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Autore: ValeryJackson    16/12/2014    9 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Skyler si sentiva come un palloncino troppo gonfio.
Aveva quest’esagerata pressione qui, al centro del petto, che le impediva di respirare con facilità. Che rendeva anche l’abbozzare un semplice sorriso una missione su Marte.
Che la faceva sentire stanca, vuota, insicura.
Non sapeva con certezza quale fosse stato il momento esatto in cui si era formato.
Sapeva solo che faceva male, e che per quanto si sforzasse di negarlo, influiva sul suo comportamento molto più di quanto avrebbe dovuto.
Se Leo faceva una delle sue stupide battute, non riusciva più a prenderlo in giro.
Se perdeva una battaglia di scherma, non aveva più la forza di chiedere la rivincita.
Se litigava con Michael, non aveva più la voglia di chiedergli scusa.
Che poi non sapeva neanche perché avrebbe dovuto farlo. Lei non aveva fatto niente di male.
Gli era sempre stata fedele. Non l’aveva mai neanche sfiorata l’idea di sostituirlo con qualcun altro. Era stata paziente, aveva assecondato e sconfitto i suoi timori.
E allora perché lui si ostinava ad avere quell’atteggiamento rude, freddo e distaccato?
Come mai Skyler si sentiva a disagio anche solo ad abbracciarlo?
C’era sempre stato qualcosa di speciale, a legarli. Qualcosa di profondo e sincero, una scintilla che si era accesa nel momento esatto in cui le loro iridi si erano incatenate, la sera in cui la figlia di Efesto era arrivata al Campo.
Ma ora quel fuoco che dolce rendeva vivo il loro rapporto sembrava minacciare di spegnarsi, sfinito dalle continue ondate di salata gelosia che il figlio di Poseidone provocava.
La ragazza sospirò, prendendosi frustrata il volto tra le mani. 
Aveva bisogno di distrarsi. Aveva bisogno di sentirsi amata, aveva bisogno di quel calore che da troppo tempo le era diventato estraneo.
Aveva bisogno dell’illusione che tutto si potesse aggiustare. Aveva bisogno di una confidente.
Aveva bisogno di un’amica.
Per questo, con circospezione, si diresse silenziosa verso la Cabina Undici.
Tutti i figli di Ermes erano già svegli da un bel po’, completamente immersi nei loro impegni mattutini, che fossero lezioni di tiro con l’arco, gite in canoa o scherzi di qualche genere.
Solo una di loro era ancora avvolta dalle proprie calde coperte, le lenzuola tirate fin su il naso e l’aria di chi ha intenzione di continuare a riposare.
Skyler si avvicinò al suo letto, spostandosi in punta di piedi nel tentativo di emettere il minor rumore possibile. Poi le posò una mano sul braccio, scuotendola leggermente.
«Emma?» chiamò, con dolcezza.
La bionda fece una smorfia, emettendo un sommesso grugnito.
«Emma?» ripeté quindi la figlia di Efesto, inclinando la testa di lato.
La figlia di Ermes mugugnò qualcosa di incomprensibile, per poi rigirarsi tra le coperte e darle le spalle. «Ancora cinque minuti» pregò, supplicante.
«Emma?» riprovò quindi Skyler, dandole dei petulanti colpetti sulla schiena. «Sei sveglia?»
La ragazza sospirò teatralmente, le palpebre ancora chiuse. «Se per sveglia intendi che sono abbastanza lucida da poterti mandare al Tartaro, allora sì, sono sveglia.»
La mora ridacchiò sommessamente, scrollando il capo con un sorriso. «Scusa, mi dispiace.»
La figlia di Ermes arricciò il naso, sdraiandosi supina e stropicciandosi gli occhi. «Che ore sono?» si lamentò, la voce ancora impastata dal sonno.
«Quasi mezzogiorno» rispose Skyler, al ché lei si stiracchiò, con disappunto.
«Il fatto è che avevo bisogno di un abbraccio» continuò la figlia di Efesto, spostando il peso da un piede all’altro, imbarazzata. «Ma non sapevo da chi altro andare.»
Emma schiuse lentamente un occhio, squadrandola attentamente. Poi le fece un po’ di spazio nel letto, battendo un paio di volte il palmo sul materasso. «Vieni qui» la invitò, con finta rassegnazione.
Skyler inarcò un sopracciglio, stupida. «Posso?»
«Muoviti, prima che cambi idea!»
Le due amiche risero, divertite. Dopo di ché, la figlia di Efesto si infilò sotto le coperte insieme alla bionda, avvicinandosi a lei quel tanto che bastava perché la ragazza potesse avvolgerla con le sue resistenti braccia e stringerla affettuosamente a sé.
Skyler si lasciò cullare da quella sensazione di pace che solo il bene fraterno dell’amica riusciva a donarle, mentre una di fronte all’altra portavano il lenzuolo fin sopra le loro spalle.
Poi la figlia di Ermes soppesò la mora con lo sguardo, preoccupata.
«Michael?» domandò, con attenzione. E capì di aver premuto un tasto dolente non appena Skyler fece una smorfia, quasi le avessero appena tirato un pugno nello stomaco.
«Non ho voglia di parlare di lui» mormorò, lasciando intendere all’amica che non aveva alcuna intenzione di aggiungere altro.
Emma le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con tenerezza. «Dovreste chiarirvi, però.»
«Il fatto è che non riusciamo neanche a parlarci» le fece notare quindi Skyler, per poi mordersi il labbro inferiore con amara tristezza. «Insomma, prima… prima ci bastava uno sguardo, per capire i pensieri dell’altro.» Si spostò a pancia in su, fissando il soffitto con sguardo vacuo. «Ora invece lo sto perdendo, e non ne capisco neanche il motivo.»
Emma prese fiato per parlare, ma le sue corde vocali non emisero nessun suono. Richiuse la bocca, pensierosa, per poi arricciare le labbra. «Matthew cosa ne pensa?» le chiese, al ché la ragazza corrucciò le sopracciglia.
«Perché dovrebbe avere un’opinione a riguardo, scusa?»
«Perché fondamentalmente è lui la principale causa della rottura tra te e Michael» le fece notare allora lei, con ovvietà. «E penso che lui ne sia consapevole.»
La figlia di Efesto sembrò valutare le sue parole, con il lazzo di chi ha appena ingoiato a forza un limone. «Io e Michael non ci stiamo rompendo» si limitò però a sussurrare, se parve sforzarsi di convincere più sé stessa, che l’amica.
Emma non osò controbattere. Quella era una questione troppo delicata, perché lei potesse prendersi il lusso di dare giudizi. Anche se si trattava dei suoi migliori amici, il suo compito non poteva essere altro se non quello dello spettatore. Poteva provare a dar loro dei consigli, certo, ma il verdetto finale spettava soltanto ai due ragazzi.
«Sei fortunata, sai?» sbottò all’improvviso Skyler, facendola sussultare leggermente. Sul volto aveva un sorriso sghembo, ironico.
Emma aggrottò la fronte, interdetta. «Perché?»
«Perché non sei innamorata.» La figlia di Efesto si passò le dita tra i capelli, con un sospiro. «Fidati, ti eviti un sacco di problemi.»
Il fiato della bionda si smorzò in fondo sua gola, e nonostante il leggero senso di nausea che la pervadeva, tentò in tutti i modi di mantenere un’espressione neutra.
«Ah, sì, certo» mormorò, con tono atono.
Lei non era innamorata?
Ovvio che no! Niente affatto.
Giusto?
Insomma, parlare d’amore era come parlare di un frutto tropicale, no? E lei non sapeva neanche come fosse fatto, un frutto tropicale.
Non aveva idea di cosa si provasse, ad essere innamorati.
E allora perché il suo primo pensiero era stato per Leo? Perché, per quanto lottasse, non riusciva a scacciar via dalla propria mente il ricordo delle sue labbra?
«Perché tu me lo diresti, se fossi innamorata, giusto?» le domandò circospetta Skyler, distogliendola bruscamente dai suoi pensieri.
Emma cercò invano di fingere nonchalance, mentre, sempre più a disagio, cambiava posizione sul materasso, dandole le spalle. «Ma che domande sono?» esclamò, ostentando indignazione. «Ovvio che te lo direi!»
Da parte della figlia di Efesto non ci furono parole, e per un attimo la bionda temette che fosse in grado di percepire il rimbombo del battito accelerato che le rimbalzava nella gabbia toracica.
Ripensò alla pietra a forma di cuore che il fratello dell’amica le aveva regalato quel pomeriggio in spiaggia, nascosta con accortezza nel primo cassetto del suo comodino, e le sembrò che il piccolo mobiletto stesse per incendiarsi. Riusciva a sentire quel ricordo bruciare, mentre la consapevolezza di aver tenuto nascosti quei sentimenti non solo a sé stessa, ma anche a Skyler, dopo tutto quel tempo non le avevano causato altro che problemi.
Dire troppe menzogne, a lungo andare, può ritorcertisi contro. E questo Emma lo sapeva fin troppo bene.
La mora prese un profondo respiro, riempendo appieno i polmoni. «La vuoi sapere una cosa?» chiese, al ché la figlia di Ermes strinse le labbra in una linea sottile.
«Dimmi» la incalzò, i sensi di colpa simile ad acido che fluttuava nel suo petto.
«In questo momento tu sei la mia unica certezza.» Skyler aveva le iridi scure fisse sul soffitto chiaro della stanza. «Sei la mia migliore amica, e so che di te mi posso fidare.» Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso appena accennato. «E poi, sei l’unica che non mi mentirebbe mai.»
Emma deglutì con fatica, per poi inumidirsi le labbra, in un gesto nervoso.
La figlia di Efesto le accarezzò giocosa la testa, scompigliandole i capelli con le dita. «Sei la miglior sorella che io abbia mai avuto.»
«E tu la mia.»
E solo quando la figlia di Ermes riuscì a sillabare quelle quattro, semplici parole si rese conto di quanto in realtà fossero vere. Skyler era per lei più di qualunque altra ragazza della Cabina Undici avrebbe mai potuto essere. Ciò che le legava era una coltre vibrante di energia pura, genuina.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. E sapeva che per lei era lo stesso.
Emma si girò appena, per guardarla, e dopo essersi scambiate un breve sorriso le due amiche si abbracciarono, stringendosi forte.
La bionda affondò il viso nell’incavo del collo della figlia di Efesto, ma nonostante quell’amplesso fosse pregno di affetto e di muti accordi, il macigno che le premeva sul petto sembrava diventare via via più pesante, minacciando di soffocarla sotto il suo gravame.
La ragazza trattenne il fiato alcuni secondi, per poi dipingersi sul volto una disinvolta espressione malandrina. «Bene!» affermò, allontanandosi da Skyler e facendo roteare gli occhi. «Dopo tutte queste smancerie –che per la cronaca mi hanno fatto venire il diabete- se non ti dispiace, io torno a riposare.»
La mora rise, divertita, per poi scoccarle un giocoso bacio sulla guancia, facendo arricciare il suo naso in una smorfia di disappunto. Dopo di che scansò via le coperte con un gesto deciso della mano, alzandosi dal letto e stiracchiandosi leggermente.
«Vengo a chiamarti per il pranzo, se vuoi» propose, quando l’amica riadagiò il capo sul cuscino e chiuse gli occhi, con fare beato.
«Se me lo porti qui, diventerai la mia nuova eroina
«Non contarci!» ribatté Skyler, dirigendosi verso l’entrata di marmo. Ma poco prima di uscire si fermò sulla soglia, tornando ad osservare la figlia di Ermes. «Emma?» chiamò ancora, esitante.
«Mh?»
La figlia di Efesto si strinse nelle spalle, con imbarazzo. «Puoi promettermi una cosa?»
«Tutto quello che vuoi.»
«Non lasciarmi mai.» Sembrava più una supplica, che una richiesta. «E non mentirmi, capito? Non voglio per nessuna ragione al mondo che tra noi ci siano segreti.»
Emma sentì il proprio cuore saltare un battito, mentre stringeva le lenzuola nel pugno con così tanta forza da avere le nocche bianche. «Okay» assentì, con un fil di voce.
«Promesso?» insistette l’amica.
Con un po’ di riluttanza, la bionda annuì. «Promesso.»
Skyler sembrò rincuorata da quella risposta, perché sorrise, raggiante. «Perfetto» convenne, facendo cigolare il cardine della porta. «Dormi bene!» E dopo essersi richiusa l’uscio alle spalle, la Casa Undici piombò in un silenzio infernale.
Emma tirò le coperte fin su la testa, a coprirle il volto. Sperava che così facendo, tutte le opprimenti emozioni che l’avevano invasa svanissero, accompagnate dalla scia dei poteri di Morfeo.
Ma per quanta fosse la veemenza con la quale potesse imporsi, non riuscì comunque a riaddormentarsi.
Non faceva che pensare a Skyler, a Leo, e a tutto il gran casino che aveva creato.
Avrebbe dovuto dire la verità all’amica.
Anzi, non avrebbe dovuto baciare Leo! Se solo avesse continuato ad evitare il figlio di Efesto così come aveva fatto durante tutto l’inverno, ora non si sentirebbe intrappolata in un vicolo cieco.
Non poteva tradire così la fiducia di Skyler. Non dopo averglielo promesso.
Ma non poteva neanche cancellare ciò che era stato.
Non così, non adesso.
Non quando si trattava del ricordo più bello che avesse da molti anni a questa parte.
Non quando si parlava di Leo.
 
Ω Ω Ω
 
Quando si era diretta verso il padiglione della mensa, Melanie non era consapevole del fatto che non avrebbe toccato cibo.
Le cene del Campo, come sempre, erano abbondanti e succulente, ma nonostante i numerosi inviti da parte dei suoi fratelli di assaggiare la deliziosa crostata di fragole, la figlia di Demetra non riusciva neanche a concepire il pensiero di mettere qualcosa tra i denti.
Aveva una forte nausea, che le stringeva la bocca dello stomaco come un petulante pugno di ferro. Si sentiva irascibile, taciturna e costantemente stanca. E nulla, neanche la perfetta vita del Campo riusciva a farle cambiare umore.
Solo una persona sembrava essere in grado, seppur per qualche breve minuto, di rendere le sue giornate meno ributtanti. E quella persona era John.
Il ragazzo, con il suo sorriso gentile, risplendeva come un raggio di Sole negli occhi velati da ombre di Melanie.
Eppure, anche se la ragazza era consapevole che quella relazione fosse la cosa più bella che le fosse successa nell’ultimo periodo, non riusciva a smettere di ripetersi quanto tutto quello fosse sbagliato.
Il mondo era sbagliato. Il destino era sbagliato. Lei era sbagliata.
Lei era un disastro, un kamikaze, una sigaretta accesa lanciata in un campo di grano.
Lei era tutto ciò dal quale un ragazzo avrebbe dovuto stare lontano.
Stava affondando. Lentamente, come il Titanic.
E senza rendersene conto, stava trascinando verso il fondo anche John.
Qualcuno le afferrò la mano all’improvviso, facendola sussultare.
John le rivolse un candido sorriso, avvolgendole i fianchi con un braccio e attirandola a sé, per poi lasciarle un tenero bacio sulle labbra.
«Vieni con me?» le propose d’un fiato subito dopo, al ché la ragazza inarcò un sopracciglio.
«Mh?»
«Vieni con me» ripeté allora lui, e stavolta non si trattava di una domanda.
Melanie lanciò un rapido sguardo alle proprie spalle, osservando l’orda di semidei che spensierati si dirigevano al falò. «Ma non andiamo con gli altri?» chiese, visibilmente disorientata.
Fu allora che il ragazzo intrecciò le dita alle sue, per poi trascinarla delicatamente ed incamminarsi nella direzione opposta. «Stasera no.»
La figlia di Demetra non fece obbiezioni, e si lasciò guidare con curiosità, mentre guardandosi intorno tentava di capire dove John la stesse portando.
Solo quando riconobbe le sponde bagnate del lago, le sue sopracciglia si corrucciarono. Spostò le sue iridi color nocciola sul figlio di Apollo, squadrandolo con interdizione mentre lui inspirava l’aria dolciastra che li circondava a pieni polmoni.
«Perché siamo qui?» si azzardò a chiedere Melanie, inclinando il capo spaesata.
«È una sorpresa» si limitò a risponderle John, per poi lasciarle la mano e proseguire da solo di qualche passo. Si chinò a raccogliere qualcosa, e solo avvicinandosi a lui la bionda si accorse che si trattava di un sottile e quadrato scatolo di cartone.
Il ragazzo lo aprì, mostrandole il contenuto con un sorriso raggiante. All’interno, vi era una pizza già tagliata, a forma di cuore.
Melanie prese a mordicchiarsi l’unghia del pollice, nel vano tentativo di impedire alle proprie labbra di incurvarsi all’insù. «E questa?»
John fece spallucce, per poi porgerle nuovamente la mano, che lei afferrò. «Ho notato che non hai mangiato molto, a cena» disse, sedendosi a terra. «Ho pensato che avessi fame.»
Batté dei colpetti sul terreno davanti a sé, invitando la ragazza ad accomodarsi in mezzo alle proprie gambe.
La figlia di Demetra obbedì, un po’ esitante, e il biondo le offrì un trancio della fumante pizza che aveva posato al proprio fianco, che lei, titubante, accettò.
Solo quando ebbe trangugiato il primo pezzo, Melanie si rese conto di quanto in realtà il suo stomaco vuoto implorasse del cibo. E così mandò giù un altro boccone. E poi un altro, e un altro, e un altro, fino a che non si ritrovò con la pancia piena.
John le cinse la vita con entrambe le braccia, e nel dolce silenzio che li circondava come una calda coperta la ragazza posò la schiena contro il suo petto, la nuca adagiata sulla sua spalla e gli occhi fissi sulla piatta distesa del lago.
Sospirò, svuotando i polmoni. «Non mi hai ancora detto perché siamo qui» mormorò, con un fil di voce, quasi avesse paura di spezzare la quiete che aleggiava nell’aria.
«Volevo che tu lo sentissi» ammise quindi John.
«Che cosa?»
«Il silenzio.» Il ragazzo la strinse un po’ di più a sé, con fare protettivo. «Non è bellissimo?»
Melanie prese fiato per parlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. La richiuse, mordendosi inconsciamente l’interno della guancia, e fu allora che John le baciò la testa, lasciando le labbra tra i suoi capelli qualche secondo più del necessario.
«Sai, a volte ho come l’impressione che qui dentro ci siano troppi rumori» continuò, picchiettandole teneramente la tempia con un dito. «Troppi pensieri, troppe domande, troppe preoccupazioni. Ho pensato che forse un po’ di silenzio potesse aiutarti a mandarli via.» Accostò la guancia alla sua, per poi accarezzarle la mascella con la punta del naso. «Non ti senti meglio?» domandò.
Melanie inspirò a fondo, mentre un lieve sorriso si faceva strada sul suo volto. «Adesso sì» sussurrò, e non era affatto merito del silenzio.
Si fermò ad ascoltare, soffermandosi più sui battiti del cuore di John che rimbalzavano ritmicamente contro la sua colonna vertebrale, che su altro.
Poi, il figlio di Apollo le posò un dolce bacio nell’incavo della spalla, e la ragazza sentì un brivido impadronirsi della propria pelle.
Chiuse gli occhi, mentre le labbra di lui lasciavano una sensuale scia lungo la linea del suo collo, imprimendo dei marchi che sembravano scottare anche dopo qualche secondo.
Il ragazzo le afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue e facendola voltare lentamente, per far sì che i loro volti fossero uno di fronte all’altro.
Le spostò con accortezza una ciocca color grano dietro l’orecchio, per poi posarle una mano sul collo, poco al di sotto dell’attaccatura del capelli, e baciarla con passione.
Le loro labbra si schiusero nello stesso istante, tremanti di desiderio. Le loro lingue si scontrarono, unendosi e spingendosi febbricitanti, mentre i loro corpi aderirono l'uno all’altro, quasi non fossero stati plasmati per fare altro.
Melanie accarezzò con il palmo il petto scolpito di John, per poi stringere nel pugno la stoffa della sua maglietta, al fine che lui non notasse il tremitio delle sue dita, dovuto all’energia nervosa.
La mano del ragazzo scivolò lungo la sua schiena, percorrendola con il suo tatto forte e sicuro, ma quando l’altra andò accidentalmente a sfiorare la spalla della figlia di Demetra, questa si allontanò di scatto, il viso contorto in una smorfia di dolore.
«No!» esclamò, scansandosi da lui così velocemente che il figlio di Apollo non fu neanche in grado di metabolizzare ciò che era appena successo, che si ritrovò ad abbracciare aria.
La bionda si coprì il volto con la mano, amareggiata. «Oh, miei dei» mormorò tra sé e sé, balzando in piedi e muovendosi di qualche passo. «Io non posso farlo. Non posso.»
Si lasciò cadere a terra con un tonfo, le ginocchia rannicchiate contro il petto e le dita tra i capelli, la testa adagiata sul palmo quasi fosse in procinto di scoppiare.
John la raggiunse con passi misurati, per poi sedersi accanto a lei e accarezzarle la schiena, apprensivo. «Ehi» sussurrò, leggermente preoccupato. «Qual è il problema?»
«Io non ce la faccio, John» sbottò allora lei, con voce strozzata. «Non posso. Io non…»
Il ragazzo allungò una mano ad asciugarle con tenerezza una lacrima che le solcava la guancia. «Non piangere» le intimò, al ché lei tirò su col naso.
«Che cosa, John?» domandò quindi, mentre la sua vista si appannava. «Dimmi che cosa ci trovi in me di tanto speciale. Ogni volta mi guardo allo specchio, e vorrei solo avere il potere di essere qualcun altro.»
«Non devi rinnegare ciò che sei» ribatté lui, con disappunto.
«Beh, ciò che sono fa schifo
«Non sono d’accordo.» Il figlio di Apollo le spostò i capelli su una spalla, lasciando scoperto il suo roseo moncone. Melanie ebbe un fremito, quasi temesse che lui, vedendolo, potesse scappare via.
Ma al contrario il ragazzo si chinò su di lei, posando la fronte contro la sua tempia. «Tutti abbiamo delle cicatrici, Melanie» le spiegò, con tono pacato. «Nessuno escluso. Solo che ad alcuni sono più evidenti che ad altri.»
«La mia è un po’ troppo evidente, non credi?» replicò lei, con un triste verso di scherno.
John arricciò il naso, soppesandola con lo sguardo. Poi sospirò, sfilandosi la maglietta, e la ragazza non capì cosa avesse intenzione di fare finché lui non le diede le spalle, lasciandola sbigottita.
Una spessa e carnicina cicatrice gli attraversava tutto il dorso. Partiva dall’atlante, e scendeva giù, lineare, fin sul coccige.
Compatta. Increspata. Perfetta. Maligna.
Gli spaccava la schiena in due quasi fosse pronta a squarciargliela da un momento all’altro.
«Ce l’ho da quando avevo undici anni» la informò il figlio di Apollo, rendendosi conto del suo imminente silenzio.
«Ma come…?» provò a chiedere Melanie, ma le parole le morirono in gola.
«Un incidente» le rispose prontamente John. «Sono stato attaccato da un mostro, e mi sono rotto la colonna vertebrale.»
La figlia di Demetra trattenne il fiato, spaventata.
Immaginò un più giovane John, che alla sola età di undici anni era costretto a vedersela con un tale nemico, rischiando la vita.
Il suo cuore perse un battito, mentre, esitante, gli sfiorava il dorso con il polpastrelli, seguendo delicatamente il macabro percorso di quella ferita.
Il figlio di Apollo sussultò appena, ma non si scompose, lasciandola fare mentre le sue labbra si increspavano in un amaro sorriso.
«Sei solo la seconda persona alla quale la mostro in tutta la mia vita» le disse, voltando appena il capo per riuscire a guardarla con la coda dell’occhio. «La maggior parte delle volte riesco a coprirla con la maglietta, ma lei resta comunque lì, e sono in grado di sentirla.» Si passò una mano tra i capelli, scombinandoseli leggermente. «Il fatto è che capisco il tuo disagio» affermò. «È ciò che provo ogni volta che distrattamente me la accarezzo. Ma poi mi rendo conto che se non fosse per questa cicatrice, io non sarei la persona che è davanti a te, adesso
Si girò verso di lei, incastrando le proprie limpide iridi verdi a quelle caramellate della ragazza. Il suo sguardo era intenso, il suo tono sicuro. «Le cicatrici non sono delle lesioni» le spiegò, con decisione. «Una cicatrice equivale ad una guarigione. Perché significa che sei stato danneggiato, ma che nonostante tutto sei stato abbastanza forte da riuscire a sopravvivere.» Le accarezzò la testa, con amore. «Le cicatrici hanno lo straordinario potere di ricordarci che il nostro passato è reale. Che noi siamo reali. Che siamo veri, puri, e resistenti.»
Dopo di ché abbozzò un lieve sorriso, lasciandole un tenero bacio sulla fronte. «Tutte le persone migliori hanno un qualche tipo di cicatrice.»
«Le cicatrici sono dei segreti, John» gli fece notare allora lei, la voce tremante a poco più di un sussurro. «Sei davvero disposto a rivelarmi il tuo?»
Il ragazzo inclinò il capo di lato, contemplandola con dolcezza. «Farei qualunque cosa, pur di impedirti di stare male.»
Ed era vero, Melanie l’aveva capito. Lo leggeva nei suoi occhi, che brillavano di sincerità. Lo percepiva nel loro contatto, che seppur lieve, le irradiava lampi d’adrenalina lungo tutte le vene.
Senza pensarci, si chinò su di lui, e posandogli la mano dietro la nuca avvicinò il volto al suo per baciarlo.
John non ci mise molto prima di abbandonare un’iniziale sorpresa e schiudere le labbra, prendendole il viso tra le mani e approfondendo quel bacio.
Le loro lingue cozzarono l’una contro l’altra, mentre trepidanti si assaporavano con passione.
La ragazza sentì la morbida erba che frastagliava le sponde del lago premere contro la propria schiena.
Il figlio di Apollo, sopra di lei, la strinse a sé, e i loro corpi combaciarono come due tasselli dello stesso puzzle; alla perfezione, senza lasciare alcuno spiraglio.
Le mani di John esitarono insicure sul collo di lei, sfiorandolo appena. Ma poi il suo palmo scivolò dolcemente sulla sua spalla, scendendo con tenera accortezza lungo il suo fianco. Le sue dita si chiusero sulla sua coscia nuda per via degli shorts, focose, sicure, protettive.
Melanie strinse i capelli del ragazzo nel pugno, avvicinando ancora di più il volto al suo mentre tra un respiro affannato e l’altro le loro bocche continuavano a danzare. Poi, la sua mano si spostò sulla schiena di lui, e con una delicatezza disarmante la figlia di Demetra gli sfiorò la cicatrice.
John emise un sospiro tremante contro le sue labbra, ma non la fermò, né provò alcun tipo di dolore quando la ragazza gliela accarezzò, risalendo dal coccige fino all’atlante. Perché Melanie aveva questo potere, riusciva a farlo essere una persona migliore.
Lo convinceva a sfidare sé stesso, a sconfiggere le proprie paure, e anche se la sua era una capacità involontaria, John non avrebbe mai ringraziato abbastanza gli dei per avergli regalato una persona con un’anima tanto immensa.
La ragazza sentì, per la prima vera volta in quegli ultimi giorni, che tutto questo non poteva affatto essere sbagliato.
Perché lei era di John. E John era suo. 
E niente, neanche la catastrofe più distruttiva dell’intero universo avrebbe potuto spezzare il legame che c’era tra loro.
E allora capì; capì che non era lei a trascinare John sul fondo.
Era lui che la riportava in superficie.
Era lui che la stava salvando.

Angolo Scrittrice.
*In onda tra dieci… nove… otto… sette… sei…
Cinque… quattro… tre… due… uno…*

ON AIR.
Hola, chicos! ¿Como estàn?
¿Todo bien?
ahahah, scusate la mia vena spagnola, ma ultimamente la scuola mi sta dando un po’ alla testa, sìsì.
Alors alors… oggi è martedì, ed io sono ancora qui per ammorbarvi con uno dei miei noiosi capitoli.
Sì, lo so, è un mondo difficile.
But whatevah: questo capitolo è più corto del solito, I know.
Però nonostante sia scritto un po’ da sploff, resta comunque molto importante.
Ma andiamo per gradi.
Innanzi tutto, c’è una sorta di confronto, tra
Skyler ed Emma. Quelle due, ormai, hanno un rapporto che va ben oltre il semplice bene tra due sorelle. Si fidano l’una dell’altra, e questo ce l’ha dimostrato anche la nostra figlia di Efesto, quando desiderava un abbraccio e il suo primo pensiero è stato per l’amica.
Però c’è una cosa che Skyler ignora, e cioè che anche Emma ha dei segreti con lei.
Solo uno, in realtà, ma bello grosso, se si considera il fatto che il diretto interessato è il fratello della mora.
Ormai conosciamo bene il legame che (seppur contorto e alquanto singolare) si è instaurato tra Leo e la figlia di Ermes. Insomma, si sono baciati! E non è solo l’episodio dello scorso capitolo a renderli più uniti di quanto in realtà dovrebbero.
Secondo voi, come andrà a finire? Emma dovrebbe dire la verità a Skyler? O deve continuare a tacere?
Se non glielo confiderà, ci saranno, poi, delle conseguenze?
Si accettano scommesse, nel caso abbiate delle ipotesi ;)
Ma ora, dulcis in fundo, parliamo di Melanie e John.
La loro relazione è un continuo crescendo, fatto di insicurezze, decisioni e dimostrazioni d’affetto che vanno ben oltre il: “Tu mi ami, Pedro? Io ti amo, Pedro.” [mia nonna è fissata con le telenovela, but btw]
La figlia di Demetra teme ancora di non essere la ragazza giusta per John, e lui, per dimostrarle che non è assolutamente così, le mostra la propria, di cicatrice.
Solo Skyler, fino ad ora, aveva avuto il privilegio di vederla; e come afferma il nostro figlio di Apollo, solo due persone, in tutta la sua vita, sono venute a conoscenza della sua esistenza.
Per chi non ricordasse tutta la storia, la trova nel Capitolo 12 de ‘Il Morbo di Atlantide’.
Mostrare quella cicatrice a qualcuno, per lui, è come mettere a nudo la propria anima, e decide di farlo con Melanie proprio perché si fida a tal punto di lei da essere certo di essere al sicuro tra le sue braccia.
Come la ragazza stessa dice: Le cicatrici sono dei segreti, e John le rivela il suo, dato che sa che lei sarà in grado di custodirlo.
Ora, ho approfittato di questa situazione per darvi il mio personale parere sulle cicatrici. Personalmente, le adoro. Certo, a volte sono il ricordo di tanto dolore, ma come afferma John: Senza di loro, molto probabilmente, non saremmo le persone che siamo.
Insomma, le cicatrici ci ricordano che nonostante ciò che ci accade, noi siamo abbastanza forti da superarlo. Voi che ne pensate? Siete in disaccordo con me? Avete un’opinione diversa? Let me know, mi piace conversare con voi, e soprattutto, mi piace conoscere pareri diversi dal mio.
By the way, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto. Che ne dite?
¿Vos ha gustado? Do you think it sucks?
No, okay, scherzi a parte: vi è piaciuto? O adesso siete troppo impegnati a vomitare per leggere questo Angolo Scrittrice? Let me know, sono aperta a qualunque tipo di parere (y)
Penso che stavolta però non basterà semplicemente ringraziare i miei stupendi Valery’s Angles.
Perché? Beh, diciamo semplicemente che il mio cuore è esploso.
204, ragazzi.
204 recensioni, e siamo a malapena al Capitolo 20!
Io sono senza parole, davvero. Non c’è modo per descrivervi tutta la mia gioia e la mia gratitudine di fronte a quel numero immenso.
Sono onorata di tutta la fiducia che riponete in me e nella storia, ma soprattutto vi prometto che mi impegnerò al massimo affinché io non vi deluda, e la storia continui a piacervi. 
Un grazie immenso a tutti coloro che hanno commentato il capitolo precedente, e cioè:
carrots_98, Occhi di Smeraldo, Percabeth7897, stydiaisreal, Kamala_Jackson, fire_in-dark29, _angiu_, ChiaraJacksonStone1606, martinajsd, Myrenel_Bea e _Krios_.
Grazie. Grazie davvero.
E ne approfitto anche per benedire la persona che ha messo la storia tra le ricordate, le 30 che l’hanno messa tra le seguite e le 41 (**) che l’hanno aggiunta tra le preferite!
E anche voi, lettori silenziosi. Siete speciali, davvero. Ed io non potrei essere più felice di così.
Concludo dicendo che sì, avevo intenzione di non pubblicare martedì 23 (causa vacanze di Natale), ma dato che (perlomeno qui da me) si va a scuola, mi regolo con lei, quindi ci vediamo il prossimo martedì con l’ultimo capitolo prima delle Christmas Holiday!
Un bacione enorme, e tanti biscotti blu!
Sempre vostra,

ValeryJackson


 
  
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