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Autore: Bibubo    15/12/2014    0 recensioni
Ma se tutto questo non avesse una fine? Se fosse terminato solo quando Elisa avrebbe imparato a prendere la sua vita in mano e fare delle scelte? A vivere a pieno ogni giorno e a non farlo trascorrere sperando che in quello successivo sarebbe cambiato qualcosa? Non sapeva cosa fare, si sentiva persa, oppressa da così tante cose.. in sostanza desiderava un letargo, un anestetico, la certezza di esser ben nascosta, aspettando che le cose migliorassero. Non chiedeva la pace nel mondo, chiedeva la sua.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiuse gli occhi e provò a calmarsi.
Fece un respiro, cercò di concentrarsi sui suoni che arrivavano alle sue orecchie, a riconoscerli e dividerli, dal più intenso al più flebile.
Fece un altro respiro e riaprì gli occhi.
Si sentiva già meglio.
Quel posto era magico, aveva il potere di calmarla, le piaceva per questo. Era così tranquillo e riservato, lo considerava come il suo piccolo segreto e ne era gelosa, perché sapeva che non poteva essere solo suo. Non ne parlava nemmeno con le amiche, di quel posto: già troppe persone erano a conoscenza di quel luogo così tranquillo, e lei sicuramente non voleva essere la responsabile di un suo possibile incremento di visite. Sapeva di essere egoista comportandosi in quel modo, ma quel posto era troppo importante per lei.
L'aveva scoperto qualche mese prima: una mattina si era svegliata e aveva sentito i suoi genitori urlare contro suo fratello, e sua madre era venuta da lei a lamentarsi del fatto che non faceva mai nulla per la famiglia. Lei, Elisa, si era alzata dal letto, si era messa una giacca, un paio di pantaloni e aveva preso il cellulare. Aveva fatto tutto molto lentamente, aspettandosi una qualche reazione da parte della madre, che non era arrivata. Aveva provato una fitta di delusione, ma era passata subito.
Era uscita, senza neanche vedere in che condizioni erano i suoi capelli.
Non le importava.
Non le importava più di nulla da un po', ormai, o forse le importava troppo di tutto, ma si auto convinceva del contrario, perché così facendo pensava che i suoi problemi sarebbero diminuiti. Comunque sia, era uscita di casa senza dire niente e aveva cominciato a camminare, fino a quando un fastidioso formicolio non aveva iniziato a salirle per le gambe, e a quel punto si era fermata.
Non sapeva dove si trovava, ricordava a stento la direzione che aveva preso appena uscita di casa. Sentiva il fruscio delle foglie e, facendo un po' di attenzione, anche un lontano cinguettio. Si era guardata intorno e un senso di tranquillità si era diffuso dentro di lei.
Era bello quel posto.
Le piaceva.
Si guardò intorno, analizzando un po' il luogo in cui si trovava: era una distesa di verde, intervallata da maestosi e imponenti alberi con folte chiome; il terreno andava via via in discesa fino ad immergersi in un grande lago, racchiuso da una recinzione in ferro scuro con motivi semplici ed eleganti, con un piccolo tempio solitario che si stagliava al centro di esso.
Che meraviglia…
Inspirò profondamente, prendendosi tutto il tempo possibile: l'aria era pulita, lì.
Si sentiva rilassata, i problemi che l'avevano attanagliata fino a poco tempo prima erano scomparsi, sostituiti da un senso di strana e insensata tranquillità e.. si, di felicità. Quella felicità che si ha da bambini, quella felicità innocente che non le apparteneva più da tempo.
Le sue labbra si curvarono in un sorriso, rievocando quegli intimi ricordi. Ormai considerava quel luogo come un suo vecchio amico, un confidente che c'era sempre nel momento del bisogno. Si prese ancora un attimo per ammirare quel luogo così familiare, poi cominciò a camminare verso una zona di prato messa in ombra dalla maestosa chioma di un albero, di fianco al lago. Un posto che, fortunatamente, molte persone neanche consideravano. Lei però l’aveva notato, e le era piaciuto subito: era riservato, semplice, nascosto, un po’ come lei, una ragazza bellissima che tuttavia nessuno notava, impegnati com’erano a correre dietro ad apparenze illusorie. Quel luogo circoscritto dall’ombra dell’albero pareva volersi distaccare dal resto, sembrava ammirare in disparte il panorama, come se bramasse alla sua bellezza e non si sentisse degno di appartenere a tale meraviglia, senza capire che era lui, insieme a tutto il resto, a rendere quel posto speciale. Provava dunque un senso di affinità e complicità nei confronti di quel luogo.
Superò l’ombra gettata dalla folta chioma dell’albero e si sentì come protetta, inghiottita da una cupola trasparente, che delimitava il “reale” da ciò che era solo di Elisa.
Appoggiò la sua schiena al tronco dell’albero, chiuse gli occhi e si lasciò scivolare, continuando a mantenere un contatto con la superficie ruvida, finché non sentì dei morbidi fili d’erba che le accarezzavano le mani e le gambe. Inspirò forte, riusciva a percepire l’odore del prato ancora bagnato dalla leggera pioggerella della scorsa notte. Espirò e un senso di familiarità le attraversò tutto il corpo.
Si sentiva  a casa.
Si guardò intorno, era tutto al solito posto, come sempre.
Guardò il cielo: era di un azzurro limpido, senza traccia di una nuvola, e il sole splendeva chiaro nel cielo, proiettando luce ovunque e facendo risplendere la superfice del lago. Non si sarebbe stupita se in quel momento le fosse comparsa davanti agli occhi una fata, o un elfo: quel posto aveva un qualcosa di magico e irreale.
Pensò a quanto sarebbe stato facile voltare le spalle alla sua vita e vivere in quel posto, che sembrava offrirle una vita così semplice e tranquilla, confrontata con la sua, complicata e piena di alti e bassi. Chiuse gli occhi e sospirò forte. Voleva staccare per un po’, allontanarsi da tutto e da tutti e pensare solo a se stessa, senza nessuno che le mettesse fretta. C’erano troppi problemi, troppe decisioni da prendere, e il tempo sembrava scorrere troppo velocemente, come a farle un dispetto, e lei era troppo fragile per sopportare tutto questo.
Non vedeva sua madre e suo padre uscire con gli amici o per una cenetta romantica da un’eternità, e quelle espressioni spensierate che aleggiavano sui loro volti nei primi anni della sua vita avevano lasciato da tempo immemore il posto a sguardi corrucciati e volti tirati.
Era brutto vivere immersi in quel clima cupo, svegliarsi sentendo i suoi che litigavano con suo fratello e che appena la vedevano trovavano qualcosa per cui lamentarsi. Era consapevole anche del fatto che ciò che faceva per la famiglia era solo un decimo rispetto a quello che realmente era in grado di fare, ma era un periodo difficile per lei.
L’adolescenza: il periodo migliore, secondo il giudizio dei grandi.
Ma, evidentemente, lei era fatta male, era un giocattolo difettoso, altrimenti non si spiegava il motivo per cui l’adolescenza, per Elisa, era diventata un inferno. Invece dei primi amori, lei aveva potuto assaporare solo le prime delusioni, aveva potuto sentire quanto facesse male essere illusa dal ragazzo che si ama e che continua ad andarsene e ritornare quando più gli fa comodo.
Si vuole affetto da chi non è in grado (o semplicemente non vuole) dartelo: l’essere umano è stupido e testardo.
Ma il problema di Elisa era che, fin da piccola, aveva avuto la brutta abitudine di fidarsi subito delle persone, partendo dal presupposto che, se fai del bene, devi ricevere altrettanto bene. Ma si sbagliava: quel suo lato disponibile era stata la sua condanna, poiché le persone a cui lo dimostrava le avevano soltanto fatto male. Aveva sempre creduto nel principe azzurro, nell’amore eterno e nel “e vissero per sempre felici e contenti” delle favole. Il suo problema è che fin da piccola aveva sempre commesso lo sbaglio di mettere tutti prima di lei: in questo modo aveva insegnato loro che lei non valeva molto, che venivano prima i problemi altrui dei suoi. A quel tempo potevi descrivere Elisa con un unico, semplice aggettivo: ingenua. E la realtà dei fatti era ancora quella, anche se le dava fastidio ammetterlo e cercava di nasconderla creando muri di difesa che ponevano una distanza tra lei e la realtà della vita, a volte molto crudele. Da bambina si considerava una piccola Robin Hood, che difendeva i deboli dai prepotenti, ma con il passare del tempo smise di farlo, capendo che l’unica a rimetterci era sempre lei: i bulli finivano per prendere di mira lei e, come se non fosse già abbastanza, la bambina che aveva difeso non accennava neanche ad un grazie. Era quello il momento in cui aveva iniziato a distaccarsi da ciò che le accadeva intorno.
Ma, oltre a questo ragazzo che continuava a farla soffrire e che lei non riusciva a dimenticare, alla scuola che non le lasciava mai un attimo libero e alle amiche che ormai si contavano sulle dita di una mano, ci si mettevano anche i suoi genitori, che non facevano altro che lamentarsi del fatto che lei dormiva sempre, accusandola di sprecare la sua vita. Le sue amiche uscivano di sera e andavano nelle discoteche a passare la serata e si, alcune anche ad ubriacarsi, ma i genitori non volevano lasciarla uscire con gente del genere. E allora cosa pretendevano? Mentre le sue amiche si divertivano, scoprivano nuove cose, facevano esperienza vivendo al meglio i loro anni migliori, lei se ne stava in un angolino ad aspettare che questo periodo passasse il prima possibile.
Si sentiva sola: le prime volte aveva provato a parlarne con delle amiche ma le loro risposte erano così banali… a volte neanche la ascoltavano, così aveva deciso di tenersi tutto dentro. Ma si sentiva scoppiare, voleva piangere ma non ci riusciva.
Ma se tutto questo non avesse una fine? Se fosse terminato solo quando Elisa avrebbe imparato a prendere la sua vita in mano e fare delle scelte? A vivere a pieno ogni giorno e a non farlo trascorrere sperando che in quello successivo sarebbe cambiato qualcosa? Non sapeva cosa fare, si sentiva persa, oppressa da così tante cose.. in sostanza desiderava un letargo, un anestetico, la certezza di esser ben nascosta, aspettando che le cose migliorassero. Non chiedeva la pace nel mondo, chiedeva la sua.
Si prese la testa tra le mani. Ecco, stava succedendo di nuovo. Era partita con l’idea di non pensare a nulla, ma aveva finito per peggiorare le cose: i pensieri si accavallavano uno sopra l’altro, prepotenti, in una lotta che avrebbe finito per portare ancora più confusione nella testa di Elisa.
Guardò in alto, verso le fronde dell’albero, e poi verso il lago, come ad aspettare una loro risposta. Ma non arrivò. Loro non potevano aiutarla, ma solo sostenerla, ascoltandola. Doveva aiutarsi da sola, imparare a fare a meno di coloro che facevano a meno di lei.
Si, ce l’avrebbe fatta, ora sentiva qualcosa di diverso, come un’onda imponente dentro di lei che avrebbe spazzato via il passato, tracciando una nuova via per il futuro. Pur di smettere di vivere in quel modo, avrebbe rischiato.
Si ripromise che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata. Non sapeva dire se in meglio o in peggio, o dove l’avrebbe portata. Sapeva solo che da quel giorno non sarebbe stata più l’Elisa di sempre, ma una ragazza nuova, maturata grazie a tutti gli errori commessi in passato e le tante delusioni subite. Ed era bello pensare che il primo testimone di questa rinascita era quel piccolo pezzo di prato che molti avrebbero definito “banale”.
“Salta nel vuoto” continuava a ripetersi “o ti schianti o voli”.
  
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