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Autore: HimeHime    18/12/2014    1 recensioni
Ed eccomi alla mia seconda fic! Sempre sui 100, sempre rigorosamente Bellarke! Ho pensato di dividere questa storia in tre capitoli, come tre fasi distinte della vita dei ragazzi, che partono con la battaglia per la conquista della guerra, proseguono con una Clarke che si ritrova a dover fronteggiare gli esiti della guerra e soccorrere i sopravvissuti e terminano con un capitolo tutto dedicato ad un ipotetico futuro (e qui non anticipo nulla e lascio la vostra fantasia fare il lavoro sporco ahah). Che dire ?! Buona lettura !! :)
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Lincoln, Octavia Blake
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci quaa! Spero tanto che vi godiate questo capitolo che, come saprete se avete letto il commento, parlerà dell'ultima battaglia per la riconquista della Terra. 
Ammetto che solo rileggendolo, mi sono accorta che è venuta fuori una cosa tremendamente più cupa rispetto a cioò che avevo in mente all'inzio. ma si sa: la guerra è guerra! E poi non temete, se quello che cercate è un po' di "romance" ne avrete nel secondo capitolo e sicuramente nell'ultimo! Ma non volete forse leggere del primo momento in cui Clarke ha pensato a Bellamy come a qualcosa di più di un amico ? 
Se la risposta è sì dovete assolutamente leggere il capitolo :) ....e  poi fatemi sapete che cosa ne pensate ! 
                                                                  ---- Hime ----




CAPITOLO I. combattere

Il primo corno da guerra era stato udito ormai da un’ora. Un suono basso, che veniva dal fitto della foresta, fece vibrare per un lungo minuto il suolo e le ossa degli uomini che aspettavano trepidanti.
Al campo Jaha i preparativi fervevano ormai da una giornata. Le trincee erano scavate, i bambini e coloro che non potevano muoversi nascosti in un bunker di fortuna ricavato dalle lamiere della navicella e seminascosto dagli alberi.
Jaha, Abby ed il consigliere Cane erano in piedi sulla cima di una collinetta, edificata per l’occasione a ridosso della navetta, dalla quale osservavano che i loro ordini venissero eseguiti e che ognuno acquisisse la giusta posizione.
Delle torce stavano spuntando tra gli alberi. Tronchi spessi come braccia accesi di fuoco e sostenuti da uomini ancora più possenti. Fiammelle erette contro quel cielo che si stava tingendo del nero della notte.
                Clarke uscì dalla tenda richiudendosi la zip alle spalle. Ancora prima di rialzarsi si chiese perché lo aveva fatto: stava per prendere parte ad una guerra, sarebbe stata così contenta anche solo di avere ancora una tenda al suo ritorno che qualche insetto entrato nella notte sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.
Si guardò attorno: alcuni dei ragazzi si stavano ancora preparando, altri formavano gruppetti ed aspettavano seduti l’uno vicino all’altro dentro le tende più spaziose. Quelle di Bellamy e di Ottavia, vicine tra di loro, a qualche passo da dove si trovava Clarke, erano già state abbandonate; nessuno dei due si era preso la briga di risistemarla o di abbassare la cerniera, erano proprio molto simili quei due, agivano quasi prima di pensare. Sicuramente Bellamy aveva già istruito tutti, urlato qualche ordine e poi qualche parola di incoraggiamento per preparare anche i più restii alla battaglia.
                Quelli che rimanevano dei 100 erano tutti lì schierati: Clarke aveva a lungo discusso con la madre per ottenere di far combattare ragazzi di appena 15, 16 o 17 anni accanto agli adulti. Quel pomeriggio, dopo ore e ore di consiglio di guerra, Abby aveva finalmente concesso il suo sì.  Tutti i ragazzi avevano ottenuto il loro mitra o fucile, i più grandi anche alcune delle poche granate disponibili, a patto però di mantenere ognuno la propria posizione, nell’ala sud dello schieramento, e di scappare in caso le sorti della battaglia fossero state loro sfavorevoli.
Il lato sud era quello più lontano dai resti dell’Arca e quindi della battaglia. Clarke aveva acconsentito solamente perché sapeva che da quel punto alcuni di loro potevano facilmente abbandonare le loro posizioni senza dare nell’occhio. Avrebbero tentato qualunque cosa pur di allontanare definitivamente i grounders e conquistarsi il diritto di vivere su quella terra.
Ovviamente lei sarebbe andata, e con lei Ottavia, Bellamy e Murphy, che stranamente si era offerto volontario. In un primo momento Clarke aveva pensato stesse scherzando e così anche Ottavia, ma il viso del ragazzo e quello di Bellamy dicevano altro. Bellamy, in qualche modo, riusciva a fidarsi. Clarke lo aveva preso da una parte qualche minuto dopo ed i due avevano avuto un piccolo battibecco, ma quando il ragazzo si era assunto la responsabilità di quella scelta, la ragazza aveva dato il suo assenso: lo avrebbero portato con loro, ma al primo “scherzo” avrebbe dovuto occuparsene Bellamy stesso.
Anche Lincoln si era schierato con loro. Raven, impossibilitata a correre, sarebbe rimasta nelle retrovie. Ma erano comunque riusciti a mettere su una bella dozzina.
                Clarke camminava facendosi strada tra i ragazzi, in piedi come sentinelle, tesi come corde di violino; ad uno ad uno si voltavano a guardarla; i più giovani cercavano il suo sguardo quasi intimoriti: lei rispondeva con un cenno del capo, non sapendo che dire e sperando che quel poco bastasse a rassicurarli.
Erano un buon numero, ma comunque non molti, quei ragazzi. Si chiese quanti di loro avrebbe rivisto alla fine di tutto. Per questo cercava di non fermare il suo sguardo su qualcuno di loro troppo a lungo: per non doversi ritrovare poi a ricercare quei visi tra quelli dei sopravvissuti. O forse avrebbe dovuto sostenere quegli sguardi, portarseli dentro? In fondo, non meritava ognuno di essere ricordato almeno da lei per quel sacrificio?
                Cercò di levarsi dalla mente quelle idee. Che senso aveva pensarci ora? Era sicura che Bellamy non si era soffermato neanche un secondo a pensare a quelle cose: ce ne erano di più importanti e imminenti in ballo, capitanare una squadriglia d’attacco per esempio. Con questi pensieri si accorse di essere ormai arrivata alle sue spalle. Lui, Ottavia, Lincoln formavano la prima fila. Erano in piedi, pochi passi di fronte agli altri ragazzi, su di un rialzo naturale del terreno. Tutti e tre guardavano agli alberi che iniziavano ad infittirsi a quattro metri di distanza. Da lì sarebbero arrivati i grounders. Nella linea immaginaria posta alla distanza esatta tra loro e l’inizio del bosco, del terriccio ribattuto nascondeva un meccanismo esplosivo, che sarebbe scattato  appena qualcuno ci avesse appoggiato un piede. Wick stava ancora finendo di sistemarlo. I terrestri non l’avrebbero notato, non conoscendo quelle tecnologie; loro avrebbero avuto il via libera alla fuga e i ragazzi dietro una copertura per aprire il fuoco in posizione di vantaggio. Tre colpi in uno.
                Clarke fece gli ultimi due passi che la separavano dagli altri e si fermò alla destra di Bellamy. Lui mosse appena il capo in sua direzione e fissò il suo sguardo su di lei, attraverso la coda dell’occhio: “ti stavamo aspettando, principessa”. Aveva l’inseparabile mitra appoggiato al piede sinistro, lo teneva in piedi con la mano. Clarke impugnava la pistola sulla destra, l’arma che gli aveva dato lui stesso, dopo averla smontata e rimontata per assicurarsi che funzionasse. Ne aveva data una anche ad Octavia, che l’aveva accettata seppur obbiettando che si sarebbe comunque portata la sua spada.
Le ragazze avevano dovuto accettare le sue condizioni per far parte di quella squadra. All’inizio si erano indignate, quando Bellamy aveva riferito loro che non le avrebbe portate con se. Era seguita una lunga giornata di scambi di opinioni, prima fra lui e Octavia, poi fra lui e Clarke. Murphy, con stampato in faccia quel suo ghigno, che un po’ metteva i brividi un po’ sembrava deriderti, era ovviamente dalla parte dell’amico. Con grande sorpresa di Clarke – e compiacimento di Octavia – Lincoln si era schierato dalla loro parte appena entrato nel discorso. Poi però Bellamy aveva giocato la sua carta migliore, dimostrando che le ragazze non sarebbero riuscite a correre abbastanza velocemente, con quelle armi pesanti sulle spalle, e avrebbero compromesso la missione. Ma ne Clarke né Octavia avevano dato segno di voler cedere e, per evitare che prendessero iniziative alle sue spalle, Bellamy aveva deciso di optare per un compromesso. Dopotutto sapeva già dall’inizio che Clarke non sarebbe stata a guardare gli altri combattere dalle retrovie. Aveva acconsentito che entrambe partecipassero solo nel caso fosse riuscito a trovare per loro armi leggere e maneggevoli come pistole e coltelli (cosa non facile, date le poche risorse dell’Arca) e a patto che, almeno per tutta l’attraversata del bosco, rimanessero vicine ad uno dei ragazzi. Quella sarebbe stata la fase uno dell’attacco.
Clarke si era già voltata verso di Murphy – non si fidava di lui, ma almeno le avrebbe lasciato fare ciò che voleva senza preoccuparsi troppo – quando sentì Bellamy dire “Clarke verrà con me, tu Lincoln guarderai le spalle ad Octavia”.
Che cosa ? Da quando si fidava così tanto di Lincoln da lasciargli la sorella? Non era da lui delegare il compito di sorvegliare la salute della sorella ad altri.
Si era voltata di scatto, in tempo per cogliere lo sguardo del ragazzo rivolto al fidanzato-grounders della sorella, che era un misto di “so che la vuoi al sicuro quanto lo voglio io, quindi mi fido di te” e di “sarà meglio che tu faccia del tuo meglio, o non tornare affatto da quel bosco”.
Clarke non aveva detto niente, perché Bellamy alle volte sapeva essere così autoritario da porre la parola fine su una conversazione e farle capire che non avrebbe ritrattato la sua posizione.
                Così era lì, ora, su quella collina, accanto a Bellamy e per la terza volta il corno da guerra stava suonando.
“Sei pronta? Hai provato a tirare qualche colpo?”
Clarke accennò un sì con la testa “Due su tre hanno raggiunto il bersaglio”. Le era sembrata una buona cosa, mentre si preparava, ma aveva notato l’ombra di preoccupazione che aveva attraversato gli occhi di lui per un attimo, e formato una ruga impercettibile nella sua fronte e ai lati della bocca.
“Ce lo faremo bastare. Tu cerca di sparare quando sei sicura di avere sotto tiro il bersaglio: non abbiamo abbastanza colpi per sprecarli nella lontananza.”
A quel punto Murphy si era avvicinato – chissà che cosa aveva da ridere sempre -  : “Un regalo per la nostra principessa” aveva detto, lanciandole una piccola sacca di pezza. Clarke capì che aveva ascoltato il loro discorso quando si accorse che conteneva due caricatori. In un misto di imbarazzo e irritazione li mise nelle tasche della giacca e si chiese se quel gesto fosse una sfida o un altro modo per ridere di lei. O magari era una trappola e quei caricatori erano vuoti.
Murphy intanto continuava a sfotterla alzando ed abbassando le sopracciglia, per poi passare vicino a Bellamy, che ricevette un inchino ostentato ed un “Oh, capitano, mio capitano”, ma quello non sembrò prendersela, anzi gli rispose con una pacca sulle spalle e un cenno d’assenso del capo. Si mise a fischiettare e continuò la sua passeggiata con il mitra appoggiato alla spalla e la testa alta, tra le fila dei ragazzi silenziosi.
                Clarke strinse ancora più saldamente il calcio della pistola e serrò il pugno nell’altra mano. Solo lei trovava di pessimo gusto quel suo fischiettare prima della battaglia imminente?
Si sentì toccare la spalla. O meglio: Bellamy le si era avvicinato e le stava sfiorando la schiena con il braccio: “Cerca di rilassarti” e aveva indicato con gli occhi la sua mano serrata sulla pistola “quella ti serve integra”.
Sì diede della stupida: aveva ragione. Lei aveva insistito di partecipare alla battaglia, ora non si sarebbe fatta prendere dal panico. Bellamy sapeva combattere, li avrebbe guidati tutti, il minimo che lei poteva fare era fidarsi di lui.
                Quando vide il bosco iniziare a rischiararsi capì che i nemici erano vicini ed un brivido attraversò tutto il suo corpo, risvegliandolo. Tutti i suoi muscoli e nervi erano ora sull’attenti, gli occhi spalancati, la schiena eretta e le gambe pronte allo scatto. Anche gli altri sembravano essersi accorti della cosa. Come se avessero potuto captare l’odore estraneo nell’aria, tutti si erano ammutoliti. Murphy aveva rallentato il ritmo del suo fischiettare e, piano piano, aveva chiuso il motivetto.
                Più chiaro e vicino che mai arrivo il quinto squillo del corno. Questa volta sembrò addirittura più lungo e potente dei precedenti. Octavia ne approfittò per fare tre passi in direzione del fratello. Gli mise un braccio attorno alla schiena e gli appoggiò la testa su una spalla. Con la stessa mano strinse l’avambraccio di Clarke, che era rimasta accanto a Bellamy dal momento in cui lui le si era avvicinato per parlarle. Le due ragazze si guardarono, Clarke accennando un sorriso e Octavia spalancandone uno ancora più grande dopo aver fatto capolino da sopra la spalla del maggiore dei Blake.
“Abbi cura del mio fratellone, Clarke”
Poi tornò di nuovo a guardare il ragazzo e lo baciò sulla guancia. “Buona fortuna, Bell”. Lui la strinse a se’ affondando il naso nei suoi capelli e disse: “cerca di fare attenzione, O. Resta vicino a Lincoln e non fare mosse avventate”. Lei lo guardò con serietà come una bambina che vuole essere presa sul serio, poi gli allungò un ultimo bacio veloce prima di dire “Ci vediamo dopo, Bell” e allontanarsi di nuovo, leggera com’era arrivata. Ora stava appoggiando la schiena sul petto di Lincoln: con la testa reclinata all’indietro gli sfiorava il collo con la punta del naso mentre gli sussurrava qualcosa sottovoce.
                “tutti pronti, ragazzi?” era Wick, che aveva finito di sistemare l’esplosivo e stava già risalendo la collinetta.
“Direi che possiamo iniziare” Murphy aveva la voce spezzata nello sforzo di aiutare il biondo a scalare gli ultimi passi della pendenza.
Bellamy aveva allora alzato la voce, stava parlando a tutti i ragazzi: “Siamo pronti. I grounders sono vicini, ma noi ci siamo preparati a questo da settimane. Tra poco quell’esplosivo salterà, voi aspetterete che la mia squadra e quella di Lincoln saranno partite, poi inizierete a sparare. Lascio il comando a Thomas: ascoltate lui e vi salverete. Cercate di non colpirvi a vicenda, non fatevi prendere dal panico e vinceremo questa battaglia”
                Dopo queste parole Bellamy era rimasto in silenzio. Clarke sapeva che non aveva ancora finito. Aveva appena rincuorato i ragazzi, tra poco li avrebbe spronati, caricati alla battaglia, avrebbe fomentato i loro animi per dar loro quel po’ di grinta in più di cui avevano bisogno; stava solo aspettando il momento giusto. Doveva ammettere che in questi casi lui ci sapeva proprio fare. Da quando erano atterrati sulla Terra, da quando li avevano abbandonati a loro stessi, lui si era subito proposto come leader. All’inizio i suoi modi di agire e quelli di Clarke si erano trovati spesso a collidere, ma piano piano si erano resi conto che entrambi volevano la stessa cosa e cioè che quei ragazzi collaborassero per sopravvivere, il più a lungo possibile. Così avevano iniziato a rivedere le loro posizioni. Si erano avvicinati, poco a poco; erano arrivati a spalleggiarsi, ed anche in quel caso si trovavano uniti, in prima linea di fronte alle avversità.
                Era arrivato il momento. Lo capì quando Bellamy si voltò verso i ragazzi schierati ordinatamente.”è arrivato il momento che aspettavamo” impostò la voce un tono al di sopra “il momento per il quale vi siete allenati duramente.  I grounders hanno messo in pericolo le nostre vite dal primo giorno. Hanno ucciso i nostri amici, i nostri fratelli; tutto ciò che ci hanno concesso non sono stati che ultimatum su ultimatum, pensando che ci saremmo arresi, ma non lo abbiamo fatto, e non lo faremo oggi!”
Erano già più parole di quante non avesse mai detto. Bellamy non era una persona di troppe parole, certo non REMISSIVO, ma questa volta si stava sforzando fino in fondo per toccare il tasto giusto, la giusta corda, in quei ragazzi. Anche Clarke si stava emozionando. Si chiese però che cosa dovesse pensare lui. Se Bellamy si occupava di tirare fuori la forza degli altri, chi lo avrebbe fatto per lui?
                In quel momento suonò nuovamente il corno da guerra: le fiaccole stavano a poco a poco illuminando il limite del bosco; Bellamy si voltò di nuovo, ma continuò a parlare, ad urlare. Clarke si voltò con lui. Ora, la sua faccia, rivolta alle fiamme, rivelava tutta la sua durezza: le sopracciglia erano aggrottate, gli occhi neri sfidavano il nemico, la mascella serrata violentemente tra una frase e l’altra.
   “Oggi riconquisteremo il diritto di abitare questa terra! Quel diritto che era dei nostri nonni e dei padri dei nostri nonni prima di essi; quel diritto che appartiene a noi quanto ai nostri genitori, alle nostre famiglie, per il quale ci ritroviamo qui a combattere tutti assieme”
Dopo questa frase il suo silenzio fu più lungo dei precedenti, come se avesse voluto aggiungere qualcosa ma lo avesse  ripetuto solamente tra sé e sé.
Clarke aveva capito. Era la prima cosa a cui pensava anche lei, quando pronunciava la parola famiglia, e cioè che lei ormai non ne aveva più una, non da quando era morto suo padre. Ormai erano solamente lei e sua madre, così come Bellamy e forse per lui era stato ancora più difficile, improvvisarsi adulto per crescere una bambina di pochi anni meno di lui.
                Clarke capì in quel momento quello che doveva fare. Avrebbe lasciato Bellamy occuparsi dei ragazzi, lo avrebbe lasciato coprirle le spalle nel bosco, ma c’era una cosa che le spettava: sostenerlo, anche se solo con un gesto. Allungò la mano verso il suo braccio, la fece scorrere sfiorando il suo polso, la infilò all’interno della sua, e poi strinse.
La mano del ragazzo era grande, molto più della sua, calda. Quando lo strinse lo sentì sussultare. Istintivamente, il suo corpo le suggerì di abbassare lo sguardo, ma non lo fece: non sarebbe stato da Clarke Griffin tirarsi indietro, e poi non aveva appena deciso che ci sarebbe stata per lui?
Ora lui la stava guardando, mentre pronunciava le ultime parole del suo discorso. Aveva la fronte ancora corrucciata, lo sguardo ancora inflessibile, ma la sua bocca sembrava essersi rilassata, sembrava addirittura accennare un sorriso. I ragazzi avevano accolto le sue parole con urla e gridi di battaglia.
Quel momento sembrò a Clarke durare all’infinito, prima che lui rispondesse alla sua stretta. Allora stiracchiò il sorriso migliore che riuscì e gli disse “porteremo a casa la vittoria, Bellamy”.
                Il fischio improvviso di Murphy richiamò la loro attenzione e quando guardarono verso la foresta, capirono che era arrivato il momento di agire.
“Tocca a te Wick: 3.. 2..1…”
L’esplosione alzò una tempesta di terriccio e detriti, i dodici si divisero: Lincoln, Octavia, Wick e altri tre verso il lato sinistro, Bellamy e Clarke, ancora per mano, assieme a Murphy e i restanti tre ragazzi a destra.
Dopo che furono spariti, arrivò l’ordine di aprire il fuoco, e la battaglia per il diritto di abitare la Terra ebbe inizio.
 
 
 
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Piccolo angolo dell'autrice:  spero abbiate seguito tutta la mia storia fino alla fine  - magari saltando una riga qua e là - e se lo avete fatto spero abbiate voglia di commentare.
 Per voi che siete arrivati fin qui piccolo spoiler: ovviamente , essendo una Bellarke, nei prossimi capitoli vorrei andare più a fondo nel rapporto tra i due, che qui è solo accennato. 
Ma non vorrei dimenticare neanche Octavia e Lincoln ed il mio adorato Murphy (scusate, ho un debole! XD ) . quindi, nel caso lasciaste un commento, mi piacerebbe sapere se anche voi siete fan di questa o quell'altra ship e cosa ne pensiate del modo in cui le ho rappresentate :) 

Detto questo : Alla prosssimmaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa :D :D 
 
  
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