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Autore: historiae    16/12/2014    1 recensioni
Cosa fareste se un giorno scopriste che la vostra vita è stata solo frutto della vostra mente?
Gwendolen è una diciassettenne molto particolare. Vive in un famiglia lugubre, e piuttosto asociale.
Trasferitasi a Scarborough, una tetra cittadina inglese, la sua vita cambierá completamente. Farà anche la conoscenza di un ragazzo che si rivelerà essere il suo completo opposto. Presto scoprirá però che non sará stato un incontro casuale. Nascerà un profondo legame tra i due che li terrà uniti fino al momento in cui la ragazza si renderà conto di ciò che realmente è sempre stata.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Era il 1993, quando gli Hades si trasferirono a Scarborough.

Era una piccola famiglia formata da una giovane coppia sui quaranta e dalla loro unica figlia, Gwendolen, di appena quattro anni.

La famigliola era giunta in paese alla fine di settembre, giusto in tempo per il concludersi della fiera annuale, un evento tradizionale del luogo.

Assieme a madre, padre e figlia erano presenti anche nonno e nonna, sposati da più di cinquant'anni e desiderosi di andare a vivere insieme con la loro nipotina.

I genitori amavano la bambina intensamente. Tuttavia alcune volte li sorprendeva.

Frequentava l'asilo, e di tanto in tanto la maestra riferiva di comportamenti insoliti da parte sua: non legava facilmente con gli altri bambini, e preferiva stare sola. Oltretutto non esternava mai le sue emozioni, nè partecipava con interesse alle attività di svago.

Inoltre era sempre piuttosto malinconica.

La maestra chiese se ci fossero disagi in famiglia, se Gwendolen avesse problemi a livello sociale, ma i suoi genitori risposero di no, che era solo una bambina molto timida e un po' particolare, ma non aveva alcun problema.

Spesso la nonna la portava al parco, dove tutti i bambini del paese andavano a giocare tutti i giorni dopo aver terminato i compiti, accompagnati dagli amici, dai fratelli o dai genitori.

La nonna sedeva su una panchina a leggere o a lavorare a maglia, come quasi tutte le nonne.

Era autunno, e i vialetti del parco erano ricoperti di foglie brunastre o dorate, che scricchiolavano e frusciavano al passaggio delle biciclette o dei passanti a piedi.

I bambini giocavano a rincorrersi, andavano in altalena, salivano e scendevano dallo scivolo. Qualcuno si arrampicava perfino sugli alberi e qualcun altro faceva le capriole.

Gwen restava in piedi a fissarli, immobile nel suo abitino nero decorato con un colletto di pizzo bianco. Alla nonna piaceva che fosse sempre elegante, come una signorina.

 

La bambina era quasi disgustata dal comportamento allegro di quei bimbi che non pensavano ad altro che a giocare, quasi come se facessero qualcosa di male. Si domandava dove trovassero tutta quell'energia e quella competitività che li trasformava in piccoli guerrieri pronti a tutto pur di vincere ad una partita di pallone.

-Nonna- domandava. -Perchè sono così felici?-

L'anziana donna si soffermava un istante ad osservare i bambini che correvano nel prato. Dopodichè posava gli occhi sulla nipotina.

Quale differenza. Tutti l'avevano notata: i nonni, la mamma, la maestra...

A volte la bambina se ne usciva con delle domande o delle affermazioni tanto insolite da far accapponare la pelle.

La nonna le rispondeva: -Anche tu dovresti essere felice. Sei sana, non ti manca nulla e hai una famiglia che ti vuole bene. Per questo loro sono felici.-

Ma Gwen non era d'accordo. Era come se capisse più di quanto una bambina della sua età può capire. Quei bambini giocavano felici ignari di ciò che sarebbe potuto succedere in avvenire.

La vita di ognuno è fatta di gioie ma anche di dolori, ed era come se Gwen ne fosse già al corrente, quasi sapesse prevedere il futuro.

La sua figura esile in nero immobile con lo sguardo fisso su di essi inquietava non poco i bambini, che non appena incrociavano i suoi occhi si allontanavano in direzione dei loro amici e ricominciavano a giocare.

Lei sapeva che se si fosse avvicinata nessuno le avrebbe rivolto la parola, e nessuno l'avrebbe invitata a giocare. Forse dietro a quel suo modo di fare nascondeva un po' d'invidia: anche lei avrebbe voluto avere degli amici.

 

Il suo comportamento cambiò quando un giorno, mentre si trovava, come sempre, al parco con la nonna, un bambino poco più grande di lei le si avvicinò e la salutò con un sorriso. Dapprima Gwen fu quasi infastidita e un po' impaurita, ma quando il bambino le chiese -Vieni a giocare con me?- dimenticò il suo malumore, gli diede la mano e lo seguì nel parco. La nonna sorrise intenerita e proseguì con il suo lavoro a maglia.

 

Il ragazzino era un compagno d' asilo di Gwen, e sebbene si conoscessero non si erano mai presentati.

-Io mi chiamo Trent. Tu ti chiami Gwen, giusto?- le chiese.

La bambina annuì, ancora un po' intimidita. Fu così che conobbe colui che sarebbe diventato il suo migliore amico per tutta la durata della sua infanzia.

In poco tempo divennero inseparabili: ogni giorno andavano all'asilo insieme e percorrevano la strada del ritorno tenendosi per mano.

Le poche volte che non pioveva andavano a passeggiare al parco o perfino alla spiaggia, dove il più coraggioso sfidava l'altro a provare il brivido di sfiorare l'acqua gelida del mare. Il vento portava a riva onde altissime, e i due dovevano stare sempre molto attenti a non venirne travolti.

Una volta stanchi di camminare si voltavano per guardare le loro orme nella sabbia. Il ragazzino esclamava sempre divertito: -Guarda quanta strada abbiamo fatto!-

E come sempre, prima di tornare a casa, si salutavano promettendosi di rivedersi il giorno seguente.

La piccola Gwen non poteva essere più felice. Aveva trovato un amico che le voleva bene e lei stessa aveva imparato ad amare qualcuno che non facesse parte della sua famiglia. Non si trattava certo di amore vero, poichè Gwen era troppo piccola per capire cosa fosse, e si accontentava di vedere Trent come il fratellino che non aveva mai avuto.

Quando il suo amico non era con lei, Gwen non usciva quasi mai, come del resto aveva sempre fatto, tranne quando la domenica la nonna la portava a messa con se. Così la bimba si accontentava di ammirare la bellezza della grande cattedrale situata a pochi chilometri dalla sua abitazione.

 

 

La piccola frequentava l'ultimo anno di asilo. Era un po' gelosa quando vedeva il suo unico compagno di giochi Trent parlare con le altre bambine.

Una in particolare sembrava rivolgergli più attenzioni di quanto lei non facesse. Ma quando Gwen le si avvicinava lei, intimorita, si allontanava.

Forse era il suo atteggiamento scontroso ed inquietante, a spaventarla. Forse il suo sguardo, che da dolce ed innocente quale può avere una bambina diventava minaccioso ed ostile come pochi.

 

Spesso, quando fuori imperversava il temporale e in aula ci si annoiava, i bambini si divertivano a costruire un nascondiglio apposito, e seduti in cerchio attorno ad una candela accesa ideavano uno dopo l'altro racconti di terrore, alcuni più paurosi di altri, altri ancora perfino divertenti.

La maestra non aveva assolutamente nulla da dire. Se i suoi piccoli alunni si divertivano non poteva esserci nulla di male. Anzi, spesso si univa a loro contribuendo a rendere l'attività ancora più piacevole.

A Gwen piaceva, questo gioco. E il che era positivo, poichè in genere non amava per niente stare insieme ai suoi compagni.

Ma ciò che preoccupava la maestra era la reazione di questi nell'udir parlare la bambina quando veniva il suo turno.

Erano spaventati prima ancora che aprisse bocca, probabilmente poiché quella figuretta pallida si sarebbe accinta di lì a poco a narrare una storia dal tema angoscioso.

Era come sempre Trent, a difenderla dagli sguardi malevoli, e dato che imparava pian piano a conoscerla meglio aveva smesso da tempo di averne timore. Anche se in verità non ne aveva mai avuto.

Rimaneva tuttavia attonito quando, ogni volta che i due progettavano di incontrarsi, dopo essersi allontanato dalla città di parecchi metri sopra il livello del mare, si ritrovava di fronte al cancello di casa Hades.

Sebbene le inferriate nere come la pece e le alte mura antiche della villa in stile gotico apparissero, nella mente del bambino, terribilmente sinistre trovava quel fascino e quel mistero perfettamente coerenti con la personalità della sua piccola amica. Era il suo regno. Chi altri avrebbe potuto vivere lì?

 

 

***

 

 

Trascorse un anno. Nella famiglia Hades entrò a far parte un nuovo membro: una simpatica e meravigliosa gatta dal pelo nero lucente e gli occhi dorati che Gwen chiamò con il nome di Regina, poichè era elegante e altezzosa come sa essere una dama reale.

Quando la bimba cominciò a frequentare la scuola i suoi genitori seppero dalla professoressa di lingue che la loro figlia era la più brava della classe: studiare le piaceva, e aveva anche scoperto di avere una passione sfrenata per l'arte e il disegno.

Tuttavia la bambina non si trovava affatto bene con i suoi compagni di scuola, dato che questi ultimi la prendevano spesso in giro a causa del suo comportamento schivo definendola 'Gwen la solitaria'.

La scuola elementare non era come l'asilo. Era decisamente peggio: le bambine parlavano soltanto di Barbie e vestiti, i maschietti di figurine e di calcio.

In fin dei conti era molto meglio stare sola che annoiarsi partecipando a discorsi poco o per nulla interessanti. L'unica differenza, qui, era che i bambini erano un poco più grandi, anche se, secondo Gwen, non dimostravano di esserlo.

 

Intanto, giorno per giorno, anche lei diventava grande e si faceva sempre più carina.

Fortunatamente nella sua classe c'era anche Trent, il suo compagno di banco. Erano sempre insieme: all'intervallo, a mensa, all'entrata e all'uscita da scuola. A stento, Gwen rivolgeva la parola ad altri suoi compagni, soprattutto alle bambine. A volte era Trent, che tentava di convincerla ad andare a giocare in cortile. Lei non ne voleva sapere. -Non ne ho voglia.- rispondeva sempre allo stesso modo.

Poco tempo dopo, il signor Hades, dopo un altro colloquio con la professoressa, venne a sapere che alcuni genitori avevano vietato ai loro figli di parlare con la bambina poiché la reputavano di cattiva compagnia senza nemmeno averla conosciuta. L'avevano vista soltanto una o due volte all'uscita da scuola e ne erano probabilmente rimasti colpiti in modo negativo, inquietati dal suo aspetto lugubre e dal suo atteggiamento riservato e all'apparenza minaccioso.

-Che cosa ti puoi aspettare dalla figlia di un impresario di pompe funebri?- dicevano con sarcasmo i padri alle madri, alcune delle quali avevano solamente sentito parlare della bambina dai loro figli, e il fatto di non conoscerla personalmente lasciava loro spazio all'immaginazione, la quale faceva apparire la bimba nelle loro menti come una creatura piccola ma spaventosamente ostile.

Tuttavia nessuno osava dare torto a queste dicerie. Quasi tutti, in paese, conoscevano gli Hades, e tutto sommato, sapendo che il loro capofamiglia non operava certo in uno dei settori lavorativi più esaltanti, non c'era da meravigliarsi che la figlia fosse stata influenzata dal carattere del genitore, dal suo modo di pensare, e certamente anche da quei discorsi seri e sempre piuttosto tristi che il più delle volte si tenevano a casa quando qualcuno domandava: “Come procede il lavoro?”

 

Alcuni tra gli anziani del paese, tra cui alcune conoscenti della nonna, non facevano che affermare, ogni volta che capitava di scambiare quattro chiacchiere con quest'ultima, il loro disappunto sul fatto che la sua nipotina non avesse amici e fosse così diversa dagli altri bambini.

La nonna difendeva sempre la piccola. Tutto sommato non le sarebbe piaciuto perdere conoscenti, e meno ancora essere sulla bocca di tutti poiché faceva parte della famiglia.

Gli Hades non avevano vicini di casa, e men che meno amici, forse non intenzionalmente o forse per scelta personale. L'ultima persona di cui la gente avrebbe dovuto parlare male era proprio Gwen. Sapeva essere dolcissima, se qualcuno si rivolgeva a lei con gentilezza era disposta, anche se non sempre, a ricambiare le attenzioni e ad offrire la sua disponibilità.

 

***

 

Trascorsero altri tre anni. Era la fine di dicembre, e Gwen aveva da poco compiuto nove anni. La sua vita andava avanti spensierata. Come sempre trascorreva le giornate in compagnia di Trent o in camera sua a giocare con la sua gatta.

Quell'anno la neve era arrivata tardi, ma come ogni inverno non mancava mai. Ogni sera, prima di coricarsi, alla luce di una candela, Gwen andava alla finestra della sua stanza e osservava la città, piena di luci e di neve. Talvolta, se era fortunata, poteva scorgere una falce di luna tra il nero delle nubi che ricoprivano le case. Come se fosse stata una sua amica, la bambina le augurava la buonanotte, e quella falce sottile, che appariva come un sorriso simpatico, pareva ricambiare.

Gwen non aveva bisogno di amici.

I suoi veri amici erano speciali, come lei: chi altri può ricevere sinceri sorrisi dalla luna, avere come confidente una gatta, giocare a nascondino con la notte, nei momenti tristi piangere assieme alla pioggia e parlare con il mare? La sua vita non avrebbe potuto essere migliore.

 

Ma un brutto giorno, passato Natale, la bimba si ammalò.

 

Inizialmente i suoi genitori credevano si trattasse di una semplice influenza. Ma quando improvvisamente la sua temperatura corporea salì a 41°C e ripetute convulsioni dovute alla febbre iniziarono a colpirla, capirono che le stava succedendo qualcosa di grave. Terrorizzati, una sera di gennaio corsero all'ospedale più vicino e chiesero che fosse ricoverata d'urgenza. La febbre aveva di nuovo preso a salire velocemente nel giuro di poche ore, e tutti avevano temuto il peggio. Fortunatamente i medici riuscirono a far scendere la temperatura fino a stabilizzarla, ma dissero che, per precauzione, la bambina avrebbe dovuto rimanere in ospedale. Dissero che era disidratata e molto debole, e che avrebbe avuto bisogno di parecchio tempo per riprendersi. Quando ai signori Hades venne dato il permesso di vederla, si strinse il cuore a entrambi nel vedere la loro bambina addormentata in un letto d'ospedale, così minuscola e pallida quasi quanto le bianche lenzuola. Il pensiero che avrebbero potuto perderla scatenò il loro un tale senso d'angoscia che preferirono uscire da quella stanza, ma non prima di averle dato un bacio di 'arrivederci'. Già, perchè continuarono a sperare di poterla rivedere il giorno seguente.

Nessuno chiuse occhio, quella notte. Nemmeno la dolce Regina, che accucciata sulla finestra della camera di Gwen miagolava sconsolata, come se piangesse di nostalgia per la sua padroncina.

 

A scuola la bimba mancava già da qualche giorno, e durante le lezioni Trent non faceva che posare lo sguardo sul banco vuoto accanto al suo, chiedendosi quando mai e se la sua migliore amica sarebbe tornata. Fu quel giorno, che venne a sapere da un suo compagno di classe dove stava Gwen e cosa le era successo. Quest'ultimo lo aveva a sua volta saputo dal professore, a cui era stato riferito tutto dal signor Hades. Aveva preferito non informare Trent della malattia della sua amica per non farlo soffrire, ma non era riuscito a tenere il segreto molto a lungo.

Era passata una settimana, da quando la bambina era stata ricoverata d'urgenza. I suoi genitori avevano ricevuto una telefonata nella quale il dr. Cassidy, il medico che l'aveva in cura, diceva di voler parlare con loro. Marito e moglie non persero tempo, e quel pomeriggio si precipitarono in ospedale.

Il dr. Cassidy li accolse con un'aria triste, e il che mise ancora più in allarme i genitori della bambina. Li invitò a seguirlo nel reparto di terapia intensiva e li fece accomodare nel suo studio per parlargli con più tranquillità.

-Purtroppo devo darvi una brutta notizia.- cominciò. -Abbiamo eseguito due esami del sangue e una biopsia del midollo osseo, e abbiamo rilevato un tumore maligno. Temo si tratti di leucemia.-

La madre di Gwen si scusò con il dottore e disse che sarebbe uscita a prendere una boccata d'aria. Sembrava sul punto di svenire. Il signor Hades trovò la forza per restare e sentire cos'altro il medico avesse da dire.

-Pensiamo che sia troppo tardi per sottoporla a chemioterapia. Le sue difese immunitarie ormai sono a terra, fatica a mangiare, a parlare e a muoversi. Dice di sentire freddo giorno e notte, e vuole solo dormire.-

-Quanto le resta, dottore?- chiese il padre di Gwen, lottando per non piangere.

-...Poco più di tre settimane, signor Hades...-

 

Sentirsi dire che la sua figlioletta di appena nove anni non sarebbe mai più uscita dall'ospedale fece crollare in pochi minuti ogni sua speranza. Immaginò come sarebbe stata la vita senza Gwen: non avere più nessuno da accompagnare a scuola, nessuno a cui raccontare favole la sera, nessuno da portare con se ad accendere le candele al cimitero, nessuno da veder crescere.

Ringraziò il medico ed uscì. Trovò la moglie in lacrime, e la strinse tentando di farle forza. Ma chi può sollevare il morale di una madre che sa che dovrà dire addio per sempre alla sua bambina? Soltanto qualcuno che le dica che non dovrà farlo. Ma non avrebbe mai sentito quelle parole.

Quando i medici diedero il permesso ai genitori di salutare -forse per l'ultima volta- la bambina, fecero ingresso nel reparto tre persone: il piccolo Trent accompagnato dai suoi genitori. Questi ultimi, che ancora non avevano fatto conoscenza con gli Hades, si presentarono nel peggior momento. I genitori di Trent dissero che il bambino li aveva pregati di accompagnarlo all'ospedale a trovare la sua amica che stava molto, molto male. Ed ora erano tutti lì tra la disperazione e l'apprensione, pronti a salutare una creatura tanto cara.

Il piccolo Trent guardò con soggezione il medico che stava in piedi accanto alla porta chiusa della stanza di Gwen. Intuendo che fosse un amico della sua piccola paziente, quest'ultimo gli sorrise e gli disse: -Puoi entrare.-

 

Il ragazzino entrò nella stanza. Le pareti erano dipinte di un bianco quasi accecante, e vi era un odore di lattice e disinfettante ovunque. C'era soltanto una finestra, una poltroncina bianca, un minuscolo armadietto e infine un letto. Non si udiva altro che il suono regolare di un frequenzimetro che stava sul comodino accanto ad esso. Sembrava che la stanza fosse deserta. Trent, che era piccolo di statura, non riuscì subito a individuare la figura che giaceva sul letto,ma quando si arrampicò sullo sgabello lì accanto finalmente la vide.

-Gwen?- sussurrò.

La bimba si voltò lentamente, come se fosse un poco indolenzita, e appena riuscì a distinguere chi aveva davanti sorrise dolcemente e mormorò: -Ciao, Trent...-

Aveva un aspetto stanco ma un'espressione serena, non sembrava che il suo stato d'animo risentisse della malattia. Durante quella settimana era dimagrita in un modo impressionante, e la sua vocina flautata era ridotta a poco più di un sussurro.

-Come stai?- le chiese il ragazzino. Gwen era tanto cambiata che quasi non l'aveva riconosciuta. Ma seppur più gracile e più debole di un tempo non aveva perso quella luce speciale che aveva negli occhi.

-Hanno detto...che sono tanto malata...- oramai era in grado di pronunciare solo poche parole per volta. -Ma io mi sento bene.-

Quell'espressione serena sul suo volto era segno inequivocabile che oramai per lei stava per giungere l'ora di andarsene.

-Quando tornerai a giocare con me?- chiese di nuovo Trent.

-Io non potrò...tornare a giocare con te- la bimba si fermò e fece due colpi di tosse. -Andrò via, e non potrò tornare.-

E sebbene avesse solo nove anni sembrava aver compreso da sé che presto avrebbe lasciato tutto e tutti. -Ma io sarò...- mormorò tendendo la mano al suo visitatore -...tua amica per sempre.- E si strinsero la mano per l'ultima volta.

Quale ingenuità, quale innocenza. In fondo cosa ne sanno i bambini, della morte? Solo chi la vede, sa spiegarla. Per chi la prova è troppo tardi per descriverla. Qualcun altro, invece, qualunque età abbia, la sente prima del tempo.

 

In quel mentre erano entrati nella stanza anche i genitori di Gwen. Nel vedere la scena gli si strinse nuovamente il cuore.

-La tua mamma ti sta aspettando fuori, Trent.- gli disse con gentilezza la signora Hades.

-Spero che ci rivedremo presto- disse a Gwen il ragazzino, ignaro -anche se non potremo più giocare insieme.-

Il padre di Gwen si era avvicinato al giaciglio della bimba e teneva le mani dietro la schiena come se nascondesse qualcosa.

-Ti ho portato un regalo.- disse, sorridendo.

Poco prima di uscire tristemente dalla stanza, Trent vide il signor Hades estrarre da dietro la schiena e porgere alla figlia una splendida e maestosa rosa dai petali neri che profumava d'inverno e di purezza. Quanto era bella. Che dolcissimo pensiero. Nel vederla, il volto di Gwen assunse un'espressione di stupore e meraviglia. Purtroppo non era stata privata delle spine, e per far sì che Gwen non rischiasse di pungersi, il signor Hades chiese di poterla mettere in un vaso.

L'aveva estratta da uno dei suoi innumerevoli bouquet funebri che venivano prodotti sul suo luogo di lavoro. La bimba ringraziò il padre per il magnifico dono, ed egli chiese di poter parlare per un momento con sua figlia.

Una volta rimasto solo con lei, vide il suo volto incupirsi improvvisamente. Intuì che volesse dirgli qualcosa e si sedette accanto a lei per ascoltarla. Fu allora che udì una domanda che lo sconcertò.

-Papà...tu hai mai visto la morte?-

Il buon padre dovette sforzarsi di non piangere per non mostrarsi debole e sconvolto davanti alla bambina. Decise però di risponderle con più sincerità e semplicità possibile.

-Purtroppo sì, piccola, tante volte.-

Per più di vent'anni Emil Hades aveva vissuto e lavorato a contatto con essa. Aveva visto tante gente piangere, tante vite andarsene, e aveva perfino conosciuto le persone, ancora vive, ma prossime alla morte, di cui avrebbe organizzato i funerali. Se c'era qualcuno esperto in materia, quello era lui.

-Ma sai- riprese -la morte non è cattiva. Non è come quella delle storie del terrore che raccontano i tuoi compagni. E' una vecchina buona, che viene da te per dirti che con te la vita ha fatto un errore e che devi ricominciare da capo, o che la tua vita ha fatto il suo corso e che è tempo che ti riaccompagni a casa. Ma non ti fa del male. Ti porta soltanto...a casa.-

L'uomo aveva sentito anche parecchie testimonianze di persone che avevano avuto esperienze pre-morte, o persone così prossime ad andarsene che dicevano di vedere sempre più spesso la morte in carne ed ossa.

Rivolse di nuovo lo sguardo alla bambina e le chiese: -Tu l'hai mai vista?-

Gwen si irrigidì per un istante e non parlò. Deglutì come se volesse trattenere il pianto.

-È proprio davanti a me...- sussurrò, sottovoce.

-E ne hai paura?- le chiese di nuovo il padre, che aveva avuto la conferma che la sua figlioletta sarebbe passata a miglior vita di lì a poco.

-...No.- rispose Gwen, dopo un momento di esitazione, e un lieve sorriso ricomparse sul suo visino candido.

Piccola, coraggiosa Gwen.

 

Quando suo padre se ne andò, la bambina non resistette e volle ammirare più da vicino quel fiore meraviglioso che le era stato regalato. Con movimenti lenti raggiunse il comodino e lo raccolse delicatamente tra le mani. Odorò il suo profumo e la ammirò per attimi infiniti per imprimersi nella mente la sua immagine, per non scordarla mai.

 

Ma toccando quella rosa commise un errore fatale.

Si punse con una spina e subito cominciò a sanguinare. La ferita non era profonda, e Gwen, credendo che non si trattasse di un problema grave, non disse niente a nessuno. Quella sera si addormentò molto presto, e dormì senza interruzione per tutta la notte.

 

***

 

Trascorse un'altra settimana. Un lunedì di febbraio i genitori di Gwen si recarono di nuovo in ospedale per vedere la loro bambina e sapere come stesse. Purtroppo, però, quando finalmente poterono parlare con il dr. Cassidy, egli non gli diede il permesso di visitarla. Marito e moglie, sconvolti, gli chiesero il motivo. Il medico disse innanzitutto che le condizioni della piccola erano peggiorate e che, da quanto avevano visto dagli esami del sangue effettuati, la malattia si era aggravata.

-Per qualche motivo è entrata in uno stato di incoscienza. Non apre gli occhi da tre giorni. Sembra sia caduta in una specie di coma. Si sta spegnendo lentamente. Temo che presto non respirerà più.-

Quando la signora Hades chiese ancora una volta il permesso di vederla, il dr. Cassidy ebbe compassione e acconsentì.

Così Emil e Victoria Hades videro per l'ultima volta la loro figlioletta immobile come morta in un letto d'ospedale, con affianco una rosa bruna quanto i suoi capelli.

-Non può vedervi. Non può sentirvi. Non sappiamo se percepisca la presenza di altre persone. Mi dispiace tanto, signora Hades. È il momento di dirle addio...- diceva tristemente il dr. Cassidy mentre i genitori della piccola le rivolgevano le ultime parole.

 

***

 

 

Il 21 febbraio 1998, a mezzanotte e tredici minuti, Gwendolen Virginia Hades smise di respirare.

A mezzanotte e trenta venne dichiarata morta.

 

Tutti quanti erano preparati all'evento, ma fu lo stesso un grande shock. La notizia diffuse dolore e tristezza. Fu struggente, per il signor Hades, organizzare il funerale di sua figlia.

Quando si recò per l'ultima volta in ospedale, i medici gli rivelarono la vera causa del decesso della bambina. Fu insolito, ma purtroppo l'uomo non ebbe altra scelta che credere alle parole che udì: sua figlia si era punta con una delle spine della rosa che le era stata regalata, fino a sanguinare, e la ferita aveva sviluppato una brutta infezione. Questa era stata la causa scatenante del peggioramento della sua malattia. Un'innocua puntura l'aveva portata alla morte.

 

Il giorno dopo la sepoltura, avvenuta nel grande cimitero di Scarborough, qualcuno andò a bussare alla porta di casa Hades. La madre di Gwen intuì che fosse qualcuno venuto a fare le condoglianze, ma quando aprì il portone trovò un fanciullo che ben conosceva.

-Come sta Gwen? È tornata a casa?-

Trent aveva uno sguardo colmo di speranza e allo stesso tempo colmo di preoccupazione. La donna si commosse come faceva sempre quando sentiva nominare la figlia. Sapeva che prima o poi si sarebbe abituata all'idea, ma per il momento le sembrava ancora di vivere in una sorta di sogno confuso senza fine.

-Oh caro...nessuno te lo ha detto?- chiese, piangendo. A quanto pareva la notizia non era arrivata fino a Trent e alla sua famiglia.

Il bambino pianse qualche lacrima, quando la signora Hades gli disse che Gwen se n'era andata per sempre. Anch'egli non ci credette subito, ma quando si rese conto che per tutto il tempo che era rimasto lì la sua amica non era venuta a salutarlo come aveva sempre fatto, capì che lei non c'era davvero più, e che da quel momento sarebbe cambiato tutto.

 

 

 

Quella che venne non fu affatto un'estate felice per gli Hades, e la forte luce del sole e la vita attiva del paese, contrapposte al loro dolore, contribuirono ad accrescere la loro depressione. Le tende alle finestre rimasero perennemente chiuse, come del resto accadeva tutte le estati. Mai un raggio di sole osò entrare.

I più impensieriti erano i genitori del signor Hades, i nonni della bambina: vedevano infatti che marito e moglie non riuscivano a superare quel terribile trauma, e temevano per la loro sanità mentale.

 

Anche l'estate finì e ritornò l'autunno. I due coniugi non accennavano a stare meglio.

 

Tornò l'inverno, e un giorno di metà febbraio nonna Hades li vide piangere mentre constatavano con amarezza che era trascorso ormai quasi un anno dalla morte della loro amata figlia.

Fu in quel momento che l'anziana donna decise che avrebbe tentato di cambiare le cose, e diede fondo a tutta la sua buona volontà.

 

 

Nonna Hades aveva una dote nascosta: era una medium, cioè diceva di saper comunicare con gli abitanti dell'aldilà. Non aveva mai rivelato a nessuno queste sue capacità poiché quandunque l'avesse fatto era certa che nessuno l'avrebbe presa sul serio. Nemmeno suo figlio si era fidato più di tanto, quando glie l'aveva comunicato. Ma quando un giorno, mentre si trovava con lui nell'obitorio di un vecchio ospedale di Londra e gli dimostrò il suo talento chiamando il nome di un uomo suicida che era stato portato lì, ottenendo come risposta il frastuono dei cocci di vetro di una finestra che cadevano a terra, allora il signor Hades le credette, ma la invitò a non esibire mai più le sue capacità né in pubblico né in famiglia, per nessun motivo. Purtroppo la donna era sempre stata un osso duro ed era solita ignorare i consigli che le venivano dati: proseguiva e portava a termine sedute spiritiche malgrado fossero pericolose, interpellava persone decedute anni prima malgrado ricevesse spesso segnali bruschi e devastanti.

Si può dire che cercasse guai.

Quella volta volle spingersi ben oltre. La notte stessa preparò tutto ciò che le sarebbe servito: alcuni libri contenenti antichi rituali occulti di stregoneria, candele, amuleti sacri, sale e quant'altro.

Serrò porte e finestre e diede inizio all'opera.

 

Per poter confortare e allietare i genitori di Gwen, aveva deciso che avrebbe tentato di rievocare lo spirito della bambina così che la sua famiglia avesse potuto salutarla un'ultima volta. Aveva tutte le buone intenzioni, ma quella era stata come sempre un'idea folle.

 

Il rituale iniziò a mezzanotte precisa.

In genere quell'ora della notte ha un significato particolare per gli spiriti, e nel mondo terreno è l'ora più silenziosa, quando sembra quasi che il tempo si fermi.

La donna accese tre candele e sparse un cerchio di sale intorno a se per proteggersi dalle entità maligne nel caso ne avesse incontrate.

Dopo qualche minuto di concentrazione prese il rosario tra le mani, e dopo aver detto una preghiera incominciò a chiamare il nome della nipotina.

Nella stanza regnava un silenzio tombale, e una piccola porzione di spazio era illuminato soltanto dalla luce fioca delle tre fiammelle e dalla luce della luna che filtrava tra le tende. La donna continuò imperterrita a pronunciare il nome della bambina defunta fino a che ad un certo punto le fiammelle delle candele cominciarono a traballare. Non vi era alcuna corrente d'aria, e la donna intuì che potesse trattarsi di un segno della presenza di uno spirito. Ma siccome non sapeva di chi si trattasse decise di porgli una domanda: -Gwendolen, sei tu?-

Le fiamme ormai erano scosse da un forte tremito e nella stanza si era insinuato un freddo siderale. -Se sei qui- riprese la medium -spegni le candele!-

Un soffio di vento spense le fiamme in un sol colpo e la stanza sprofondò nel buio. L'evocazione era riuscita. Lo spirito aveva dato una chiara risposta all'incredula nonna Hades: di lì a poco la sua nipotina Gwen si sarebbe manifestata a lei completamente.

Quando un rumore simile ad un fischio assordante cominciò d'un tratto a pervaderle l'udito, la donna si impietrì per un istante.

Durante quei momenti le emozioni forti non erano mai troppe, e non sapeva se il suo debole cuore di anziana sarebbe riuscito a reggerle a lungo termine.

In pochi secondi quel sibilo frastornante si tramutò in un suono ancora più angosciante: il pianto incessante di una bambina, struggente come un canto funebre, lontano come un eco sommesso.

-Redit domum*- recitò la medium, e il lamento parve avvicinarsi sempre di più. La donna cercò di riaccendere le candele ma non vedeva a un palmo dal suo naso, e non ci riuscì. Fu in quell'attimo, che capì di non essere sola nella stanza. Percepiva una presenza spostarsi continuamente sopra la sua testa. Ed era certo che non si trattasse di una presenza umana. -Et surge et ostendit**!- recitò di nuovo.

 

Il rituale si concluse. Il portale per l'aldilà si chiuse appena in tempo perchè la medium gli portasse via una delle sue anime con una chiamata e la imprigionasse nel mondo terreno. La piccola Gwen, smarrita e confusa, si ritrovò a vagare senza meta tra i vivi. A metà strada del viaggio che si accingeva a percorrere per tornare da dov'era venuta, era stata brutalmente strappata via dalla sorta di limbo in cui era entrata, per tornare nel mondo fisico. E ciò non le era piaciuto affatto. Non faceva altro che piangere sconsolata vagando di luogo in luogo, pervasa dalla tristezza e dalla rabbia verso gli uomini e verso chi l'aveva condannata a quella tortura. Era come se vivesse in una dimensione senza tempo, senza passato, presente o futuro, costretta ad aleggiare incorporea tra le strade della città grigia.

Arrivò fino al mare e stette laggiù fino all'alba ad osservare le onde dietro un velo di lacrime, mentre una pioggia torrenziale scrosciava sulla battigia.

 

 

***

 

 

All'alba nonna Hades si mise a dormire per non destare sospetti. Per quel giorno nessuno si accorse di niente, e ciascun membro della famiglia svolse le proprie attività quotidiane indisturbato.

Fu la notte seguente, che cominciarono a succedere cose strane. Non fu affatto una notte tranquilla per la nonna di Gwen, che sebbene volesse prendere sonno le fu impossibile poiché era troppo emozionata in attesa di veder ricomparire il fantasma della nipote. Quando finalmente sembrò appisolarsi venne svegliata da un forte tintinnio, come se delle sottili catene di ferro oscillassero urtandosi a vicenda. Il vento soffiava più forte del solito e il suo sibilo rimbombava dovunque. La donna accese la luce per potersi alzare e chiudere la finestra che sbatteva violentemente. Quando l'ebbe sprangata e si accinse a tornare a dormire, la lampadina d'un tratto si fulminò e lei si ritrovò di nuovo al buio. Immediatamente la luce cominciò a lampeggiare in ogni stanza della casa. Il signor e la signora Hades si destarono allarmati, e ipotizzarono che ci fosse un cortocircuito per via del temporale. Ma quando andarono a controllare non notarono niente di strano. Il padre del signor Hades, che dormiva al piano di sotto, corse più in fretta che poté in camera della moglie per vedere cosa stava succedendo. Fu inoltre il primo a giurare di aver sentito un sibilo assordante nei pressi delle scale che conducevano al primo piano della casa. Pochi minuti dopo anche gli altri tre iniziarono a lamentarsi di un forte fastidio alle orecchie.

La luce continuava a lampeggiare senza sosta.

Sopra la casa era già comparsa una presenza.

Come accade la notte precedente, dopo pochi minuti il sibilo si trasformò in un pianto straziante che si udì in ogni angolo della casa.

Il signor Hades riconobbe immediatamente la voce di sua figlia, e scosse la testa per essere certo di non trovarsi in un sogno. Si guardò intorno cercando di capire da dove provenisse la voce, ma essa continuava a spostarsi. La signora Hades era terrorizzata, e in cuor suo si chiedeva come e se una cosa simile potesse essere possibile.

-Gwen?- disse il signor Hades. Non appena pronunciò quel nome il gemito si fece più nitido.

-Gwen, mostrati, siamo qui per te.- ordinò la nonna.

In quell'istante l'ingegno e la razionalità pervasero la mente del signor Hades, e lui capì tutto. Guardò la madre con severità e un lume di rabbia gli attraversò lo sguardo.

-Che cos'hai fatto?- le chiese. Ma piuttosto che una domanda risuonò come un'aggressiva accusa. -Come hai osato farlo?!-

-Emil, non capisci- si difese l'anziana, con voce tremante. Le parole di entrambi erano costantemente accompagnate dal lamento che ancora vagava nell'aria. -L'ho fatto perchè tua figlia potesse ricongiungersi a noi e perchè voi poteste averla di nuovo accanto.-

-Come hai osato fare una cosa simile?! Quante volte, mamma, ti dissi di non prenderti gioco dell'altro mondo?! Quante volte ti dissi che sarebbe stato pericoloso, che non avresti mai saputo a che tipo di conseguenze saresti andata incontro?! Perchè non hai lasciato che le cose andassero com'era destino? Perchè non mi hai voluto dare ascolto?-

Quasi come esito della furia dell'uomo, la tempesta che imperversava fuori divenne ancora più impetuosa di quanto non lo fosse già. La luce nella stanza non voleva smettere di accendersi e spegnersi a intermittenza.

La lite tra madre e figlio si interruppe non appena il padre del signor Hades fece notare, indicando un angolo del soffitto, che una strana figura stava prendendo forma davanti ai suoi occhi. Nessuno potè distinguerla a causa del continuo alternarsi di luce e buio, finchè gli occhi della madre riconobbero, seppur per un brevissimo istante di illuminazione, il volto candido della figlioletta. Fu una visione sfumata, quel volto non poteva essere in alcun modo materiale. Ciò che lasciò sconcertata la giovane donna fu l'espressione terrorizzata e avvilita della creatura che non accennava a smettere di piangere così disperatamente.

-Gwen- trovò il coraggio di dire la signora Hades -piccola mia, è la tua mamma, che ti parla, so che puoi sentirmi. Non avere paura, andrà tutto bene.-

-Stà certa che troveremo un modo per aiutarti.- cercò di tranquillizzarla il signor Hades.

I suoi genitori potevano percepire chiaramente la sua presenza, grazie soprattutto al legame che li aveva da sempre uniti.

Fu in quel millesimo di secondo, che il padre vide l'espressione addolorata della bambina mutare in un'espressione di spietata ferocia.

Nonno Hades notò quasi per caso gli occhi dello spirito puntarsi su di lui.

Mai nella vita vide uno sguardo più terrificante.

Il lamento che poco prima infestava l'abitazione si trasformò d'un tratto in un agghiacciante grido di disperazione, proprio mentre l'anziano uomo vedeva fissi nei suoi gli occhi di quel fantasma dallo sguardo infernale. Quello sguardo che gli fu fatale.

Il suo cuore cedette e lo colse un infarto quella notte stessa, poco prima che lo spirito si allontanasse dalla casa.

 

 

 

Continua...

 

 

 

*Redit domum: “Torna a casa”

**Et surge et ostendit: “Risorgi e mostrati”

 

  
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