Capitolo
primo
Nella cella umida, filtrava a malapena un fioco
raggio di luna e
qualche lampo, sporadico, illuminava il cielo di tanto in tanto. Io
stavo
raggomitolato a terra, ai piedi del letto e, se non fosse stato per il
periodico movimento del mio diaframma, sarei sembrato morto a chiunque
mi avesse
visto in quelle condizioni. Non sapevo esattamente da quanto tempo
stessi così,
inerme e muto, il tempo sembrava essersi fermato improvvisamente e,
tutto il
mondo, sembrava annichilirsi oltre le mura della mia cella di massima
sicurezza. Avrei voluto solamente schiacciare via dalla mente quei
ricordi di quella
nottata ottobrina, avrei voluto solamente chiudere gli occhi e dormire
un sonno
senza sogni come spesso capita dopo le sbronze da whiskey
incendiario.
Un
secondino, si avvicinò alla mia
cella e girò la chiave arrugginita all’interno
della serratura.
“Black,
in sala interrogatori!”
gridò, facendomi scattare le manette intorno ai polsi inerti
e
trasportandomi, come un ameba, lungo un corridoio ghiacciato di pietra.
Il
secondino, mi condusse in uno
stanzone con un lungo tavolo, mi obbligò a sedermi con una
forza del tutto
superflua sul mio corpo privo di qualsivoglia resistenza.
In
un primo momento, non mi accorsi
nemmeno di non essere solo all’interno della stanza, ma
ciò non mi importava… Ero
solo stanco, mi sentivo terribilmente stanco di tutto…
“Sono
Margareth Swarm, il suo avvocato. Sono stata incaricata dal Ministero
per
prendere le sue difese”
Pensai in un barlume di lucidità che, se quella donna era un
avvocato
d’ufficio, anche Remus e l’Ordine si erano ormai
convinti della mia
colpevolezza, senza che nessuna remora li avesse sfiorati…
Anche se dovessi
uscire di qui, cosa mi aspetta? Mentre rimuginavo su questi pensieri,
la donna
riprese a parlare
“Signor
Black, capisco il suo stato emotivo e il suo shock, ma i suoi capi di
imputazione sono veramente…”
Forse
la donna non riuscì subito
a trovare la parola adatta, in fondo, quale mai sarebbe potuta essere?
Spaventosi, orribili, raccapriccianti, atroci?
Lasciò
cadere la frase, e mi
guardò fisso. Io fissavo un punto nel vuoto, come se
cercassi qualcosa con
svogliatezza, per il solo gusto di trovarla. La donna si trovava in
evidente
stato di difficoltà, estrasse con un rapido colpo di
bacchetta un grosso
faldone dalla sua borsa, e cominciò a sfogliarlo lentamente.
“Signor
Black”
riprese “io
sono qui per aiutarla.
Subirà una gogna mediatica di proporzioni cosmiche, cercano
tutti un capro
espiatorio e sicuramente chiederanno la pena di morte. Si lasci
difendere,
signor Black. Reagisca a tutto questo, stanotte sono morti dodici
babbani…”
Continuò
a parlare ma io non
l’ascoltai più. Lasciai che quelle parole
rimbalzassero nella mia testa,
facendomi male come le pulsazioni sorde di un emicrania: dodici
babbani. Ero
accusato della morte di dodici babbani. Alzai lo sguardo e, finalmente,
riuscii
a guardarla negli occhi per la prima volta e parlai quasi sussurrando,
interrompendo quel suo fastidioso lessico giuridico.
“Come
si chiamavano?”
Sembrava
quasi spiazzata, da
quella domanda. Smise di parlare, e mi guardò fisso con
stupore
“Cosa?”
chiese spiazzata
Ripetere
quelle tre parole pesò come un macigno ma, dentro me, trovai
la forza per riformulare. Deglutii
e chiesi
nuovamente:
“Signor
Black, questo non è rilevante ai fini
del processo. Non accumuli altro dolore adesso, con il
tempo…”
“Ho
bisogno di sapere”
scandii disperato, alzando quasi di un semitono il tono della mia voce
La
donna, sfogliò il faldone che stava aperto davanti a lei ed
estrasse un foglio
di carta.
Forse
riuscì a capire il mio stato d’animo per un
momento, perché cadenzò ogni
singola lettera come se stesse leggendo qualcosa di veramente
importante, e io
penso che ricorderò per tutta la vita quella lista
dettagliata, ogni
incrinazione di tono, ogni pausa, le sincopi di ogni singola parola.
“Marta
Lewis, 31 anni, di professione maestra privata;
al momento dell’incidente stava rientrando a casa.
Thomas Parker, 21
anni, studente di medicina
che la sera consegnava pizze a domicilio, per mantenersi negli studi.
Deven Moore, 46
anni, svolgeva un servizio di
vigilanza notturna presso una banca
Francesca Roma,
27 anni e italiana, faceva una
sorpresa al suo ragazzo che compirà gli anni domani.
Peter Bennet, 53
anni, stava parcheggiando la
sua automobile, proprio quando la strada è implosa.
Peter Murray, 33
anni, portava a spasso il cane
sotto il suo appartamento
Melba Owen, 56
anni, si trovava lì per caso,
cercava una tabaccheria dove comprare le sigarette
Reena Carter, 72
anni, vedova, cercava il gatto
Ronnie scappato di casa poche ore prima
Matt Ray, 21
anni, studente fuori sede che
stava rientrando nel suo appartamento in affitto, a tre isolati da
Saville Row
Ron Bailey, 44
anni, non sappiamo ancora cosa
ci facesse lì, con esattezza.
Ruth Grey, 32
anni, di professione avvocato e
il figlioletto Harry di appena 3 anni.
E poi,
ovviamente, Peter Minus che lei
conosceva bene…”
Sollevare
le palpebre, sembrava un azione impossibile. Sentii qualcosa scavarmi
dentro
come se, ad ogni nome pronunciato, qualcuno mi privasse di ogni
briciolo di
umanità svuotandomi da dentro con un cucchiaino da
caffè. Non riuscivo ad
alzare lo sguardo, ad aprire gli occhi. Merlino, quanto vorrei che
tutto ciò
fosse un incubo. Uno di quelli che facevo da diciassettenne in casa
Potter,
poco dopo aver lasciato Grimmauld Place, quando James mi scuoteva piano
e mi
diceva che andava tutto bene e che ero stato veramente cazzuto ad
andarmene.
Perché spesso, andare via, non significa necessariamente
scappare, bensì
ricostruire daccapo. Se solo James fosse qui, capirebbe…
“Signor
Black, la vedo molto provato. Provi a
dormire, si riposi un po’. L’udienza preliminare
davanti il Wizengamot si terrà
tra poche settimane, intanto, lei sarà tenuto in isolamento
e un perito
nominato dal Ministero analizzerà la sua bacchetta con
l’incantesimo Prior
Incantatio per ricostruire l’ordine dei fatti. La sua
bacchetta, verrà comunque
distrutta se dovesse risultare colpevole.”
Con
un cenno, fece entrare nuovamente il sudicio secondino che mi
sollevò da sotto
le ascelle, pronto per riportarmi in cella. Arrivato sulla soglia, la
donna
parlò nuovamente:
“Signor
Black, la prego, se lei è innocente non
si lasci sconfiggere così.”
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Diagon Alley,
martedì 31
agosto 1971
“Non
toccare nulla, Sirius”
“Sì
padre”
Restai
stupito di quanto fosse stipato di bacchette quel piccolo negozietto.
“Signor
Black, che piacere vederLa”
il tono era reverenziale, ero abituato a sentirlo da molti quando si
rivolgevano a mio padre. Quell’uomo attempato, spossato ma
felice, doveva
sicuramente essere Olivander il padrone della bottega.
“Una
bacchetta, Olivander”
fece mio padre con sufficienza “Noce,
corde di cuore di
drago, 12” per mio figlio”
Olivander
mi fissò con tenerezza, sembrava sul punto di ribattere ma
non lo fece, obbedì
senza proferir parola. Tornò dopo una manciata di secondi,
mio padre si
guardava intorno schifato come se ogni secondo della sua vita
lì dentro fosse
sprecato.
“Ecco
signorino Black, la sua bacchetta”
disse il vecchio, porgendomi una bacchetta robusta e potente che
somigliava
molto a quella di mio padre.
Appena
la ebbi tra le mani, il negozio sembrò implodere, come se
fosse entrato improvviso
e prepotente un uragano, proprio in quel preciso momento. Mio padre me
la sfilò
di mano e mi diede uno schiaffò, apostrofandomi:
“Sta
attento, stupido ragazzino”
Sentì
gli occhi bruciare, ma non piansi. Olivander, sembrò
racimolare tutto il poco
coraggio che avesse in corpo prima di parlare:
“Se posso
permettermi, signor Black, penso che
la bacchetta appena provata non sia adatta al ragazzino. Sa, a volte,
è la
bacchetta a scegliere il mago.”
Mio
padre sembrava annoiato, quasi infastidito.
“Al
diavolo, è solo una bacchetta”
lasciò 30 galeoni sul bancone e fece per uscire. “Raggiungimi
a Nocturne Alley appena hai
finito, questo posto mi inquieta”
Non
appena mio padre varcò la soglia, le lacrime cercavano di
scendere lungo il mio
viso ed io, tentai di ricacciarle indietro. L’avevo deluso,
ancora…
Olivander
parve accorgersene, e mi passò un dito rugoso sul viso. “Non
faccia così, signorino Black” disse
sorridendo “A
volte, si nasce
semplicemente nel posto sbagliato…”
Scomparve
nel retrobottega, ed io non sapevo cosa fare esattamente. Stavo per
uscire
quando ricomparve dagli scaffali.
“Provi
questa, signor Black”
Presi
la bacchetta tra le mani, e subito, un aurea di potenza e sicurezza mi
avvolsero completamente. In quel momento, avrei voluto solamente che
mio padre
fosse lì, orgoglioso di vedermi così potente e
riverito quasi quanto lui.
“Le
piace? Trucciolato, piuma di fenice. Farà
grandi cose con questa bacchetta, compirà azioni memorabili
signor Black.”
“Grazie
signor Olivander, spero di rivederla presto”
dissi, con tutta l’innocenza di un bambino undicenne
continuando a sorridere
come un bambino a Natale.
“Ci
conto, signor Black. Sono sicuro che, prima
o poi, sentirò parlare di lei”
disse il vecchio rugoso, facendomi un occhiolino scherzoso e sfilandosi
il cappello, a mo’ di saluto.
Appena
uscì dalla bottega di Olivander, il fresco vento settembrino
si era fatto più
aggressivo. Strinsi la bacchetta fortissimo, al punto di ritrovarmi le
nocche
delle mani bianche dallo sforzo, la bacchetta era un bene che avrei
protetto
per sempre. O almeno, così credevo allora…