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Autore: Ladyally    08/11/2008    1 recensioni
Remus lo attende impaziente, parte, poi, alla ricerca dell'amato e, durante il tragitto, il ricordo lo assale. Ambientata durante la notte della morte dei Potter.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scrosciante presente travolto da rivi rimembranti

Piove.
La pioggia piomba dal plumbeo cielo e precipita a terra con pesanti tonfi che rendono torbide le pozze smosse. Non s’ode nulla se non l’aere percossa e ferita da quei liquidi cristalli che altro non sono che stille del triste creato. Una macchina passa e l’acqua piovana sprizza alta, quasi sembra voler fare ritorno ai lumi del mondo, ma non riesce e cade. Ivi ancor si riversa e si sparge. Muta.
Remus, seduto davanti ai vetri rigati di gelidi rivi, la compiange fissandola e vorrebbe uscire e attutire il suo rattristante rovinare, ma nulla può per essa: non ha il potere di fermare il tutto, può solo osservare silente. Solleva la manica e guarda le lancette dell’orologio rincorrersi. È ormai tardi e non è ancora tornato. Si domanda dove è finito, se è accaduto qualcosa, ma frena il pensare, o, almeno, crede di esservi riuscito per qualche istante, poiché, tuttavia i pensieri e i timori riprendono a scorrere e fluire rapidi, travolgendogli l’ansioso cuore.
Afferra la tazza a lui vicina e l’oblioso liquido le labbra gli scotta ed egli la finestra apre, in modo da venir colpito dall’aria di ottobre tramontante, la quale la bocca gli bacia e il dolor seco, in apparenza, trascina.
Si sporge un poco e attorno si volge: ombrelli colorati i volti celano, non distingue il suo corpo tra quelli dei passanti e si domanda: perché? Perché non è tra loro?
Apprensivo. Ecco cos’egli di lui direbbe se ivi fosse. Lo canzonerebbe, con un sorriso sussurrerebbe che non c’è motivo di darsi pensiero, che è più versatile del celebre Ulisse, ma che ama il modo in cui il suo viso si macchia d’affanno. E allora l’ansia, la tensione, tutto scorrerebbe via dal suo corpo: un bacio di lui farebbe evaporare quei pensieri, a differenza di quello del soffio del mondo, il quale il tocco dell’amato tenta di simulare, cagionando, però, con la leggerezza, il raggela mento del cuor.
Non può attendere oltre, deve sapere, così s’adopera per contattare gli amici, ma ogni suo tentativo è vano. Cerca, allora, in ogni dove le scarpe, ma anch’esse sembrano essere scomparse, poi, d’un tratto, ricorda di essere stato trascinato, qualche ora prima, nel letto a forza da mani impazienti e desiderose di lui, così in camera si precipita e le scorge sotto al talamo, luogo in cui le aveva senza remora abbandonate prima di venir divorato da coperte pesanti e possenti labbra. Mentre allaccia i lacci aggrovigliati, sorride, non riesce a frenare l’affiorare dell’amore al pensiero di lui e dei suoi modi di fare. Follemente spontaneo.
S’affretta alla porta: la giacca è un’armatura contro gli attacchi del tempo nemico, ma l’ombrello, scudo amico, è stato abbandonato in qualche dove ed egli, privo di tempo da dedicare alla sua ricerca, a meno ne fa ed esce.
Le nubi si rompono, la volta celeste si spacca e su lui il mondo s’abbatte, ma non gli importa, ha uno scopo ben più importante e il gelo che sulle guance gli scorre è cosa da niente. Dapprima cammina, poi il passo si fa celere, acquista un ritmo rapido e Remus, senza accorgersene, prende a correre, urta i passanti, le spalle gli si scontrano con quelle di sconosciuti, ma non teme il colpo, non teme il livido. Teme quel peso che il cuore gli opprime, che il respiro pesante gli rende, teme quel terrore che di paura un gusto in bocca gli lascia ogni volta che l’orologio osserva e ‘sì lontano da lui lo sente.
È così tardi, perché non è in giro? Perché in cielo non si sparge il rombo della sua stupida motocicletta? Tutto tace. La pioggia piomba dal plumbeo cielo e precipita a terra con pesanti tonfi che il vivere soffocano. Ma il cuor di lui batte, incessantemente lotta per la salvezza, quasi sembra voler intraprendere una proprio corsa verso quel simil suo che, per anni, con lui ha palpitato. Gli manca. Seppur intiero, senza quello dell’altro si sente perduto. Ramingo in un corpo che, solo, è nulla. Perciò corre, a sua volta contro ossa, muscoli, carne, contro tutto si scontra, poiché non teme il colpo, non teme il livido. L’incompletezza lo agghiaccia.
Manca ormai poco, è quasi arrivato a destinazione, ma il suo corpo arranca; ha bisogno di fermarsi e prendere fiato; così, un albero avvistato, sotto i rami nudi e desolati cerca riparo, tuttavia qualche goccia tra loro intricati penetra, e su lui scivola con gelido sibilo. L’acqua si è ormai intrufolata in ogni spiraglio di carne o stoffa asciutta, interamente lo copre e lo lambisce, ma non gli importa: è solo acqua.
Allontana i capelli alla fronte incollati e al collo, cerca in qualche modo di levare gocce rotondeggianti dalle lenti degli occhiali, pur sapendo che dopo solo pochi secondi d’esse saranno ancora gravide.
Ricorda quella volta in cui sotto il pianto delle nubi si trovava e d’un tratto, come l’arcobaleno che il grigiore in lidi lontani scaccia, egli al suo fianco era giunto e con floreale ombrello dalle intemperie l’aveva difeso.
«Hai comprato un ombrello da donna.» lo aveva schernito Remus e l’altro prontamente le spalle aveva sollevato.
«Non capisco questa tua mania di etichettare ogni cosa.» lo aveva rimproverato privo, però, d’astio.
«Non sono io a farlo, è la gente, sono i passanti.» gli aveva spiegato Remus.«E allora lascia che ci passino accanto e ci invidino.» ma quello che l’altro aveva temuto d’attirare, il più delle volte, non era l’invidia, bensì il biasimo e le parole sdegnosamente sussurrate.
«La gente non ci guarda così perché è invidiosa: fissa il tuo braccio attorno alla mia vita e il mio fianco su cui si posa la tua mano.» aveva tentato tante volte di spiegarglielo, ma egli pareva non voler aprire gli occhi.
«Può essere che sia intrappolata nel dubbio. Forza, aiutami a tirarla fuori da quella nebbia..» ed egli, il suo folle amato, nel bel mezzo del marciapiede si era fermato e il suo corpo aveva afferrato e, infine, in un bacio l’aveva catturato. La pioggia aveva trascinato seco gli sguardi indiscreti, le espressioni di disgusto e le parole sommosse. Loro erano divenuti il centro pulsante dell’universo, loro il suo animo.
Riprende a correre, non c’è tempo da perdere. Se fosse stata una notte di luna piena il lupo avrebbe corso a perdifiato, si sarebbe aiutato con tutte e quattro le zampe, ma il flebile astro è nascosto in qualche dove dietro le macchie grigiastre. Respira le gocce e si fa forza, manca così poco ormai.
Nell’esatto momento in cui la speme in lui inizia a crogiolarsi, qualcosa però accade: scorge in cielo un fiume di fumo che s’alza.
Ignora il respiro spezzato, ignora il cuore che grida ormai fiacco e corre, corre finché non ha il vero innanzi ai lumi, finché la speranza non può far altro che spirare. La casa è in fiamme. La casa dei suoi amici è in fiamme. Loro, dei loro amici. Perché già pensa al singolare?
«L’animo ti mette in guardia, ti prepara» ma ignora la voce funesta di cui non conosce la provenienza e presta invece attenzione a quella delle persone che attorno si sono raccolte.
«Cos’è successo?» chiede una donnetta su sé ricurva, avvicinandosi ad un’altra.
«Sono tutti morti. Il loro amico, quello strano con la motocicletta li ha uccisi tutti.» sfama quella la curiosità dell’amica, la quale subito una mano alla bocca si porta.
«Ne sei certa?» le domanda un signore, che la conversazione aveva udito, facendosi loro appresso.
«Sì, è stato visto dalla loro vicina, quella che porta sempre quei cappelli così strani.» di quella certezza il signore sussulta e il cappotto a sé stringe.
Il cuore, nel petto, a Remus annega. Non si ribella, non lotta contro la morte, non si batte per la vita, ma si lascia andare. Affoga. E lo colpisce il rimembrare, a terra lo fa piombare.
L’amato, sul divano accasciato, la mano gli aveva afferrato e, come privo di forze, lo aveva pregato: «Ricordami, finché avrai voce per farlo. Ricordami come l’uomo della tua vita dal cuore enorme. Ricordami.» e Remus, con uno sbuffo, una benda bagnata sulla fronte gli aveva posato.
«Hai solo qualche linea di febbre. Domani sarai già in grado di raccontare le tue gesta eroiche ad un bambino innocente che ti guarderà estasiato, pur non capendo una sola parola di quello che dici.»
L’altro aveva riso, subito compiaciuto all’idea di aver un pubblico tutto suo, ma l’aria afflitta aveva immediatamente recuperato.
«Ho così freddo, sdraiati con me e scaldami con la tua pelosa pelliccia.» gli aveva detto spandendo tra il grigio delle sue iridi un languido nero.
«Povero amore, la febbre ha già portato con sé le allucinazioni. Non vedi? Non ho un briciolo di pelliccia ora come ora.» lo aveva preso in giro trattenendo il riso.
«Allora temo che dovrai starmi ancora più vicino per supplire a questa tua mancanza.» e chissà dove aveva trovato la forza di trascinarlo seco sul divano, proprio sopra al suo corpo.
«Vi rendete conto? Era il loro migliore amico e li ha uccisi tutti senza esitazione. Ma l’hanno già portato via. Passerà il resto della sua vita in prigione.» la signora saccente, che tutto sa e tutto vede, continua a parlare e ad informare le persone curiose che perpetue affluiscono.
Remus è in ginocchio, a terra; ha smesso di lottare contro le gocce  che gli rigano gli occhiali, ha terminato di chiedersi se quelle che il corpo gli coprono sono dovute alla corsa, al gelido tremore o se sono solo di dolce acqua. E se fossero invece salate?
Vorrebbe gridare, ma pure le parole sono annegate: le sente galleggiare, esanimi, tra i relitti del cuore crepatosi.
«Si sente bene?» gli chiede qualcuno di quelli intenti ad indagare sull’accaduto.
«Lui.. lui era uno degli amici di quello strano.. non ricordi che girava sempre con quel mostro?» sussurra in udibil modo la signora all’orecchio dell’amica.
«Moony, la gente non è capace di guardare oltre, rimane sempre bloccata all’apparenza e non fa che scontrarsi con quel qualcosa che esclude il vero. Si perde tra gli ostacoli che la mente limitata gli pone lungo il cammino.» gli aveva spiegato una volta il suo amato, quello che agli occhi di tutti aveva assunto sembianze mostruose.
Remus prega, per la prima volta in vita sua prega affinché la pioggia li faccia tacere e trascini via quelle loro insulse parole, affinché sradichi in lui la sua voce.
«Ricordami» essa lo prega «finché avrai voce per farlo.» ma ivi egli non v’è. Se n’è andato e sta solo immaginandone il parlare. «Ricordami come l’uomo della tua vita dal cuore enorme.» il suo cuore è solo, non ha più un compagno. «Ricordami.» Remus è solo, non ha più un compagno.
Remus non ha più il suo Sirius.

 

Note:

Scritta per la community fanfic100_ita con prompt "pioggia". Perdonate la malinconia di questa fic piccina, ma è nata in un triste pomeriggio di pioggia XD Presto aggiornerò Cagion d'affanno e posso anticiparvi che il nuovo capitolo sarà più allegro ;)

Dedico questa piccola bimba alla mia amata: vediiii!!! Guarda che succede se stai via così a lungo XD Non fa bene nè alla mia psiche nè a Remus XD Di certo ascoltare nel mentre "whitout you i'm nothing" non è d'aiuto, ma che importa XD Ti voglio un pomeriggio di pioggia di bene, anche se mi lasci solo il colore del grano ( perchè lo dico? Già mi vengono gli occhi lucidi XD che scrivo? Non ci vedo più XD vergognati XD).

   
 
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