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Autore: variopintadite    14/12/2014    2 recensioni
Mi prese la mano stretta a pugno e cercò di farmi allentare la presa. Riluttante, smisi di opporre resistenza. – Stai tremando – constatò guardandola. Mi accarezzò le dita. Le portò alle labbra, baciandomi le nocche.
- Chissene frega – risposi, con la voce rotta.
- Frega a me.

***
- Sono fidanzata.
Era una mezza verità… non stavo mentendo, in fin dei conti.
- Pessima idea – rise sulla mia bocca. Non sapevo se fossero tre o quattro millimetri quelli che ci dividevano.
- Perché? – chiesi, come fanno i bambini curiosi di capire il mondo. Con parsimonia recuperavo il poco ossigeno che era avanzato nella stanza. Lo stavamo consumando a furia di sospiri.
Il malefico dito si intrufolò nei miei slip, ma rimase lì, come una promessa o una tortura. Questo ancora non sapevo decretarlo. – Perché, - esalò con voce roca – ora posso baciarti.
Andai a sbattere con la testa contro il muro a causa della sorpresa. – No… non posso. Io sono impegnata.
- Impegnata a farti fare preliminari da me? – soggiunse, lasciandomi un lieve bacio sul mento.

***
ATTENZIONE: il linguaggio è prettamente volgare.
PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE!
Genere: Commedia, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 2
 
La dottoressa Wyatt, una donna in carne con dei riccioloni pece, mi guardò con dolcezza.
- Dimmi, cara – disse con tono affabile.
- Ho avuto un piccolo incidente… - lanciai una rapida occhiata a Newell per poi tornare alla donna – mi servirebbe del ghiaccio, per favore.
- Oh, certo! Vado subito a prenderlo. Intanto accomodati pure e tu, - osservò guardinga il ragazzo che mi affiancava  – stai attento, perché ti tengo d’occhio.
Giratasi di spalle si avviò verso il mini frigorifero di color giallo piscia. Ebbi la conferma che la mia scuola non era brava ad arredare, prediligeva colori che evocavano alla mente immagini spiacevoli.
Lui approfittò della cosa per darmi una spallata, stizzito forse dall’avere contro ogni femmina in quel giorno o, semplicemente, era un ragazzo con problemi mentali. Mi limitai ad ignorarlo nonostante mi avesse fatto un po’ male. Non provai neanche a sedermi dato che facevo solo buchi nell’acqua provandoci.
- Eccoti il ghiaccio. – Mi porse l’agognato oggetto e io con troppo slancio lo afferrai.
- Louise? – Udimmo una voce provenire dall’esterno.
- Hanno bisogno di me, con permesso – si allontanò, lasciandoci soli.
L’idea non mi appariva molto allettante. Le pareti di un bianco smunto, tre letti che puzzavano di disinfettante e il mobilio pressoché inesistente se non un banco, dove erano allineati i peluche delle Tartarughe Ninja e una foto di un signore occhialuto, il mini frigorifero e una modesta vetrina in cui erano custoditi i farmaci.
Newell mi elargì un sorriso. Inquietante.
- Allora Tallish, che ne dici di…? – indicò con lo sguardo lo spazio in cui ci trovavamo.
Alzai le sopracciglia fino a farle arrivare all’attaccatura dei capelli, per così dire.
- Esponi la tua grandiosa idea – lo esortai, cercando di tenere i nervi saldi.
- Nel frattempo curo le mie ferite – portai la borsa del ghiaccio sul coccige. Una sensazione piacevolissima mi abbracciò, e mi fece produrre un sospiro di piacere.
- Non per sembrarti uno che ha il cervello tra le gambe, ma sembrava un orgasmo. -
- Sbaglio, o dovevi esporre la tua grandiosa idea – digrignai fra i denti. Possibile dovesse essere così diretto?
- Be’ vedi questo letto? – posò la mano sul lenzuolo e diede qualche colpetto, proprio come fanno vedere nei film.
- Sì. – Roteai gli occhi al cielo.
- Che ne dici di sederti? E… parliamo? –
Non capivo dalla sua espressione se mi stesse prendendo per i fondelli o fosse il suo modo di approcciarsi alle ragazze. Mi chiedevo anche se queste ultime cascassero in proposte del genere.
- A parte che tra poco torna la dottoressa e seconda cosa: mi spieghi che idee ti passano per la testa? -
- Oh, Tallish, fai tanto la saputa e poi non arrivi alle cose? -
- Newell, non mi hai mai notata e oggi è tutto il giorno che mi sei appiccicato. Ti sei reso conto o pensi solo a contarti i peli pubici? – Mi scappò di bocca e non appena lui comprese, fece una smorfia, confuso.
- Tallish, fattela una sana scopata e non scassare la minchia. Stavo scherzando, ma a quanto pare, con te, non si può fare nemmeno quello. Io vado. -
Rimasi lì ferma e quasi il dolore al coccige non lo sentii più. Quasi.
Cercai di occupare la mente in altro, così mi diressi verso la cornice d’oro contenente la fotografia di quel signore occhialuto che sembrava tanto simpatico…
- Ehi, come stai? – la Wyatt si affacciò alla porta e io le sorrisi riconoscente.
- Adesso molto meglio… - continuai a fissare quell’anziano.
Entrò nell’infermeria e si avvicinò alla sottoscritta.
- Era mio padre – rispose alla mia domanda inespressa, con un amaro sorriso.
- Oh… mi dispiace - dissi solamente.
- Quel tipetto chi è? Il tuo ragazzo? – domandò sottovoce, con fare cospiratorio.
Cambiò argomento per il tasto dolente che ero andata a toccare involontariamente, pensai.
- Oh no! No, assolutamente! – gesticolai con enfasi, sentendomi un po’ accaldata. Una reazione dovuta all’imbarazzo di quella supposizione.
- Ti ha fatta cadere lui, vero? – chiese illuminandosi come un alberello di Natale.
- Sì, più o meno – risposi vaga. – Ora devo andare o mi danno per dispersa. Buona giornata! – e uscii di scena.
- Anche a te, cara. -
Fui costretta a tornare indietro perché mi stavo portando dietro la borsa del ghiaccio.
- Ho dimenticato questo! – enunciai, lanciandoglielo contro per la fretta e senza averci pensato. L’oggetto le sfiorò di striscio la testa.
- Mi scusi! – le urlai costernata ed avanzai in fretta e furia verso la classe di Mrs Keogh.
 
Mentre percorrevo il corridoio, la campanella suonò e mi recai in aula di geografia.
Il professor Janel aveva pochi capelli in testa e faceva di tutto pur di renderli più visibili. Si faceva la tinta nera una volta al mese e dato che aveva le sopracciglia marroni, si vedeva palesemente la differenza. Gli occhiali spessi come fondi di bottiglia con una montatura arancione campeggiavano sul suo nasone.
Non erano tanto gli occhiali il problema, ma il superbo pelo che gli usciva dalla narice destra. Un’ex compagna, che era con me in prima superiore, gli aveva comprato un paio di forbicine e gli aveva consigliato di tagliarselo una volta per tutte. Lui le aveva messo una nota e da quel giorno non fu più possibile posare lo sguardo lì per più secondi o iniziava a sbraitare come un dannato.
Durante le interrogazioni non era semplice per nessuno evitare di guardarglielo, sembrava che ci dicesse “Guardami, guardami come cresco fiero!”.
Mr Janel fece l’appello e annunciò che doveva interrogare. Tutti finsero di non aver ascoltato e si misero a fare gli affari loro, cosa che accadeva di consuetudine.
- Su, signorina Tallish, esca lei – mi esortò sorridendomi in quel modo strano.
- Prof, devo prima ripassare se vuole una bella interrogazione -
Sbuffai controvoglia. Il giorno prima non avevo studiato insolitamente, se mi fossi fatta interrogare avrei probabilmente abbassato la media.
La pigrizia genera solo brutte cose.
- Metto F! – minacciò me e subito dopo si avvicinò a qualche altro studente che era seduto sul banco, incurante di cosa accadeva nell’aula. Loro si tolsero gli auricolari e lui diede un urlo di rabbia.
- Se non vi mettete al vostro posto vi metto la nota! -
Keira, una ragazza nuova, mi toccò la spalla.
- Sì? – dissi un po’ altera. Avevo iniziato a fare pensieri sul mio futuro fallimento scolastico generale perché non avevo studiato geografia. Un po’ tragica, che ne dite?
- Oh, scusa… volevo sapere se fa sempre così questo prof. -
- Purtroppo sì – e le raccontai della storia del pelo.
Lei fece una risatina cristallina e io le sorrisi di rimando.
Mr Janel tornò alla cattedra e prese il suo registro impugnando con fare teatrale la penna, minacciando note a tutto spiano.
- Jack, metti via subito l’accendino! – rimproverò il ragazzo, il quale trovava divertente usare il fuoco. Da grande avrebbe fatto carriera come piromane, chissà.
- Siamo in una scuola non in una camera da letto – disse Dana, una compagna, ai due piccioncini Nina e Isaac, dando manforte al professore. Difatti stava solo sfottendo Mr Janel.
I miei compagni furono riscossi dall’ondata di curiosità e puntarono i loro sguardi sulla coppietta.
- Vai così Isaac – fecero subito dopo in coro. Chi fischiava, chi spronava, chi rideva.
Il ragazzo agitò il pugno in aria per poi portarsi Nina sulle gambe.
Le poche femmine presenti ignorarono la vicenda, eccetto Keira ed io, che stavamo svolgendo la funzione di spettatrici.
- Vi sembra il modo!? – Il pelato andò verso di loro e prese per un braccio Nina.
Keira ed io gememmo di spavento. Con tutta quella suspense che c’era, era quasi d’obbligo.
La fece alzare in piedi e la costrinse a sedersi due banchi più in là.
- Una punizione crudele, né? – dissi sarcastica a Keira.
- Davvero crudele – rispose stando al gioco.

Le altre ore trascorsero in un batter d’occhio. Alle quattro potevo finalmente tornare a casa, ma qualcosa mi frenò.
Detenzione.
Mi presentai pochi minuti dopo “all’aula-carcere”… non era altro che una normale stanza come tutte le altre dell’istituto.
Bussai e chiesi il permesso.
- Avanti – udii all’interno. Era una voce roca e risoluta.
Spalancata la porta non potei che fare lo stesso con la bocca. Il professore era qualcosa di divino, o più.
Due occhi celesti che non avevano nulla da invidiare al cielo e due labbra rosee semplicemente irresistibili.
Cos’era successo? Vi erano due teorie: o la scuola nella notte si era popolata di fighi, oppure i miei ormoni di adolescente avevano iniziato ad ingranare e dunque ora era più attenta (e attratta) dalle persone di sesso opposto.
Avevo le gambe molli come un budino, di quelli tanti mollicci intendo.
E mentre lo guardavo sembrava che il mondo a poco a poco sparisse. C’erano solo i suoi occhi e i miei.
Certo, non avevo smeraldi, zaffiri o diamanti al posto delle pupille… erano color cacca, ma forse lui ci vedeva della cacca bella.
- Muoviti – disse scazzata una voce, ormai a me, ben nota per poi spingermi di lato per passare.
Rischiai di inciampare per la seconda volta a causa sua, ma per qualche strano motivo riuscii a non permettere che accadesse.
- Sta bene? – disse il mio principe azzurro.
- Io? – domandai, guardando dietro di me per vedere se stava rivolgendo davvero la parola a me; lui annuì - Sto alla grande! – risposi euforica.
Il professore mi guardò sconcertato, indeciso se credermi o meno. Tanto meglio. Mi piaceva che mi guardasse. Santi numi: trovavo piacevole una cosa del genere! Ma che diamine stava succedendo al mio corpo?
- Signorina? –
Mi sentii completamente febbricitante. Il solo pronunciare il mio nome era qualcosa di paradisiaco.
- Mi dica prof – proferii con voce fioca.
- Può entrare e chiudere la porta, se non le dispiace? – domandò con un sorriso carino – carino!?  - e al contempo preoccupato.
Mi stava elargendo uno di quei sorrisi quando qualcosa suscita pena? Io gli facevo pena? Gran figlio di puma!
Afferrai con stizza la maniglia e sbattei bruscamente la porta.
- Così si trova più a suo agio prof? – chiesi burbera.
Lui scioccato, stette zitto. Mi stava volutamente ignorando? Gliel’avrei fatta pagare a quel pumiciattolo!
Così mi accomodai in prima fila di fronte alla cattedra.
Lui portò le labbra alla bocca e se le leccò in modo approssimativo, per girare con maggior facilità le pagine del giornale. Io scossi la testa più volte per non farmi ipnotizzare dalla sua bellezza.
Misi in atto il mio piano: appoggiai i gomiti sul piano e il viso sulle mani aperte. Rimasi così per parecchi minuti, intenzionata  a metterlo in soggezione.
- Si sta rendendo conto signorina Tallish che sta dando spettacolo a tutti i presenti coi suoi modi eccentrici e fuori luogo? Non so lei, ma io, al suo posto, mi sentirei ridicolo. –
Come faceva a sapere il mio cognome? Lo scrutai con più accuratezza e notai che stringeva i bigliettini gialli della detenzione.
La ciliegina sulla torta fu la risata di Newell che ruppe il silenzio. Non fu il solo, infatti anche un ristretto numero di ragazzi si stava divertendo.
Wow, era bastata davvero una giornata a capovolgere la mia situazione? L’attimo prima ero una semplice scolara che adempieva al suo dovere e l’attimo dopo ero lo zimbello dell’aula della detenzione.
- Io… io… - mormorai incapace di proteggere la mia dignità.
- Io… io… - mi scimmiottarono gli altri ragazzi.
Gli occhi mi divennero lucidi, ma promisi di non lasciarmi sopraffare dalla vergogna. Fu colpa di una frazione di secondo che Newell vide i miei occhi gonfi di lacrime. Posso dirlo con certezza, perché si fece di colpo serio.
Cazzo.
- Mi è permesso andare ai servizi? Sa, noi donne abbiamo le nostre cose da sbrigare nella toilette – informai l’insegnante con la consueta impertinenza. Dovevo mostrare determinazione e strafottenza.
- Certo, signorina – affermò con fare superiore.
- Figlio di puttana – sussurrai, in modo che non mi udisse, mentre mi accingevo a raggiungere la porta.
- Cos’ha detto? – chiese lievemente alterato.
- Nulla. – Feci una risata falsa. - Ha così voglia di conversare con me, da sentirmi parlare? -
- Stia zitta – enunciò esasperato.
- Sissignore – feci il saluto militare e uscii finalmente dall’aula.

 
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio a tutti!
Siamo solo all’inizio, ma eccovi introdotti dei personaggi nuovi.

Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Fatemi sapere le vostre opinioni in merito.
Cosa accadrà prossimamente? ^^
   
 
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