odore sgradevole di sangue e succhi gastrici. Aveva passato la mattina a vomitare. Ora però stava bene. Quanto tempo era rimasto incosciente sul pavimento?

Salì in camera, si spogliò e si infilò nella doccia, cercando di calmare i pensieri inquietanti e le domande inopportune, concentrandosi solo sulla sensazione rilassante dell'acqua. Il suo telefono cominciò a squillare, ma lui decise che per cinque minuti poteva concedersi il lusso di ignorarlo. Tanto, chi poteva essere così disperato da avere bisogno del suo aiuto immediatamente?

 

*

 

Amir cacciò il telefono in tasca con stizza. Virginia, accanto a lui, intuì che Joel non doveva aver risposto. Stava continuando ad aggrapparsi al braccio di lui, come per sincerarsi che fosse proprio lì e non ci fossero più dubbi sulla sua meravigliosa realtà e solidità.

- E se lui non fosse guarito?- Mormorò il ragazzo, appoggiando la fronte contro il finestrino del treno che li stava conducendo al teatro.

- Io e Aidan stiamo bene. Il tuo patto ha cambiato il tempo e ci ha tolto il contagio.

- Sì, ma ora siamo tornati al tempo normale. Se lui non fosse guarito?

- E dai, magari non ti risponde perché è sotto la doccia. Non ti angosciare così.

- L'ho visto quasi morire.

Virginia gli si strinse contro, posando il mento sulla spalla di lui.

- Ci credo, che hai accettato il patto. Ma ne siamo venuti fuori. Adesso andiamo a difendere il teatro.

- Devo tentare di contattare Angela.

Amir riprese il telefono e richiamò, ma la donna non rispose. Lui scrisse un messaggio e lo inviò. Virginia si sporse per cercare di leggere cosa avesse scritto e distinse solo le parole “Sunflower” e “Raduno”.

- Riprovo a chiamare Joel.

Nemmeno questa volta ci fu risposta.

 

*

 

Nelle viscere del Sunflower c'erano poteri di cui ben pochi avevano un'idea precisa. Amir meno di tutti.

Ecco perché sei voluta venire qui.

Cinque giorni a inseguire indizi concreti e tracce di magia, tra hotel e treni, tutto per ritrovarsi lì. Angela aveva voglia di prendere Vivien a schiaffi. Forse l'avrebbe fatto, una volta che l'avesse recuperata.

Speravi che non ti trovassi? Ti ho sempre raggiunta. E prima che tu facessi dei grossi danni.

Vivien le ripeteva che Angela non era la sua custode e non era obbligata a ripescarla ovunque lei andasse, ma non era vero, perché quando non vi resta nessuno, alla fine siete voi due, a dovervi considerare famiglia a vicenda, a dovervi custodire l'una l'altra.

Ma che cosa sei venuta a fare qui sotto?

Un brivido scosse la terra, le mura e l'aria attorno alla donna. La sua capacità di cogliere la magia e i movimenti dell'anima delle cose le suggerì che c'era un pericolo vicino. Lì, all'interno di quello spazio dal linguaggio incomprensibile. Era Vivien? Era uno degli altri mille assurdi nemici del teatro e della città?

Guarda il telefono, idiota.

- Chi ha parlato?

Nessuno le rispose, ovviamente. Però lei obbedì, e trovò una decina di chiamate da parte di Amir e di Virginia, e un messaggio del ragazzo:

 

sta succedendo una cosa grave vai al sunflower, nasconditi e disegna un incantesimo di raduno se lo sai fare è quella magia che apre la porta per tutti gli spettri della città per farli andare tutti nello stesso posto corri

 

- E se Amir dimentica la punteggiatura e le maiuscole, è davvero un segno dell'Apocalisse.- Mormorò, inginocchiandosi per cominciare a lavorare all'incantesimo.

 

*

 

Joel uscì dalla doccia e dimenticò il telefono. Si cambiò e si sedette sul letto, pensando con calma al fatto che gli sembrava di avere un immenso buco nella memoria, e che la giornata era scorsa via quasi come se non ci fosse stata. A un certo punto notò con curiosità il volume alla base della pila di libri posata sul suo comodino. Era polveroso. I libri di Joel non si impolveravano mai: li leggeva rapidamente, in successione, e poi li rimetteva al loro posto negli scaffali delle librerie che popolavano la casa. E allora come mai quel libro pareva lì fermo da così tanto tempo?

Il telefono squillò di nuovo. Lo recuperò con calma dalla tasca dei pantaloni sporchi che aveva lasciato per terra.

- Amir, tutto bene?

- No!- Esplose la voce arrabbiata dall'altra parte. - Tu stai bene?

- Sì.

- E perché non hai risposto?

- Ehi, calmati. Ero sotto la doccia. Che ti prende?

- A me? Stamattina stavi per morire!

- Ma cosa stai dicendo? Stamattina stavo... Oh. Oh, Dio. Abigail Corrigan e Clyde Wendell. Loro erano qui. Hanno detto di essere il Ragno e Mordred. Ti hanno proposto un patto, e onestamente avresti dovuto capire che era un'enorme fregatura.

- Sì, beh, fortunatamente hai una nipote sveglia.

- Virginia?

- Le dobbiamo la vita tutti quanti.

- Addirittura la vita?

- Non c'è tempo per spiegare. Vieni al Sunflower, subito. Noi siamo qui. Ho bisogno di più persone possibile, e anche se vi voglio fuori dai guai, io... Non penso di riuscire a risolvere tutto quanto da solo. Aiutatemi, per favore!

- Stai tranquillo. Dammi il tempo di arrivare. Qualunque cosa sia successa, vedrai che la risolveremo.

- Non lo so. Non so come fare. Come si sconfiggono un Ragno e una pestilenza?

- Cosa?

- Sono gli unici indizi che abbiamo su di loro.

Joel spostò lo sguardo sulla pila di libri in equilibrio sul suo comodino.

- Beh, di schiacciare un Ragno sei capace anche tu.- E... Oh.

- Joel?

- Aspetta un attimo.

- Tutto bene?- Lo incalzò la voce di Amir.

- Arthur.- Joel si mise a ridere, stringendo il telefono tra l'orecchio e la spalla, in modo da avere le mani libere per recuperare il libro polveroso. - Una volta Arthur mi ha dato un trattato di medicina medievale, senza spiegarmi bene perché. Io l'ho messo sul comodino e l'ho dimenticato. È rimasto qui per quasi dieci anni, e ci ho messo gli occhi sopra solo ora, esattamente quando tu mi hai chiesto come si fa a sconfiggere una malattia. Aspettami, sto arrivando.

Vestirsi, balzare in macchina e guidare senza far caso nemmeno a un segnale stradale fu questione di una dozzina di minuti: ma in vita sua Joel Matthew Bennett aveva compiuto un'azione con tanta foga e velocità. Quando arrivò di fronte al teatro, si trovò davanti una folla di gente che ne veniva fuori urlando.

- Che succede?- Gridò, afferrando una fuggitiva per un braccio.

- Stanno devastando tutto. Hanno ucciso un uomo. Oh, Dio, ci sono dei mostri, lì dentro!

 

 

II

 

21 marzo 2010

 

Nel silenzio del tempo cresciamo

Dentro gli angoli in ombra il germoglio

I tuoi pezzi perduti mangiamo

La tua voce macchiata d'orgoglio

I tuoi gesti spogliati di gioia

Il tuo passo che ormai si trascina

La tua dolce apatia, la tua noia

Un respiro di fine vicina

Marionette scolpite in segreto

Ma di noi la città ora è piena

Scena prima: un inizio discreto

Vittoriosi nell'ultima scena

 

- Avevate bisogno della canzoncina?

La donna sul palco si voltò. Non era una donna, e rideva come un ammasso di vetri agitati dentro una scatola di latta.

- Siamo una compagnia teatrale, Amir. Avevamo bisogno di uno spettacolo.

- Beh, come esperto di teatro posso dirvi che fate veramente schifo.

- Non ti piacciono le nostre rime?

- Scendi dal mio palco.

La donna, che non era una donna (anche se un tempo era stata Abigail Corrigan) ma era il Ragno, rise di nuovo.

- Sei stato bravo ad aggirare il patto. Non ti avrei creduto capace di tanto.

- È che continuate a sottovalutare i miei amici.

- Tu però non fare lo stesso errore. Non sottovalutare i miei... Oh, suvvia, “amici” è una parola da te e non da me, però, ecco, in questo momento sono così felice che potrei addirittura arrivare a definirli così.

Un dito lungo e artigliato indicò le creature sul palco. Erano tante e impossibili da contare, perché continuavano a muoversi, in cerchi irregolari, salendosi addosso, saltando sulle pareti e arrampicandosi sul sipario a brandelli. C'era un cane con la testa di donna e un occhio che pendeva lungo la faccia, dondolando a ogni movimento. Una ragazza con una gamba sola e una croce nera disegnata in mezzo al viso. Un uomo che camminava sulle mani e aveva due pesci al posto dei piedi. Una faccia rotonda che si muoveva saltellando, balzando e rimbalzando addosso ai suoi compagni. Una ragazzina con due punte di compasso che spuntavano dalle caviglie. Un vecchio senza gambe che strisciava su una specie di coda serpentina, con indosso dei lunghissimi stracci grigi secernenti qualcosa di scuro. Una ballerina in vesti rosa ferma sul bordo del palco, la bocca aperta in un sorriso troppo ampio, a rivelare dentini bianchi ricoperti di sangue.

E c'erano delle voci. Parlavano, si sovrapponevano, schiamazzavano. Una voce femminile, molto bassa, emetteva note lunghe e ripetute. Una voce maschile aggiungeva parole incomprensibili, una melodia semplice e quasi accattivante. Un'altra voce distorta ripeteva le parole e vi aggiungeva lunghe risate singhiozzanti. Una vocina di bimbo faceva una parodia stonata del canto.

- Cosa sono?- Domandò Virginia, stringendo la mano di Amir.

- I resti del vostro schifo.- Rispose il Ragno. - Pezzi di storie finite male. Rancore e odio residui. Rimasugli di fantasmi spazzati via dai riti dell'Ordine. Creature tirate fuori dai vostri sogni peggiori. Siete una razza così perfetta, per partorire mostri. Gli spiriti come me, e i vostri simili inclini all'uso di magie poco gentili: noi usiamo queste splendide creature per rimodernare le città, di tanto in tanto. Per esempio, adesso penso che ci sia bisogno di un grosso rinnovamento. Basta con questa stupida eredità, questo posto così ingombrante di storie. Questa sarà la sua serata finale.

C'era un gatto con cinque zampe che feriva le orecchie con un miagolio stridente, e saltava da una fila all'altra delle sedie: dove si posava, il legno e la stoffa si scioglievano in un ammasso scuro, che esalava un odore nauseante. Una donna completamente ricoperta di una mistura nera, come pece, si trascinava contro le pareti della sala, lasciandovi tracce che scorticavano la pelle del teatro. Un uomo con le braccia al posto delle gambe e la bocca piena di denti enormi azzannava ripetutamente le assi della struttura del palco: aveva già disfatto un pezzo della buca dell'orchestra e ora saliva su, imperterrito, tritando e sbriciolando ed emettendo mugolii soddisfatti inframezzati da un suono come di un gigantesco sciame di termiti.

- Pensi che basti devastare il luogo, per fare del male al Sunflower?- Disse Amir. La rabbia furiosa che lo aveva colto quando era entrato e aveva visto lo scempio ora si era stranamente placata, lasciando spazio a una disposizione d'animo innaturalmente calma e terribile.

- No, non lo penso, ma è un buon inizio, per un atto finale come si deve.

- Come pensi di fare, allora?

- Penso di farlo ammalare.

Da dietro le quinte emerse Clyde Wendell, accompagnato da tre figure lunghe dalla pelle verdastra, tre esseri dai lineamenti non ben definiti, come abbozzati nella creta. In mano tenevano un sacco che vuotarono al centro del palco. Ne venne fuori una colonia di serpentini, bianchi, gialli, verdi, marroni, tutti annodati e tutti sibilanti: in un attimo il saettare delle loro piccole lingue e il suono dei loro corpicini sul legno aveva sovrastato i rumori grotteschi delle creature del Ragno. I serpentini cominciarono a spargersi per il palco, giù fino al pavimento, e presto avevano riempito gran parte della sala. E il sacco sembrava non svuotarsi mai del tutto.

- State indietro.- Intimò Amir agli amici. - Non vi fate toccare.

- Che cos'è?- Mormorò Aidan.

- La malattia di Mordred.

- Questo può fare del male al teatro?

- Credo di sì.

- Come si combatte una malattia che attacca il corpo di un posto?- Chiese Virginia.

- Ho sempre amato le grandi città.- La voce del Ragno assunse una tonalità quasi sognante. - È più facile intromettersi. Più la città è grande, più voi vi fate ciechi. E il teatro... Un grande assembramento di gente, ignara, distratta, con gli occhi puntati su un qualche altrove. Ho sempre amato anche i teatri. Il palco, l'altare sul quale si celebrano i vostri vizi e i vostri mostri!

- Anche le malattie comuni, un tempo, si trasmettevano facilmente dove la folla si radunava. Come nei teatri.- Aggiunse Clyde. - Non ho mai contagiato un teatro. Ma la sensazione è magnifica. Non lo senti? Vibra, si vuole ribellare, ma io sono già in circolo. Non lo avverti, il brivido di sofferenza della creatura febbricitante?

Amir spalancò gli occhi brucianti. Sopra di lui, il soffitto rosso rivelava grandi macchie scure. I lampadari avevano smesso di funzionare, salvo per qualche sparuta lampadina che ancora dava sprazzi di luce intermittente. Le piccole nicchie in ombra dei palchi erano una miriade di orbite vuote, le pareti bianche ornate di ricami rossi ed oro erano pelle solcata da ferite sanguinanti e infette. Sotto il loro piedi il pavimento era umido. La terra non era immobile. Il suolo si sollevava nei singhiozzi isterici di un uomo senz'aria. Sentiva chiaramente il respiro spezzato dell'edificio, i brividi delle mura, il tremito di una creatura che perdeva le ultime forze.

- Ci sarà qualcosa che possiamo fare!- Gridò Virginia, scostandosi bruscamente prima che uno dei serpentini le transitasse sui piedi.

- Ildegarda di Bingen.- Rispose Joel, arrivando di corsa da una delle uscite d'emergenza della sala, in pantaloni del pigiama, camicia mezza aperta e infradito, con i capelli bagnati, gli occhiali storti e un mazzetto d'erba in mano.

Clyde gli piantò gli occhi addosso, seccato.

- Pensavo di averti ammazzato una volta per tutte.

- Dovresti interessarti di medicina medievale. I medievali avevano degli splendidi rimedi anche per le malattie più gravi.

- Ora, parliamone, Joel Bennett: pensi veramente di potermi fare qualcosa con tre foglie di menta e due di basilico?

- E anche salvia, ipericum e passiflora. Sì, penso di poterti fare qualcosa.

- Oh. Uno sviluppo inatteso.

- Non sai quanto.

Joel si voltò e sussurrò qualcosa all'orecchio di Virginia. Lei fece cenno di sì, prese per mano Aidan e scappò via dalla stanza. Amir guardò gli amici fuggire e le erbe in mano a Joel, e per un secondo fu colto da un impeto di gratitudine per non essere lì a fronteggiare tutto da solo.

- Fidati di me.- Joel gli posò una mano sul braccio e strinse. - Non sono bravo come te, ma per la prima volta in vita mia sono veramente convinto di quello che sto facendo.

- Mi fido.

- Allora tu fai quello che devi fare e lasciami qui.

Cosa devo fare, però?

La risposta era piuttosto banale: trovare Stella. Sollevò una mano, avrebbe voluto fare un gesto d'affetto verso Joel, o dirgli che era felice che quella notte di dicembre 2007 fossero diventati amici.

Se Dio avrà misericordia, avrai tempo di dirgli tutto all'alba di domani.

Lasciò Joel a fronteggiare i mostri e corse via dalla sala.

 

*

 

- Cosa dobbiamo fare?- Aidan stringeva la mano di Virginia e correre insieme li rallentava, ma ancora lei non riusciva a lasciarlo andare. - Che ti ha detto Joel?

- Luce e aria!- Urlò Virginia, inciampando in quel che restava di un appendiabiti, nell'atrio del teatro. - Mio zio ha detto che dobbiamo procurare luce e aria, che aiuteranno a mandare via la malattia.

- Ok, per l'aria ce la possiamo fare. Ma la luce? Si sono fulminate quasi tutte le lampade, come cazzo facciamo? E fuori è notte.

- Cominciamo con l'aria. Dobbiamo aprire tutte le finestre. E la porta d'ingresso. Oddio, no.

Il banco dei biglietti era rovesciato, biglietti e locandine sparsi da tutte le parti, macchiati e strappati. La tenda che nascondeva una delle porte d'accesso al teatro era a brandelli. Il muro era annerito, come se qualcuno avesse tentato di incendiare la stanza.

Sul banco c'era un corpo, trafitto da un'enorme scheggia di legno che doveva essere stata una gamba della sua sedia. Di Richard, il bigliettaio del teatro, era rimasto un ammasso contorto a braccia aperte, con gli occhi e la bocca spalancati.

- Voglio ammazzare uno di quei cosi con le mie mani.- Sibilò Aidan, abbracciando Virginia. - Quando Amir li avrà sconfitti, ti giuro che me ne faccio lasciare uno da parte per farlo a pezzi.

- Ti aiuterò.

- Forza, andiamo alla porta.

Spalancarono le due ante del portone d'ingresso e furono investiti da un refolo d'aria pulita e fresca. Virginia realizzò in quell'istante quanto fosse pigiata, viziata e piena di cattivi odori l'atmosfera lì dentro.

- Dove troviamo la luce?- Mormorò, guardando la piazzetta male illuminata sui cui si affacciava il Sunflower.

- Intanto potremmo fare una cosa. Aspettami.

Aidan corse fuori, e tre minuti dopo Virginia sentì il rumore di un motore e fu accecata dagli abbaglianti dell'auto di Aidan, piazzata proprio di fronte all'ingresso. La luce dei fari si riversò nell'atrio.

- Finché la batteria regge, qui siamo a posto.- Gridò lui, scendendo a raggiungerla.

- Bene. Forse ho un'idea anch'io. Te lo ricordi? Lo scorso Natale, quando Amir ci ha raccontato di quelle casse che aveva ritrovato in un armadio di metallo in uno dei camerini.

- Cazzo, sì, e io so anche qual è il camerino. Dai, andiamo!

Corsero via, fuori dall'atrio, e imboccarono un corridoio nero, caldo e soffocante, con l'unica illuminazione che proveniva da una lucina incerta, sul fondo, che sembrava allontanarsi sempre di più, nonostante loro le stessero correndo incontro.

 

*

 

Il lampadario azzurro, con tutte le sue luci accese, dondolava pericolosamente sulla sua testa, ma la stanza era al sicuro, non ancora profanata dalla malattia o dai mostri. Amir chiuse la porta e vi si appoggiò contro, respirando profondamente per un minuto.

- Stella!- Chiamò forte, pensando che avrebbe sentito anche se lui avesse sussurrato, ma che in quel momento aveva davvero bisogno di gridarle contro. - Stella, fatti vedere. Ora!

- Razza di moccioso pieno di pretese!- Tuonò la voce di Stella. - Pensi che io non stia soffrendo, adesso? Ci sono delle creature disgustose che mangiano il mio corpo e una malattia che fa marcire la mia anima. E tu gridi come se fosse colpa mia, che non corro subito ad aiutarti!

- Possiamo rimandare la discussione a un altro momento? Dobbiamo fare qualcosa per cacciare via gli invasori.

La risata di Stella riempì il piccolo spazio della stanza e fece muovere il lampadario ancora più in fretta.

- Pensi che non avrei già agito, se fossi stata in grado di fare qualcosa? Il Ragno è più potente anche di me. Io sono lo spirito del teatro, lui è uno spirito del tempo. Ha troppi più anni di me, e troppi più trucchi e risorse.

- Non ti ho mai sentito parlare così.

- Sono realista.

- Va bene.- Amir chiuse gli occhi, ingoiò la delusione e cercò di raffigurarsi Stella, tutte le volte in cui aveva visto la creatura, le aveva parlato, ne aveva subito i capricci e aveva goduto della sua attenzione... - Va bene. Farò tutto da solo.

- Vai a farti ammazzare, bravo.

- Cos'altro dovrei fare? Scappare e lasciarti morire?

- Sarebbe una scelta intelligente. Potresti trovarti un altro posto abbastanza magico e folle da accoglierti come suo custode, e continuare lì a essere quel che devi essere.

- Sai una cosa interessante di noi stupidi umani? Quando ci affezioniamo per davvero a qualcuno, siamo disposti a fare delle cose poco intelligenti per salvarlo. Tipo rimanere qui a farsi contagiare o ammazzare. Ed è quello che farò io. Quindi, deciditi: mi aiuti a salvarti, o torno là fuori da solo?

- Io ti odio!

E poi gli comparve davanti, e lui non riuscì a non gridare.

L'essere era nudo e coperto di ferite, e con la mano si copriva l'occhio sinistro. Tra le dita veniva fuori una cascata di sangue.

- Che cosa...

- Te l'ho detto. Sono più forti di me.

- Anche più di te e me insieme?

- Sì, Amir. Sono più forti di me e di te insieme, ma se vuoi potremo andare a morire tutti e due, come due eroi di qualche ciclo mitologico, stupidi e tronfi nella nostra pretesa di fare la cosa giusta. Se la prospettiva ti piace, io ci sto.

Lui si avvicinò piano e chinò la testa, fino a posarla sulla spalla insanguinata della creatura.

- Va bene.- Sussurrò. - Magari moriremo davvero, ma ti prometto che farò tutto quello che posso per salvarti e per guarirti. Tu l'hai fatto così tante volte, con me!

- Io ti ho fatto male come nessun altro. Ti ho messo nei guai, ti ho trattato da stupido, ti ho nascosto cose importanti e ho preteso che tu accettassi i miei metodi.

- Ma sei casa mia comunque.

- E ora riesco solo a dirti qualche sciocca parola sulla morte imminente, eh?

Amir si scostò dalla creatura, poi si tolse il maglione e glielo porse. Stella scoppiò a ridere, però accettò il dono, e se lo drappeggiò sulle spalle. Amir rimase a contemplarla per un istante: era penoso vederla in quel modo, ma c'era sempre bellezza nonostante le ferite, nel corpo candido di Stella, splendido essere androgino, infinitamente distante da tutto ciò che era umano.

- Portami dal Ragno.- Le disse Amir. - Sei un drago, no?

- Sciocco. Credi che se avessi avuto abbastanza forza da essere il drago, non avrei già distrutto tutti gli invasori?

- Di cosa hai bisogno, per trasformarti?

Stella scosse la testa.

- Di qualcosa di potente.

- Una cosa potente... Come il sangue?

- Che ne sai, tu, del sangue?

- So che ne è bastata una goccia per riparare a un disastro. Allora, il sangue ti può servire? Non farti scrupoli a chiedere. Siamo in una situazione un po' tragica.

- Oh, guarda, non me ne ero accorto...

Poi tacque e lo guardò per alcuni secondi, lasciandolo turbato, a domandarsi cosa gli stesse leggendo in viso e cosa si stesse preparando a chiedergli.

- Va bene. Accetto la tua offerta.- Gli prese la mano nelle sue e strinse, una pressione leggera, quasi piacevole. Un attimo dopo dalle dita di Amir scorreva un rivolo rosso, scorreva lungo la pelle bianchissima della creatura, risaliva le sue braccia, le sue spalle, il suo viso; scendeva lungo la schiena e le gambe, macchiandola, all'inizio, e poi svanendo come assorbito dalla pelle, che riprendeva colore.

- Dimmi tu quando è troppo.- Disse Stella. Lui strinse le labbra e scosse la testa.

- Dimmi tu quando è abbastanza.

- Che magnifico idiota, sei.

- Il tuo degno custode.

Stella fece una delle sue risate roboanti e lo lasciò andare. Gli occhi verdi brillavano di una gioia feroce. Allargò le braccia e si dissolse in una tempesta di scintille verdi. La sua voce echeggiò intorno al ragazzo: Andiamo a cacciare gli invasori!

Poi Amir fu sollevato da una corrente invisibile e trascinato via dalla stanza segreta, per saloni e corridoi, oltre porte divelte e tende strappate, dritto attraverso le viscere del Sunflower, fino a raggiungere la sala del palcoscenico violato, dove il Ragno e i suoi figli continuavano a mangiare.

 

*

 

Il corridoio risplendeva di tutte le lucine natalizie che lui e Virginia erano riusciti a recuperare. Non c'era più una sola finestra che fosse chiusa in tutta la struttura: dalle finestrine dei bagni ai finestroni enormi lungo i corridoi, ovunque c'era circolazione d'aria e i fumi della pestilenza si dissolvevano a contatto con l'alito di primavera prepotente che entrava a forza nel teatro.

- Ho l'accendino con me.- Disse all'improvviso Virginia.

- Vuoi dare fuoco a qualcosa?

- No, voglio trovare delle candele.

- Ok, ritentiamo nei camerini.

Si rituffarono in una delle stanze tra le cui cianfrusaglie avevano già frugato e trovarono una manciata di candele bianche più alcune a forma di fiore. Virginia le piazzò sul tavolo da trucco, di fronte allo specchio per gli attori, e cominciò ad accenderle una per una.

Dietro di loro qualcuno applaudì.

- Geniale. No, davvero, geniale. Luce e aria.

Una donna in abito elegante, con una brutta macchia di sangue, li guardava con ammirazione. Dietro di lei c'era una ragazza con le vesti bruciacchiate.

- Voi siete gli amici di Amir.- Disse Aidan agli spiriti.

- Anche voi.- Rispose la ragazza. - Cosa possiamo fare? Sono arrivati a tradimento nel nostro teatro e noi ci siamo nascoste. Non un gran bell'atteggiamento, lo so. Ma tutto quello che stanno facendo al Sunflower ci fa male.

- Luce.- Disse Virginia. - Avete qualche modo per fare luce?

- Io risplendo di luce propria.- Disse la donna, ed era vero: prese a scintillare, con una risata.

- Che primadonna.- Commentò l'altra, e lei fece un'alzata di spalle.

- Ringrazia, che sono tanto primadonna da brillare.

- Trova un posto del teatro che è ancora al buio e piazzati lì.- Disse Virginia.

- Anch'io so come fare, per illuminare questo posto. - Disse la ragazza, e avvampò in un'enorme fiamma. Aidan fece un balzo all'indietro e lei scoppiò a ridere. - Tranquillo, non faccio male a nessuno. Vado subito a cercare l'angolo più scuro di tutto il teatro!

 

*

 

Quando Joel ebbe raggiunto il palco, era già stato morso da una ventina almeno dei serpentini, e ogni morso era stato più doloroso dell'altro. Sentiva il veleno che gli riempiva le vene e gli gonfiava la gola, rendendogli l'atto del respirare qualcosa di impossibile. Lui però avanzava imperterrito, disseminando la sala con le sue erbe. I rimedi antichi per le pestilenze erano quelli. Non sapeva se avrebbero funzionato anche per il teatro, ma si fidava di Arthur, e si fidava del suo trattato di medicina medievale. Il libro si era aperto da solo al capitolo su Santa Ildegarda di Bingen e ne erano volati fuori alcuni appunti. Troppo perfetto, per essere una coincidenza.

- Bene, e ora cosa speri di ottenere?- Gli domandò Clyde, seduto sul bordo del palco, con le gambe lunghe che dondolavano nel vuoto.

- Che tu vada al diavolo.

- Sbagliato.

- Vedremo.

Un serpentino si arrampicò lungo il braccio di Joel e lo morse. Lui vacillò e si piegò in avanti, cercando un appiglio che non trovò. Franò a terra, lasciando cadere l'ultimo ciuffo d'erba che stringeva tra le dita.

Il serpentino si contorse sul pavimento e poi morì.

 

*

 

Nel cuore segreto del teatro, Angela disegnò un incantesimo che aveva imparato tanto tempo prima.

Ci vogliono le mani di un esorcista per attivarlo. Io lo sono solo in parte. Amir riuscirebbe a farci meraviglie, su un rito come questo. Il Raduno. Amir radunerebbe gli spettri di mezza Europa.

Vi posò le mani sopra lo stesso, perché una mezza esorcista era meglio di niente, e i fantasmi di mezza Londra erano meglio di niente anche loro.

La risposta della magia fu accecante e per poco non la sbalzò lontano. Il pavimento tremò per un istante e la porta si spalancò, lasciando che una quantità di spettri sbucassero fuori come una mandria, tutti nella stanza, e più ne uscivano fuori, più ce n'erano altri dietro, pronti a fare il loro ingresso nel teatro.

Molti più di quanti se ne aspettasse Angela.

- Non credevo di riuscire...

Questo è il Sunflower, e tu sei un'amica del nostro custode. Non c'è niente di logico, qui.

 

*

 

Sulle ali di quel vento invisibile che era il Drago, Amir attraversò tutto il corpo del teatro, con le sue svolte misteriose e i suoi corridoi inesistenti se non per pochi eletti, le sue stanze dallo scopo mai compreso, e i resti di altri tempi e altre storie disegnati su tutti i muri. Nutrito dal sangue e dalla rabbia, il Drago raggiunse il palco e lì si fece più visibile, come se il nulla che teneva Amir in volo all'improvviso avesse ottenuto una consistenza e dei contorni.

Il Ragno li vide arrivare e rise, ma ad Amir non sfuggì il secondo di stupore prima della risata.

- Cosa pensi di fare?- Tuonò il Ragno. - Tu sei un niente, di fronte a me, e persino il tuo Drago è un bambino del tempo e ha meno della metà della metà dei miei anni! E ti dimentichi del mio esercito!

- Tu non conosci il suo, di esercito.- Ruggì Stella.

- Il mio?- Amir strinse le mani attorno al niente – il niente che però lo sosteneva, il niente del quale si fidava. Stella, ovviamente, rise. La sua risposta universale.

E tutt'attorno a lui all'improvviso cominciarono a germogliare spettri: grandi, piccoli, vecchi, giovani, rapiti dalla morte che erano ancora bellissimi, antichi e pencolanti, feriti e morenti, distrutti e malridotti, silenziosi e ridanciani, occhi spalancati o sguardi gentili, mani protese per combattere e piccole mani che distruggevano imperi col gesto rivoluzionario di una carezza.

Il Ragno imprecò. Gli spettri si lanciarono contro le creature mostruose, strappandole dal corpo ferito del teatro, gettandole lontano, facendole a pezzi. Il Drago si scagliò contro il Ragno e quello fuggì.

Sulle ali invisibili di Stella, Amir vide i mostri disfarsi in lunghi fili d'ombra e i fantasmi esultare in lingue sconosciute. Vide i piccoli serpenti velenosi morire, mentre l'odore limpido di menta e di salvia purificava la stanza. Vide Clyde – no, Mordred – che si ergeva su Joel, gli chiudeva le mani attorno alla gola e stringeva e...

E allora arrivò Vivien, di corsa, tra le sedie della platea in pezzi, e corse fino a Clyde, gettandoglisi addosso e trascinandolo lontano da Joel. La vide sollevare le braccia e creare una fiamma bianchissima, che si infranse sull'essere e lo ridusse a un cumulo di cenere candida in un istante.

Poi la vide accasciarsi per terra, piccolissima, esausta.

Il Ragno fuggiva e Stella lo inseguiva, sul campo di battaglia che un tempo era stato il palco del Sunflower. Amir si stringeva al Drago e si chiedeva cosa sarebbe servito, per distruggere il loro nemico definitivamente.

È antico, uno spirito del tempo, più vecchio del teatro...

Che cos'hai, tu, che ti ha sempre permesso di riuscire in quello che fai, figlio delle ombre, bambino del teatro? Che cos'hai raccolto di prezioso in questi anni? Di che cosa sei ricco, così ricco da rivaleggiare con il Ragno in quanto a potenza e mistero?

Era Stella, che gli gridava nella mente.

Di che cos'era ricco? Cos'aveva raccolto?

- Storie.- Mormorò. - Ho tante storie. Le storie di tutti quelli che mi hanno parlato. È l'unica cosa che ho.

Allora abbiamo vinto.

Stella si lanciò in picchiata contro il Ragno e Amir immaginò di avere tutte quelle storie in mano, frammenti uniti a formare un'arma senza uguali, per penetrare la carne fatta di tempo del loro nemico.

Il Ragno lanciò l'ultimo urlo, che spezzò tutti i vetri del teatro, poi si ripiegò su se stesso, ritrasse gli arti in una convulsione d'agonia e si disfece in una manciatina di misera fuliggine, una macchia scura sul palco. Il Drago urlò di vittoria e di dolore, prima di discendere a terra, posare il suo cavaliere e svanire insieme alla corrente che arrivava nella sala da qualche parte, aria di primavera e di cose nuove e di guerra finita.

Amir chiuse gli occhi. Quando li riaprì la sala era vuota. Vide solo uno spettro di bambino, che rideva e gli faceva ciao con la mano. Il Raduno era terminato, il suo esercito aveva ripulito il suo regno e ora se ne tornava a casa.

Da solo, in mezzo al palco in rovina, Amir si accoccolò per terra e cercò di trovare un ritmo normale del respiro, per calmare il battito del cuore e la testa che girava.

Lo svegliò una carezza leggera. Si riscosse, stava tremando. Accanto a lui c'era Joel, nella sua tenuta ridicola. Vivo. Sano. Amir avrebbe urlato per il sollievo, se avesse avuto ancora voce.

- Hai vinto.- Gli disse Joel. - Come ti senti?

- Non lo so. Voi siete... Gli altri... Cosa...

- Calmati. Ci siamo tutti. Non ti preoccupare. Per una volta, lascia fare a noi.

Joel gli tese la mano e lui si lasciò rimettere in piedi e sostenere lungo la discesa della scala che lo condusse in platea. Vide Aidan e Virginia seduti per terra, appoggiati l'uno all'altra. Hilda bruciava allegramente in fondo alla sala. Emily si affacciava oltre i brandelli di una tenda.

Angela era inginocchiata per terra e sosteneva il corpo di Vivien.

- Cos'è successo?- Amir tentò di sfuggire alla presa di Joel per raggiungere la donna, ma l'uomo non lo lasciò andare e lo aiutò a sedersi sul pavimento, accanto a Vivien.

- Clyde mi ha fatto male.- Rispose lei, a fatica.

- Ma dovremmo aver guarito il teatro. Il contagio... Le erbe di Joel...

- L'ho toccato direttamente. Questo va oltre le vostre erbe.- Poi gli fece un sorriso e Amir si sentì morire, perché non aveva mai visto Vivien sorridere così e sapeva che non poteva essere un buon segno.

- Cosa posso fare per aiutarti?

- Mandami via.

- Come?

- Io mi ero nascosta qui, nel teatro. Perché so che c'è un posto dove puoi aprire altre porte. Tu lo sai, no?

- Sì. Lo so. L'ho trovato. Dove volevi andare?

- Via. In un altro mondo.

- Perché?

- Non posso morire qui. Ho fatto troppe cose... Cose con la magia. Non ho tempo di spiegare. Ho ucciso un uomo del Ragno, Julien Green, e lui mi ha maledetta. Se morissi qui, in questa città, vi farebbe del male. Avvelenerei tutto. Mandami via, ti prego. Lasciami fare una cosa buona, alla fine.

Angela piegò la testa e posò la fronte su quella di Vivien, prima di cominciare a piangere in silenzio.

- Va bene.- Amir si alzò in piedi e fece cenno a Joel di aiutarlo. - Va bene, Vivien: proverò a mandarti da un'altra parte.

Insieme, lui, Joel e Angela raccolsero la donna, e seguiti dagli altri, vivi e non vivi, si diressero verso la stanza segreta. Amir li condusse fino alla porta che in teoria avrebbe potuto vedere solo lui, ma quando la aprì, gli altri furono in grado di entrare. Il lampadario azzurro li accolse con lo scintillio delle sue luci e dei suoi cristalli.

Amir aprì l'armadio di legno scuro, l'unico mobile presente nella stanza, e cominciò a cercare, sperando che l'intuito o la saggezza del luogo gli suggerissero il metodo giusto per realizzare il desiderio di Vivien. Sugli scaffali dentro l'armadio c'era un mondo: scatoloni di libri, un cestello pieno di piccoli sassi dipinti, un calamaio incrostato di vecchio inchiostro, un candelabro a nove bracci color rame, una forchetta, una specie di calice di legno piuttosto malridotto, un piccolo pugnale nascosto da un fodero tempestato di gemme e ricoperto di polvere, un barattolo pieno di chiavi...

- Chiavi. Suppongo che per aprire una porta, serva una di queste.

Cercò nel barattolo e ne prese una, affidando la scelta a una preghiera.

- Mettete Vivien lì, dove c'è quel cerchio azzurro tra i motivi del pavimento.- Disse. Quando aveva incontrato la ragazzina di nome Amy, lì dentro, avevano calpestato entrambi il cerchio. Doveva sperare di aver capito bene come funzionava quel posto.

Si chinò accanto a Vivien, con la chiave tra le dita, e le spostò un ciuffo di capelli dagli occhi. Era bellissima anche in punto di morte.

- Sono sempre stata una stupida.- Gli disse, senza smettere di sorridere.

- Hai avuto una storia terribile e hai perso tutti quelli a cui volevi bene. Chiunque avrebbe fatto qualcosa di stupido, al posto tuo.- Le rispose.

- Non avevo perso tutti. Quelli che mi sono rimasti... Li ho trattati in maniera davvero sciocca.

- Alla fine però senza di te forse non saremmo riusciti a sconfiggere Mordred. Quindi, per favore, ritieniti riconciliata.

- Grazie, ragazzo prodigio. Una tua parola ha molto peso. Ciò che mi hai detto è importante.- Poi spostò gli occhi su Angela che piangeva. - Smettila, per favore. Non me lo merito. Ti ho sempre amata, lo sai, anche se ho fatto di tutto per farti pensare il contrario. Cercate di prendervi cura della mia città. Buonanotte.

- Buon viaggio.- Mormorò Amir, mettendo la chiave tra le mani fredde di Vivien.

- Aprimi le porte di Avalon.- Scherzò lei, e mentre si sforzava di offrire loro un'ultima risata, il suo corpo perse consistenza e scomparve. Rimase solo la chiave, al centro del cerchio azzurro sul pavimento.

 

Fuori dal teatro c'era l'alba. Joel e Angela parlavano piano, Aidan e Virginia erano zitti e abbracciati. Amir si fermò sulla soglia e si voltò indietro. Emily gli posò il solito bacio sulla fronte, prima di infilarsi di nuovo tra le stanze della loro casa devastata. Hilda gli passò attraverso, riscaldandolo per un istante.

- Stella.- Chiamò lui, guardando il buio, e nessuno gli rispose. - Stai bene?

Quasi, rispose un'eco distante, nella sua testa. Dammi tempo.

- Mi prenderò cura di te, mentre ti rimetti.

Lo so. Come sempre.




***
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