Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: historiae    09/11/2014    0 recensioni
Cosa fareste se un giorno scopriste che la vostra vita è stata solo frutto della vostra mente?
Gwendolen è una diciassettenne molto particolare. Vive in un famiglia lugubre, e piuttosto asociale.
Trasferitasi a Scarborough, una tetra cittadina inglese, la sua vita cambierá completamente. Farà anche la conoscenza di un ragazzo che si rivelerà essere il suo completo opposto. Presto scoprirá però che non sará stato un incontro casuale. Nascerà un profondo legame tra i due che li terrà uniti fino al momento in cui la ragazza si renderà conto di ciò che realmente è sempre stata.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Gwen aveva cominciato ad uscire più spesso. Naturalmente non tutti i giorni, ma trascorreva molto meno tempo chiusa in camera sua.
Aveva realizzato che Scarborough era una cittadina molto poco affollata, e dato che per lei non era affatto piacevole trovarsi in mezzo a tanta gente, poteva dire di sentirsi molto più a suo agio.
Era ancora pieno inverno e la ragazza, imbacuccata nel suo cappotto nero, ogni tanto, prima o dopo scuola, si recava al solito vecchio cimitero dove, nel silenzio più tombale, amava passeggiare in tutta tranquillità.
Lo spesso strato di neve attenuava il rumore dei suoi passi e ricopriva col suo bianco scintillante le lapidi e le statue di pietra su cui talvolta andava a posarsi qualche uccellino infreddolito. Tra i rami degli alti pini che crescevano tra la neve si udiva il gracchiare dei corvi che lasciavano i loro nidi per andare in cerca di cibo. I fiori erano tutti appassiti e la maggior parte degli alberi erano completamente spogli.

Un altro magico inverno. Inutile dire che era la stagione che amava di più, con il suo silenzio, la sua pace e i suoi colori spenti.

Un'altra meta di Gwen era un piccolo parco poco distante dalla sua amata cattedrale. Avrebbe dovuto essere un parco per bambini, ma sembrava essere stato abbandonato: non c'erano giochi o attrazioni di alcun tipo. Soltanto uno spiazzo deserto con qualche albero e poche panchine.
Il gelido vento di dicembre muoveva appena due altalene dalle catene ormai arrugginite.
Era questo a rendere quel luogo inquietante ma allo stesso tempo affascinante: Gwen ricordava che alcuni dei suoi romanzi dell'orrore preferiti descrivevano scene ambientate in luoghi simili: case, ospedali, scuole e parchi abbandonati ma ancora popolati dai fantasmi di bambini che un tempo vi giocavano allegramente di cui, se si ascoltava attentamente, si potevano ancora udire le voci.

Ogni giorno, a scuola, Trent era sempre lì ad aspettarla, e quando possibile trascorrevano tutta la giornata insieme. Uno dei loro passatempi preferiti era passeggiare in riva al mare, nonostante la brezza dell'oceano fosse gelida.
Così fecero anche quel giorno.

-Devo ammettere che la spiaggia in inverno non è così male.- diceva Trent.
-Non voglio che cambi idea soltanto per fare felice me- rispose la ragazza.
-No, sono serio.- ribadì lui.
Gwen tirò scherzosamente un calcio ad un sasso, sorrise e prese per mano Trent.
Improvvisamente il ragazzo cambiò argomento e fece a Gwen una domanda alquanto strana.
-Ci credi ai fantasmi?-
Gwen si impietrì per un istante. Non si sarebbe mai aspettata una domanda così da Trent. Il ragazzo ricordò che la prima volta che aveva visto la casa di Gwen gli era saltata alla mente l'idea che potesse essere una casa infestata: nel giardino aveva intravisto una statua dal volto velato, che somigliava davvero ad un fantasma.

-Ho detto qualcosa di sbagliato?- chiese Trent, visibilmente stranito.
-Non dovresti pensare a queste cose.- disse Gwen. -Il mio è un consiglio. Potresti pentirtene.-

-Come lo sai?- chiese lui.

-La mia famiglia ne ha avuto a che fare.-

Trent si fece serio. -Che cosa vuoi dire?-

-Avevo una nonna che era appassionata di occulto e che diceva di praticare sedute spiritiche. Diceva di vedere e sentire cose al di là dell'ordinario. Molto spesso parlava da sola, e ricordo che a me piaceva stare nascosta a sentire ciò che diceva.

Nessuno nella mia famiglia le credeva, e i miei genitori non volevano sapere di ascoltarla. Le dicevano di farla finita e di smetterla con quelle pratiche ridicole. Ma so che lei non ascoltò nessuno e continuò a praticarne. Ricordo che per un periodo divenne mentalmente instabile e io stessa, che le volevo bene, cominciai ad avere paura di lei. E per qualche strana ragione anche lei cominciò ad avere paura di me. So che venne ricoverata in una clinica psichiatrica e che i medici la rilasciarono dopo soli due mesi. Poi decise di fuggire.

Non ricordo altro di lei. Non so nemmeno dove sia in questo momento. Non so nemmeno se sia ancora viva.- concluse Gwen.
Trent ascoltava, angosciato ma allo stesso tempo terribilmente incuriosito.
-Posso sembrare cattiva dicendo questo, ma sono felice che se ne sia andata dalla nostra vita. Spero tanto di non rivederla mai più.-
-Per quanto ne sai potrebbe essere già morta...- azzardò Trent.


La pioggia li colse nuovamente di sorpresa, e i due, dopo un saluto, dovettero correre a casa.

Gwen non lo ammetteva mai, ma ogni tanto le capitava di pensare alla sua infanzia. Era sempre stata circondata di persone che le volevano bene, tra queste i suoi genitori. Anche se non aveva molti amici era una bambina felice, a cui piaceva giocare anche da sola. Nonostante fosse una ragazza giovane la sua esistenza fino a quel momento le appariva come una vita terribilmente travagliata. Soltanto il pensiero di una persona, la metteva a disagio: la sua vecchia nonna.

Talvolta nella sua mente si formava un groviglio di immagini e di parole a cui non riusciva a dare un ordine. Nei giorni in cui orribili ricordi l'assalivano lei era distante da tutto e da tutti, come se non esistesse, completamente assorta e chiusa in se stessa, quasi... un fantasma.
Alcune volte nemmeno Trent riusciva a parlare con lei, e riceveva soltanto uno sguardo vuoto o un mezzo sorriso.
Perfino in classe, talvolta, Gwen si distraeva e rimaneva immobile per interi minuti ad osservare il cielo spento e incolore.
Pensieri strani le attraversavano la mente, pensieri su se stessa, sulle persone e sul mondo che la circondavano. Pensieri che svanivano nel nulla dissolvendosi come vapore non appena il professore la richiamava per accertarsi che stesse seguendo la lezione.
Inoltre la notte le capitava di fare strani sogni. Ed erano così insoliti e confusi che difficilmente riusciva a dimenticarli. Sognava spesso la neve: distese infinite di prati innevati dove lei, bambina, stava immobile, piccola ed innocente, infreddolita, scalza, come un'orfanella. E ogni volta, guardandosi intorno, scorgeva davanti a se un piccolo e grazioso bocciolo dai petali neri. Un bocciolo di rosa, sparso di minuscole gemme di neve. Ogni volta, a quella visione, Gwen si sentiva stranamente felice. Ma al risveglio non era più così: era turbata e confusa, e ricordava solo pochi particolari del sogno. Poco dopo però tornava tutto alla normalità, e la ragazza cercava di riportare alla mente il magnifico prato innevato dov'era stata in sogno, e quella pura ed eterea rosa nera come il corvo che tanto la incantava.


***


Erano i primi di gennaio, e il secondo semestre stava per giungere al termine. Trascorsero settimane molto impegnative per Gwen, come per Trent e per il resto degli studenti. Quasi ogni giorno dovettero affrontare interrogazioni e compiti in classe.
Gwen trascorreva le giornate in casa a studiare, china sulla scrivania o distesa sul letto sommersa di fotocopie, tesine e appunti. Il bianco delle pagine pareva brillare a contrasto con la sua figura completamente abbigliata di nero abbandonata tra i libri.
Una volta rimasta sola e impegnata a fare il suo dovere non si lasciava distrarre da nulla, nemmeno dall'incessante ticchettio delle gocce d'acqua che colpivano il vetro dell'alta finestra acuminata della sua stanza. La tempesta imperversava da giorni, e la pioggia aveva sciolto gli ultimi sprazzi di neve.

Dopo l'ultimo giorno di esami la quarta classe si riunì davanti alla bacheca nell'atrio della scuola dov'erano esposti i risultati dei compiti in classe. Gwen, appena riuscì a leggere i suoi voti, scoprì con sorpresa che aveva superato tutti i test brillantemente. Entusiasta e soddisfatta la ragazza sorrise esultando mentalmente e, dopo aver recuperato i suoi libri si apprestò a entrare in classe. Proprio in quel momento si imbattè in Trent, e vide che aveva un'aria demoralizzata. Gli chiese cosa fosse successo e lui rispose che purtroppo non aveva superato il compito di chimica.
-Mi dispiace- fece Gwen. -C'è ancora tempo, puoi sempre rimediare.- lo rassicurò poi. Trent sembrò sentirsi più sollevato, ma solo un poco.
Anche lui era sempre stato un ragazzo studioso, ma a differenza di Gwen non riusciva a mantenere la concentrazione a lungo: gli venivano a mente gli amici, i suoi programmi per il weekend, la prossima serata all'insegna del divertimento, il prossimo concerto, la prossima vacanza. Come per tutti i ragazzi della sua età era arrivato il momento di allontanarsi da casa. Sentiva il bisogno di sole, di mare, di compagnia, di musica e relax. Tutto ciò di cui non vedeva l'ora era che arrivasse l'estate: quanto gli mancavano il campeggio e le gite in barca...
Naturalmente desiderava anche avere più tempo libero da trascorrere in compagnia di Gwen. Ripensava sempre con piacere ai momenti passati con lei, attimi di vita così diversi da quelli che aveva vissuto fino al momento in cui l'aveva conosciuta. Era come se in un certo senso gli avesse aperto un mondo: un mondo completamente differente dal suo, un mondo nuovo, così oscuro e speciale, così tremendamente affascinante. Dal primo incontro con Gwen, il suo sguardo lo aveva colpito come un fulmine, facendogli credere sin da subito che lei non fosse una ragazza come le altre. Era questo il motivo per cui ne era perdutamente attratto. Ed era ciò che dal profondo del cuore era riuscito a confessarle, poco prima di baciarla all'ombra delle volte della mastodontica cattedrale di Scarborough.

Gwen, a differenza di Trent, invece, non vedeva affatto l'ora che arrivasse l'estate. Anzi, aveva già cominciato a prepararsi psicologicamente alla stagione calda. Ancora pochi mesi e la scuola sarebbe finita. Un pessimo segno che significava l'imminente arrivo della stagione reputata da lei la più odiosa. Ogni estate si prometteva di non lasciare la sua camera per niente al mondo, promessa a cui rigorosamente si atteneva. Tuttavia non le dispiaceva nemmeno avere più tempo libero da trascorrere con Trent. Si disse per cui che se fosse uscita l'avrebbe fatto soltanto dopo il tramonto, come un piccolo sfuggente pipistrello che non compare mai alla luce del giorno.

Anche se era cambiata poco, da quando aveva conosciuto Trent, la ragazza sentiva di essere diventata più gentile, generosa e altruista, valori che prima non possedeva affatto.
Sia Gwen che Trent avevano notato come fosse sorprendente il fatto che due persone così totalmente diverse tra loro potessero scoprire di volersi bene a tal punto da amarsi. Ognuno ammirava qualcosa nell'altro. Gwen ammirava la capacità di Trent di essere così estroverso; Trent ammirava a Gwen il fatto di avere una visione della vita così incredibile.
Lui era il sole, lei la luna. Lui la luce, lei la notte. Lui il fuoco, lei la neve. Eppure erano fatti l'uno per l'altra.


***

Circa una settimana più tardi Gwen, prima dell'inizio della lezione, chiese a Trent se avesse potuto dargli una mano a studiare per recuperare l'esame di chimica. Il ragazzo però dovette rifiutare per ovvi motivi:
-Vedi- fece Trent, con una nota di imbarazzo nella voce. -Qualche giorno fa Jenny si è offerta per darmi ripetizioni tre volte a settimana e ho accettato. Spero che non ti dispiaccia...-
Gwen era dispiaciuta, ma in fin dei conti non le importava molto che Trent avesse preferito prendere lezioni di chimica dalla ragazza più brava della classe. Jennifer Curley, per gli amici Jenny, era alta, bionda, con occhi castani e dannatamente secchiona. All'apparenza poteva avere un'espressione da brava ragazza, ma Gwen non la pensava così.
"Via, deve solo dargli ripetizioni di chimica, che sarà mai?" si ripeteva mentalmente Gwen, cercando di negare a se stessa il fatto di essere un poco gelosa. Con tutte le sue forze si convinse di nuovo che di quella Jennifer non le importava nulla.
-Come va, Trent?-

 

Parli del diavolo...
 

-Non c'è male- fece lui.
-Ti andrebbe bene di trovarci a casa mia questo pomeriggio per le ripetizioni?- continuò Jenny con una voce stridula e un sorrisetto da civetta stampato sulla faccia.
-Andata- fece Trent.
Jenny ammiccò e tornò a sedersi al suo posto. Trent guardò Gwen con aria desolata, come se volesse chiederle perdono. La ragazza sorrise a quell'espressione e lo tranquillizzò dicendo che per lei non vi era alcun problema.

Il giorno dopo Gwen li vide di nuovo confabulare accanto alla porta dell'aula. Dubitava che stessero parlando di chimica. Era sicuro come l'oro, Jenny ci stava provando. Fortunatamente Trent non sembrava prestarle molta attenzione, poiché di tanto in tanto rispondeva accennando un saluto ai suoi amici che entrando in classe gli passavano accanto.
Probabilmente si erano dati un appuntamento per studiare, pensava Gwen, sperando che fosse così. E il loro prossimo appuntamento sarebbe stato ancora per le ripetizioni? Probabilmente non ancora per molto.
Gwen vide Jenny dirigersi verso di lei, e si rimise a cercare i suoi libri fingendo di non averla notata. Jenny le passò accanto e sorrise, come se fosse stata sua amica. Gwen non ricambiò, anzi le lanciò un'occhiata indifferente e si affrettò a entrare in classe.


***

Passò un'altra settimana. Le giornate trascorrevano monotone, e non accennava a voler smettere di piovere.

Una notte Gwen sognò di nuovo lei stessa da bambina, sola in un prato innevato, e come sempre là, a pochi passi da lei, spuntava un bocciolo di rosa di un color nero intenso. In tutta la sua vita non aveva mai visto un fiore di così rara bellezza, una delicatezza così pura e, così oscura e solitaria.
Come in ogni sogno la bambina, estasiata, si avvicinò alla rosa per raccoglierla, ma, come sempre, non ci riuscì. In quel momento un fulmine squarciò il cielo accompagnato da un tuono potente, e improvvisamente di fece buio. Il vento prese a soffiare impetuosamente facendo ondeggiare le cime degli alberi. Gwen, in quel luogo sperduto completamente sola, era spaventata.
Era sola nel bosco innevato, nascosta tra gli alberi secolari. D'un tratto un fulmine colpì uno di essi, e la piccola gridò di spavento.

 

Gwen si svegliò di soprassalto, con le immagini confuse di quel sogno che ancora vorticavano nella sua mente. Sperava di essersi finalmente liberata di quell'incubo, ma non c'era niente da fare. Non capiva cosa volesse dirle, e più ci pensava più non riusciva a trovare risposta.
Il temporale l'aveva svegliata: i tuoni rimbombavano fragorosi e i lampi illuminavano la stanza per frazioni di secondo.

Gwen era frustrata, tormentata, come la tempesta là fuori, e non sapeva perchè. Sentiva come se qualcosa di orribile potesse succedere da un momento all'altro. Forse erano tutte paranoie causate dall'orrendo sospetto che Trent potesse tradirla...
Si alzò e corse a tirare le tende.
Finalmente era di nuovo buio.


***


A scuola Trent aveva preso a comportarsi in modo strano.
Con Gwen parlava poco, e se lo faceva si lamentava degli impegni che aveva e dei troppi compiti assegnatigli. Inoltre era molto concentrato sullo studio. Una cosa positiva, si direbbe, pensava Gwen ogni volta che Trent diceva di voler uscire con lei ma di non potere per via delle ripetizioni di chimica.
Alcuni giorni il ragazzo sembrava persino volerla evitare. Che cosa nascondeva?
Gwen non era una ragazza possessiva: giustamente anche Trent aveva la sua vita e lei non intendeva di certo impedirgli di fare ciò che voleva.
Un tempo era lui a cercarla di continuo, a seguirla ovunque lei andasse e talvolta perfino mandarle dei fiori. Un bellissimo gesto, a parere di Gwen.
Ora Trent era distante, e sembrava aver perso quell'interesse quasi ossessivo che aveva per lei. E ciò era triste, perchè Gwen gli voleva bene, e dopotutto le faceva piacere ricevere tutte quelle attenzioni che lui le riservava. Era l'unico che le pareva tenesse davvero a lei. Ora sembrava considerarla improvvisamente una semplice amica.
Come sempre durante l'intervallo Gwen rimanva in classe, poichè non aveva voglia di unirsi agli altri ragazzi. Quando pioveva nessuno usciva in cortile, e tutti stavano in corridoio. Gwen aveva notato di nuovo Trent e Jenny parlare tra loro. Sembravano andare molto d'accordo, come se si conoscessero da una vita. Questa volta ne era certa, era sicuro che non stessero parlando di chimica.
"Smettila di raccontarti storie, vedrai che non è quello che sembra." si diceva Gwen, parlando tra se e se.
Ma Trent era sempre più distante, e questo faceva crollare tutte le sue certezze.

Andò avanti così per parecchi giorni.
Ogni mattina, all'entrata da scuola, il ragazzo si limitava a rivolgere a Gwen un semplice saluto, quasi volesse sfuggirle al più presto possibile.

Arrivò il giorno in cui Trent dovette sostenere il suo esame di chimica per recuperare l'insufficienza. Grazie alle ripetizioni di Jenny lo superò a pieni voti, e già si preparava a festeggiare.
Gwen, intenzionata ad andare da lui per congratularsi, ebbe purtroppo una brutta sorpresa.
Sfortunatamente assistette all'ultima scena che avrebbe voluto vedere: Jenny si avvicinò a Trent, sorridendo; lui le avvolse la vita con un braccio e i due si scambiarono un bacio fugace.
Trent si accorse della presenza di Gwen quando oramai era troppo tardi.
La ragazza sfuggì al suo sguardo appena in tempo per correre via. Sentì Trent chiamarla, ma non voleva saperne di ascoltare cosa avesse da dirle. Era tutto lì, davanti ai suoi occhi. Non aveva bisogno nè di spiegazioni nè di giustificazioni da parte del ragazzo. Non intendeva rimanere lì un minuto di più. Aveva solo voglia di andarsene. Via, via da quel posto orribile. Pieno di persone false. Maledetti. Tutti uguali. Doppie facce. Ipocriti. Traditori.
Nessuno come Gwen era capace di tali pensieri, nei momenti di collera: impulsi d'ira, istinti omicidi. Le immagini più macabre l'assalivano, insieme al pensiero più orribile: avrebbe pagato per saperli tutti quanti sottoterra.
Gwen si affrettò a raggiungere l'uscita pensando che forse una volta allontanatasi e rimasta sola si sarebbe calmata.
Trent tentò di fermarla ma non ci riuscì. Prima di vederla scomparire scorse per un attimo una lacrima scenderle veloce per la guancia.
All'uscita la ragazza incrociò lo sguardo di Jenny, e fu in quel momento che la rabbia più feroce che potesse mai provare si scatenò.
Nell'attimo in cui Jenny notò la sua espressione si intimidì non poco.
Gli occhi di Gwen parevano indemoniati. In quelle gemme nere come il carbone ardevano le fiamme dell'inferno. Per un attimo si fecero strada negli occhi castani della malcapitata, le scrutarono l'anima per poi lasciare la presa e cambiare direzione.
Jenny, un poco scossa, cercò di dimenticare quel momento e tornò a cercare Trent.



***



Una strana sensazione invadeva Gwen da parecchi giorni. Una strana, orribile sensazione. Si sentiva persa, abbandonata. Davanti a se, il nulla. Un buio ancora più nero di quello che già era presente aveva avvolto lei e la sua vita.
Aveva ancora quella scena fissa nella mente: un bacio, fra Trent e un'altra ragazza che a malapena conosceva, un'altra ragazza che non era lei.
Ogni giorno Gwen li malediceva dando sfogo alla sua rabbia più repressa.
Soltanto le fusa della dolce Regina sembravano acquietarla un poco. Fuori, anche il cielo pareva comportarsi al suo stesso modo. Piangeva ininterrottamente, come Gwen versava una lacrima dopo l'altra, il cielo, quasi a confortarla, piangeva con lei.
Dalla finestra della sua stanza la ragazza poteva scorgere uno spiazzo del suo giardino. Le gocce di pioggia scorrevano sul volto puro e marmoreo di una piccola statua posta accanto ai cespugli di rose. Una piccola Madonna velata, sofferente, con lo sguardo rivolto al cielo.

Alcuni sono bravi, pensava Gwen, a nascondersi sotto un velo di gentilezza, di amicizia e di simpatia.
Ma cosa c'è al di là del velo? L'opposto di ciò che vediamo, oppure niente.

***


Gwen usciva di casa soltanto per andare a scuola, ma per lei non erano certo buone giornate. Seduta immobile nel suo banco in fondo all'aula, trascorreva le ore ad osservare con aria triste l'albero spoglio che stava davanti alla finestra. Ad un ramo era rimasta appesa ancora una foglia. Una piccola foglia brunastra che si dondolava nel vuoto.

Quel giorno lo maledì Trent col pensiero quando egli, rivolgendosi a lei, provò a spiegarle le sue ragioni e tentò di farsi perdonare per quanto successo.
Gwen non lo degnò di uno sguardo. Rimaneva impassibile con lo sguardo rivolto verso la finestra. Udiva ogni sua parola, e ognuna di queste era una pugnalata dritta al cuore. Non voleva ascoltare, non voleva sentire. Con tutta se stessa avrebbe desiderato andarsene, per restare da sola, ma era bloccata, non poteva fare nulla. Serrava le palpebre e con la mente implorava il ragazzo di non dire una parola di più, mentre una grossa lacrima le scendeva di nuovo per la guancia.
Con quella lacrima anche l'ultima foglia sull'albero spoglio del cortile cadde a terra. Quell'albero non aveva più nulla, nemmeno una compagna di vita: il vento se l'era portata via per sempre.

Quel pomeriggio Gwen andò di nuovo a fare visita alla sua amata cattedrale, l'unico luogo dove riusciva a trovare un po' di pace. Spesso era là, che, una volta in solitudine, si abbandonava ad un pianto silenzioso e liberatorio.
Gli angeli statici che costellavano i pilastri delle navate avevano uno sguardo sconsolato, rivolto verso il basso, mentre le loro ali immobili non sembravano intenzionate a schiudersi.

Prima di tornare a casa, la ragazza si diresse ancora una volta al vecchio cimitero. Il vento aveva spazzato via tutte le foglie cadute, ed ora le incisioni di ciascuna lapide erano ben distinguibili.
La luce già tendeva a calare.
Percorrendo l'ultimo tratto di terreno che la separava dal cancello, Gwen si fermò e si guardò alle spalle, convinta di aver sentito un rumore sospetto. "E' solo il vento." pensò tra se e se.
Quando si voltò, lo sguardo le cadde su una delle innumerevoli lapidi che costellavano il prato, e per un attimo il suo viso assunse un'espressione di puro terrore.
 

Un'inquietante visione le fece raggelare il sangue.


Vide il suo nome completo inciso sulla tomba, senza alcuna data scritta di seguito.


In un attimo tutto quanto tornò com'era prima. Gwen, scioccata, con gli occhi sgranati e il fiato corto per lo spavento, lesse meglio il nome inciso sulla pietra e capì di essersi sbagliata. Come poteva esserci la sua tomba in quel cimitero se lei era viva e vegeta? Perchè ad un tratto aveva avuto quella terribile allucinazione?
Non raccontò niente a nessuno. Continuò a farsi domande e, impaurita, quella notte non riuscì ad addormentarsi.



***




Era sempre un duro colpo, per Gwen, vedere Trent ogni giorno a scuola. Come se non bastasse, il ragazzo diventava ogni giorno più strano: era come se in qualche modo la temesse, sembrava apparirgli come una minaccia, un pericolo.
Tutto si fece più chiaro quando, un giorno, la ragazza lo udì parlare con i suoi amici in corridoio.
-Hai più saputo niente di Jenny?-
-No.-
-Hai provato a chiamarla?-
-Ha sempre il telefono spento.-
-Forse sta male.-
-Mi piacerebbe saperlo. Sono preoccupato.-
Trent era preoccupato per Jenny?
-Mi raccomando, avvisaci se riesci a contattarla.-


Gwen realizzò che effettivamente Jenny non si faceva vedere a scuola da un po'. Probabilmente un'influenza, pensò, niente di grave. La ragazza si sentì sollevata, al pensiero che non l'avrebbe avuta attorno ancora per qualche giorno. Inutile dirlo, la sua presenza non le era gradita.
Smise di stare in ascolto e si allontanò, con un sorrisetto compiaciuto.


***


Tempo dopo, una mattina, al notiziario delle 7:00 venne annunciata la scomparsa di una ragazza, avvenuta, secondo i testimoni, nella notte del primo febbraio, ovvero da circa quindici giorni.
I genitori, naturalmente disperati, sostenevano di averla vista per l'ultima volta la sera prima, e di non averla trovata nella sua stanza la mattina seguente.
Sostenevano anche che da parecchi giorni manifestava un comportamento insolito: parlava pochissimo, aveva timore a stare sola e controllava di continuo che porte e finestre della casa fossero state chiuse a dovere.
Inoltre si rifiutava categoricamente di andare a scuola, dicendo di sentirsi poco bene.
I suoi genitori avevano ordinato alla polizia di dare inizio alle ricerche la mattina stessa della sua scomparsa.
Agli ufficiali erano stati forniti documenti, fotografie e quant'altro.
La fototessera della carta d'identità ritraeva una ragazza giovane, sui diciassette anni, con occhi castani e capelli biondi.

Il suo nome era Jennifer Curley.




In paese si era sparsa la voce, e naturalmente anche a scuola. Quando Gwen udì la notizia sentendo per caso la conversazione tra due docenti, rimase di stucco.

In un primo momento si sentì in colpa per averla disprezzata tanto. Ma poi ricordò il feroce sentimento di rabbia e lo struggente sconforto che aveva provato quando lei aveva distrutto la sua storia con Trent, e non potè fare a meno di sentirsi nuovamente sollevata al pensiero di essersene liberata per sempre.
Il banco vuoto di Jenny infondeva malinconia e apprensione nei ragazzi di quarta classe. Trent, più di tutti, era sconvolto. Non negava, però, che l'ultima volta che l'aveva vista aveva un'aria strana: era agitata, molto agitata. Non poteva fare a meno di sentirsi in pensiero per lei. E forse non sapeva neanche lui il perchè, ma non poteva fare a meno di pensare che Gwen c'entrasse con tutto ciò, o peggio, che fosse la responsabile dell'accaduto.

Fu un pomeriggio, che Trent decise di andare in fondo alla faccenda. Gwen si dirigeva, sola, verso il suo armadietto per prendere i suoi libri e tornare finalmente a casa, quando lo vide venirle incontro. Non aveva un'espressione amichevole. Pensò immediatamente di andarsene. Non voleva ascoltarlo, non voleva più saperne niente di lui e della sua nuova ragazza, non voleva soffrire ancora. Fece per allontanarsi, ma Trent la fermò e con un gesto brusco la bloccò con le spalle al muro per paura che fuggisse, e la costrinse a guardarlo negli occhi. Gwen non la prese affatto bene.
-Che cosa vuoi?-
-Lo so che sei stata tu.-
-Non provare a toccarmi!- la ragazza, in preda all'ira, colpì Trent in pieno viso. Quest'ultimo allentò la presa che le impediva di muoversi.
Lei era innocente, non aveva nessuna colpa. Come poteva trattarla a quel modo? Oltretutto dopo averla ignorata per giorni.
La guardava con un'espressione minacciosa, un insieme di rabbia e di paura. Non era la prima volta che Gwen scorgeva la paura nei suoi occhi.
-Da quando ti ho incontrato succedono cose strane. Charlie è morto, Jennifer è scomparsa, non può essere solo una coincidenza! Non so come tu abbia fatto, Gwen, ma io so che è stata opera tua.-
-Tu non sai niente, di me, niente!- Gwen, trattenendo a stento le lacrime, riuscì a liberarsi da quella trappola e a correre a casa, lontana da Trent, lontana da tutti.


***


La ragazza si chiusa la porta della sua camera alle spalle, lasciò cadere lo zaino sul pavimento e si accasciò sul letto, la testa adagiata sulle braccia, i capelli corvini che le coprivano in parte il volto segnato dalle lacrime.
Percepiva una sensazione di intorpidimento, un nonsochè di paura e tristezza insieme. Era la consapevolezza di essere rimasta sola, e che nulla sarebbe cambiato. Era sola, come la luna, unica fonte di luce in un cielo notturno coperto di nubi; sola, come quella piccola rosa nera che appariva nei suoi sogni.
Qualche tempo prima Trent non sarebbe stato capace di farle del male o di accusarla come aveva fatto quel giorno. Era vero, lei non poteva sopportare Jennifer, ma come poteva pensare che fosse davvero lei la responsabile della sua sparizione? Ora la reputava persino una criminale, un'assassina, ferendola nel profondo più di quanto non avesse già fatto.




***




Due giorni dopo, il notiziario della sera annunciò che non lontano dalla città era stato ritrovato il corpo della ragazza scomparsa, in stato di shock: qualcosa o qualcuno doveva averla spaventata a morte e poi probabilmente uccisa, così aveva riferito un agente.
Assieme al corpo di Jennifer era stato ritrovato anche il suo telefono cellulare, dove fu rinvenuto un sms indirizzato proprio al numero di Trent, ma mai inviato.
Il messaggio diceva: "Il suo sguardo... perdonami, Trent."

Suicidio.

Il corpo non presentava segni di ferite, nè contusioni o acqua nei polmoni.
Il decesso era avvenuto per arresto cardiaco, secondo i medici probabilmente causato da un'overdose di farmaci.
Ma l'autopsia non rilevò tracce di sostanze chimiche.
E come si spiegava lo stato di shock?





***





Quella notte, per la prima volta, Gwen sognò Trent: era nella sua stanza, accanto alle tende tirate davanti alla sua finestra acuminata, e le porgeva una rosa color rubino. La ragazza gli sorrideva per ringraziarlo di quel dono così prezioso, ma non appena prendeva il fiore tra le mani, esso si tingeva improvvisamente di nero.
Trent non sembrava accorgersene, le stava dicendo qualcosa.
"Guarda che meraviglia, Gwen. Oggi c'è il sole!"
E una luce copiosa inondò la stanza. Luminosa, accecante, una tortura per l'anima, bruciava sulla pelle.
Gwen si coprì il volto emettendo un agghiacciante grido di dolore.




***





"21 Febbraio, ore 23:00

Due giorni fa ha ricominciato a nevicare.
Sembra tutto così strano, nella mia testa è tutto così confuso. Credo di avere perso ogni cosa.

Non riesco ad amare, nè ad essere felice, nè ad essere triste.
Credo di non essere più capace di provare emozioni.
Credo di non sapere più chi sono, ormai.
Ho cessato di esistere. Non potrò più vivere. Non potrò più vederti, Trent.
Mai più."





A mezzanotte Gwen fuggì da casa. Uscì sulla neve senza nemmeno indossare le scarpe.
La fioca luce della luna che filtrava tra le nubi illuminava un poco la strada. La ragazza non sentiva freddo. In realtà aveva completamente perso la sensibilità alla temperatura.
Corse a perdifiato imboccando un sentiero che si addentrava nel bosco. Le sembrava di impazzire, tutto sentiva esserle nemico, perfino se stessa.
Solo poco dopo capì di aver preso una scorciatoia per un luogo che lei conosceva bene: il vecchio cimitero di Scarborough.

Tutto taceva. Il cancello era spalancato, come se quel luogo attendesse il suo arrivo. La ragazza lo varcò per l'ennesima volta.
All'ombra della notte gli alberi spogli erano neri come la pece, i rami scheletrici si ergevano verso il cielo come artigli minacciosi.
Gwen nel frattempo si era fermata.
Poco lontano da se qualcosa aveva attirato la sua attenzione.
Un raggio di luna cadeva sulla neve e illuminava i petali di una bella rosa nera che cresceva maestosa spuntando dalla terra.
Che stupenda visione. Probabilmente si trattava ancora del solito sogno, pensava Gwen, anche se non ne era del tutto convinta. Non pensò nemmeno di darsi un pizzicotto al braccio per assicurarsi che fosse tutto vero.
Alla vista di quel fiore si sentì di nuovo inspiegabilmente felice. Quella rosa le infondeva un sentimento di gioia, di libertà, di serenità.
Senza rendersene conto, ammaliata, si era avvicinata di qualche metro, per osservarla più attentamente.
Non sembrava trattarsi di un'illusione o qualcosa di simile. Era reale.

Con movimenti lenti la ragazza fece per raccoglierla, ma non appena la sfiorò si punse accidentalmente con una spina.
Emise un lamento, e vide tre minuscole gocce di sangue cadere sul bianco della neve.

Pochi secondi dopo cominciò a sentirsi strana: le girava a la testa, e la sua vista si era indebolita. Sentì suoni di ogni genere, udì i rumori più angoscianti che potessero esistere. Trascorsero pochi minuti, ma alla ragazza parvero un'eternità. Si sentì improvvisamente immobilizzata, come se qualcosa le impedisse di pensare e agire. D'un tratto fu colta da un fremito, simile ad una sensazione di panico.
Fu assalita da visioni macabre, allucinazioni terribili, pensieri che nemmeno la mente più disturbata avrebbe potuto creare. Vide se stessa, il terrore dipinto in volto, gli occhi rosso sangue, torturata ed uccisa nei peggiori modi immaginabili, il sangue che scorreva a non finire.
Quando l'allucinazione finì, Gwen cominciò a sentire voci confuse invaderle la mente, sovrapporsi una all'altra come un unico sussurro incomprensibile. Se prestava attenzione, però, poteva percepire una voce più acuta ed invadente, simile alla voce di un bambino, che con un tono lugubre sussurrava.... “Non esisti... Non esisti... Non esisti!”
Sull'orlo della pazzia, Gwen gridò sperando che qualcuno la sentisse, ma non potè nemmeno udire la sua stessa voce. Udiva solo quei sussurri confusi dentro la sua testa.
Non passò molto tempo che le allucinazioni ricominciarono: questa volta la ragazza vide apparire davanti a se il volto di sua nonna, pallido, gli occhi vuoti, le rughe sul viso. Con sguardo ostile le sussurrava, con voce rauca: “Torna a casa...”
Come poteva sapere dove fosse? Troppi, troppi pensieri affollavano la mente di Gwen, e quelle voci sembravano ripeterli ad alta voce.
Per un istante le parve di riconoscere la voce di Jenny. Fu di nuovo colta da una strana sensazione, questa volta simile ad un forte senso di colpa.

Per un attimo tutto tornò a tacere. Gwen riacquistò la lucidità mentale e cercò di fare ordine nei suoi pensieri. Era ancora scioccata per quanto successo. E la ferita doleva ancora. Com'era possibile che la spina di una rosa potesse provocarle tali allucinazioni? Gwen riprese a correre. Doveva allontanarsi da quella creatura della terra, non sapeva perchè ma doveva farlo.
Corse e corse, ignorando i lievi sussurri che ancora si contorcevano nella sua mente, ora troppo affievoliti per comprenderne le parole.
Si fermò per riprendere fiato. Un silenzio innaturale regnava nel bosco.
Gwen, ormai pervasa da un sentimento di inquietudine, da non molto tempo si sentiva osservata. Non sapeva nemmeno perchè si trovava lì, e perchè stava fuggendo. Qualcosa l'aveva portata lì. Ora doveva fuggire e basta.
Sorpresa da un suono sinistro si voltò di scatto.

E di nuovo le si gelò il sangue, alla vista di quello spettacolo agghiacciante: durante tutto il tragitto che aveva percorso non aveva lasciato orme nella neve.


Com'era possibile, si chiedeva, come? Lei era lì, non poteva essere altrove. Che cosa stava succedendo? Che fosse...? No, non poteva essere.
Sconvolta, riprese a correre. Si inoltrò sempre di più nel bosco, finchè sentì nuovamente la vista offuscarsi e i sensi indebolirsi.
La sua corsa rallentò, e le parve di sentirsi sempre più leggera. Ora poteva di nuovo udire chiaramente un'infinità di voci aggirarsi velocemente attorno a lei. Spaventata, non potè fare altro che continuare a correre. Era logico, sapeva benissimo che non poteva esistere una voce senza un corpo in grado di emetterla. E la ragazza, in quel momento più che mai, era convinta di non essere sola.
Non passò molto tempo e sentì di non avere più il controllo del suo corpo. Si guardò alle spalle per essere certa di non essere inseguita. Nemmeno lei sapeva da chi o da che cosa.

D'un tratto la sua vista svanì completamente. Fu costretta a fermarsi, mentre avvertì di nuovo quella scossa di terrore invaderla dalla testa ai piedi. Stavolta era certa di non essere sola.
Imprigionata nel buio dei suoi stessi occhi, non potè vedere nulla.

Accadde tutto in un millesimo di secondo.

Qualcosa si impossessò di lei.

I suoi occhi si fecero bianchi come il marmo.

Sentì una presenza afferrarla e trascinarla con se, quasi la ragazza fosse stata una foglia leggera rapita dal vento.
Il suo ultimo grido si perse lontano.

Solo in quel momento comprese che n'era stato di lei, ciò che era realmente stata fino a quel momento.


Morta.




 

Continua....

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: historiae