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Autore: HimeHime    23/12/2014    2 recensioni
Ed eccomi alla mia seconda fic! Sempre sui 100, sempre rigorosamente Bellarke! Ho pensato di dividere questa storia in tre capitoli, come tre fasi distinte della vita dei ragazzi, che partono con la battaglia per la conquista della guerra, proseguono con una Clarke che si ritrova a dover fronteggiare gli esiti della guerra e soccorrere i sopravvissuti e terminano con un capitolo tutto dedicato ad un ipotetico futuro (e qui non anticipo nulla e lascio la vostra fantasia fare il lavoro sporco ahah). Che dire ?! Buona lettura !! :)
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Lincoln, Octavia Blake
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Siamo arrivati al secondo capitolo WAAAAAAH devo ammettere che sono veramente emozionata per questo. 
Come avevo preannunciato : finalmente siamo al clouuu! il punto di svolta per Clarke e Bell. Questo è il capitolo in cui tutti i Bellarke nel profondo, tutti i sognatori, potranno sciogliersi (spero) :D
Io l'ho fatto un po' scrivendola, quindi spero di avere lo stesso effetto anche su di voi ! :) Spero di toccare almeno un po' le vostre corde.

 


CAPITOLO 2. sopravvivere
 
“anf..anf…anf..” Clarke respirava convulsamente, la testa abbandonata sul petto. Aprì gli occhi e si accorse di avere la vista appannata; il sangue le grondava dalla tempia destra: se la tamponò con il polso.
                Era seduta a terra, la gamba sinistra attraversata da uno squarcio che aveva chiazzato di rosso i suoi pantaloni già scuri. Puntò le mani al suolo e strisciò  indietro fino ad appoggiare la schiena all’albero accanto a lei. Poi si guardò intorno…
“Bell!” lanciò un urlo.
Il ragazzo, a pochi centimetri da lei, era steso con la faccia rivolta al terreno, una freccia gli attraversava la spalla sinistra, sembrava svenuto. O peggio… No, non era morto, non poteva essere morto “Beeeell” urlò più forte.
Le palpebre del ragazzo sembrarono muoversi, decise di portarsi accanto a lui, sebbene, ora che era sveglia, la gamba avesse cominciato a pulsarle. “Ok, Bell, sto arrivando”
“tu continua a respirare” .
Fu costretta a spostare di peso la sua stessa gamba. Poi si rivolse al ragazzo e cominciò a togliergli i capelli dal volto, coperto di sudore, sangue e terriccio. Si tolse la giacca, ne fece una pallina e la sistemò sotto la sua testa, per permettergli di respirare meglio.
“Bellamy…   … … Bell devi svegliarti” continuava ad accarezzargli il volto, liberandolo dai capelli scuri.
Non sapeva che altro fare: non sarebbe riuscita a portarlo al campo, nonostante non distasse che qualche centinaio di metri.
Si guardò attorno: il bosco era silenzioso: un gran numero di nemici a terra, ma anche di ragazzi. Si chiese quale dei due schieramenti avesse vinto, ma si disse che quella, al momento, non era la priorità.
Alla loro destra riconobbe una giacca. Stava ancora respirando o era la sua immaginazione ad ingannarla? Provò a chiamarlo: “Murphy!..Murphy!”. Il moro non dava segni di sentirla, allora raccolse dei sassi e iniziò a tirarglieli contro. “Murphy, alzati, devi aiutarmi”
“meeh.. ehi, principessa, che hai da strillare tant..”
“Cazzo Murphy, non è il momento, aiutami… trova due bastoni, devo steccarmi la gamba, poi penseremo a come portare Bellamy al campo”
Non se lo fece ripetere due volte. Quando li ebbe trovati si strappò le maniche della giacca per fare la legatura, nel frattempo Bellamy aveva dato un colpo di tosse e cercato di alzare le palpebre.
“Cazzo amico, sei conciato per le feste” gli disse l’latro, ma si vedeva che quello che aveva cercato di stamparsi in volto non era il suo solito ghigno. Se anche John Murphy era preoccupato, significava che la situazione era veramente critica.
Clarke non riuscì a dire nulla.
Fu Bellamy a rispondere “Non pensavo che sarebbe stata la tua..anf…brutta faccia… anf.. l’ultima cosa…anf.. che avrei visto prima di morire”  
Clarke fu percorsa da un brivido “Non scherzare Bellamy, nessuno morirà oggi”
“Mi fido..anf.. di te, principess..”
                Gia, nessuno doveva morire quel giorno. Nessuno più doveva morire. Si era appena alzato il sole, era l’alba di un nuovo giorno e se davvero avevano vinto la battaglia, sarebbe iniziata una nuova era, senza più guerre. Doveva essere così, altrimenti per che cosa avevano combattuto?
               
“Ehiiii!” 
“C’è qualcunoooo?”
Degli uomini armati stavano dirigendosi a passi veloci verso loro tre. Clarke riconobbe Marcus Kane, accompagnato da tre soldati.
Murphy corse loro incontro spiegando la situazione.
Kane affrettò il passo ed in un attimo fu lì: “Figliolo, tutto a posto?” e poi “ Ti riportiamo alla base, non ti preoccupare..” disse, caricandoselo sulle spalle.
Poi si rivolse ai suoi uomini “Voi continuate il giro di perlustrazione, Murphy: aiuta Clarke”.
“Abbiamo vinto la battaglia?”
“Si, abbiamo vinto, ma ci sono molti feriti…e molte perdite”
“Come sta mia madre?”
“Abby sta bene, si sta occupando dei feriti”
Clarke fu grata a Kane per quell’informazione, ma non riuscì a sentirsi meglio vedendo le condizioni in cui versava Bellamy. Quindi disse “Noi andremo avanti, cercherò mia madre e prepareremo una stanza per operarlo: se non lo facciamo al più presto…”
Non riuscì a finire la frase, perché dire quelle cose ad alta voce la spaventava, soprattutto sapendo che Bellamy stava ascoltando.
 
Arrivati al campo trovarono una situazione molto peggiore rispetto a quello che si era immaginata. I feriti erano ovunque. Molti non erano gravi, certo, ma non dovette contarli per capire che il numero di medici che avevano a disposizione non sarebbe mai bastato per tutti. Anche gli ambienti all’interno della nave erano quasi tutti occupati.
Cercò sua madre in lungo e in largo, ed alla fine scoprì che era impegnata da ore nei sotterranei della base: non una ma ben due operazioni.
Doveva fare qualcosa.
Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando riconobbe alle sue spalle una voce gridare:  “Bellamyyyyyyyy” “Beeeeeeeeeeeeeeeeel” “Dove cazzo è mio fratello ????” 
                Voltandosi di scatto vide Octavia dimenarsi come una pazza, mentre Lincoln cercava di tenerla a bada. Era coperta di sangue, ma non doveva essere il suo, vista la foga che stava mettendo nell’urlare improperi.
Clarke si avvicinò al tavolo di metallo sul quale era seduta e si accorse che invece quel sangue apparteneva proprio alla ragazza: era coperta di ferite dal collo alla vita. Ne aveva soprattutto sulle braccia. Doveva aver buttato la pistola e iniziato a combattere con la spada non appena ne aveva avuto l’occasione … e si era fatta scudo con il suo stesso corpo. Proprio da lei, non tirarsi indietro di fronte a nulla.
“O., calmati, Bellamy è vivo: era con me, Kane lo sta portando qui”
A quella notizia la ragazza sembrò calmarsi, poi però pensando a ciò che aveva sentito lo spavento tornò a impossessarsi dei suoi occhi “Cosa significa che Kane lo sta portando? Non riesce a camminare con le sue gambe? Che gli è successo Clarke?”
La bionda la fissò negli occhi, fermandole i polsi con le mani. Le parlò lentamente, cercando di ostentare una sicurezza che non aveva “lo hanno colpito, ma sta bene. è sveglio. Lo salveremo” poi si rivolse a Lincoln “Dobbiamo trovare un tavolo su cui stenderlo, devo operarlo al più presto”
“Lo farai … tu?” disse Octavia.
“Sì, io. Mia madre sta già operando, non può raggiungerci al momento”
“Ok Clarke, mi fido di te, ma per favore, per favore, salvalo.”
 
Bellamy arrivò qualche minuto dopo. Lo calarono dalle spalle di Kane su di quella che avrebbe fatto da tavola operatoria improvvisata. Murphy e Lincoln avevano trovato un massiccio tavolino di legno, lo avevano liberato da ciò che vi era appoggiato  scrollandolo a terra e lo avevano trasportato nella stanza, a pochi metri da dove si trovava Octavia. La mora intanto era rimasta distesa: doveva aver dato fondo alle sue ultime forze urlando il nome del fratello più forte che poteva.
“Ok, ora gli strumenti. Murphy, trova un recipiente e metti a bollire dell’acqua. Lincoln, tu vieni con me a cercarli”
Quando li ebbero tutti, li sterilizzarono.
Intanto anche Raven era arrivata, illesa. Wick l’aveva portata nel bunker non appena i grounders erano entrati al campo e da lì avevano continuato a radiosorvegliare la zona e dirigere il lancio di esplosivi. Il biondo se l’era cavata con una slogatura al polso e qualche graffio; ora stava aiutando a liberare delle persone incastrate sotto una lamiera, crollata all’esplodere di una carica.
Clarke aveva mandato Raven a cercare qualche dose di morfina, sperando ce ne fosse rimasta da qualche parte: i due Blake ne avevano bisogno, entrambi.
                Quando il meccanico arrivò con la bottiglietta contenente il liquido, la bionda lo divise in due dosi. Ne porse una ad Octavia che rifiutò: “Basterà quella per mio fratello?” chiese indicando l’altro bicchierino.
Clarke non ne era affatto sicura “Lo spero”
“Non la voglio”
“Octavia, stai sanguinando da ore, dobbiamo mettere dei punti su quelle ferite”
“Posso farne a meno” il suo sguardo era fermo, non ammetteva repliche.
Fu a quel punto che Murphy intervenne: “Ho trovato questo, se può aiutare” disse mostrando una bottiglia di alcool appena iniziata.
“Benissimo” sorrise Octavia “ti fai un goccetto con me John?”
“Ti ho già preceduta” ammise l’altro, serio in volto.
“Alla tua fratellone.. resisti”.
 
                Murphy sollevò di peso Bellamy, e Clarke lo aiutò a ingerire ¾ del liquido: il restante per ogni evenienza. Dopodiché la ragazza si lavò le mani con l’alcool al meglio che potè, per evitare infezioni.
“Sei pronto?”
Bellamy, che ora era di nuovo disteso, annuì con la testa. Clarke incise la maglia del ragazzo  fino a scoprirgli la schiena per metà nella parte superiore. “Murphy, vai dall’altra parte del tavolo, devi aiutarmi: tu estrarrai la freccia al mio comando, mentre io faccio pressione sul punto” Clarke continuava a parlare, Murphy faceva silenzio. Lei non gli chiese se stava ascoltando: sarebbe stato meglio se lo avesse fatto.
“Bell, mordi questo”
Il ragazzo non obiettò, prese la pezza che la bionda gli stava porgendo e la strinse tra i denti.
Dall’altra parte della stanza Octavia stava soffocando le lacrime mentre Lincoln bendava le sue ferite più superficiali e tentava di ricucire al meglio le ferite più profonde.
                “Ok Murphy, 3..2..1..”
Il ragazzo tirò con tutte le sue forze e quando la freccia uscì Clarke se la sentì passare tra le dita, ma il sangue che iniziò a sgorgare dal suo palmo sparì in un secondo sommerso da quello del ragazzo “Cazzo, dobbiamo sbrigarci!”     “ Raaaaaveen, aiutami”
Bellamy nel frattempo aveva tirato in pugno al tavolino, Murphy era stato scansato con violenza dalla mora.
“Raven, aiutami!”
 
                “Lincoln, più veloce” Octavia non riusciva a pensare a se stessa nemmeno quando un ago stava attraversando ripetutamente lembi maceri del suo corpo “come va? Belll??”
“Bell, arrivo. Farai bene ad essere svegl… ahhhh merda!” questa doveva averle fatto male, ma la peggiore fu la seguente perché la ragazza svenì (con estremo  piacere di Murphy che si disse contento di non doverla più ascoltare).
Neanche mezz’ora dopo Lincoln aveva terminato il suo lavoro e preso con se Raven per andare a cercare erbe dalle quali ricavare unguenti per le fasciature. Murphy non aveva voluto sentir ragioni: non sarebbe andato anche lui a “raccogliere fiorellini con le ragazzine”; se ne era rimasto in piedi appoggiato allo stesso stipite verso il quale Raven lo aveva spinto più di un ora prima.
Guardava Clarke ricucire la schiena dell’amico senza distogliere lo sguardo e senza proferire parola.
La bionda non toglieva gli occhi dal suo lavoro, se non per assicurarsi che Bellamy fosse ancora sveglio.
                “Ho finito!” disse quasi soddisfatta.
“E perché io non mi sento affatto meglio?” provò a scherzare Bellamy
“Prova a dormire almeno un po’..”  solo quando ebbe finito di parlare si accorse che il ragazzo aveva già chiuso gli occhi: doveva essere esausto. Stiracchiò un sorriso verso Murphy: “dovresti andare anche tu”
“Scherzi? Dovresti farti vedere quella gamba, resto io a sorvegliarlo”
“Potrebbe ancora aver bisogno di un dottore se dovesse svegliarsi.. e poi non ho sonno.”
Ma l’altro sembrava restio a schiodarsi di lì.
“Davvero Murphy, puoi andare, è stata una lunga notte. Sei stato un buon amico per lui.”
L’altro non sembrava convinto “è per colpa mia che è su quel tavolo”
Clarke si morse il labbro, era vero, quella freccia l’aveva presa per soccorrere lui. Ma non poteva certo rinfacciarglielo dato che Murphy aveva salvato la vita a lei stessa quella notte.
Per tutta la durata dell’intervento non aveva fatto che biasimare se stessa. Era stata lei a voler scendere in campo a tutti i costi. E se Murphy non fosse stato costretto ad andare in suo soccorso? E se Bellamy non avesse dovuto intercettare la freccia rivolta a Murphy? …Rivolta a lei? Non poteva rinfacciargli questo.
“Smettila di piangerti addosso: Bellamy non morirà stanotte. E ora vattene da questa stanza!” urlò tutto d’un fiato. Un po’ si sentì in colpa ma fu l’unica mossa che riuscì a fare in quel momento.
                “Non sei stata carina..” Bellamy si era risvegliato a causa del suo grido.
Clarke si lasciò cadere nella sedia lì accanto, esausta. “Torna a dormire tu” disse, esausta.
“E io che volevo ringraziarti..”
Forse era stata un po’ troppo scontrosa...
“..e poi non riesco a dormire in questa posizione: ho il collo andato” provò a scherzare lui, di nuovo. Ma quello che gli uscì era più che altro un mugugno.
Clarke provò ad alzarlo, lui si aiutò con l’unico braccio sul quale riusciva a far forza. Più che appoggiarlo quasi lo fece cadere sul tavolino, poi vide qualcosa che le fece sgranare gli occhi.
“Bell, che sono quelle?”
“Che cosa? Questi graffi sul collo?” disse sfiorandoseli con le dita.
Non erano graffi. Sembravano schegge (legno?) e sembravano star provocando un’infezione. Doveva rimuoverle, subito. Cercò di non sembrare allarmata “Bell, aspettami qua: vado a chiamare mia madre, sarò di ritorno in un secondo” si mise a correre, poi tornò indietro “Non fare scherzi mentre sono via!”
                Tornò in qualche minuto, ma senza Abby.
“Il tuo lavoro non è finito, principessa”
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime. In un attimo era come se il mondo le fosse crollato addosso: la sua fatica nell’estrarre quella freccia era stata vana? Bellamy non poteva morire. Lei non poteva essere la causa della sua morte. Non era affatto giusto: Bellamy si era sempre occupato di tutti gli altri, aveva cercato di salvare tutti, di proteggerli, portarli in salvo. Bellamy si era sempre preoccupato per lei e ora lei cosa poteva fare per lui? Un passo falso e l’avrebbe ucciso.  Se nella notte avesse perso già troppo sangue? Se non avesse la forza per subire un’altra operazione?
Oltretutto la morfina non sarebbe bastata: non ce n’era che mezzo bicchierino, troppo poca per un uomo adulto.
La base le sembrava un’enorme deposito di cadaveri che puzzava di morte e lei, lei e Bellamy, sembravano essere gli unici sopravvissuti ad un’enorme catastrofe. Octavia dormiva ancora. A ridosso del corridoio tre corpi coperti di sangue erano stati disposti l’uno accanto all’altro e coperti da un telo che una volta doveva essere stato bianco.
Decise che per lei era arrivato il momento di piangere. Quella notte aveva sperato con tutte le forze di riuscire a salvare il ragazzo e si era sentita così sollevata quando aveva chiuso la benda attorno alla sua spalla. Sapere che tutto quello che aveva fatto non era che l’inizio la atterrì e spaventò.
 
Si lasciò cadere di nuovo nella sedia, appoggiò la testa alla spalla di Bellamy e pianse sommessamente, senza fare rumore, come se non volesse farsi sentire.  
Bellamy le appoggiò una mano sulla testa. Rimasero così qualche minuto, come se potessero fermare il tempo. Nessuno dei due disse niente.
Bellamy teneva gli occhi fissi sulla sua testa abbassata, lei li aveva serrati, come se stesse esprimendo un desiderio. Sarebbe stato bello se avesse potuto guarirlo solo con la forza del pensiero. Sarebbe stato bello se al riaprire gli occhi avesse scoperto che tutto era passato.
Ma riaprì gli occhi e tutto era esattamente come lo aveva lasciato qualche minuto prima. Rimase ancora un po’ con la testa abbassata. Respirava l’odore della pelle di lui e le sembrava così familiare. Premette il naso sulla sua spalla, sulla sua maglia intrisa di sangue, di sudore, di terra e strizzò gli occhi per farli smettere di lacrimare.
Doveva salvarlo. Doveva guarirlo, non c’erano se e non c’erano ma.
“Mi fido di te.” Era l’unica cosa che lui le aveva detto, e continuava a ripetergliela con gli occhi.
                L’operazione fu lunga, e dolorosa. Clarke dovette cauterizzare qualche ferita. Si aiutò con l’alcool per sterilizzare la zona. Riuscì a togliere tre delle quattro schegge prima che il ragazzo svenì. Aspettò che si rianimò per terminare, ma alla quarta lui richiuse gli occhi: questa volta stava solo dormendo.
Lei aveva terminato il suo lavoro, aveva improvvisato una bendatura e alla fine di tutto aveva deposto tutti quegli strumenti rudimentali con una cura esagerata, come fossero antichi reperti.
Non riusciva a parlare, ma dopotutto era da sola.
Era rimasta in silenzio ancora qualche minuto ad osservarlo dormire. Il suo petto si alzava ed abbassava regolarmente sotto quello de rimaneva della sua maglietta nera; vi appoggiò una mano sopra come per assicurarsi che stesse respirando davvero, che non si stesse ingannando. Sentì il cuore che batteva sotto il suo palmo, ma era come un’eco lontana, allora spostò la mano sul suo collo, dove riuscì a sentirlo meglio. I suoi occhi si fecero lucidi, ma non si permise di piangere.
Spostò dei capelli dalla fronte di lui e vi posò le labbra. Rimase in quella posizione per qualche secondo, poi decise di lasciarlo dormire.
                Per la seconda volta si lasciò cadere su quella sedia. Questa volta era davvero esausta, la gamba le faceva male, iniziò a massaggiarsela.
“Vai”
Alzò di scatto la testa, si guardò attorno: Octavia la stava guardando e le ripetè “Vai Clarke, hai bisogno di farti curare, terrò d’occhio io Bell”.
Clarke si limitò ad annuire e lasciò la stanza, frastornata da tutto ciò che era accaduto. Prima di varcare la soglia però guardò nuovamente alle sue spalle e si accorse che anche Octavia stava cercando il suo sguardo: “Grazie” le disse allargando un sorriso.
 
 
Bellamy si risvegliò dopo quasi 24 ore di sonno in una stanza un po’ più accogliente, su di quello che era quasi un letto vero. Era già la mattina di un nuovo giorno e accanto a lui trovò Octavia seduta a giocare a carte con Murphy. Si disse che effettivamente era uno strano quadretto: forse lo avevano sedato, forse aveva le visioni per la fame…
“Bell!” Otavia gli fu addosso in un secondo e se anche gli fece male lui non disse nulla tanto era contento di poter ancora stringere sua sorella.
Murphy aveva mantenuto per qualche minuto quello sguardo inebetito di felicità che non era da lui, prima di buttarsi su una delle sue solite battute. Poi se ne era andato, con la scusa di non essere ancora abbastanza sveglio per le chiacchiere. Allora Octavia gli aveva raccontato tutto quello che era accaduto, che ne era stato dei loro amici, e del fatto che Murphy probabilmente era andato a farsi una dormita, perché dal ritorno dalla battaglia non ne aveva voluto sapere. Tutti ormai avevano capito che lo faceva per star vicino a Bellamy, e lo lasciavano fare, cercando persino di sopportare il suo carattere …”ruvido”.
                “Ma adesso devo andare”
“Dove vai?!”
“Fratellone, non ti sei accorto che manca qualcuno?” e lui capì subito, ma lei lo disse lo stesso :“Vado a chiamare Clarke: sta aiutando la madre con la ricognizione in pronto soccorso, ma mi ha detto di avvertirla non appena ti fossi svegliato.” Poi aggiunse “ È rimasta qua tutta la notte e ha insistito che io andassi a dormire” quasi come a volerlo convincere di qualcosa. E se ne andò senza aggiungere altro.
                Clarke fu lì nel giro di pochi minuti.
Entrò nella stanza e non disse nulla. Solo due grosse lacrime le inondarono gli occhi e cercò di scacciarle con il polso prima di abbassarsi verso di lui e gettargli le braccia al collo.
Lui ricambiò l’abbraccio con l’unico braccio che riusciva a muovere. Le sussurrò un “grazie” all’orecchio.
Lei fece per alzarsi e imbarazzata disse “adesso.. forse dovrei tornare a fare le ultime visite..”
“O forse potresti restare ancora un po’…”
La risposta del moro la colse alla sprovvista.
Restarono a fissarsi negli occhi. Forse per la prima volta in quelli di lui non c’era la minima traccia di ironia.
Si spostò solamente un po’ più a destra soffocando una fitta di dolore e lasciandole un po’ di spazio sul materasso.
Lei lo guardò ancora un po’, poi si avvicinò a lui e si distese alla sua destra. Appoggiò il naso sulla sua spalla come aveva fatto la notte precedente e ritrovò il suo odore. Solo che questa volta era solo Bellamy. Non c’era più l’odore del sangue, ne quello penetrante dell’alcool; la terra era stata lavata via. Non c’era più odore di guerra, come se la scorsa notte fosse un avvenimento di miliardi di anni fa. Adesso c’era solo l’odore di Bellamy e vi si aggrappò come ad un’ancora.
“Alla fine ci hai salvati tutti” fu tutto quello che riuscì a dirgli
“Ti firmo il gesso se tu firmi il mio..” scherzò lui.
 
 
ANGOLO DI HIME:
Ed anche il secondo capitolo è andato!!! Come vi è sembrato ??? Se la storia vi è piaciuta sarei molto felice di ricevere una recensione. Ma anche se non vi è piaciuta ovvio!! haha :D 
Al prossimo ed ultimo capitolo :( *sob*

 
  
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