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Autore: FiammaBlu    15/12/2014    1 recensioni
Ho scritto questo romanzo molto tempo fa, si può dire sia stato il primo lavoro serio in cui mi sono cimentata. Ve lo propongo e spero vi divertirete anche voi a seguire i tre fratelli protagonisti della storia nelle loro avventure che li porteranno a crescere e a prendere in mano le redini della famiglia.
L'ambientazione è fantasy, inventata, ma segue le regole di D&D.
Sono 30 capitoli.
Il boia, che stava per tirare la leva della botola, si fermò guardandola. Sanie salì sulla piattaforma seguita da due soldati della Guardia Reale del Sultano. Indossava uno stupefacente abito bianco, quasi trasparente, che poco lasciava all'immaginazione. I capelli ricci e lunghi erano sciolti in una nuvola sulla schiena e indossava un paio di sandali bassi e ricamati.
Artiglio Rosso osservò ogni suo passo, la bramava e ammirava con lo sguardo e sorrideva della sua audacia. Sanie lo raggiunse, si asciugò le lacrime che scorrevano incessanti, lo fissò qualche istante, gli circondò il collo con le braccia sensuali e lo baciò profondamente.

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Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29. Il Cavaliere, la Maga e il Capitano


Finalmente l’estate aveva inondato coi suoi colori caldi le campagne del Ducato di Tockaha. La Contea di Torap risplendeva d’oro per i suoi campi di grano che presto sarebbe stato battuto. Ogni anno si teneva una grande festa per il raccolto che veniva fatto e partecipava anche la famiglia Hianick. Tutte le fattorie erano in fermento e anche la città si era riempita di mercanti per l’imminente fiera.

Erika, quell’anno, avrebbe organizzato solo una cena informale per un centinaio di ospiti che avrebbero compreso i parenti più stretti e i fattori che operavano nella Contea con le rispettive famiglie perché i figli erano impegnati nei loro corsi di studi. Fabris avrebbe partecipato alla festa delle fattorie che solitamente si teneva presso la grande fattoria di Darmesh dove venivano allestiti tavoli e si cucinava per tre giorni per rifocillarsi dalle fatiche della mietitura.

La signora del castello osservava la servitù indaffarata che stava sistemando il salone per la cena che si sarebbe svolta fra tre giorni. Era molto caldo e invece dei fiori freschi aveva optato per grandi fasci di spighe dorate e girasoli, molto più resistenti e colorati. Non sarebbe stata la stessa cosa senza i figli e il castello era vuoto da quando loro lo avevano lasciato ma era una ricorrenza troppo importante per il popolo e non potevano esimersi dal festeggiarla.

Celia avrebbe lasciato l’Ordine e fra qualche mese avrebbe sposato Alexei Arstid, questo stava ripagando tutte le tensioni e la tristezza per la sua lontananza. Non era il posto per lei e aveva dovuto mantenere un estremo autocontrollo quando Kathe le aveva raccontato di Mark Nateshwar, Cavaliere dell’Ordine e figlio di Adam Nateshwar, Alto Chierico del Monastero di Torap. La moglie dell’Alto Chierico era la sorella del Patriarca e il figlio era stato nominato più volte per il suo coraggio e la determinazione con cui gestiva il Monastero di Albany ma non voleva neanche immaginare Celia con quell’uomo che non avrebbe potuto darle alcun futuro. Aveva tirato un sospiro di sollievo invece quando le aveva raccontato di Arielle Roderick di Pemiol. Avrebbe preferito Helen di Rovilon per Klod, figlia del Conte Berin, ma anche Arielle era un ottimo partito e Fabris non avrebbe fatto obiezioni ad una loro eventuale unione. Le due contee ne avrebbero giovato sicuramente, rafforzandosi sia economicamente che militarmente.

Inevitabili furono i ricordi legati a Cedric Berin. Erano passati così tanti anni ma un sorriso le apparve sul volto. Una delle ragazze posò un mazzo di girasoli in vaso al centro di un grande tavolo rotondo assicurandosi che fosse perfetto. Erika scese la scala e raggiunse la sala scrollandosi di dosso i ricordi.

Poi Kathe le aveva raccontato ogni cosa della Scuola di Magia e di quello che era accaduto nell’ultimo anno. Aveva cercato di dissuaderla dal frequentare quel tipo poco raccomandabile ma si era resa conto all’istante che ne era innamorata, niente di ciò che avrebbe detto le avrebbe fatto cambiare idea. Mentre Kathe raccontava, rigirava fra le mani una spilla molto bella, era nervosa e Erika comprese immediatamente che non le stava dicendo tutto. Le aveva detto che sarebbe stata via qualche giorno e poi sarebbe tornata alla Scuola per affrontare l’ultimo esame. Era una conversazione avvenuta ormai due mesi prima e da allora non aveva avuto più modo di parlare con lei né con gli altri due figli.

E poi c’era Fabris. Dall’ultima festa che avevano dato al castello stava macchinando qualcosa. Aveva provato a parlargli ma lui aveva borbottato parole incomprensibili e si era chiuso nel suo studio. Trascorreva la maggior parte del suo tempo fra l’allevamento di cavalli, i campi e le botteghe di tessuti di Torap. C’era qualcosa che bolliva in pentola ma non era riuscita a scoprire cosa. Quella mattina era la terza volta che un Messo dell’Ordine di Fir Ze faceva visita al loro castello. Raggiungeva Fabris nel suo studio e ne usciva dopo ore. Aveva ospitato a cena anche diverse famiglie di ricchi mercanti di Torap, le signore erano state intrattenute dai cantori e musici, mentre gli uomini si erano chiusi in quello studio. Quanto avrebbe voluto essere una mosca per ascoltare quello che stavano tramando! Celia, Kathe e Klod erano impegnati nel completare i loro studi, era fiera e orgogliosa di loro ma le mancavano terribilmente. Adesso non le restava che attendere che tornassero.



Il Comandante Arnesh gli fece scontare ogni giorno di permesso che Klod aveva chiesto. Lavorava talmente tanto che aveva poco tempo per allenarsi con le armi ma non si rassegnò alle angherie del Comandante e chiese a Shazer di allenarlo la notte e l’amico si disse disposto ad aiutarlo senza riserve. Erano entrambi stanchi e durante il giorno Arnesh, che sapeva perfettamente delle uscite notturne dei due giovani, non gli dava tregua, li scherniva, li appellava con epiteti e soprannomi che facevano ridere il resto dei soldati.

- Un giorno riuscirò a prendere il suo posto di Comandante! - ringhiò Klod evitando un affondo di Shazer.

- Lascia perdere Klod, non ne vale la pena, in fondo Arnesh fa solo il suo lavoro - sibilò Shazer ritirando la lama ed evitando un affondo.

- Sei pronto? - gli chiese l’amico dopo una serie di scambi rapidi.

- Sì - rispose Klod senza perdere la concentrazione.

- E Arielle sa della prova? - Shazer arretrò rapido per evitare un fendente. Klod ebbe un’esitazione e si ritrovò la punta letale della spada dell’amico al petto.

- No, non è importante che lo sappia - borbottò lui gettando la spada a terra e prendendo un mazzafrusto.

- Non devi pensare a lei durante la prova, ti deconcentri e Arnesh ti massacrerà - concluse Shazer sorridendo.

- Mi preoccupa molto più la prova tecnica di quella fisica - strinse il mazzafrusto e si lanciò all’attacco.

- Se hai studiato non hai niente da temere, non è difficile, me l’ha detto Aron che è diventato Capitano due anni fa, l’hanno mandato al confine col Regno dei Nani, ci sono dei subbugli lì… - Shazer mise la spada davanti a sé e le catene del mazzafrusto si attorcigliarono, c’era un solo modo per liberarsi da quella presa ed eseguì la tecnica alla perfezione. Klod alzò un sopracciglio quando vide la sua arma volargli via di mano.

- Sono sfinito - Klod si lasciò cadere a terra.

- Tutte scuse - Shazer lo imitò e si distese con le mani dietro la nuca.

- Conoscendo Arnesh mi spedirà in qualche angolo buio del Regno… - borbottò Klod osservando il cielo stellato.

- Non credo, sei il figlio del Conte, non lascerai Torap - e gli strizzò l’occhio.

- Mio padre mi ha già detto che dovrò seguirlo nell’amministrazione della Contea, non mi lascerà mai fare il soldato - sbuffò il giovane che iniziava a sentire le catene della responsabilità. Frequentare l’Accademia, la Guarnigione e partecipare alle avventure con le sorelle e Erik era stato davvero meraviglioso ma le cose sarebbero cambiate. Ciò nonostante non aveva alcuna intenzione di affrontare l’esame con meno determinazione e avrebbe sconfitto il suo avversario davanti alla Commissione di Comandanti che sarebbe venuta a giudicare i candidati alla carica di Capitano.

Nella prova tecnica c’erano dei veri e propri esercizi scritti di tattiche di guerra, imboscate, gestione approvvigionamenti, dislocazione delle risorse, valutazione delle armi e delle soluzioni migliori su campi di battaglia diversi. Potevano trattare qualsiasi argomento e se l’esame scritto non soddisfaceva, la Commissione poteva richiedere un’ulteriore verifica orale.

- Sarà meglio andare a dormire, domani ti aspetta la prova - Shazer si alzò e gli tese la mano.

- Grazie dell’aiuto - rispose Klod afferrandola.

- E’ stato un piacere, Hianick - Shazer gli sorrise tirandolo su.



I candidati alla prova estiva per la carica di Capitano vennero svegliati all’alba. Il Comandante Arnesh era stranamente silenzioso. I sei giudici della Commissione che avrebbe valutato i candidati, e di cui lui non faceva parte, venivano da altre Guarnigioni ed erano alloggiati nella caserma riservata agli ufficiali. Al mattino ci sarebbero state le prove tecniche, al pomeriggio quelle fisiche e nella giornata seguente avrebbero affisso tutti i risultati. Arnesh sostava immobile davanti alla bacheca all’esterno del suo ufficio, ancora piena dei precedenti risultati e di altre comunicazioni. Nell’edificio dove venivano fatti gli allenamenti con le armi quando fuori il tempo non lo consentiva vennero allestiti dei rozzi tavoli dove i candidati avrebbero affrontato la prova scritta. Erano ormai molti anni che all’esame, inizialmente solo una prova di abilità con le armi, era stata integrata una verifica delle capacità intellettuali. Ai soldati non era più consentito non saper leggere e scrivere e dovevano avere dimestichezza coi numeri. Un Capitano gestiva approvvigionamenti e monete, doveva essere in grado di contare e tenere registri oltre che essere un abile spadaccino.

La maggior parte degli uomini che si presentava alle caserme aveva tanti muscoli e poco cervello per questo restavano a vita dei semplici soldati. Poi ogni tanto arrivava qualcuno che si distingueva e non sempre le sorprese venivano dalla nobiltà, dove era più frequente che i bambini ricevessero un’educazione scolastica. Klod Hianick era arrivato con troppe idee in testa e poca voglia di fare inoltre era il figlio del Conte ma Arnesh non si era mai fatto intimorire dalla sua origine e lo aveva trattato come ogni altro soldato, anzi a guardare bene era stato sicuramente più severo. Però aveva ottenuto dei risultati: era diventato un ottimo stratega e un abile guerriero, con la spada era capace di inventarsi mosse efficaci che disorientavano l’avversario. Avrebbe voluto mandarlo al confine con le Terre del Fuoco a sud, per dare manforte ad una Guarnigione il cui valoroso capitano aveva da poco perduto la vita ricacciando un gruppo di orchi. Erano territori pericolosi e le Guarnigioni erano fondamentali per evitare che altre razze invadessero il Regno e sterminassero persone innocenti. Ma era già arrivata la lettera, direttamente dal Comandante Superiore delle forze del Regno di Aliati che rispondeva direttamente a Re Fredrik, con cui informava Arnesh che Klod Hianick sarebbe tornato alla sua famiglia e non doveva essere inviato presso altri avamposti a prescindere dall’esito dell’esame.

Il Comandante si voltò verso la corte interna della Guarnigione. Il sole era già spuntato, scorse la guglia della torre del castello del Conte e si domandò per quale motivo i nobili dovevano mandare i loro figli in posti come la Guarnigione per poi richiamarli a casa.

Si diresse al suo ufficio preparandosi per quella lunga giornata, avrebbe incontrato i candidati e sarebbe stato un ostacolo per ognuno di loro, soprattutto per Hianick che lo vedeva come un nemico e non c’è bersaglio più vulnerabile di uno arrabbiato e deconcentrato.



Klod si alzò indolenzito alla sveglia dell’alba. Si sentiva poco riposato e sapeva che questo avrebbe influito sulla sua prova. Si recò ai bagni e ne fece uno gelido, riempiendo la tinozza direttamente con l’acqua del pozzo. Per fortuna l’estate era calda e il sole ardeva prepotente sulla Contea. Si rivestì e alla mensa trovò gli altri sette candidati che come lui avrebbero affrontato la prova quel giorno. Mangiò abbondantemente sapendo che fino alla fine della prova, quella sera, non avrebbe rivisto cibo. Rimasero tutti in silenzio e non si guardarono nemmeno, la tensione era percepibile.

Come voleva la prassi, si recarono all’ufficio del Comandante Arnesh per registrarsi. Quando entrarono, c’erano anche i sei giudici della Commissione. I giovani sbrigarono tutte le pratiche e vennero accompagnati nella stanza dove avrebbero affrontato l’esame scritto. C’era un’atmosfera densa e pesante e la tensione poteva essere tagliata con la lama di una spada. Quando attraversarono la corte, tutto era pronto per gli incontri del pomeriggio dove ogni candidato avrebbe affrontato un avversario in un combattimento in cui sarebbero state messe alla prova capacità, concentrazione e inventiva.

La sala allestita coi tavoli era priva di aria, nonostante fosse mattina presto la calura estiva ammantava ogni cosa e perfino il legno sembrava sudare. I sei commissari si sedettero al lungo tavolo con brocche e bicchieri d’acqua, i candidati presero posto su quello di fronte che aveva già le pergamene predisposte con pennini e calamai. Arnesh entrò da una porta laterale e si mise di fianco all’ultimo commissario, un Comandante di una Guarnigione vicino alle Terre del Fuoco con una profonda cicatrice sull’avambraccio sinistro.

- Bene signori, quest’oggi affronterete l’esame per la carica di Capitano. Risolvete i quesiti posti sulle pergamene, avete sei ore di tempo al termine del quale ritireremo tutto. Nel pomeriggio si svolgerà la prova fisica - guardò ognuno di loro e parlò lentamente. Klod lo osservò, era rilassato e teneva le mani incrociate dietro la schiena, indossava un’armatura borchiata e aveva la spada al fianco come sempre. Nessuno dei commissari parlò, restarono tutti in silenzio e tenevano lo sguardo sui giovani davanti a loro: non avevano ancora preso in mano i pennini ma l’esame era già iniziato. Erano tutti uomini adulti, forgiati da molte battaglie, Comandanti di altre Guarnigioni sparse per il regno e Klod ringraziò la dèa di non dover incontrare nessuno di loro nel combattimento del pomeriggio. Prese il pennino e iniziò a leggere le pergamene.



Kathe chiuse il grande libro di incantesimi che stava consultando in biblioteca. Alzò la testa e guardò fuori, il sole era già alto. Klod stava sicuramente affrontando il suo esame. Gli avevano chiesto se si poteva assistere ma lui aveva scosso la testa, spiegando che tutti gli esami erano sempre interni alle Guarnigioni. L’unico esterno che veniva ammesso era il Guaritore del Monastero che veniva convocato per prestare aiuto durante i combattimenti.

Emise un sospiro e riportò il libro a posto. La sua prova sarebbe stata fra una settimana, non si sentiva affatto pronta e il colloquio della sera precedente con la professoressa Yvette non l’aveva rassicurata. L’esame consisteva sempre in una serie di situazioni in cui veniva chiesta al mago una risoluzione con il solo ausilio della magia. A volte le simulazioni erano state così reali che i maghi ne erano usciti provati, feriti e in alcuni casi avevano perduto il senno. Ciò non era confortante. Stava facendo una vita da reclusa, non vedeva più i suoi fratelli né Erik. Avrebbe voluto parlargli di suo padre prima dell’esame e dirgli di Lewel, ma al ritmo in cui studiava non sarebbe mai riuscita a incontrarlo, non vedeva neanche il sole.

Camminò lentamente fra due scaffali cercando attentamente un libro, quando lo vide prese uno sgabello, ci salì sopra e lo prelevò. Aveva la copertina blu notte e un fregio argento. Le rune dicevano semplicemente: magie di morte. Non si era mai interessata a quel ramo e non conosceva incantesimi che strappassero la vita con una parola, ma ritenne doveroso esplorare anche quel campo nel caso in cui gli fosse risultato necessario durante la prova. Lasciò la biblioteca e tornò nella sua stanza, quel libro necessitava di tutta la sua attenzione e concentrazione. Nel breve tragitto levò una veloce preghiera alla dèa, che proteggesse suo fratello e gli desse la forza e la determinazione per superare l’esame. Domani sarebbe stata la volta di Celia. Il castello era in fermento, la loro madre stava impazzendo per preparare le nozze con Alexei e l’ultima volta che aveva visto la sorella aveva la fronte aggrottata ed era nervosa, di certo non era l’atteggiamento giusto per affrontare la commissione dell’Ordine.

Entrò in camera, i corridoi della scuola erano silenziosi e deserti e non incontrò nessuno. Appoggiò il libro sulla scrivania e si sedette. L’ultimo pensiero prima di immergersi nella lettura fu per suo padre: aveva fatto breccia nel suo cuore, lo aveva spinto ad agire nella direzione giusta?



Sapeva che l’avrebbe perduta. L’aveva capito il giorno in cui le aveva visto l’anello al dito. Aveva raggiunto un tale grado di follia da aver pensato di chiedere aiuto a sua madre che intercedesse presso il Patriarca e costringesse i due Conti a rinunciare a quel matrimonio combinato. Il Patriarca Eldingar Jaldhar era suo zio, ma non aveva mai neanche pensato di sfruttare la parentela per raggiungere i suoi scopi. E non l’aveva neanche mai chiamato zio. Ma in un momento di lucidità aveva visto il volto di Celia: non avrebbe approvato e probabilmente si sarebbe infuriata. Sorrise in silenzio mentre la osservava dalla finestra dello studio dell’Alto Chierico durante un allenamento nella corte esterna contro il suo maestro. Era arrivato durante la notte, non voleva si sapesse che era al Monastero. Aveva raggiunto silenziosamente gli alloggi di suo padre, era entrato socchiudendo la porta ma Adam Nateshwar era seduto alla scrivania e aveva alzato lentamente la testa.

- Sapevo che non avresti obbedito - gli aveva detto con sguardo truce. No, non ce l’aveva fatta.

- Mi dispiace, padre - era l’unica cosa che era stato in grado di dire abbassando lo sguardo come quando era un ragazzino.

- Trovati un posto dove dormire e non farti vedere in giro se non vuoi davvero rovinarle la vita - aveva riabbassato lo sguardo sul tomo riprendendo la lettura.

Questo era accaduto la notte precedente. Adesso si trovava nello studio del padre e guardava la corte del Monastero fuori dalla finestra.

Aveva ricevuto una missiva da Kathe Hianick una settimana prima. Quella maga estrosa e imperscrutabile restava un mistero per lui. Lo informava blandamente che nella giornata di oggi Klod avrebbe affrontato la sua prova per diventare Capitano e che Celia lo avrebbe fatto il giorno seguente. Aveva meditato a lungo, più volte si era convinto a restare ad Albany, a non tornare a Torap solo per vederla senza essere visto. Suo padre era stato inamovibile, con poche parole gli aveva ordinato di restare a fare il suo lavoro e di iniziare a pensare a qualcosa di diverso dal Messo dai capelli biondi. Ma nonostante tutta la sua buona volontà e gli impegni, la mente aveva sempre davanti lei, il suo sorriso, le sue mani, il suo sguardo. Era ritornato sul ragionamento più volte e dopo aver deciso di restare ad Albany si era ripromesso di non pensarci più. Poi era partito. Aveva pensato anche ad altre soluzioni più drastiche. Conosceva tanta gente, delinquenti dei peggiori bassifondi e ne aveva spediti tanti nelle celle delle Guarnigioni. Ma pagare qualcuno per uccidere il figlio del Duca non faceva proprio parte del suo stile. E poi come avrebbe vissuto col rimorso? Inoltre c’era l’interrogativo più grande: non era affatto sicuro che Celia l’avrebbe accolto a braccia aperte.

- Se resterà calma e lucida non avrà alcun problema a superare la prova domani - Mark sussultò nell’udire la voce di suo padre alle spalle, non l'aveva neanche sentito entrare, tanto era assorto.

- Ci sono dodici aspiranti Chierici Cavalieri e per quanto mi riguarda sono tutti pronti per diventarlo, Celia compresa. L’Ordine ha mandato Sir Thorin dal nord… - Adam lasciò la frase in sospeso. Thorin era un Cavaliere esigente e non erano state rare le volte in cui aveva affrontato di persona i candidati.

- Sir Thorin Halicar… - Mark sussurrò il nome del gigantesco Cavaliere tornando a fissare la corte e Celia che schivava abilmente un affondo. Voci lo volevano imparentato coi minotauri tale era la sua imponenza.

- Cercherò di mantenere le acque calme, non voglio che qualche aspirante Cavaliere ci rimetta la vita - aggiunse Adam sospirando. L’Alto Chierico faceva parte della commissione esaminatrice e fungeva da collante fra i progressi dell’allievo e gli esaminatori che non sapevano niente di loro. Non partecipava però ai giudizi finali. Se un allievo si preparava adeguatamente, la prova non era particolarmente difficile, ma quando erano le donne ad affrontarla, accadeva sempre qualcosa. I quattro commissari erano tutti uomini e Celia l’unica donna a presentarsi. Era alla pari se non migliore di tanti uomini ma il mondo ancora non accettava questo tipo di parità. Era sicuro che non avrebbe avuto alcun problema a superare l’esame in sé, nonostante l’insicurezza che gli aveva manifestato solo il giorno prima, ma la cosa che avrebbe potuto danneggiarla di più riguardava l’uso non autorizzato dell’incantesimo che aveva riportato in vita suo figlio. La dèa le aveva dato il potere e questo sarebbe bastato a convincere chiunque della bontà dell’azione ma l’Ordine aveva una visione tutta sua di come doveva essere usata la magia divina, soprattutto la resurrezione.

- Non avrei dovuto lasciarla andare - mormorò Mark indurendo lo sguardo.

- Donne come Celia sono difficili da incatenare - Adam incrociò le braccia dietro la schiena seguendo lo sguardo del figlio e fissandolo sulla chierica. Sapeva perfettamente cosa stava passando il figlio, conquistare sua madre e sposarla era stata l’impresa più ardua e difficile della sua vita.



Era il momento, la corte era affollata, c’erano tutti. Aveva assistito ai tre precedenti combattimenti e i suoi compagni si erano difesi bene dai tre avversari, tutti veterani della Guarnigione, abili e spietati, ai quali non interessava affatto concedere alcun vantaggio o aiuto ai candidati, ma lottavano come se avessero davanti il loro peggior nemico. Sentiva il sangue ribollire nelle vene e il cuore che batteva furioso in attesa dello scontro.

- Hianick - il comandante Igor delle Terre del Fuoco chiamò il suo nome a voce alta. Klod annullò ogni pensiero e si concentrò. Mentre si incamminava al centro dell’arena improvvisata, estrasse lentamente la spada con un movimento fluido che sembrava solo una prosecuzione dell’arco elegante che fece il suo braccio. Indossavano tutti la stessa armatura di cuoio borchiato e affrontavano lo scontro che l’arma che preferivano. Si fermò al centro, gli occhi leggermente socchiusi per la calura, il respiro lento e controllato, in attesa che il suo avversario uscisse dalla caserma. Probabilmente lo conosceva. Aveva osservato tutti gli allenamenti, appena avesse visto il suo volto avrebbe saputo anche i suoi punti deboli. La porta scricchiolò, si aprì e Klod fu costretto a serrare con forza l’impugnatura della spada per evitare che cadesse a terra. Il comandante Arnesh avanzò lentamente, un sorriso sornione appiccicato sul viso fiero e rigido indicava quanto fosse compiaciuto dell’effetto che stava facendo sul giovane Conte.

Un mormorio insistente serpeggiò tutt’intorno, ma il Comandante Igor batté un pugno spazientito sul tavolo e tutti tacquero. I due avversari, in silenzio, iniziarono a girare in cerchio fronteggiandosi, analizzandosi, aspettando il momento opportuno per fare la prima mossa. E fu Arnesh ad effettuare il primo, rapido affondo, esattamente quando Klod si trovò con il sole in faccia. Il giovane reagì più d’istinto che di tecnica, scartò di lato mettendo la sua spada fra sé e la lama del suo Comandante. Rotolò a terra e si rialzò rapido, la mente che cercava di ricordare quali punti deboli avesse il suo avversario. Arnesh era un vero bastardo e voleva metterlo alla prova fino alla fine, ma non avrebbe ceduto!

Arnesh sorrideva lievemente, solo un angolo piegato della bocca ma, per la dèa, se lo faceva infuriare. Eseguì alcuni affondi dettati dalla rabbia e fu facile per il Comandante intralciarlo, fermarlo e farlo cadere di nuovo. Klod si rialzò di scatto, senza dare la schiena al suo avversario. Doveva calmarsi, così l’avrebbe sconfitto. Gettò uno sguardo alla commissione e gli bastò per rendersi conto che non stava dando un bello spettacolo. Inspirò ed espirò profondamente rilassandosi e ritrovando la calma. Arnesh comprese il gesto e finalmente si mise in guardia. Ora sarebbe cominciato il combattimento vero.

Klod isolò l’arena, rumori, calore, emozioni, tutto sparì, c’era solo Arnesh. Si scambiarono fendenti rapidi e potenti, se fossero andati a segno avrebbero potuto uccidersi a vicenda ma nessuno dei due sembrava intimorito. Spesso si trovarono a pochi centimetri, il sudore che imperlava le loro fronti, gli sguardi concentrati e freddi. Arnesh eseguì alla perfezione tecniche e passi come fosse una danza letale ma Klod respinse ogni suo attacco e il primo sangue fu del Comandante. Per un attimo Arnesh rimase scoperto sul lato sinistro e Klod ne approfittò rapido come un serpente lasciando un taglio profondo sull’avambraccio dell’avversario.

Il giovane sorrise per la prima volta nonostante lo sguardo e il respiro rimanessero freddi e concentrati. Si allontanarono per riprendere fiato, girando in circolo e valutandosi, il sangue gocciolava lento sulle pietre polverose e bollenti della corte, ma non sembrava aver distratto Arnesh. Colpì di nuovo, veloce, fintò e si ritrovò addosso al giovane. Spinse con la spalla gettandolo a terra e gli puntò la spada al petto. Klod sollevò la schiena dolorante, stava per disimpegnarsi da quella situazione ma la voce roboante di Igor interruppe la prova.

- Basta così! - disse, Arnesh ritirò la spada rinfoderandola e protese una mano per farlo rialzare. Klod strinse i pugni e digrignò i denti ma accettò alla fine la mano tesa rialzandosi. Con la spada in mano si diresse ai bagni per lavare via la polvere e il sudore dalla pelle, la mente un turbinio di pensieri in cui si malediceva per la sua stupidità. Arnesh osservò le spalle del giovane che, nonostante tutto, si era difeso bene, ma sembrava non essere soddisfatto del risultato. Diverse volte lo aveva messo in difficoltà anche se non se ne era accorto, probabilmente. Era davvero un peccato che dovesse lasciare la Guarnigione.



Aveva provato a dormire, si era impegnata ma proprio non ce l’aveva fatta. Era nervosa, irritata e il cuore le batteva a mille. Così ebbe tutta la notte per pensare e ricordare. Quella mattina Klod avrebbe saputo l’esito della sua prova e lei avrebbe iniziato la sua. Pensò al fratello sorridendo e levò una preghiera silenziosa e accorata alla dèa chiedendole di sostenere quel suo fratello avventato e orgoglioso. Immancabile fu un pensiero anche per Kathe che stava sicuramente studiando come una matta ma Celia era sicura che non avrebbe avuto alcun problema nel superare la prova. Sua madre era impegnata coi preparativi per il suo matrimonio e il cuore le si strinse in una morsa di gelo. Rigirò l’anello intorno al dito nel buio della camera che condivideva con altri sei chierici. Continuava a ripetersi che Alexei era bello e ricco, che era stata fortunata e che poteva andarle molto peggio. Ma l’incontro con il drago Ash e ciò che era avvenuto nelle catacombe di Hilizia aveva cambiato ogni cosa. Aveva aperto il suo cuore alla dèa per ricevere la capacità di usare la magia divina al suo massimo livello e così entrambe avevano potuto vedere la verità. Amava Mark così profondamente che la dèa non aveva avuto alcuna difficoltà a concederle quel potere. Era rimasta scioccata da ciò che celava nel suo cuore, era sicura di aver superato quel sentimento di anni fa ma l’aveva solo seppellito. Scacciò l’immagine dell’uomo dai capelli corvini e ripassò mentalmente alcuni incantesimi ritrovando la calma. Aveva imparato a richiamare la magia divina così rapidamente che sapeva sarebbe stato un punto a suo favore durante la prova pratica. Sorrise nel buio poi si alzò avvicinandosi alla finestra. Stava albeggiando, decise di lavarsi via la stanchezza di dosso e di andare a mangiare qualcosa. Lasciò silenziosamente la stanza e si diresse ai bagni all’esterno con una tunica grigia appoggiata al braccio. Nonostante fosse notte l’aria era calda e inspirò profondamente godendo di quel momento. Raggiunse la porta e la aprì evitando di farla cigolare. All’interno era buio, accese alcune torce e riempì una tinozza con l’acqua del pozzo subito fuori.

Il Cavaliere osservò la giovane fare avanti e indietro col pozzo. Il sole non era ancora sorto e lei era lì a lavarsi. Doveva proprio essere nervosa. Aveva fatto un passo per raggiungerla ma poi aveva cambiato idea: suo padre l’avrebbe spellato vivo. Restò ad osservarla finché non chiuse la porta e si dedicò al bagno.

Quando Celia uscì il sole era sorto. Si diresse alle cucine già in fermento e mangiò con calma, tenendo la mente sgombra. Si obbligò a quello stato rilassato, controllando la respirazione, pregando silenziosamente, ripassando gli incantesimi. Tornò in camera, si erano alzati quasi tutti, ripose l’armatura di cuoio nel suo baule, per la prova gliene avrebbero data una diversa. Rhienne le acconciò i capelli in una treccia come di consueto in modo che non le dessero fastidio durante il combattimento. Rimasero in silenzio a lungo finché l’amica non sospirò.

- Dicono che Sir Thorin a volte combatta con i chierici personalmente -

- Se fossi lui avrei un solo motivo per scegliere me come avversaria: umiliarmi. Ma gli renderò la vita difficile, promesso - Celia si voltò strizzando l’occhio all’amica preoccupata. Aveva pensato anche lei a quell’opzione e ciò che aveva risposto a Rhienne era la pura verità: non avrebbe permesso al gigante di intimorirla né di sopraffarla. Il lich nelle catacombe era stato un avversario più temibile. Un corno risuonò.

- Ci siamo - proferì Celia espirando. Si alzò dirigendosi verso la sala comune dove si sarebbe tenuta la prima parte dell’esame. Rhienne la seguì in silenzio. Poco prima che Celia tornasse in camera aveva visto Sir Mark, ma lui le aveva fatto segno di mantenere il silenzio ed era sparito nel buio del corridoio. Così non aveva riferito niente all’amica per paura di deconcentrarla. Ci mancava altro che Celia adesso si mettesse a pensare a quell’insistente Cavaliere pochi minuti prima della prova!

La sala comune era gremita, un mormorio diffuso rimbombava sommessamente. Da quando i chierici erano ammessi alla prima parte della prova? Celia spalancò la bocca, non voleva che tutti assistessero! Sentì Rhienne che le stringeva un gomito e si appoggiò all’amica in cerca di sostegno.

- Resta concentrata, andrà tutto bene - sussurrò la giovane avvicinandosi al suo orecchio.

L’Alto Chierico Adam Nateshwar fece il suo ingresso dalla porta laterale seguito dagli altri quattro commissari. Sir Thorin era facilmente identificabile, un gigante a cui mancavano le corna per somigliare ad un minotauro. E a Celia non sfuggì che non era solo muscoloso e potente ma anche agile e la sua camminata fluida lo testimoniava. Come si vince contro un avversario del genere? Semplice, non si vince, si cerca di sopravvivere.

- Silenzio! - gridò un Messo vicino all’Alto Chierico e tutti smisero di parlare.

- Un caldo benvenuto a tutti - iniziò l’anziano chierico - Come avrete notato da quest’anno abbiamo deciso di far partecipare gli appartenenti all’Ordine anche alle prove orali. Sono prove importanti, che non coinvolgono solo lo studio ma anche i sentimenti e le attitudini caratteriali. L’Ordine ritiene che le prove possano essere un ottimo bagaglio da acquisire sia per chi le sostiene che per chi le guarda, esattamente come il combattimento. Quindi siete pregati di mantenere il più assoluto silenzio durante le interrogazioni - si sedette accanto a Sir Thorin che sbuffò incrociando le braccia enormi al petto. Celia osservò anche gli altri tre commissari. Erano seri e silenziosi, l’ultimo a sinistra, con lunghi baffi neri, sembrava impaziente di terminare quella giornata e andarsene.

Dei dodici candidati, Celia fu ascoltata per ultima. Ci avrebbe scommesso. Era tesa e nervosa nonostante le rassicurazioni di Rhienne. Aveva fame e si sarebbe messa ad urlare per la rabbia e la notte insonne non la stava aiutando. Le domande spaziavano sugli argomenti più disparati, qualcuno venne tenuto di più, altri meno, a qualcuno venne chiesto di eseguire degli incantesimi, ad altri di usare oggetti o pergamene. Ci furono domande tecniche sui metalli, sulla sopravvivenza, sui colpi critici, ad un candidato venne chiesto se avesse mai visto la Dèa Madre Sosistras.

Sir Mark era rimasto nella stanza da cui erano usciti suo padre e i commissari. Poteva osservare Celia, la tensione era visibile anche a quella distanza e sorrise pensando che avrebbe tranquillamente potuto esplodere uscendosene con qualche frase tagliente delle sue e perdendo ogni speranza di accedere ai combattimenti del pomeriggio.

- Celia Hianick - la chiamò l’Alto Chierico sorridendo. Celia si fece avanti espirando tutta l’aria sotto la lieve spinta di Rhienne. Rimase in piedi davanti ai commissari come aveva fatto ognuno degli altri candidati. Sir Thorin la fissava intensamente, poi si alzò, forse per intimorirla, rimanendo però sempre dietro il lungo tavolo di legno, ma la prima domanda venne dall’ultimo Cavaliere a sinistra. Era di carattere generale e chiedeva un dettaglio circa la magia divina. Celia rispose e si susseguirono altre domande poste alternativamente dagli altri due Cavalieri. Sir Thorin passeggiava e la osservava ma non partecipò all’interrogazione. Trascorse circa un’ora a rispondere a tutte le loro domande, sembrava che le risposte non li soddisfacessero mai. Aveva quasi sperato di essere giunta al termine, quando il Cavaliere coi baffi alzò la testa verso Sir Thorin. Ecco dunque il vero esame.

- Siete la figlia maggiore del Conte di questa Contea, vero? - chiese dopo un attimo di silenzio. Celia si chiese cosa questo avesse a che fare con la prova.

- Sì, Sir - rispose limpidamente rimanendo immobile in piedi. Sentiva un formicolio fastidioso per il troppo tempo passato in quella scomoda posizione.

- Lascerete l’Ordine una volta terminato questo esame - era una constatazione di fatto, non una domanda, ma Celia rispose lo stesso, aggrottando leggermente le sopracciglia.

- Sì, Sir -

- Perché, dunque, avete voluto seguire questa strada se sapevate che non avreste potuto proseguire? Siete qui a farci perdere tempo? - si fermò di fronte a lei, solo il tavolo si frapponeva in mezzo.

- E’ stato mio padre a decidere, mio dovere è obbedire prima a lui che all’Ordine - rispose in un sibilo, era la sua vita privata e tutti stavano ascoltando. Che voleva questo gigante scorbutico?

- Quindi non vi interessa niente dell’Ordine e degli obblighi nei suoi confronti? - domandò secco Sir Thorin. Celia lo fissò con occhi roventi e si prese qualche attimo prima di rispondere.

- Ho meditato a lungo se disobbedire a mio padre ma l’impegno in cui mi ha costretto porterà benessere a tutta la Contea, il mio volere non ha alcun significato. Nonostante ciò, proprio per i miei obblighi verso l’Ordine, ho posticipato l’impegno il più possibile per sostenere questo esame e poter ottenere il titolo di Chierico Cavaliere per cui ho studiato e lottato per tanti anni e per permettere all’Alto Chierico di usarmi come meglio voleva in questo periodo. In questi anni trascorsi qui ho dedicato ogni momento all’Ordine, trascurando qualsiasi altra questione - la frase ponderata le uscì fluida, il tono della voce deciso ma moderato. Sir Thorin rimase in silenzio qualche attimo.

- Ma nonostante sembriate a conoscenza dei doveri che avete nei confronti dell’Ordine non avete esitato nell’usare la magia divina in modo improprio - proseguì implacabile il Cavaliere. Celia assottigliò gli occhi a due fessure e per un attimo guardò anche l’Alto Chierico. Le stava chiedendo perché avesse resuscitato Mark? Anche il Cavaliere, sullo stipite della porta, attento a non farsi vedere, si irrigidì stringendo i pugni. Tutto questo non aveva niente a che vedere con l’esame.

- Sono già stata sottoposta ad un interrogatorio e assolta - si difese Celia cercando di mantenere un tono civile.

- Ma adesso siamo qui noi a giudicarvi, Messo. Come potete chiederci anche solo di esaminarvi se ve ne andrete domani e non rispettate le regole dell’Ordine! Ci state solo facendo perdere tempo! - ripeté Sir Thorin con voce baritonale e profonda, la rabbia celata a stento.

Celia si impose qualche secondo di riflessione per evitare la prime dieci risposte pungenti che le erano balzate alla mente e che le avrebbero precluso definitivamente l’esame del pomeriggio e il raggiungimento dei suoi scopi.

- Probabilmente Sir, per voi è una perdita di tempo ma per me è il traguardo di un impegno che avevo preso e protratto nel tempo con determinazione e costanza e che se potessi proseguirei - rispose lentamente cercando di trattenere la rabbia che inevitabilmente affiorò e il dolore per tutto ciò che avrebbe perduto. Sir Thorin la fissava con sguardo truce, le fronte aggrottata non prometteva niente di buono.

- E’ risaputo che i figli dei nobili tornino all’ovile e sono anni che mi batto perché vi venga negato il permesso di entrare nell'Ordine! - sibilò - Presuntuosi, sfrontati, arroganti, restate qui qualche anno, vi credete superiori perfino agli dèi! - tuonò dall’alto della sua imponente stazza, gli occhi ardenti che non lasciavano adito a dubbi su come la pensava. Celia lo osservò per qualche istante, era così furiosa che gli avrebbe urlato contro. Cercò riparo con lo sguardo spostandolo sull’Alto Chierico con la speranza di guadagnare un minimo di autocontrollo. L’anziano uomo sostenne il suo sguardo e lei ci rivide inevitabilmente la determinazione del figlio. Inspirò e decise cosa rispondere.

- Ho levato una preghiera in un momento di estrema difficoltà e questa è stata accolta. Potete condannarmi ma io lo rifarei anche senza il consenso dell’Ordine - sapeva che con quell’affermazione si sarebbe giocata per sempre la possibilità di accedere alla seconda fase della prova ma non avrebbe mai ritratto la sua versione dei fatti né avrebbe ammesso un pentimento che non provava per aver infranto una regola. Senza contare che era proprio ciò che aveva fatto anche per Elianna.

Sir Thorin l’avrebbe fulminata con lo sguardo se avesse potuto.

- Vi rendete conto che utilizzare quell’incantesimo senza regole è pericoloso? Siete forse pazza? Cosa accadrebbe se l’Ordine non perseguisse chi abusa della resurrezione? -

Non sono pazza, sono innamorata! Avrebbe voluto rispondere, ma ebbe la prontezza di frenare la sua sua lingua.

- Se posso permettermi Sir, l’uso di tutta la magia divina ha un filtro naturale, indipendente dalla volontà del chierico, ed è l’intervento divino. Non vi siete mai accorto cosa accade quando usate la magia? Loro ci scrutano nell’anima, impossibile nascondergli un secondo fine. Se volessero potrebbero negarci la capacità di usare la magia… - ormai il danno era fatto e non voleva in alcun modo cedere di fronte a quel Cavaliere che, era chiaro, non vedesse di buon occhio le donne nell'Ordine. E lei era non solo donna ma nobile e aveva infranto le regole, un trio di negatività che Sir Thorin proprio non poteva accettare.

Il Cavaliere stava bollendo come una pentola. Mark aveva osservato tutta la scena, quell’inutile attacco che non aveva niente a che vedere con quella prova. Gli fu impossibile reprimere un sorriso di fronte alle risposte pacate ma infuocate che aveva dato Celia.

- Questo pomeriggio sarò io il vostro avversario - proferì infine Sir Thorin dopo aver riacquisito il controllo della sua rabbia. Si voltò e uscì a grandi falcate dalla porta principale della sala. I chierici si aprirono come due ali per lasciarlo passare. Celia abbassò finalmente lo sguardo, svuotata, avvertendo tutta la tensione di quegli attimi. Né l’Alto Chierico né gli altri tre commissari erano intervenuti.

- La sessione mattutina è terminata, potete andare. Nel pomeriggio si svolgeranno le prove di abilità - esordì Adam Nateshwar alzandosi lentamente. I tre commissari lo imitarono seguendolo nella stanza da cui erano entrati e dalla quale Mark aveva visto ogni cosa. Quando Sir Thorin era uscito, Mark aveva visto Celia abbassare la testa rassegnata e la rabbia l’aveva pervaso fin nel profondo. Aveva sacrificato ogni cosa per diventare Chierico Cavaliere e ora le precludevano la possibilità di ottenere quel titolo impuntandosi su cavilli inutili. Non contavano le missioni a cui aveva partecipato con coraggio e l'impegno che aveva profuso?

Mark aveva lasciato la stanza facendo ritorno allo studio di suo padre appena Sir Thorin era uscito dalla sala comune. Teneva i denti serrati e i pugni stretti ma era consapevole che se non voleva peggiorare la situazione avrebbe dovuto mantenere la calma. Suo padre aveva ragione: avrebbe dovuto restare ad Albany, aver ceduto a ciò che provava era stato un errore.



Celia probabilmente stava affrontando la prova in quell'istante. Klod si mise a sedere sul letto poggiando a terra i piedi nudi e rabbrividendo. La camerata era vuota e lui aveva un mal di testa che gli perforava il cervello. Il caldo era intenso e avrebbe voluto immergersi in una tinozza ma non riusciva a fare un altro movimento. Finiti i combattimenti del giorno prima inevitabilmente la stanchezza aveva preso il sopravvento sull'eccitamento che l'aveva pervaso nella prova contro Arnesh. Era furioso e insoddisfatto e si era chiuso in un silenzio cupo. Ma  Shazer era andato da lui e lo aveva trascinato insieme ad altri quattro in almeno dieci taverne di Torap. Era sicuro che sarebbe andato tutto bene, che vederlo combattere contro Arnesh era stato un vero spettacolo e che i commissari non potevano non aver notato la sua abilità contro un Comandante addestrato ed esperto.

Alla quinta taverna non ricordava più chi fosse e il mondo aveva un aspetto alquanto lattiginoso e stranamente mobile: le cose non sembravano mai essere nel punto in cui lui credeva fossero. Nonostante l'atroce mal di testa che l'affliggeva chiuse gli occhi al ricordo di Arielle. Ovviamente gli dèi non potevano concedergli almeno una volta la loro grazia e permettergli un attimo di debolezza senza che lei lo dovesse cogliere in flagrante. Aveva proprio questa spiacevole capacità innata di beccarlo in situazioni quanto meno compromettenti e questa volta per rimediare avrebbe dovuto fare qualcosa di davvero speciale, era sicuro che belle parole e baci ardenti non l'avrebbero mossa a compassione. Si strinse la testa fra le mani.

Shazer gli aveva portato l'ennesimo boccale di birra, avevano tutti e sei già oltrepassato il limite da tempo ma in qualche modo doveva scaricare la tensione. Stavano cantando una qualche canzone di cui non ricordava le parole quando tre ragazze si avvicinarono.

- Buonasera a voi messeri - disse la bionda dai grandi occhi azzurri - Siete soldati della Guarnigione, vero? - aggiunse suadente squadrandoli da capo a piedi, la divisa rossa e blu indicava la loro appartenenza.

- Sicuro, dolcezza - annuì Shazer imitato dagli altri cinque che fissavano le tre con sguardi roventi.

- Cosa festeggiate? - chiese la ragazza dai lunghi capelli neri sulla sinistra avvicinandosi a Shazer ancheggiando. Il giovane posò il boccale sul tavolo e piegò la testa verso di lei.

- Il nostro amico qui sta per avere la sua promozione - spiegò brevemente con voce tentennante mostrando un largo sorriso e indicando Klod.

- Possiamo unirci? - offrì la terza puntando lo sguardo sensuale su Daren che la stava spogliando con gli occhi. Indossava una gonna morbida e lunga e un corpetto che non vedeva l'ora di aprire.

- Ma certo! - annuì contento Shazer sebbene qualcosa in fondo alla mente gli stesse urlando che quelle non erano semplici ragazze…

La ragazza bionda spostò la sedia su cui Klod aveva poggiato i piedi, si avvicinò e gli salì  a cavalcioni avvolgendogli le braccia intorno al collo. Profumava di biancheria e Klod si perse in quello sguardo limpido che prometteva gioie incontenibili. Le afferrò le natiche, che si rivelarono sode e perfette, tirandola verso di sé.

- Avverto con piacere una certa... tensione - gli sussurrò nell'orecchio facendolo rabbrividire.

- Non resterai delusa, prometto - sussurrò a sua volta con voce roca e instabile. La giovane sorrise e gli baciò il collo. In quell'istante la vide.

Arielle era davanti a lui a braccia conserte e lo guardava con occhi di ghiaccio e le labbra tirate. Spostò lo sguardo sulle sue mani che tenevano strette le natiche della bionda, si girò e se ne andò in un frusciare di sete.

Non aveva neanche avuto la forza di alzarsi e seguirla tanto era stordito. Aveva appoggiato la testa al muro alle sue spalle chiudendo gli occhi e abbandonandosi alle carezze della bionda sconosciuta.

La porta della camerata si spalancò interrompendo i suoi ricordi e una fitta dolorosa gli trapassò la testa.

- Stanno affiggendo i risultati, Klod! - Shazer che lo raggiunse agitato scuotendolo per le spalle ma lui non era sicuro di voler sapere come era andata a finire.

- Oh... - borbottò senza troppa convinzione. Si alzò barcollando, la divisa rossa e blu sgualcita. Non si era neanche spogliato, in realtà dopo Arielle non ricordava granché di quello che era successo.

- Dai datti un contengo e andiamo a vedere! -  Shazer lo trascinava per un braccio, anche se lui l'esame non l'aveva affrontato.

- Piano, piano - sussurrò lui stringendo gli occhi alla luce del sole. Un conato di vomito gli salì dallo stomaco.

La corte era gremita di guerrieri, tutti accalcati davanti alla bacheca fuori dall'ufficio di Arnesh. Klod e  Shazer si avvicinarono e l'amico iniziò a spingere per fare spazio finché non raggiunsero le pergamene affisse. In quei pochi metri il suo cuore accelerò fino allo spasmo, il sole picchiava sulla testa aumentando le fitte dolorose e la nausea.

Scorse l'elenco fino a trovare il suo nome. Era Capitano. Un ampio sorriso si allargò sul suo volto.



Non era riuscita a mangiare niente, arrovellandosi nel cercare una soluzione per affrontare Sir Thorin e dimostrargli che era degna del loro giudizio, che aveva studiato, si era impegnata e che se suo padre non l'avesse costretta a sposare Alexei sarebbe stata un ottimo Chierico Cavaliere. Ma non aveva trovato nessuna soluzione. Il Cavaliere era troppo potente ed esperto, non aveva alcuna possibilità. Avrebbe potuto battersi in difesa, c'erano incantesimi che avrebbero potuto aiutarla, ma non sarebbe stato un bello spettacolo. Poteva contare sulla sua agilità e su qualche trucco che le aveva insegnato Mark durante il viaggio per Agrabaar. Il pensiero dell'uomo che amava placò istantaneamente paure e ansie. Sorrise nel silenzio della camera indugiando sui ricordi, i suoi capelli, i suoi occhi, la sua bocca dolce e generosa, il torace ampio e muscoloso, le braccia forti in cui si sarebbe abbandonata volentieri anche in quel momento. Lui probabilmente era ad Albany ed era meglio così. Rigirò l'anello di Alexei fissando quella fascetta semplice che l'aveva incatenata per sempre ad una vita che non voleva.

Rhienne entrò silenziosamente e si sedette accanto a lei.

- Iniziano - disse semplicemente passandole un braccio intorno alle spalle.

- Sì - rispose seguendola nel corridoio e svuotando la mente da ogni pensiero superfluo.

La corte centrale del Monastero era gremita. Mark poteva vedere tutto dalla finestra dello studio di suo padre. Adam era con gli altri quattro commissari e non si era fatto vivo. Era stata sistemata una lunga panca per farli sedere e osservare i combattimenti. C'erano alcuni Cavalieri già pronti per affrontare i candidati, nelle loro armature nere lucenti e perfette.

Arrivarono i commissari e i candidati, i primi si sedettero e i secondi si posizionarono di fronte in fila, uno a fianco all'altro. Sir Thorin indossava la sua armatura e se possibile sembrava ancora più gigantesco. Si alzò ed espresse immediatamente la sua decisione: avrebbe affrontato Celia nel primo combattimento. Gli altri si ritirarono vicino alla panca dei commissari e Sir Thorin si posizionò davanti a lei estraendo la spada con un movimento fluido. Celia lo imitò ma non si fermò a quello. Recitò una sequenza di incantesimi rapidamente, perfino il Cavaliere alzò un sopracciglio meravigliato. Mark si avvicinò al vetro stupefatto: era stata molto rapida. Due erano sicuramente di protezione e uno aveva infiammato la lama della sua spada.

- Sei veloce ragazzina, ma questo non ti servirà a niente! - tuonò Sir Thorin. Celia rimase concentrata e iniziò a girare in tondo. Si scontrarono rapidamente con affondi e parate, per saggiarsi. Celia teneva gli occhi sull'avversario, dimentica di ogni altra cosa. Non avrebbe vinto quell'incontro ma gli avrebbe dato filo da torcere.

Cadde di spalle ma rotolò evitando un affondo che l'avrebbe uccisa. Mark appoggiò le mani al vetro: Sir Thorin non stava affrontando il combattimento di una prova, non avrebbe esitato ad ucciderla se la lama fosse arrivata a segno. Il Cavaliere rientrò con una torsione rapida del polso e la punta della spada aprì un taglio profondo nella spalla di Celia. La giovane si rialzò spinta anche dal dolore e si premette una mano guantata, il sangue che scendeva copioso. Alzò lo sguardo verso il Cavaliere, pronunciò qualche parola che Mark non poté udire e la ferita si rimarginò all'istante.

Scattò rapida sulla destra ma Thorin non si fece ingannare, si girò di scatto affrontandola, i piedi ben piantati a terra, la spada in avanti. All'ultimo Celia si accucciò scivolando, raggiunse con una mano la gamba del gigante ed evocò un altro incantesimo che pervase il Cavaliere infliggendogli pesanti ferite. Thorin urlò di dolore ma riuscì ad appoggiare la mano aperta sulla schiena della chierica pronunciando a sua volta un incantesimo. Celia rotolò lontano con un grido acuto e la smorfia che le deformava la bocca indicò il dolore intenso che doveva provare. Mark vide suo padre agitarsi sulla panca e parlare sommessamente con il Cavaliere coi baffi. L'avrebbe uccisa, Celia non aveva possibilità di sopravvivere. Ma il suo sguardo diceva che non si sarebbe mai arresa. Digrignò i denti e trattenne il fiato osservando l'attacco di Celia.

Sir Thorin parò facilmente, allungò un braccio possente e spinse a terra la giovane. Con un movimento rapido la bloccò a terra, sollevando la spada. Per un lungo istante si fissarono, ansimando, poi Adam Nateshwar si alzò e mise fine al combattimento.

- Può bastare così, Sir Thorin, abbiamo potuto saggiare le capacità della candidata - Mark tirò un sospiro di sollievo e rilasciò i muscoli in tensione.

Sir Thorin attese ancora qualche istante, Celia avvertiva tutto il suo peso sullo stomaco e non riusciva a respirare bene. Poi il gigante si rialzò rinfoderando la spada, lasciò il centro e raggiunse i commissari con noncuranza, come se fosse tornato da una passeggiata.

Celia si rialzò, fece un lieve inchino e sentì Rhienne passarle un braccio sotto la spalla. Lentamente la condusse all'interno del Monastero verso i Guaritori. L'incantesimo che gli aveva fatto Sir Thorin era identico a quello che gli aveva fatto lei solo molto più potente, camminava a stento ma non avrebbe ceduto proprio ora che usciva di scena. Strinse i denti e rifiutò l'aiuto dell'amica che cercava di sostenerla.

Appena fu nel buio del Monastero si appoggiò al muro freddo. Rhienne le fu immediatamente accanto.

- Celia perché non hai chiesto aiuto all'Alto Chierico? Perché non hai interrotto il combattimento! Ti avrebbe ucciso! - ringhiò Rhienne sorreggendola.

- Neanche morta - sussurrò con voce flebile alzando lo sguardo che brillava.

- Tu sei pazza - commentò l'amica sorridendo. Celia si appoggiò alla sua spalla, dolori lancinanti la pervadevano dovunque, doveva curarsi ma non riusciva a mantenere la concentrazione.

- Mi devi aiutare Rhienne, non riesco neanche a parlare, usare la magia ora è fuori discussione - respirava male e balbettava.

- Vieni, c'è la sala d'armi lì, entriamo - Rhienne la trascinò lentamente nella sala passando dalla doppia porta sul corridoio - Siediti qui e aspettami. Non ho preparato incantesimi per oggi, non pensavo certo di averne bisogno, ma vado a chiamare qualcuno che ti aiuterà - il suo sguardo era strano ma uscì così rapidamente che Celia non ebbe modo di ribattere.

Si appoggiò al muro ripensando all'incantesimo di Thorin che l'aveva praticamente quasi uccisa. L'aveva pronunciato rapidamente subito dopo il suo ed era riuscito a mantenere la concentrazione. Davvero notevole. Chiuse gli occhi sospirando cercando di rallentare il cuore e il respiro.

- Ti spingi sempre troppo oltre, Celia - un breve movimento e la voce profonda la raggiunsero. Aprì gli occhi e si trovò a fissare quelli di Mark che con la fronte aggrottata si era inginocchiato e aveva proteso avanti le mani.

- Che ci fai qui? - gli domandò gracchiando con gli occhi che improvvisamente si indurirono. Se l'avessero vista con lui ogni sforzo sarebbe stato vano.

Mark la ignorò, appoggiò le mani sui suoi ginocchi e levò un incantesimo. Celia guardò Rhienne mantenendo lo stesso sguardo irritato mentre la magia divina passava da lui a lei, la inondava e cancellava ogni dolore, curando tutte le ferite inferte dall'incantesimo di Thorin. L'amica abbassò lo sguardo colpevole ma rimase immobile. Quando l'incantesimo terminò suo malgrado tirò un sospiro di sollievo.

- Tua sorella mi ha mandato una lettera e sono venuto ad assistere alla tua prova - rispose Mark rialzandosi. Indossava l'armatura nera dei Chierici Cavalieri e se possibile era più bello dell'ultima volta che l'aveva visto.

- Ma non temere, come vedi sono rimasto in disparte, nessuno sa che sono qui - le sorrise piegando dolcemente le labbra.

- Non proprio nessuno - ribatté Celia spostando lo sguardo su Rhienne.

- Oh, ma io non ho detto niente! - si affrettò a ribadire l'amica. Celia sorrise debolmente e si alzò.

- Grazie - disse Celia sollevando lo sguardo su Mark - Anche per essere qui - aggiunse in un sussurro. Il Cavaliere la guardò arrossire lievemente, non credeva a ciò che aveva sentito. Rhienne avvertì distintamente la tensione fra i due e trattenne il fiato.

Mark fece un passo avanti sollevando le braccia ma Celia si affrettò ad abbassare lo sguardo facendo un movimento indietro. L'uomo la guardò aggrottando la fronte e stringendo i pugni.

- Andrà tutto ben, non devi preoccuparti - borbottò uscendo dalla sala d'armi. Rhienne vide l'espressione del suo volto e comprese ogni cosa che era avvenuta. E anche lui.

Celia strinse gli occhi ma inevitabilmente le lacrime liberatorie scesero calde sulle guance. Avrebbe voluto abbandonarsi fra le sue braccia ma se l'avesse fatto sarebbe stata perduta per sempre. Rhienne la strinse dolcemente fra le sue braccia senza dire niente e lei gliene fu immensamente grata.



Non aveva ancora saputo se Klod avesse passato la prova né a che punto fosse Celia. Si avvicinò alla finestra e vide il tramonto incandescente a ovest. Sospirò e tornò alla scrivania. Gli incantesimi di morte erano davvero una spina nel fianco. Complessi, pericolosi e sinceramente non sapeva neanche se li avrebbe mai usati, ma doveva comunque studiarli. Quattro giorni e avrebbe affrontato la sua prova. Sbuffò in silenzio e riprese a studiare.

- Buonasera, Contessa - la voce bassa e profonda la fece trasalire. Si voltò di scatto e Erik era lì, sul bordo della finestra, come se fosse comodamente seduto su una poltrona.

L'aveva osservata diversi minuti, il sole che baciava i lunghi capelli biondi, soffici come seta. Sapeva che era stata dall'elfo, sapeva che forse l'aveva perduta e non aveva più avuto il coraggio di incontrarla. Poi la lontananza si era fatta lacerante e non aveva più resistito.

- Erik! - gridò lei con sguardo di fuoco - Non sono Contessa - farfugliò poi incapace di far smettere il cuore di battere all'impazzata.

- Sono qui per tuo fratello - proferì Erik scendendo agilmente nella stanza e avvicinandosi alla scrivania.

- Mio fratello? - indagò lei seguendo il suo profilo. Erik sfogliò qualche pagina, erano tutte rune e non ci capiva assolutamente niente. Chiuse il grande libro e la guardò sorridendo.

- E' un Capitano, adesso - si accomodò sulla sedia senza chiedere il permesso.

- Che meraviglia! Lo sapevo! - esplose Kathe picchiando un pugno sulla mano.

- Ma credo che avrà qualche problema con la sua dama - sospirò teatralmente.

- Che intendi? - gli chiese Kathe avvicinandosi.

- Ieri sera sono usciti a festeggiare, forse per allentare la tensione, hanno incontrato tre ragazze e immancabilmente l'umore pungente di cui tutti gli dèi beneficiano ha fatto in modo che entrasse Arielle - sospirò nuovamente con finto rammarico.

- Per la dèa - sussurrò Kathe sedendosi sul letto. Non riusciva a calmare il battito del cuore, sapeva che era l'occasione giusta per parlargli di suo padre ma non si era preparata!

- Come stai? - domandò Erik dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante.

- Sto bene - annuì lei abbassando lo sguardo. Lui non aggiunse altro e il silenzio teso riempì nuovamente la stanza.

- Ti lascio ai tuoi studi - esordì alzandosi e tornando alla finestra.

- No! Aspetta, Erik - lo fermò lei alzandosi di scatto. Lui si voltò e capì che qualcosa non andava.

- C'è qualcosa di cui vorrei parlarti - aggiunse la giovane maga, le mani che tremavano. Erik la fissò intensamente e avvertì una scossa gelida lungo la schiena. Ecco il momento che aveva voluto evitare, quando gli avrebbe detto che aveva scelto l'elfo.

- Parla, dunque - la spronò lui con un sorriso di sbieco mascherando le sue emozioni. Kathe inspirò e radunò tutto il suo coraggio.

- So chi sei - e il ricordo che le aveva mentito le fece ritrovare un po' di sicurezza - Chi sei veramente, intendo - aggiunse visto il suo sguardo interrogativo.

- Oh... - disse lui mettendosi le mani sui fianchi e sorridendo. La raggiunse lentamente e si fermò davanti a lei. Quella piccola intrigante era riuscita a scoprire ogni cosa.

- Perché non mi hai detto la verità? - cercò di mantenere la voce salda ma la rabbia sibilò tra i denti.

- Perché quella vita non mi riguarda più - rispose rabbuiandosi. Allungò una mano a carezzarle la guancia. Kathe socchiuse gli occhi al tocco rovente, le labbra le tremarono e Erik non poté proprio resistere. Passò la mano dietro il collo e l'attirò a sé baciandola dolcemente.

Kathe spalancò gli occhi ma ricambiò il bacio che divenne intenso e travolgente. Lo cinse con le braccia e sentì le sue mani decise sulla schiena che le trasmettevano scariche di calore. Ma non doveva perdere di vista l'obiettivo. Se avesse continuato così la situazione sarebbe degenerata. Non che non le avrebbe fatto piacere…

- Non torneresti da tuo padre? - gli sussurrò sulle labbra roventi per il bacio. I suoi meravigliosi occhi azzurri brillavano nel buio della camera.

- No - rispose lui catturando di nuovo le sue labbra morbide. Era perfetta e minuta, profumava di vaniglia e la sua bocca era calda e avvolgente. Kathe cedette al bacio e sentì le gambe tremare per l'intensità di ciò che provava.

- Neanche per me? - sussurrò con un filo di voce staccandosi di malavoglia. Erik si allontanò per guardarla negli occhi con sguardo meravigliato.

- Per te? - chiese stringendo l'abbraccio. Lei annuì, i meravigliosi capelli ondeggiarono lievemente.

- Se riuscissi a farti perdonare da tuo padre, mio padre acconsentirebbe a... - Erik la interruppe mettendole un dito sulle labbra.

- Quindi mi stai dicendo che tu... e io... - iniziò lentamente, non riusciva a credere a quello che stava sentendo. Kathe annuì sorridendogli dolcemente. Si sporse verso di lui e lo baciò di nuovo e per cercare di convincerlo si avvicinò ancora di più. Sentì un verso arrochito profondo e seppe di aver fatto centro.

- Va bene - sussurrò facendola tremare di gioia.



Celia raggiunse rapidamente l'entrata del Monastero con il cuore che le batteva di felicità. Attraversò il corridoio e sbucò nell'atrio correndo fra le braccia del fratello.

- Sono così felice, Klod! - gli disse stringendolo quasi singhiozzando, un misto di gioia e lacrime.

- Anche io lo sono, finalmente posso tornare al castello e seguire le orme di nostro padre senza peccare di difetto - era emozionato anche lui e appena aveva potuto era andato al Monastero.

- Vieni, entriamo - lo prese per mano e lo trascinò fin nella corte interna. C'erano chierici dovunque, impegnati nelle loro mansioni. Lei era dispensata, in attesa quella sera dell'esito dell'esame. Il sole stava tramontando e la tensione della prova e dell'incontro con Mark si era attenuata.

- Raccontami ogni cosa! - lo esortò la sorella con sguardo luminoso. Si sedettero sull'erba appoggiandosi al muro esterno della sala d'armi. Così Klod le narrò brevemente ciò che era accaduto e Celia fece lo stesso, includendo la visita di Mark e il fatto che lui fosse ancora lì da qualche parte.

- Fino all'ultimo non credevo che ce l'avrei fatta - confessò abbassando lo sguardo e appoggiando le braccia sui ginocchi.

- Ti ho visto combattere, non c'è storia, fratello. Se ti avessero negato la carica, nessun altro l'avrebbe avuta - e scoppiò in una risata profonda e cristallina. Klod la guardò contento e si rese conto che la tensione l'aveva abbandonata del tutto nonostante ci fosse due aloni scuri sotto i suoi occhi.

- Adesso lo scoglio più grande sarà Arielle - sospirò alzando gli occhi al cielo.

- Ce la farai come sempre - gli sorrise dolcemente. Un'ombra si proiettò davanti a loro, alzarono lo sguardo e videro Rhienne.

Klod si alzò con un movimento fluido e le prese la mano sfiorandola con un bacio. Celia lo guardò con occhi accusatori e comprese come mai era sempre ne guai con Arielle…

- Milady, siete radiosa - esordì con sguardo penetrante. Rhienne arrossì e ritirò la mano lentamente.

- Klod Hianick, è un vero piacere rivedervi - lo salutò con garbo ma senza esporsi.

- Celia, vi hanno convocato nella sala comune - aggiunse poi rivolgendosi all'amica. Il sorriso sparì dalle labbra di Celia che si fecero tirate improvvisamente. Si alzò dirigendosi alla sala comune seguita da Rhienne e Klod.

Anche se la sera era vicina, il caldo era ancora intenso e la frescura della sala fu un sollievo. Lentamente si riempì come quella mattina. Brusii e sussurri facevano da sottofondo. Celia raggiunse gli altri candidati e Klod e Rhienne rimasero in mezzo agli altri.

Attesero solo qualche minuto e i cinque commissari entrarono sedendosi dietro lo stesso tavolo del mattino. Era sicura che come per gli anni precedenti sarebbe stato l'Alto Chierico Adam a dare i risultati ai candidati. Serviva l'unanimità, non ci potevano essere voti di scarto.

- E' stata una giornata intensa per tutti ma siamo qui a dare la degna chiusura - esordì Adam - Quindi senza indugi procediamo agli esiti - chiamò il primo candidato, espresse il giudizio positivo e ci furono i primi brusii di assenso. La lista proseguì, ogni candidato aveva passato la prova e ora era un Chierico Cavaliere. Poi fu il suo momento. L'Alto Chierico la guardò intensamente e suo figlio, dietro la porta della stanza adiacente, fece lo stesso. Celia ricambiò lo sguardo ma lo spostò anche su Sir Thorin, la sua espressione era indecifrabile.

- Celia Hianick, vi dichiariamo idonea a ricoprire il ruolo di Chierico Cavaliere. Da ora e finché l'Ordine avrà vita ad esso sarete vincolata, alle sue leggi, alle sue regole e agli dèi che lo benedicono - espresse il giudizio con un lieve sorriso osservando con gioia lo sguardo limpido della giovane che si riempiva di orgoglio e felicità ad ogni parola.

Klod e Rhienne si abbracciarono ridacchiando e Mark sorrise lanciando un ultimo sguardo alla donna che amava. Volse le spalle alla porta e si diresse alle stalle e al suo cavallo che l'avrebbe riportato ad Albany.



Klod e Celia erano andati alla Scuola di Magia per incontrarla e avevano trascorso un pomeriggio insieme distraendola e raccontandole ogni cosa. Si era rilassata e finalmente aveva potuto confidargli di aver scoperto chi fosse Erik. Non l'aveva più visto da quella sera e non sapeva se aveva parlato con il padre.

- Sono felice per la decisone di nostro padre - le sorrise la sorella. Almeno lei avrebbe potuto scegliersi l'uomo che voleva.

- Il castello è in fermento - aggiunse Klod - Nostra madre sta impazzendo - ridacchiò ma quando Celia abbassò lo sguardo cambiò discorso.

- Sei pronta per l'esame? - chiese a Kathe che sembrava dimagrita e stanca.

- Sì, lo sono. A differenza dei vostri esami, il mio ha esito immediato. Se riesci ad uscire dalla simulazione sei un Mago, altrimenti no - fece spallucce e sorrise mestamente.

La discussione prese decisamente una piega più frivola e quando il sole tramontò i due fratelli la salutarono promettendosi di incontrarsi fra due giorni dopo la sua prova.

E finalmente il giorno era arrivato. Raggiunse l'ufficio della professoressa Yvette, aveva già indossato la sua veste bianca, non avrebbe potuto indossare né amuleti, né anelli né alcun oggetto magico. La professoressa le carezzò dolcemente una guancia poi la precedette verso la Stanza delle Illusioni senza proferire parola.

Nella stanza erano presenti tutti i professori del suo corso e altri allievi pronti per affrontare la prova, tutti con la tunica bianca, lunga fino ai piedi. Dalla parte opposta a quella da cui era entrata c'era un'altra porta a doppio battente. Si sentiva la bocca riarsa, così cercò di rallentare il battito furioso del cuore con ampi respiri. Chiamandoli per nome, ogni allievi varcò la porta richiudendola.

- Katherin Hianick - la voce della professoressa scandì il suo nome con voce ferma. Si incamminò verso la porta, girò il pomello ed entrò. La porta si chiuse istantaneamente alle sue spalle. Era completamente buio e poteva sentire il suo respiro nelle tenebre. La quantità di incantesimi a sua disposizione era limitata. Aveva scelto quali studiare e ora avrebbe dovuto superare la prova con quelli. Pensò di fare luce ma cambiò idea e si affidò ai suo sensi. Non sembrava ci fossero ostacoli e non avvertiva altre presenze ostili. Camminò lentamente avanti finché le sue mani protese incontrarono un'altra porta. Girò il pomello ma era chiusa a chiave. Evocò l'incantesimo che le avrebbe permesso di scassinare la porta e questa cedette girando la maniglia. Sorrise nel buio e la oltrepassò. Avvertì delle voci e vide un chiarore poco più avanti nel corridoio. Si sporse cautamente dall'angolo e contò tre uomini poco raccomandabili seduti ad un tavolo rotondo che bloccavano il passaggio alla stanza seguente. Le loro spade erano appoggiate al bordo del tavolo e stavano giocando a dadi. Ricordò una situazione simile nelle prigioni della caverna della Fratellanza Rossa ad Agrabaar così decise di addormentarli. Sussurrò l'incantesimo e gli uomini appoggiarono le teste sul tavolo. Stava per oltrepassarli quando decise di guardare se poteva esserci qualcosa di utile. Prese un pugnale, una candela e acciarino, una corta corda e li mise in un piccolo zaino appoggiato alla parete.

La stanza seguente portava ad un corridoio buio. Invece di usare la magia decise di accendere la candela. Il corridoio sbucava in una stanza. La percorse con la candela ma l'unica cosa degna di nota era una porta. Sulla porta, inciso nel legno, c'era un indovinello e subito sotto tre pulsanti quadrati che raffiguravano tre elementi. Lesse rapidamente le rune e sorrise premendo con sicurezza il pulsante del fuoco. La porta si spalancò verso l'esterno rivelando un corridoio illuminato. Spense la candela e proseguì. Si susseguirono altri corridoi e stanze che cercò di oltrepassare cercando di usare la magia meno possibile. Poi giunse alla stanza della sfera. Non c'erano porte né altre uscite ma solo una sedia e un tavolo tondo con una sfera di vetro appoggiata sul velluto rosso. Accese la candela e la appoggiò sul velluto sedendosi.

Non c'era altro da fare che poggiare le mani sulla sfera. Era fredda al tatto, liscia e un fumo denso vorticava al suo interno. Scrutò intensamente al suo interno e in un attimo venne catturata da quel sogno di follia e morte. A differenza delle precedenti scelte, tutte quelle che dovette fare e gli incantesimi che adoperò erano vincolati ai suoi sentimenti, alla sua resistenza mentale e fisica. Le situazioni si susseguivano senza darle tregua né tempo di riprendersi. Fu costretta ad uccidere per difendersi, a fuggire, a tradire, a mentire evocando la magia alla stregua di una disperazione feroce. Fallì però l'ultima prova. Era sfinita, deconcentrata e non aveva più incantesimi a disposizione. Il quesito era molto semplice: Erik e Celia si trovavano in pericolo di vita e avrebbe potuto salvare solo uno di loro. La simulazione era così reale che il cuore sembrava scoppiarle nel petto per l'angoscia e il dolore. Pianse intensamente, forse se avesse avuto ancora qualche incantesimo avrebbe potuto provare a salvarli entrambi ma scegliere no. Proprio no.

Morirono fra atroci tormenti senza che lei potesse fare assolutamente niente.

Cadde in ginocchio portandosi le mani al volto incapace di proseguire oltre. La simulazione svanì e una luce invase la stanza della sfera. Solo allora Kathe si riprese, ricordandosi il motivo per il quale era lì. Era stato tutto così reale che aveva quasi perduto il suo equilibrio mentale. Di fronte a lei si aprì una porta. Si alzò stancamente asciugandosi le lacrime e varcò la soglia.

La professoressa Yvette le venne incontro con un sorriso e la prese per le spalle. Kathe pianse di nuovo scaricando tutta la tensione.

- Complimenti Katherin, hai passato la prova - la strinse per rassicurarla.

- Ma non capisco, ho fallito l'ultima prova, ora lo so... - rispose in un sussurro tirato. L'insegnante con sguardo dolce posò gli occhi sulla veste e quando Kathe seguì il suo sguardo notò che era diventata completamente nera con ricami argento e blu. La veste dei Maghi.

Abbracciò la professoressa che ricambiò stringendola con affetto.


   
 
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