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Autore: Queen of Superficial    16/12/2014    4 recensioni
“Immagino fosse la conseguenza naturale delle suore francesi e del corso di danza classica e buone maniere. I miei sono gente all'antica.”
Brian sbuffa sarcastico, essendo lui un fervente attivista contro le suore francesi, la danza classica e le buone maniere.
“E ve la fanno un po' di educazione sessuale, in collegio?”
“Siamo un collegio femminile.”, risponde la bionda quasi in tono di scusa, dopo un attimo di tentennamento.
Lui ride, offensivo. “Quindi non sapete proprio nulla della cosa più divertente del mondo?”
Matt armeggia con la pulsantiera, infastidito.
“Brian, ti sembra il momento di tenere un comizio sulle api e i fiori? Nel caso non te ne fossi accorto, siamo bloccati in un ascensore.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johnny Christ, Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Istantanee di secondi lunghi quanto un anno bisestile.”
- Incanto

 

 

Ore 3.15, stanza di Lilian e Ivy, Collegio delle Sorelle del Sacro Cuore.
 

“Allora, gli hai dato il numero di telefono?”
Ivy si muove a disagio tra le coperte. Le dà fastidio il lenzuolo, la vita, la prospettiva di altri sei mesi in quel bunker di cemento in cui ci sono più crocifissi che forchette. Sente Lilian squittire eccitata.
“Sì! Non vedo l’ora che mi chiami!”
Segue discreto silenzio.
L’amica non lo sa, ma Lilian, oltre al numero di telefono, gli ha dato anche gli slip. Così, per sicurezza.
“Perché mi chiamerà, vero?”
Ivy sbuffa. È sempre stata una ragazza piuttosto pragmatica, molto meno incline dell’amica a perdersi in duemila romanticherie che duravano giusto il tempo di una serenata e una scopata. A proposito di scopate.
“Certo che ti chiamerà. Ma perché gli hai detto che sei vergine?”
Il rumore che Ivy sente è quello di Lilian che si stringe nelle spalle.
“Non lo so. Ai ragazzi non piace sentirselo dire?”
Ivy vorrebbe dire qualcosa, ma non è sicura che ci sia davvero qualche osservazione da fare. Conosce Lilian da quando erano bambine, volerla capire per forza è un errore che non è più disposta a fare: l’ha vista una marea di volte innamorarsi e poi dimenticarsi di quelli di cui si era dichiarata dipendente nello spazio di un amen, e ormai non ha più tanta voglia di darle retta. Però sa che lo deve fare. Sa che Lilian per lei lo farebbe, o almeno vuole crederci. Una cosa, però, deve proprio dirgliela.
“Quello non è un ragazzo, Lily, è un uomo.”
“È una rockstar!”
“Sì ma le rockstar afferiscono sempre agli esseri umani, non è che fanno parte della razza dei frigoriferi, Lilian.”
L’amica non la sta ascoltando, Ivy lo sa. La sente infilarsi le cuffie e perdersi nell’idea di quella storia d’amore proibita con uno tanto più grande; uno che, peraltro, sua madre non avrebbe mai approvato. Difficile far entrare in testa alle diciannovenni che Romeo e Giulietta è durata tre giorni ed è finita con sei morti.
Chiude gli occhi, Ivy, vuole scivolare nel sonno anche se sa che le porterà gli incubi psichedelici che la accompagnano da quando riesce a ricordare: mostri che si materializzano dal nulla, vapori omicidi che salgono dal piatto della doccia, nebbie così dense che si possono tagliare con il coltello e che nascondono silenzi e sagome senza bocca che la fissano minacciose. Lilian, però, si toglie le cuffie e le rivolge la parola, costringendola a spalancare le palpebre di nuovo nel buio. Nell’oscurità non c’è quasi differenza, osserva Ivy, tra avere gli occhi aperti e averli chiusi: il pensiero, chissà come, la conforta.
“Senti, ma secondo te come mai la suora mancata li conosce?”
Ivy sorride. Le piace Ginevra Kringe, il suo modo di fare affettuoso e confortante, il fatto che in biblioteca canticchi a bocca chiusa e che sembri sempre serena, a parte quei momenti - che Ivy intercetta e perfino attende, a volte - in cui qualcosa le offusca lo sguardo e si perde in distanze inconoscibili. Le piace il fatto che sappia un sacco di cose, che sia colta e divertente, e che una volta le abbia confidato che le piace il metal. Le piace quando la vede da sola in cortile e, nei suoi vestiti da ragazza perbene, si siede accanto a lei e le tira fuori la camicia dell’uniforme dalla gonna, spingendola con la spalla, esortandola a parlare con lei di cose che, lo sa benissimo, Ivy non le dirà mai. Le piace il suo intuito, quello che le fa percepire gli incubi di Ivy che a volte la tormentano anche di giorno, ed è per questo che va a sedersi da sola negli angoli del giardino. Le piace perché è una persona gentile e non se la tira per niente, anche se la Madre Superiora gliel’ha presentata, al corso di orientamento, come una donna intelligentissima e bellissima e figlia perfetta e studentessa modello e fidanzata con il miglior partito possibile, quasi volesse fargliela odiare da subito, e temere, facendo capire a lei e alle sue compagne che lei era il modello da seguire ma comunque difficilmente sarebbero state alla sua altezza. Lilian la odia, infatti, per questo la chiama “la suora mancata”: la identifica con quelle figure mitologiche che girano per il convento, tutte gelo, preghiere e rigidità di mente e di costumi, ma sa di mentire, perché Ginevra non è così. Non è affatto così. Lei è gentile. È forte. Ed è veramente buona.
“Mi stai ascoltando, Ivy?”
“Scusa, mi ero appisolata.”, mente lei, “Cosa hai detto?”
“Ti ho chiesto secondo te perché la suora mancata conosce i ragazzi.”
I ragazzi. Ivy sorride.
“Mi è sembrato che conoscesse Zacky, veramente. Forse erano amici. Non è molto più piccola di loro.”
“Hm.”, fa Lilian, insoddisfatta dalla risposta, ma per fortuna non dice più nulla.
Ivy sospira. Finalmente si può dormire. 

 

Ore 3.15, casa di Ginevra Kringe, una delle villette a schiera sulla strada davanti alla spiaggia.
 

Gin si rigira a letto a disagio. Rivederlo è stato un colpo al cuore che non è sicura di potersi consentire. Richard si muove appena quando lei si alza per andare a prendere dell’acqua. Scende le scale e si ritrova nell’open space, tra salotto e cucina. Si guarda intorno come se dovesse riconoscere le sagome dei mobili che ha scelto lei. Perché è tornata ad Huntington Beach? Avrebbe potuto restarsene a Parigi a fare quel master alla Sorbone. Avrebbe potuto accettare quell’incarico di assistente a Dusseldorf. Invece no, ha fatto i bagagli prima ancora di rispondere alla lettera in cui la Madre Superiora del collegio in cui aveva passato un anno, appena un anno prima di essere spedita in Europa, le scriveva per proporle un posto da assistente all’orientamento delle ragazze dell’ultimo anno fino a giugno, promettendole poi un posto da ricercatore alla UCLA. Ma certo che è tornata ad Huntington Beach, certo, certo. Che cretina. Richard è appena stato assunto alla divisione Sud del CalTech, ha voluto, ha dovuto seguire il suo fidanzato a Los Angeles. È giusto così, no?  E sarebbe stata vicino ai genitori. Certo. Che stupida. Lascia perdere l’acqua e si prepara un tè: sì che rivederlo è stato un colpo al cuore. E, oltre a lui, è stata molto contenta di aver rivisto anche Zacky.

 

Ore 18:30 del giorno seguente, Wrecked Records, negozio di vinili sulla Ocean Lane

 

Lui la vede prima che lei veda lui, e gli viene un sorriso da squalo che non sa ben identificare. La prende alle spalle, sporgendosi oltre il suo viso per vedere che disco sta fissando con tanta intensità.
“Johnny Cash. Bello. Un po’ cruento per una signorina, no?”
Lei sobbalza appena, ma sorride. “Ma che idea avete tutti quanti di me? Ciao, Almost easy.”
Il sorriso di Jimmy, quello di prima, si allarga mentre lui si rimette in posizione eretta e Gin si volta, stringendo il vinile tra le braccia.
“Ciao, fatina.”, le dice, squadrandola sfacciato.
“Questa occhiata da predatore vorrebbe essere intimidatoria?”, dice lei, quasi divertita.
“No, solo un apprezzamento.”
“Jimmy, porto un maglione di tre misure in più della mia. Non c’è molto da apprezzare.”, ribatte Gin, sorridendogli per nulla intimidita dalla vicinanza e dal quello sguardo che lui ha negli occhi. È la seconda volta in assoluto che la sente pronunciare il suo nome, e ci rimane secco per un secondo. Solo un secondo.
“Ho l’occhio clinico.”, le risponde, con un occhiolino. Lei scoppia a ridere, spiazzandolo. Fortunatamente, da dietro a una pila di dischi in precario equilibrio spunta un terzo individuo vestito male e pettinato malissimo, tempestivo come non saprà mai di essere stato.
“Jimbo, ho trovato quel... Oh! Ciao, bel-culo.”
Gin non si scompone affatto. Gli rivolge, anzi uno sguardo carico di affetto. “Ciao, Brian.”
Jimmy le sfila dalle mani il vinile. “Questo te lo regalo io.”, le dice, senza darle il tempo di ribattere. Rimangono lei e Brian mentre lui va alla cassa.
“Che è successo mentre io cercavo questa cagata degli Oingo Boingo?”
“È successo che mi è apparso alle spalle come il conte Dracula, abbiamo fatto una breve osservazione stilistica su Johnny Cash, dopodiché mi ha, diciamo, squadrata con la sua speciale vista a raggi x attraverso il maglione, e poi sei arrivato tu.”
Brian annuisce, girandosi il CD tra le mani con aria perplessa. “Ottimo resoconto. Senti, ti ha chiamato Zacky?”
Gin piomba in una leggera confusione. “No, perché, doveva chiamarmi?”
Brian crolla le braccia lungo il corpo, stufo di esistere: “Certo. Quell’imbecille doveva invitarti al barbecue pre-natalizio a casa mia.”
“Beh, potevi chiamarmi tu.”, disse lei. Brian rimase per un secondo con il dito indice a mezz’aria, raccogliendo i pensieri.
“Ma il numero ce l’ha lui.”
“E non te lo potevi far dare?”
Brian è confuso. L’inattaccabile logica di questa femmina lo lascia dubbioso e impreparato. Gin sposta gli occhi un po’ a destra e un po’ a sinistra, in attesa di una risposta: è veramente dolcissima, pensa Brian, poi pensa che pensare che una donna sia dolcissima significa per forza che sta diventando gay. Anche Johnny ha avuto la stessa sensazione su se stesso, il giorno prima, ma Brian non lo sa.
“Cosa c’è, non si fa? Viola qualche codice, non so, della fratellanza dei Sevenfold?”
In effetti, no. Brian salta su e si decide a parlare, tanto più che sta tornando Jimmy e non vuole farsi trovare come un crotalo stirato dalle ruote di un tram, tramortito dalle osservazioni in effetti giuste di quella donna.
“Ci farebbe molto piacere se venissi al barbecue pre-natalizio che daremo a casa mia, puoi portare, non so, qualche birra e i tuoi genitori, ai Baker farebbe senz’altro piacere vederli.”
“Grazie, vengo volentieri.”, gli rovescia la mano e afferra una penna dal bancone lì vicino, “Questo è il mio numero, mandami un messaggio con l’indirizzo.”
Brian frinisce leggermente tra i denti perché la punta della biro gli sta facendo il solletico.
“Figurati. Sabato prossimo alle 18, puntuale.”
“Sabato, hai detto? Che peccato, Richard sarà già a San Francisco.”
Un coro di due voci si congiunge in un sentito: “E chi è Richard?”
Jimmy è tornato con un pacchetto. Lo porge a Gin, che lo accoglie con un sorriso. “Richard è il mio fidanzato. Ora, se volete scusarmi, devo scappare a cucinare. Grazie, Jimmy, significa molto per me.”
Li bacia tutti e due sulle guance e scappa fuori, voltandosi una volta ancora per sorridere a loro e poi a sé stessa. Jimmy e Brian restano lì, impalati come due torsoli di mela, a fissare il punto in cui lei è appena sparita. Improvvisamente, il chitarrista si riscuote e si volta verso il batterista: “Grazie, Jimmy, significa molto per me? Da quando ti fai dire cose del genere dalle donne? Sei proprio un gay.”, proietta i suoi timori, canzonatorio.
“Chiedilo a tua madre.”, fa appena in tempo a dire Jimmy, prima che Brian salti rendendosi conto di aver appoggiato la mano con il numero su una superficie. Se la guarda, per sincerarsi che sia ancora lì.
“Cos’è quello?”, fa Jimmy, inquisitorio. Brian si produce in un sorriso ferino: “Il numero di telefono di Gin.”, dice, soddisfatto.
“Cosa? Io le regalo i vinili e lei dà il suo numero a te? Non c’è più religione.”
“Se invece di fare il galantuomo facessi l’intraprendente, magari ne caveresti qualcosa in più. Oltretutto, ti sei già fatto sua sorella.”
“Non è quello il punto.”
“Ma poi tu non dovevi chiamare la ragazzina, scusa?”
“Fatti un po’ i cazzi tuoi.”
“E da quando i cazzi miei e i cazzi tuoi sono due cose diverse?”
Jimmy fa una smorfia accondiscendente. “Hai ragione.”, dice.
“Comunque ha detto che viene al barbecue.”, lo informa Brian.
Si guardano per un momento, in silenzio.
“Ma chi cazzo è ‘sto Richard?”, chiede Jimmy, più a se stesso che a lui. 

 

Ore 19:50, casa Baker.

 

“Zzzsì.”
“Pronto? Zacky?”
Ti pareva. Zacky si issa a sedere sul letto e si leva la mascherina da sonno, accendendo alla cieca la abat-jour sul comodino.
“Cosa vuoi, Brian?”, cerca di articolare nonostante la voce impastata che si ritrova a causa del brusco risveglio.
“Ma stavi dormendo?”
“Che domande fai? Chiami a quest’ora criminale!”
“Sono le otto di sera, imbecille.”
“Appunto, non lo sai che io dalle sei e mezza alle otto faccio il riposino pomeridiano?”
“Sei proprio vecchio. Tra poco dovremo chiuderti in un ospizio e saremo costretti a cercarci un nuovo chitarrista.”
“Se non dormo mi vengono le rughe.”, provò a giustificarsi quello, un po’ in imbarazzo.
“Già lo vedo: Casa di Riposo ‘Il Cipresso’, stanza singola, vista mare.”
“Smettila. Cosa vuoi?”
“Hai chiamato Gin?”
Zacky si fa cupo e crolla all’indietro verso lo schienale del letto, che fortunatamente è imbottito.
“Non ancora.”
“Lo so benissimo. E sai perché lo so? Perché nemmeno un’ora fa l’ho incrociata con Jimmy al Wrecked Records, stava comprando vinili di Johnny Cash.”
“Sempre detto che era una dritta: apprezzare Johnny Cash è sintomatico delle persone perbene.”
“Bravo, Sigmund Freud. Comunque gliel’ho detto io, del barbecue.”
“Ok, hai fatto bene.”
“E mi ha anche dato il suo numero.” aggiunge poi trionfale Brian.
“Ma che bravo! Guarda come sei contento! E ti ha dato anche un bacetto sulla guancia?”
Brian coglie la lieve presa per il culo: “Veramente sì.”, dice, un po’ risentito. Ok, detto da un quasi trentenne e mi ha anche dato il suo numero suona un po’ idiota, ma c’è stato qualcuno che, se possibile, è stato ancora più idiota.
“Jimmy le ha comprato il vinile.”
“Che?”
“Jimmy le ha regalato il vinile di Johnny Cash!”
“Che vinile era?”
Folsom Prison Blues.”
“Che romanticone! Semmai dovesse decidere di regalarle un libro accompagnalo tu a scegliere, altrimenti le presenta, non so, il Malleus Maleficarum o Tutti i racconti del terrore di Edgar Poe. Lui sì che ci sa fare coi regali.”
“Lei ce l’aveva già in mano: lui gliel’ha semplicemente sfilato ed è andato a pagare.”
“Ancora più romantico! E dimmi, prima di ridarglielo indietro gliel’ha suonato in testa, come si usava fare nel paleolitico per manifestare il proprio interesse alle femmine?”
“Sei simpatico.”
“E tu ora te ne accorgi? Lo sono sempre stato.”
Il silenzio che segue è leggero, ma vagamente compromesso.
“Senti.”, aggiunge Zacky, “Trattatela bene. Non fate le bestie come di vostro solito.”
“Come sei delicato, carissimo! Da quando sei così protettivo nei confronti di altri esseri umani?”
“Dico sul serio, Brian. È vero, eravamo amici da piccoli e poi ci siamo rivisti dopo centomila anni, ma ho un bellissimo ricordo di lei. Era veramente una bambina speciale.”
“Se giocava con te ci credo che era una bambina speciale. Senz’altro, almeno, affetta da qualche deficit dell’apprendimento.”
“No, davvero, Brian. Non sto scherzando.”
Brian tace. Per un attimo, medita. Non che gliene freghi granché del mondo e della stragrande maggioranza dell’umanità che lo popola, ma difficilmente Zacky parla in questo modo di qualcuno, ed è un fatto che richiede almeno il beneficio di un momento di meditazione.
“Non vogliamo mica sbranarla, Zachary. Datti una calmata.”
Zacky sospira, ed è un sospiro pieno.
“Ti ricordi cos’è successo con sua sorella, vero? Non vogliamo rivivere quell’anno atroce.”
Brian si incupisce, all’altro capo della cornetta. “No.”, dice, deciso, “Non vogliamo.”

 

Ore 22:00, casa di Ginevra

 

Il suono cristallino di un messaggio in arrivo fa voltare Richard verso il tavolo: è il cellulare di Gin.
“Piccola.”, le dice, “Ti è arrivato un sms.”
Gin copre la distanza tra il divano e il tavolo in maniera un po’ troppo repentina per essere casuale, ma Richard non le fa domande. Non gli viene neanche in mente. Lui è fatto così.
Gin sorride, il messaggio è di Brian. C’è l’indirizzo, l’orario, saluti un po’ singolari.
What’s up, fine-ass! It’s Brian... Un uomo d’altri tempi. “Cosa ridi, Gin?”, le chiede finalmente il fidanzato, guardandola sedersi sul divano accanto a lui con il cellulare in grembo.
“Niente. Ti ho detto che l’altra sera, a cena con mamma e papà, ho rincontrato un vecchio amico?”
Richard le getta un’occhiata inquisitrice, a quarantacinque gradi.
“Non fare quella faccia! Da bambini giocavamo insieme, sua madre e mia madre sono amiche da sempre. Non è niente di oscuro o compromettente.”
Lui sorride, le passa un braccio intorno alle spalle e se la tira addosso. In tv danno un film con Gene Kelly, uno di quegli uomini che, Richard lo sa, Gin adora. Perché sanno ballare, sanno cantare e sono affascinanti in un modo tutto loro, non so, sembra che abbiano un odore particolare. Tipo odore di avventura. Non guardarmi così, lo so che le immagini non hanno odore, in genere. Alcune sì, però. Glielo aveva spiegato in questo modo, una volta, dopo qualche bicchiere di vino. Richard non lo sa, ma Gin ci sta pensando proprio in quel momento, alle immagini che non hanno odore. Le vengono in mente polaroid su polaroid, spedite in busta chiusa e arrivate a volte dopo mesi, perché quello era il modo in cui Delia le diceva che era felice. A volte c’era qualche frase, dietro, altre soltanto una data. Non erano mai foto di Delia, sempre di qualcun altro; una persona o un gruppo di persone, un paesaggio, un dettaglio che lei vedeva, immortalava e le mandava, per includere anche lei, lontana in quel collegio, nella sua sconfinata, deleteria libertà. Già, pensa Gin, le immagini non hanno odore. Alcune sì, però. 

 

 

 

Allora.
Questo capitolo è un interlude, nel senso che ci serve da ponte per arrivare al prossimo capitolo, e, Gesù!, che fattacci che ci aspettano nel prossimo capitolo.
Sentite, vi voglio bene, sto dicendo cose senza senso; sono le quattro e mezza di mattina. Mi rifaccio viva presto.
Love, 
Q.
   
 
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