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Autore: Canneella    14/12/2014    1 recensioni
Daniele frequenta il Liceo Classico da quattro anni e gli fa schifo.
A dire la verità, a fargli schifo è un po' tutto.
Nulla lo interessa, tutto ció che lo circonda lo annoia, e lui è spento come un diciottenne non dovrebbe essere.
Alessandra invece ha due anni di meno ed è entusiasta ogni cosa, da un fiorellino sull'asfalto al sorriso di un anziano, disegna tutte le cose belle che vede ed è felice, sempre, anche se non succede niente.
Si vedono ogni giorno ma non si salutano, lei gli sorride soltanto con quel fare gentile e lui ricambia, le dedica l'unico lampo di colore di una giornata grigia, e lei non lo sa.
(Storia in revisione, ma si può leggere tranquillamente)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Daniele

Scendo dall'autobus e mi sento soffocare da ragazzi che parlano, vecchietti che si lamentano e gente che corre per andare a lavorare.
Perchè hanno tutti così tanta fretta?
Alzo la musica, ignoro il solito avviso del cellulare che mi dice che un volume troppo alto puó danneggiarmi l'udito, mi siedo sul muretto davanti alla scuola e mi accendo una sigaretta.
Fumare non mi piace neanche, in realtá.
È una delle varie cose che ho iniziato a fare a quindici anni per sentirmi più grande, con la sciocca convinzione di poter smettere quando avrei voluto.
Ormai è più un'abitudine che un vizio, fumo due sigarette al giorno, una prima di entrare a scuola e una appena esco.
Guardo la gente che passa, vedo ragazzi e ragazze tutti uguali, non sento niente grazie alla musica nè ci tengo particolarmente.
Mancano otto minuti al suono della campanella, sei ore e otto minuti alla prossima sigaretta e io ho appena spento la mia senza neanche averla finita.
Finalmente suona e io mi alzo, aspetto che entri tutta la gente con cui non voglio parlare, abbasso la musica e mi perdo in un mare di persone tutte ugualmente noiose.
Tranne una.
Quando si è seduta davanti a me sul Diciotto ho avuto quasi paura di guardarla, mi ha sorriso, e avrei voluto dirle qualcosa, anche solo ciao, e invece non ho fatto un bel niente.
L'ho ignorata per tredici fermate con tutte le mie forze, ho ignorato quella cascata di capelli biondo cenere che le arrivano a metà della schiena, ho ignorato quegli occhi enormi e incuriositi puntati su di me, ho ignorato quelle labbra piccole tese in un sorriso timido, perchè se l'avessi guardata anche un solo secondo di più non avrei smesso.
So poco di lei.
È in terza , si chiama Alessandra e abita a San Fruttuoso, sale tre fermate dopo la mia ed è sempre felice, come se tutto ció che la circonda fosse bellissimo e illuminato.
Entro in classe, mi siedo al mio posto in seconda fila e saluto Martina, la mia vicina di banco.
"Come stai?" mi chiede, alzando lo sguardo. 
"A posto. Tu?" 
Non ascolto neanche la risposta, in realtá non mi interessa, ma è abitudine ormai chiederlo senza neanche pensarci.
Io e Martina siamo vicini di banco dalla terza, sono quasi due anni, eppure per me è quasi un'estranea.
Non mi è mai importato granchè di conoscerla, mi è sempre sembrata vuota, poco interessante. 
È bella, sì, come altri miliardi di ragazze esattamente identiche a lei. 
Tra noi c'è un rapporto di completa indifferenza, lei mi passa i compiti di greco, io quelli di matematica, ogni tanto mi scrocca una sigaretta.
Probabilmente tra qualche anno non ricorderó neanche più il suo nome, un dettaglio del suo viso, il colore degli occhi che tuttora non mi viene in mente se non la guardo.
Le lezioni passano veloce, e io sento tutto senza ascoltare davvero, e quando esco da quelle mura mi sento libero, libero veramente.
Alla fermata del Diciotto c'è il solito casino, anche se nessuno lo prende visto che è sempre vuoto, stanno tutti lì a chiacchierare e io dovrei decidermi a prendere la moto ogni tanto, ma non saprei dove parcheggiarla. 
E poi vedo lei, che parla con una signora sull'ottantina seduta sulle panchine della fermata dell'autobus.
Abbasso la musica e riesco a cogliere dei frammenti di discorso della donna, anche se la mia attenzione è catturata dallo sguardo interessato di Alessandra che la aiuta ad alzarsi e a salire sull'autobus.
Ha anche il dizionario di Greco in mano, e per un momento vorrei chiederle se le serve un aiuto, ma scaccio questo pensiero e salgo sedendomi nello stesso posto di stamattina, sperando che lei si sieda di nuovo davanti a me.
E lo fa.
E mi sorride, di nuovo, e distoglie lo sguardo, e prende un blocco da disegno e una matita.
La vedo tracciare delle linee che presto prendono forma, come per magia, diventando il viso di quella signora anziana con la quale parlava prima.
Vorrei dirle che è brava, Cristo se è brava, vorrei chiederle se posso vedere gli altri disegni, ma non ho il coraggio e resto a guardarla mentre da vita a quella figura, finchè non arriva la sua fermata e scende, girandosi all'ultimo secondo per sorridermi e sparire in mezzo a troppa gente.


  
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