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Autore: balakov    08/11/2008    4 recensioni
Ma chi è questo mago? Cosa vuole da noi? E perchè gli crediamo ancora?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL MAGO



Nella piccola bottega accorrevano bambini da tutto il mondo per vedere il mago, che creava ombre e creava ore. Creava ombre perché si guardasse tutti insieme (o uno per uno) fin dove l’ombra finiva e poi, si sa, non c’è ombra senza luce. Creava ore per quegli occhi affamati di pace che lo fissavano senza tregua.

Lui aveva una lunga barba bianca, segno di saggezza e di veneranda età: da quei peli mossi e splendenti come fili di seta arricciata uscivano fuori – come per magia – posti lontani ed inarrivabili. Ogni tanto qualche bambino rivedeva in quei paesaggi la propria terra, e gli altri lo stavano ad ascoltare con la bocca aperta mentre si calava nella dimensione del ricordo. C’era più spazio per la meraviglia, lo stupore muto, anziché per le parole. E questa era la grande potenza del mago: riusciva a comunicare con le pure emozioni, senza alcun bisogno di renderle immortali o con una poesia, o con un quadro, o con una melodia. Poi, la notte, quando i bambini ripartivano per tornare a casa dai loro genitori, lui continuava lo stesso a colorare le sue stanze di sogni e visioni, come se il suo pubblico fosse ancora tutto lì presente, innanzi a lui, con gli occhi sgranati.
La sua non era una realtà regalata, tanto meno imposta: la sua era una via, da percorrere e ripercorrere avanti e indietro, o stando fermi a guardarsi intorno. E infatti erano in tanti a restare immobili per quel sentiero, con le bocche cucite ed i pensieri in tasca, ad intricarsi fra di loro.
C’era chi fissava i ciottoli che rendevano pericolosa la strada, e c’era chi guardava il cielo incurante dei propri passi, guidati ciecamente dalla mano ferma del mago.
Il mago era un equilibrista, uno di quelli bravi, che passeggiano sul filo come per una via del centro città. Mai un’incertezza, mai uno sbandamento: e c’era chi lo seguiva. Alcuni bambini lo seguivano avendo come punto di riferimento la sua chioma canuta; altri lo inseguivano, ed erano i primi a cadere. Altri ancora, invece, non lo hanno seguito mai.
L’importante era esserci, e saperlo lì di fronte, con i suoi trucchi e le sue magie. Era solito anche impaurire i bambini, quasi fino a farli morire; ma poi, con un semplice sorriso di madreperla, li risollevava, e loro erano ancora più felici, dato che la gioia non è una virtù ma una scoperta.
Spesso gli piaceva fingersi uno di loro, mescolandosi alla calca che impazientemente lo attendeva senza vederlo mai arrivare.
Un giorno, quasi per dispetto, un bambino che non lo vedeva arrivare, ma lo sapeva vicino, disse agli altri bambini che era morto. E non vi dico le lacrime, i labbri morsi e sanguinanti, i ricordi più vicini che si fecero più lontani. Ma era tutto un gioco: un rapido volo senza ali, che tende ad una discesa veloce dopo un’ascesa lenta ma lontana.
E così trascorsero i giorni, i mesi, gli anni e i sogni. Nuovi bambini si sostituirono ai vecchi, nuove magie alle consolidate apparizioni. E il mago? Lui sorrideva, anche se non lo dava sempre a vedere, e si divertiva più dei bambini stessi, conscio del fatto che la più grande magia di tutte è quella che deve ancora avverarsi.

Quel mago era un Dio, ma non uno qualunque. Era quello che si pronuncia in tanti modi differenti, e si scrive e si fa scritto. Era quello che c’è anche se non si vede, sperando prima o poi di poterlo vedere. Era l’ultimo sogno nel cassetto, quello che non tiri fuori mai finché non sarà lui stesso ad invitarti ad entrare. Era così: ombre ed ore. Le ombre che ti sembra di non superare mai, e le ore che passano veloci e felici, nascoste fra le ombre. E poi chissà…
  
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