Nuvole Bianche
 

Viola era una ragazza comune, talmente comune che era difficile notarla in mezzo alla folla di gente. Viola credeva ancora nel grande amore, nella possibilità di riscattare sè stessa attraverso qualcosa di più grande di lei. Credeva nei sogni, credeva nelle note delle canzoni che spesso e volentieri parlavano molto più di quanto riuscisse a farlo lei, talmente timida da inciampare più volte tra una frase e l'altra di quanto avrebbe voluto. Credeva nei poeti francesi, nelle loro frasi colme di quell'amore così forte da cancellare tutto il resto. Amava il loro modo di enfatizzare ogni tipo di sentimento al punto da renderlo più vero, più umano, quasi riuscisse tra un verso e l'altro a sentirlo suo. Ritrovava sé stessa attraverso una strofa e l'altra, come se la vera parte di sè potesse in qualche modo nascondersi e allo stesso tempo rifugiarsi tra di esse. Riconosceva sè stessa tra le note delle più belle sonate di Einaudi, come se fosse lei una di quelle nuvole bianche che si alternavano tra il dolce soffio della brezza estiva e quello del vento impetuoso che imperversa prima di un temporale. Amava anche la pioggia, amava sentirla lentamente scivolare e risuonare sulle grondaie, sui tetti, e sulla sua finestra. Ogni volta che le osservava con così tanto interesse, vi si perdeva: e per l'ennesima volta avrebbe davvero voluto essere lei, una di quelle gocce. Poiché le gocce hanno una vita breve, giusto il tempo di cadere e scontrarsi con qualcosa. Scivolano, silenziose e lente, per poi scomparire.
E lei, ora che sentiva di aver perso insieme a lui un pezzo di sé, desiderava davvero scomparire.