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Autore: Alex Wolf    18/12/2014    2 recensioni
Storia prima denominata "La frusta dell'esorcista."
Dal capitolo 7°.
«Siete spregevole!» La mano di Thierry sfiorò la mia guancia, prima che la mia stessa Innocence gli imprigionasse il polso in una morsa ferrea. Riuscii a vedere il mio riflesso nei suoi occhi sorpresi, spaventati: una macchina assassina che non prova pietà per nessuno, neppure per coloro che combattono nella sua stessa fazione.
«Sono un diavolo, scelto da Dio ma pur sempre un diavolo, e in quanto tale è nella mia natura essere spregevole» sibilai, strattonandolo da una parte. Il corpo dell’uomo volò attraverso la foschia, tagliando la nebbia e creandovi un corridoio che si andò a riempire qualche minuto dopo il suo passaggio; dopo di che, atterrò sotto l’albero del Generale. Richiamai a me l’innocence, tornando a vedere a colori abitudinari e sistemai entrambe le braccia sui fianchi. Gli puntai un dito contro, affilando lo sguardo quasi a volerlo tagliare. «Prova a sfiorarmi ancora e la tua vita finirà in quell’istante.»
Genere: Generale, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7.


Nel frattempo.
 


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Your life.
 
 
Intanto, alla locanda


La porta si era richiusa alle loro spalle con un leggero tintinnio, provocato dalla campanella posta sopra di essa. Gli occhi dei due esorcisti ancora stentavano ad assimilare le immagini di poco prima, presi troppo in contropiede da quei gesti improvvisi per capire cosa, in quel momento, aveva attraversato la mente di Evangeline.
Lenalee si ritrovò a scuotere il capo, simulando una normale reazione che avrebbe avuto in qualsiasi altro giorno. Eppure sentiva che qualcosa non andava. C’era qualcosa nei movimenti che Eve aveva fatto poco prima, nel suo comportamento che l’avevano insospettita sin da subito. Ma aveva deciso di non intervenire o immischiarsi, sapeva quanto la giovane detestasse parlare dei suoi problemi, specialmente con lei. L’esorcista aveva sempre affermato che non voleva darle dispiaceri, che voleva proteggerla a discapito del prezzo da pagare. Ma non aveva ancora capito che nascondendole le cose, esiliandola da tutto ciò che la tormentava non faceva altro che farla sentire inutile e, anche peggio, un peso gravoso sulle sue spalle già affaticate.
«Lenalee» il suo nome in quel momento era più simile a una domanda che ad un richiamo. Gli occhi malva della giovane cinese andarono incontro agli argentini del compagno, che la fissava tutt’ora stupito. «Cosa…?»
La ragazza rilassò le spalle, riprendendo fra le mani la tazza ormai fredda. Era più un’abitudine che una necessità. «Non preoccuparti, Allen-kun, probabilmente Eve ha dimenticato di consegnare al Generale un messaggio di mio fratello.» Sorrise nella bugia. Cosa doveva chiedere realmente a quell’uomo?
Lo sguardo di lui rimase tutta via preoccupato, incerto. Allen stesso pareva essere in bilico su una fune: non sapeva se crederle oppure no. Non sapeva se porle alcune domande, oppure tenerle per se senza farne parola. E Lenalee capii stava fallendo, non stava riuscendo a emarginare il timore che provava in fondo all’animo. Ma dopo tutto non avrebbe dovuto stupirsene: lei non era Evangeline, che con la sua cocciutaggine e masochismo nascondeva segreti corrosivi per l’animo, e si sfogava durante le battaglie con forza bruta fregandosene delle conseguenze che avrebbe riportato il suo corpo. Lei era Lenalee, che piangeva se un suo amico veniva ferito e non riusciva a trattenere le lacrime neppure se ci provava. Lei non era l’incarnazione della forza, ma le andava bene così. Pur non avendo tutti i requisiti del “cuore di ghiaccio” sapeva il fatto suo, e ne andava fiera.
«Cosa ne pensi di Eve, Allen-kun?» Domandò a un tratto lei, sebbene sapesse che l’albino in realtà fremeva dalla voglia di avere risposte a domande diverse, che lui stesso avrebbe dovuto chiedere. Ma non le importava, perché uno strano meccanismo si era azionato nei meandri della sua mente e necessitava della risposta a quel semplice quesito.
Allen trattenne il fiato per un secondo, interdetto e incerto sul cosa rivelare e cosa tenersi per se. Alla fine parve rinunciare a nascondere i propri pensieri e sospirò, gettando fuori dalle labbra un soffiata calda e gentile che andò a far fremere Tim. Allen sapeva di dover dosare le parole che usava, calcolarle e studiarle quando si riferiva ad Evangeline in quanto per Lenalee era come una sorella; tutta via, non voleva di certo nascondere la verità sui suoi pensieri. Non c’era nulla di male a pensare quelle cose.
Sbatté distrattamente le palpebre, incontrando poi gli occhi malva della giovane esorcista cinese: erano seri e concentrati su di lui, eppure sembravano anche distanti e persi nei propri ricordi. Chissà a cosa stava realmente pensando Lenalee.
«Penso che Evangeline sia una persona con notevole forza fisica e un carattere alquanto sfuggente» rabbrividì al pensiero del loro primo incontro. Rivide gli occhi assetati di sangue di lei e quelli freddi e giudicatori di Kanda. Un’ombra calò sul suo viso: «Ecco, a dire la verità pensò che sia spaventosa come Kanda, forse persino di più. Fra i due non so chi sia quello che fa accapponare di più la pelle» si strinse nelle spalle, tentando di frenare i gelidi sospetti che si erano infilati nella sua mente.
Kanda era pericoloso,  un attacca brighe calcolatore, mangiatore di soba a cui piaceva affibbiare nomignoli stupidi ma Evangeline non poteva certo essere al suo pari. Certo che no. Lei era la quint’essenza del male in persona: una bestia sotto forma di ragazza costantemente assetata di guerre e scontri contro il nemico, incosciente e per nulla osservatrice. Agiva secondo l’istinto, al contrario di Yuu.
Ma era quello che li rendeva tanto micidiali: entrambi avevano due tecniche tanto diverse da sembrare uguali. Ed entrambe portavano sempre e solo ad un unico risultato finale: la palese sconfitta del nemico, a prescindere dalla forza e stazza.
«Evangeline, si. Si, Evangeline fa di certo più paura, con quegli occhi verdi brillanti e quel temperamento metà animale e metà fantasma.»
«Evangeline è sempre stata fredda con tutti» si ritrovò ad ammettere la cinese, prendendo Allen in contropiede.
Senza rendersene conto era caduta nella trappola creata da lei stessa. Ma non aveva potuto resistere, il suo “Io” interiore le aveva gridato contro tutto il tempo: “Sfogati! Parla con Allen, lui può capirti! Smettila di portare questo fardello da sola e raccontagli delle tue insicurezze!” e lei aveva ceduto. Dopotutto non aveva mai creduto che il portare segreti pesanti sull’animo facesse bene. «Sin dal suo arrivo ha tentato di rimanere nell’ombra, nascondendosi in camera sua come un gatto nero nella notte; persino con me non si è mai lasciata del tutto andare. Certo, so che rispetto ad altri ho molta più confidenza con lei eppure», si liberò della tazza, stufa di sentire il freddo della ceramica arrampicarsi sopra le dita «non mi lascia mai entrare dentro quella corazza che si è costruita da quando i suoi genitori sono morti. E negli ultimi tempi il divarico fra di noi è andato a ingrandirsi.»
Allen ascoltava con tanto d’orecchie, continuando ad accarezzare Tim distrattamente. Il piccolo Golem, dal canto suo, aveva smesso persino di fare quel suo strano miagolio ferreo per concentrarsi sul racconto della giovane. Negli occhi di Lenalee era calata un’ombra. Un velo semitrasparente che le copriva lo sguardo così come la frangia, intenti a mascherare i suoi sentimenti già troppo percepibili dal tono di voce.
«Lei tenta di proteggermi, a volte mi ritrovo a immaginarmela come una specie di “mamma orsa” che tenta di proteggere il proprio piccolo. Il problema è che questa cosa, questo suo comportamento penso sia indotto più da una specie di “obbligo” che lei stessa si pone, che come cosa volontaria. In un certo senso credo di essere una specie di caso espiatorio, anche se detta così la fa passare come una poco di buono che mi usa e basta, e non è di certo vero» lei alzò gli occhi a incontrare quelli dell’amico. «Eve è così forte Allen. Forte, orgogliosa e sola» singhiozzò.
«Lenalee» le mani di Allen trovarono quelle dell’amica e le strinsero forte, riscaldandole. «Sei la persona a cui Evangeline tiene di più, sapere che stai piangendo per lei la distruggerebbe non trovi?» Stava tentando di consolarla quando nemmeno lui riusciva a capire come mai fossero arrivati a quell’argomento. Certo, all’inizio era stato curioso di sapere il motivo reale di quella improvvisa dipartita ma mai si sarebbe immaginato di ritrovarsi invischiato nei dubbi di Lenalee.
In un certo senso si sentiva in imbarazzo, nell’altro in dovere. Voleva consolare Lenalee.
«Hai ragione, scusa, mi dispiace. Non volevo metterti in difficoltà, Allen-kun.» Con velocità le mani della giovane sgusciarono fuori dalle presa di lui, andando ad asciugare quella lacrime amare che le rigavano le guance.
«Figurati» sorrise l’albino.
Prima che uno dei due potesse riprendere a parlare, il golem della ragazza squillò portandola a rispondere.
«Lenalee, dimmi che hai trovato Evangeline e che siete assieme, ti prego» la voce di Komui era un misto d’ansia e speranza, ma anche tristezza.
La giovane esorcista cinese sbatté le palpebre confusa, iniziando a giocare con la cornetta del telefono. Non era strano che suo fratello la chiamasse, chiedendole le più svariate cose gli venissero in mente, ma mai il suo tono era sembrato più serio di così. Che qualcosa non andasse? Se fosse stato così, allora prima lei aveva visto giusto.
«Lenalee. Lenalee ci sei?» Era diventato quasi insistente, e lei sapeva che in quel caso gli premeva di più sapere di Evengeline che di lei. C’era qualcosa che quei due gli tenevano nascosto da anni ormai, e sebbene la curiosità la portasse a desiderare di sapere di più il buon senso le implicava di farsi gli affari suoi. Che fosse a causa di quel segreto che Eve si era allontanata da lei, da tutti con più forza e vigore negli ultimi tempi?
«No» sussurrò, quasi si sentisse in colpa.
La conversazione cadde nel silenzio più assoluto, interrotto solo dal battito d’ali del golem nero della giovane. Persino Allen, con Tim, avevano perso la voglia di scherzare che era tornata pochi istanti fa.
«Lo sapevo! Maledetta lei e il suo stupido comportamento!» borbottò contrariato il Supervisore. Lenalee corrugò le sopracciglia. «Lenalee, ascoltami bene, dovete raggiungere il Generale Yeegar e Eve al più presto. Sulla strada del Generale sono pervenute due complicazioni: Road Kamelot e Tyki Mikk. Siete i rinforzi più vicini che abbiamo, perciò fate presto. Ah, Lenalee, stai attenta per l’amor del cielo!»
 
 
Sul campo di battaglia
 
 
E divenne tutto buio, silenzioso. Il mondo si fermò per un attimo, mentre il mio urlo riecheggiava nel nulla più denso e assoluto. Gli occhi si chiusero ancora prima che riuscissi a fare qualsiasi altra cosa, a pensare o muovermi. Strillai in preda alla frustrazione. Esclamai parole che sarebbero dovute essere impronunciabili per una ragazza. Mi sentivo in trappola, incapace di muovere persino un muscolo; la mia Innocence aveva scelto il peggior momento per bloccarmi. Solo dopo qualche tempo  riuscii a comandare ai miei muscoli di svegliarsi, allungarsi verso il Generale e tentare di afferrarlo per salvarlo, spingerlo fuori dalla portata di quella piccola pazza dai capelli a punta. Ma non ci riuscii. Fallii miseramente. Yeegar venne inghiottito da un bulbo nero, assieme ai due componenti della famiglia del Conte del Millennio.
 Battei i pugni a terra ansimante e tremante, scossa da una battaglia che si era rivelata più ardua del previsto. I rinforzi non erano arrivati e i due Noah ci stavano dando del filo da torcere. Stavano vincendo. Non ero stata abbastanza veloce da salvarlo. Perché a un tratto Rose mi aveva lasciata? Cosa significava? Cosa dovevo fare? Cosa avrei dovuto fare? Era come se l’Innocence si stesse ribellando a me, senza curarsi delle conseguenze che questa cosa avrebbe inflitto all’esito della battaglia. Era come se la mia linfa vitale mi stesse abbandonando, e forse era così. Ma non avrei permesso che accadesse ora: prima dovevo, volevo avere delle risposte da Yeegar e per farlo dovevo riuscire a salvarlo.
Generale, perché quando mi è utile decide di scomparire in questo modo? Dannato, quando ti tiro fuori da quel buco nero ti strangolo con le mie stesse mani. Li mortacci tua.
«Dannazione!» Battei un pugno a terra, tirandomi in ginocchio. Il fango aveva sporcato la mia divisa nuova, e la pioggia vi stava giocando sopra disegnando linee frastagliate. Mi alzai in piedi barcollante, poi con tutta la forza che avevo mi scagliai contro il muro nero che li aveva inghiottiti.
Il cielo ruggì con cattiveria, fulmini esplosero con boati tremendi fra i monsoni grigi quando il mio corpo entrò in contatto con la barriera che, per l’ennesima volta, mi rispedì da dov’ero venuta. Caddi malamente di schiena, sbattendo persino la testa. Ringhiai, mi rialzai, riprovai. Non potevo abbandonare così il Generale, che nonostante il modo in cui l’avevo sempre trattato non aveva mai perso la speranza con me. Continuava a pensare che un giorno sarei riuscita a sorridere nuovamente, ad essere più felice, pur conoscendo la mia situazione attuale. E lo sapevo che era così. Avevo appreso che sapeva dell’Innocence quella mattina. L’avevo sentito che lo diceva a uno dei suoi finder mentre ce ne stavamo andando. «E’ una ragazza difficile, un brutto passato l’ha portata a essere quello che sua madre non avrebbe mai voluto, e un’Innocence pericolosa l’ha condotta sul cammino del dolore. Tutta via, non perdo la speranza che un giorno, finalmente, riesca a sorridere col cuore e non solo con le labbra, quando raramente lo fa» aveva sospirato.
«Oh, ma andiamo!» Esclamai esasperata, tornando alla carica. Mi facevano male le mani e le braccia si erano sbucciate per le continue scosse che ricevevo dalla barriera di Road.
Ma no, non avrei mai e poi mai abbandonato quell’uomo. Lui credeva in me, e aveva le risposte che mi servivano. Inoltre, non avrei lasciato vincere un porcospino troppo cresciuto e la pazza che aveva ferito Lenalee. Nessuno poteva sfidarmi, ferire la persona che contava di più per me al mondo e rapire uno dei cinque riuscendo a farla liscia.  
Avrei preso la testa dei due Noah come bottino di guerra, era una cosa certa.
«Venite fuori di li! Mi hai sentito, Porcospino? Venite fuori e combattete come si deve!» Strillai con tutto il fiato che avevo in corpo.
La pioggia prese a cadere con più intensità, e dall’alto del cielo arrivò il ruggito del temporale. Il vento fischiò muovendo le fronde scure della vegetazione a destra e sinistra, aumentando di minuto in minuto la propria forza.
Non ricevetti nessuna risposta.
«Codardi, l’avete voluto voi!» Frustai l’aria con la mia Innocence, creando per qualche secondo una scia dove ne vento ne pioggia osarono mettere piede. L’arma sibilò lungo tutto il tragitto per poi abbattersi con forza contro il campo creato da Road, vi si attorcigliò contro. «Bloody Rose, secondo livello: veleno della rosa!»
L’onda d’urto mi arrivò contro come un’onda anomala. Sentii l’Innocence pulsare con vivacità al mio braccio, muoversi sulla mia pelle e iniziare a mutare forma. Come un serpente che stritola la propria preda Rose cominciò a strisciare sul mio braccio destro, circondò le spalle e raggiunse anche il sinistro, dove si legò all’altro polso prima di partire all’attacco. Due lunghi fili rossi, colorati dal sangue che scorreva nelle mie vene, presero a stringere il campo di forza nella loro morsa, mentre le punte simili a quelle di freccia attaccate ai loro estremi iniziavano a raspare e spaccare il tutto. La superfice liscia dello scudo creato da Road prese a creparsi.
Sapevo che non avrei dovuto abusare del secondo livello di Rose, Komui e Anita me lo ripetevano in continuazione, ma se con le buone non funzionava tanto valeva usare le cattive. Mi sarei assicurata in seguito di nascondere il fatto.
Proprio mentre l’Innocence stava stringendo con più intensità, il suono di una canzone pervenne alle mie orecchie portandomi ad un blocco momentaneo. Persino sopra tutto il frastuono causato dalla pioggia si riusciva a sentire limpidamente ogni singola parola.
«Il Conte del Millennio sta cercando, sta cercando un cuore prezioso. Vediamo se sei tu.» Strinsi i denti, ripresi a stringere. E la barriera cedette sotto l’influsso del’Innocence, o almeno per una buona parte.
Il Generale mi riapparve davanti, gli occhi chiari aperti in un muto grido di disperazione. Chissà cosa aveva subito dentro quel buco nero. Mi precipitai da lui, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Evangeline, sei ancora viva» affermò, e per un secondo sorrise.
«Tzk, con chi crede di avere a che fare?» borbottai contrariata da quel suo stupore, poggiando le mani ai fianchi. Le punte della mia nuova forma di Innocence tintinnarono fra loro, attirando la sua attenzione.
Quando gli occhi vigili dell’uomo trovarono la forma di Rose al loro interno scoccò una scintilla, fredda e distante come le stelle nella notte. Le labbra coperte dai folti baffi bianchi si irrigidirono, seguite a ruota dai muscoli. Probabilmente stava riconoscendo il tipo di Innocence che avevo al mio comando, pensando a quanto dovessi essere stata incauta nell’usare il secondo livello.
«La tua vita ne risentirà, Evangeline» sussurrò, ignorando per qualche minuto i due Noah, che erano il problema principale.
«Stia tranquillo Generale, so quali rischi corro. Ero venuta qui per chiederle informazioni sulla mia Innocence, appunto, ma a quanto pare ne parleremo più tardi, Generale.» Rivolsi i miei occhi a Mikk, che rimase leggermente intontito dal mio nuovo sguardo.
Sarà che non si aspettava di vedermi con un’Innocence dalla forma diversa, sarà che si aspettava di rispecchiarsi negli occhi verdi smeraldo di prima e invece se n’era ritrovati due più rossi del sangue, non attaccò immediatamente.
In quegli istanti di tregua, mi concessi di puntargli un dito contro. «Svuoterò la tua testa da quel misero cervello che ti ritrovi, e ne farò il mio porta biscotti.» Certo, suonava alquanto macabro ma almeno rendeva l’idea di cosa l’aspettasse.
Il riccio soffiò su una ciocca di capelli che gli era ricaduta sul bel viso e poi accarezzò la visiera del cilindro, dopo di che tornò a fissare i suoi occhi nei miei. «Finiamola in fretta.»
Partì a una velocità incredibile cogliendomi alla sprovvista, ma non del tutto. Una delle qualità del secondo livello di Rose era la velocità, l’astuzia. Perciò, quando lo vidi saltare addosso al Generale, con il palmo munito di una strana ed enorme farfalla che doveva essere la sua arma, virai su me stessa e indirizzai le due corde al suo polso. Queste si strinsero con forza contro la pelle e lo tirarono giù, dando il tempo a Yeegar di spostarsi.
«Zio Tyki!» L’urlo sorpreso di Road mi sporse a sorrise, mentre l’esplosione del colpo non andato a segno di Mikk rimbombava nell’aria.
«Ehi, ci sono anche io qui!» Esclamai, offesa dal fatto che mi avesse ignorato.
Tyki mi rivolse uno sguardo carico d’odio, forse più per il fatto che gli avessi sporcato il vestito che per altro e mi si gettò contro. Lo scansai, ricorrendo a uno dei due fili per agganciarmi ad un albero poco distante e tirarmi su; purtroppo persi la presa su di lui, che tornò alla carica colpendo il Generale al petto. Il mio cuore smise di battere finché Yeegar non riuscì a ribattere, poco dopo aver borbottato qualcosa a se stesso. Allora, cercando di usufruire del fattore sorpresa, scivolai lungo i rami degli alberi vicini e quando arrivai abbastanza vicina al nemico mi preparai ad assalirlo. Qualcosa mi impedì di saltare.
L’innocence si era aggrappata a un ramo distante dall’albero in cui mi trovavo. Impigliata, attorcigliata nelle fronde della criniera smeraldina di uno stupido albero. Non potevo agire. Tirai con tutta me stessa, impiegando tutta la forza che avevo a disposizione per riuscire a liberarmi.
«Evangeline» la voce di Yeegar risuonò fra gli alberi, pesante. «Evangeline, non uscire fuori dal tuo nascondiglio, non osare venire qui! E’ un ordine!»
«Vecchio, ma che dici?» Urlai, e la pioggia coprì le mie parole. Poi, colta alla sprovvista, mi ritrovai stretta nelle presa dell’Innocence di Yeegar che mi trascinava di albero in albero verso il più lontano. Di tanto in tanto tremava ma quando finalmente raggiunse il suo obiettivo smise di farlo: mi ripose con forza fra le fronde di un albero enorme, attorcigliando la mia Innocence al ramo più alto di tutti. «Vecchio!» Strillai.
La sua Innocente scomparve dalla mia vista, lasciandomi sola dentro un albero, sotto la pioggia.  Poco dopo, un lampo verde esplose sopra l’intera foresta, illuminandola di ombre sinistre e seghettate che ricordavano fantasmi. Il mio cuore si fermò. Lo percepii nell’aria, dal suono e dalla naturale sensazione che mi pervenne contro subito dopo che su tutto calò il buio e ogni cosa riprese a essere com’era prima della battaglia. Innocence. Quella a cui avevo assistito era stata l’esplosione dell’Innocence del Generale.
 
Quando riuscii a tornare sul campo di battaglia, era tutto finito. Corpi di Akuma giacevano a terra tagliati a metà, parti della carrozza con cui era solito viaggiare il Generale erano sparsi ovunque. Dei Noah nessuna traccia. Mi fermai un momento a respirare, riprendere quel fiato da cui lo sforzo per liberare la mia Innocence e la corsa contro il tempo per arrivare fino li mi avevano privato. Sentivo i muscoli doloranti, febbricitanti dai colpi subiti, io stessa mi sentivo come investita dal fuoco di un drago. Neppure la pioggia riusciva a raffreddarmi.
«Generale Yeegar, mi risponda!» gridai. La voce, però, lasciò le mie labbra con poca convinzione. Non sapevo se l’uomo era ancora vivo, avevo visto e percepito bene la sua Innocence mentre veniva fatta esplodere e lasciava questa terra per sempre, come un fiore che appassisce. Ma non volevo crederci. Yeegar non poteva essere morto, non per mano di qualche stupido Noah. Non potevano avere vinto contro uno dei Cinque Generali. Non potevano.
Eppure, quando avvistai Thierry in lontananza, semi nascosto dalla foschia che era venuta a crearsi, con lo sguardo basso e i pugni serrati mi sentii male. La convinzione che Yeegar non ce l’avesse fatta strinse il mio stomaco in una morsa ferrea, dolorosa in modo tale da farmi stare persino male. Da farmi sentire in colpa. Ma io di colpe non ne avevo, giusto?
«Thierry.» Assestai qualche passo traballante nella sua direzione, quando finalmente individuai il corpo del mio superiore, crocifisso con le sue stesse catene ad un albero. Non urlai, non vomitai ne presi a gridare o piangere. L’unica cosa che ebbi il coraggio di fare fu sostenere lo sguardo contro quella schiena nuda dai propri indumenti, che erano andati tagliati e ora penzolavano appena sopra la cintura.
Il finder mi rivolse uno sguardo stupito. Probabilmente non si ricordava neppure che ero stata li. Che c’ero anche io. Poi scosse il capo e gettò gli occhi a terra, senza avere il coraggio di rivolgermi parola; quella volta sarei dovuta essere io a non avere il coraggio. Sebbene costretta, ero stata nascosta per l’intera ultima parte della battaglia e ci avevo messo troppo per tornare sui miei passi.
«Tiratelo giù di li» ordinai, senza la minima traccia d’angoscia nella voce. Stupii persino me stessa che, nonostante le innumerevoli volte, non avrei mai pensato di riuscire a mantenere un tono di voce impassibile. Vedendo che nessuno dei tre finder ubbidivano, divaricai le gambe per sorreggermi meglio e presi un bel respiro. «Tiratelo giù, ho detto! Non merita una fine così! Datevi una svegliata, trio di incompetenti. Questa è la guerra, non c’è tempo per piangere i morti!»
«Generale Yeegar.»
Mi voltai, sorpresa e scioccata dalla velocità con cui Allen poteva arrivare nei momenti meno opportuni. I suoi occhi d’argento non mi guardarono neppure, intenti a osservare lo scempio che i Noah avevano riservato a quell’uomo che qualche giorno prima aveva conosciuto. Il suo pomo d’Adamo s’alzò e s’abbassò con velocità, mentre le nocche diventavano pallide come la neve. Ma non fu quel suo repentino guizzo d’odio che gli apparve negli occhi a far si che il mio cuore si fermasse una seconda volta. Al contrario, quel muscolo involontario smise di pompare sangue al mio corpo quando una seconda voce irruppe fra la densa coltre di nebbia sussurrando un’impercettibile: «Oddio.»
E fu più forte di me. L’istinto di protezione agì prima che il mio cervello si mettesse in moto da solo e cominciasse a ragionare. Spintonai da parte Thierry, che non oppose la minima resistenza –davvero provava tutto quel dolore per la perdita del Generale?- e corsi incontro a Lenalee. Le mie braccia si chiusero attorno a quelle spalle minute, che erano solite dare l’input per un abbraccio, e le sostennero accompagnando con dolcezza la caduta del corpo dell’esorcista verso terra. La strinsi a me con delicatezza, quasi fosse un antico vaso di porcellana sul punto di spaccarsi per poi non riuscire a tornare più come prima. E lei pianse, singhiozzò e strinse la mani contro la giacca della mia divisa fregandosene di tutto il fango che avevo addosso. E mi ruppi un po’ anche io, sebbene nel profondo, perché di vederla così debole e demoralizzata proprio non ne ero capace. «Andrà tutto bene» le avrei voluto dire, con un sorriso di quelli che lei mi chiedeva costantemente che, però, rifiutavo sempre di fare. Ma sapevo che non sarebbe stato così, che nulla sarebbe mai andato davvero “bene”. Non per Lenalee almeno, non per l’idea del mondo che mi ero fatta e in cui l’avevo collocata. Lei era così piena di luce e speranza, mentre questo mondo traboccava di tenebre e fantasmi pronti a uccidere. E poi, la guerra era troppo forte perché ci si potesse tirare indietro. Senza rendercene conto eravamo finite troppo dentro persino per poter sperare di respirare ossigeno che non fosse contaminato dall’odore di morte e disperazione; crollate in un pozzo senza fondo che inghiottiva la luce del sole nascondendola agli occhi.
 Non c’era pace per noi. Non ci sarebbe mai stata, almeno per me.
Non c’era futuro per chi era stato scelto dal cristallo di Dio. Almeno, nessun futuro che implicasse la frase “e vissero felici e contenti.”
«Lenalee, smettila di piangere» dissi invece contro ogni mia recente supposizione. «Siamo in guerra, e in guerra si muore. Il Generale Yeegar ha combattuto con coraggio, non servirà a nulla piangerlo. Penso che lui non vorrebbe vedere la preziosa sorellina di Komui Lee versare lacrime salate a causa sua. Perciò dacci un taglio e comportati come un soldato, come ci è stato richiesto dai piani alti.» Il cuore mi faceva male.
«Ma non l’avete un cuore voi, Evangeline?»  La voce frustrata di Thierry mi colpì i  timpani, portandomi a voltare leggermente il capo. Il suo sguardo scuro mi trafisse quasi concretamente, in realtà. «Non pensate che sia giusto piangere la perdita di quest’uomo? Non avete sentimenti?»
Accarezzai distrattamente il viso della mia compagna, asciugando le striature trasparenti che le solcavano il viso.
«Evangeline, cosa…?» pigolò lei, vedendo che le mie gambe si stavano raddrizzando. Le sorrisi, ignorando completamente la risposta che aspettava.
«Io sono un soldato di Dio» ammisi, «e come quest’uomo mi batto per salvaguardare l’umanità. Lui e io abbiamo combattuto per le stesse cause, con o contro voglia, senza mai dimenticare che in gioco c’era la nostra vita. Quando l’Innocence ci ha scelti sapevamo il destino a cui andavamo incontro, il prezzo che ci veniva richiesto. Il Generale Yeegar l’ha pagato quest’oggi. Non ci trovo nulla di triste in questo.» Provo solo amarezza, per me stessa più che per quell’uomo. Se solo fossi arrivata prima. Se solo fossi riuscita a liberarmi con più velocità.
«Siete spregevole!» La mano di Thierry sfiorò la mia guancia, prima che la mia stessa Innocence gli imprigionasse il polso in una morsa ferrea. Riuscii a vedere il mio riflesso nei suoi occhi sorpresi, spaventati: una macchina assassina che non prova pietà per nessuno, neppure per coloro che combattono nella sua stessa fazione.
«Sono un diavolo, scelto da Dio ma pur sempre un diavolo, e in quanto tale è nella mia natura essere spregevole» sibilai, strattonandolo da una parte. Il corpo dell’uomo volò attraverso la foschia, tagliando la nebbia e creandovi un corridoio che si andò a riempire qualche minuto dopo il suo passaggio; dopo di che, atterrò sotto l’albero del Generale. Richiamai a me l’innocence, tornando a vedere a colori abitudinari e sistemai entrambe le braccia sui fianchi. Gli puntai un dito contro, affilando lo sguardo quasi a volerlo tagliare. «Prova a sfiorarmi ancora e la tua vita finirà in quell’istante.»
«Il Generale Yeegar! Si muove! E’ ancora vivo!» E con quella frase di Allen terminò la discussione.
 
 
«Mi dispiace, questo è tutto quello che siamo riusciti a fare. Le ferite sono davvero gravi, è vivo per miracolo. Ora possiamo solo aspettare e vedere come andrà.» Il dottore s’inchinò innanzi a noi, poi si congedò.
A guardarlo adesso, il Generale più che un essere umano assomigliava a una mummia appena risorta a cui era stata attaccata su una misera parte di volto e collo della carne, giusto per renderlo più umano. Era una visione inquietante e tragica. Pensare che uno dei cinque esorcisti più forti dell’Ordine era stato ridotto così da un Noah nel giro di nemmeno un’ora faceva accapponare la pelle. Ma ormai quel che era successo non si poteva cambiare. L’armata di Dio aveva perso un importante soldato, lasciando i suoi sottoposti a brancolare nel buio con le braccia allungate davanti a se, come in cerca disperata di una luce che si tardava ad arrivare.
“La speranza è l’ultima a morire” era solita dire mia nonna, ma in questa vita di sacrifici persino la persona che aveva più sperato –Il Generale Yeegar- era stato sconfitto con brutalità inaudita.
La speranza è l’ultima a morire, ma se poi anche quella scompare cosa ci resta? Rimaniamo vuoti e freddi, aridi come il deserto che non riesce a dissetarsi. Perdere la speranza è un po’ come perdere il cuore. Senza cuore non si più vivere, perché senza di lui ogni cosa smetterebbe di muoversi. E infondo la verità è che è la speranza –anche quella nascosta ai pensieri- a mandarci avanti e farci muovere. Senza di essa siamo finiti.
Già, ma come potevamo noi esorcisti continuare a sperare di poter battere i Noah dopo esserci ritrovati davanti il Generale ridotto in quelle condizioni? Di certo la nostra fiducia, la consapevolezza che, sebbene in minima parte, potevamo vincere contro quegli esseri invasati si stava riducendo. Persino io, che con il mio scetticismo non avevo mai alimentato la consapevolezza che avremmo potuto vincere, mi sentivo crollare leggermente. Probabilmente era a causa di tutto quel mix di cose che si divertivano a ballare sulla mia schiena una tarantella, con tanto di tacchi alti. Ma come poteva qualcuno anche solo sperare di mantenere salda la sua speranza, quando vedeva e comprendeva ciò che era successo? La risposta non la sapevo nemmeno io.
«… il prossimo sarai tu?» Ascoltarlo cantare quell’insulsa canzone mi metteva rabbia. Era come stare a sentire un gatto che graffia le tende, ascoltarlo lacerare la stoffa ancora e ancora, e ancora finché è ridotta a uno scempio e tu sei impazzito.
Non potevo sentirla più. Non potevo guardarlo più. Non riuscivo a perdonare me stessa per il mio ritardo sul campo di battaglia. Perciò, scossi con amarezza il capo e sorpassai i presenti nella stanza uscendo. Li sentii, comunque. Gli occhi di Allen e Lenalee non si staccarono dalla mia schiena neppure per un istante.
C’era calma nei corridoi dell’ospedale di quella piccola cittadina. Una calma apparente, che sostava senza ritegno solo in quegli spazi che sembravano prolungarsi all’infinito e gioire delle luci a neon che ronzavano sopra di loro, in un’atmosfera quasi da film fantascientifico. Nell’aria aleggiava un odore di sanitari e limone, probabilmente dovuto al sapone usato per lavare il linoleum a terra.  Più ci si guardava attorno più sembrava di essere atterrati in uno strano labirinto, fatto d’ombre e rumori sinistri.
Mi sarebbe piaciuto uscire di li, sbattermi una porta alle spalle e dimenticare ogni cosa. Avrei voluto abbandonare tutto, ma non potevo. Le catene che mi gravavano sulle spalle sembravano essersi fatte più pesanti, mi trascinavano con loro verso l’inferno. Poco male, mi ero ripetuta più volte, tanto di certo il mio posto non sarà in paradiso. Eppure, magari, se Yeegar fosse riuscito a sopravvivere meglio (!) avrei potuto avere risposte a domande che avrebbero potuto aiutarmi a salire di qualche girone. Mi sarei potuta allontanare da Lucifero quel tanto che bastava per vivere più serenamente in mezzo ai miei peccati.
Successivamente a un ringhio propagatosi nel basso ventre, colpii con forza il muro con la mano destra. Il dolore si diramò iniziando dalle nocche per poi proseguire lungo le dita e l’intero braccio. Riuscii a distrarmi da quei pensieri, e probabilmente a procurarmi anche qualche microfrattura. Ero così frustrata! L’unico uomo ancora in circolazione che poteva darmi informazione che mi servivano era diventato inutile, e l’Ordine aveva perso uno dei Cinque. Ed era colpa mia! Solo colpa mia.
Avrei potuto salvarlo; avrei potuto uccidere quella dannata bambina che ha ferito Lenalee.
Appoggiai la fronte contro la parete, beandomi del fresco che investì la mia pelle. Cosa avrei fatto adesso? Avrei continuato la mia ricerca di informazioni. Come? In qualche modo, inventandomi qualcosa. Con chi? Da sola. Perché? Perché Cross non è qui, e non deve sapere che tipo di Innocence sia la mia. Lo devo trovare, ma per farlo deve capire come fermare Rose.
Passi. Il rumore di passi irruppe con violenza in quel silenzio ultraterreno, costringendomi a mettermi sull’attenti. Erano troppo veloci per essere i passi di qualche medico, troppo pesanti per appartenere a un’infermiera. Accarezzai il bracciale a forma di serpente che portavo al braccio e mi preparai ad usarlo. Avrei ucciso chiunque, qualunque estraneo avesse tentato di oltrepassare quella porta.
«Komui?» Avrei dovuto saperlo, almeno sospettarlo. Lui era il Supervisore della Sezione Scientifica della sede principale dell’Ordine, sarebbe per forza accorso dal Generale.
Gli occhi neri del giovane mi osservarono. Il respiro trafelato indicava che non aveva corso solo per le scale dell’ospedale. «Evangeline.»
Ero così felice di vederlo. Per la prima volta da quattro anni avrei voluto gettarmi nelle sue braccia e piangere a dirotto, così da far scivolare via quel peso pressante che mi opprimeva. Sarebbe potuto essere per qualche ora la mia ancora di salvezza, di cui avevo bisogno. Ma qualcosa mi frenava dal farlo. Un sentimento che non avevo ancora imparato a controllare e che condizionava continuamente la mia vita: l’orgoglio. Per quanto avrei voluto sentire il calore di Komui, a cui in segreto avevo sempre guardato come a una specie di fratello maggiore, non potevo dimenticare le parole che aveva pronunciato prima della mia ultima partenza. Il tono con cui le aveva dette. I gesti con cui le aveva accompagnate. Non potevo passare sopra il messaggio nascosto fra quelle frasi scappate dopo tanto tempo dalle sue labbra.
Prendendo un bel respiro ignorai l’occhiata che riservò a Rose, andando poi a incrociare le braccia al petto per nasconderla. «Yeegar è li dentro», con un cenno del capo gli indicai l’entrata della stanza. «Non ti aspettare nulla di buono; non è un bello spettacolo.» Senza ascoltare la sua risposta gli diedi le spalle, allontanandomi di poco.
Quanto sperai che mi seguisse per chiedermi se andava tutto bene. Quanto avrei voluto crogiolarmi in uno di quegli abbracci che riservava solo ed esclusivamente a Lenalee. Quanto mi sarebbe piaciuto, per una volta tanto, sentirmi come lei; poter contare sull’aiuto, sulla consapevolezza che c’era qualcuno li per lei che l’avrebbe sempre sostenuta. Purtroppo per me, il mio carattere aveva fatto allontanare persino l’unica persona che pensavo non avrebbe mai ceduto ad abbandonarmi. Io stessa avevo gettato la spugna.
Non so se Komui tentennò un poco prima di entrare, fatto sta che quando mi voltai intravidi solo la coda del suo cappotto sparire oltre l’uscio. Sospirai.
«Evangeline-chan!» Qualcosa mi strinse a se, costringendomi contro una fonte di calore inaspettato. Il profumo del giovane pervase i miei sensi, portandomi a chiudere gli occhi per qualche secondo. «Eve.» Somigliava più a un sospiro che al mio nome. Ma andava bene così…
Era bello sentirsi circondare da braccia conosciute, sebbene non fossero quelle che avrei voluto. Era come ritrovarsi in una fortezza, protetta da quelle mura che avevi aspettato tanto e che finalmente qualcuno si era deciso a ergere. Rilassante, così l’avrei definito. Ma eccolo tornare all’attacco, quell’odioso senso d’orgoglio che mi costrinse ad allontanami da Lavi con naturalezza. Non potevo certo biasimare i miei compagni se sentivano il bisogno di abbandonarmi o lasciarmi indietro, ero io che li allontanavo in fin dei conti.
«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi così?» Mormorai, guardando dritta in quel suo unico occhio verde smeraldo. Il rosso sorrise sornione, accarezzandosi distrattamente il collo con una mano. Era sempre il solito, prevedibile Junior. Ma andava bene così.
«Mi dispiace, è stato più forte di me: sono solo contento che tu stia bene.»
Il mio cuore accelerò, portandomi a socchiudere le labbra con inaspettato stupore. Lui si era preoccupato per me, nonostante io continuassi a trattarlo male. Forse avrei dovuto addolcire i miei modi di fare, tentare di stare al passo con tutti loro per quanto riguardava i legami. Oppure no. Perché pensavo a quelle cose?
Assolutamente non potevo. Avevo una meta ben precisa nella mia vita, che necessitava di essere portata a termine senza complicazioni o variazioni. Completata quella chissà cosa ne sarebbe stato di me. Non avevo tempo per affezionarmi agli altri (avevo già sgarrato la regola facendolo con Lenalee; e desiderando che Komui mi vedesse come una sorella) e questo aveva apportato a me stessa non pochi danni. Sapevo di non essere del tutto cosciente, attenta a cosa mi succedeva attorno quando uscivo in missione con Lenalee. Lei e la sua salvaguardia erano la mia priorità, e non andava di certo bene.
Torna in te, Evangeline. «Beh, come puoi vedere non ce n’era bisogno. So badare a me stessa, al contrario di qualcun altro all’interno di quest’ospedale» e i miei occhi scivolarono sul raggio di luce che fuoriusciva dalla stanza del Generale. Lavi sbatté la palpebra, stupito dall’acidità riposta nelle mie parole, e ingoiò a vuoto un fiotto di saliva. Forse avrei dovuto risparmiarmela questa. «Ora sarà meglio che vai, Bookman non ci sta’ guardando di buon occhio.»
«E come potrei?» Borbottò il vecchio panda, riducendo gli occhi truccati di nero a due fessure.
Inarcai le sopracciglia e mi abbassai alla sua altezza con il busto, sfiorando i fianchi di Lavi. I nostri occhi non persero mai contatto, combattendo silenziosamente una discussione in cui io ebbi la meglio perché il vecchio decise di voltarsi e dirigersi nella stanza. Silenziosamente venne seguito da rosso.
«Puoi dire tutto quello che vuoi, Evangeline» sentenziò una voce alle mie spalle, facendomi drizzare i capelli sulla nuca. «Ma il tuo caratteraccio è inappropriato per una ragazza.»
«E le tue idee sono inappropriate per me. Non m’importa che pensi» replicai d’istinto, voltandomi a osservare due pozze azzurre. La proprietaria scosse violentemente il capo, visibilmente contraria a quel mio modo di fare.
Con una mano guantata si accarezzò i corti capelli rossi fuoco, mordendosi le guance per fermare il nervoso che le stava salendo. Forse, prima di rivolgersi ancora a me con pacatezza, si morse la lingua.
«Hai qualcosa per me?» Borbottai, con il cuore pesante per l’attesa risposta. Se avesse detto di “si” era probabile che le nuove notizie sarebbero state crudeli, degradanti.
«Si. Ma sarebbe meglio parlarne lontano da qui, e con Komui presente. Dopo tutto, è della tua vita che parliamo.»
 
 
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Isil: Eccoci ancora qui.
Evangeline: Yu uhu, la felicità trabocca da tutti i miei pori.
Isil: Non ne dubito *sospiro*
Anita: Yep. Che mortorio che c’è qui, Madonna santa. Per fortuna: Anita è qui, e la festa comincia.
Evangeline: Oh, ma per favore. Oggi non è proprio giornata, perciò vedi di non tirarla per le lunghe.
Isil: Si, in effetti. Anita, non metterci troppo. Per la nostra Eve non è un buon momento.
Anita: Ooook.  Bene, a quanto pare la giornata non va, per nessuna delle due qui sopra, perciò non andiamo per le lunghe. Un ringraziamento speciale a quelle due sante che hanno recensito lo scorso capitolo (abbiamo apprezzato molto) e un abbraccio forte, forte, forte.
Isil: Yeeep. Thank you, mon petit.
Anita: Già. *Una porta sbatte* Beh, a quanto pare abbiamo perso Evangeline-chan…
Isil: Non credo siano tempi buoni per lei, lasciamola stare per un po’.
Anita: *annuisce* Allora sarà meglio che per oggi la finiamo qui. Un bacio a tutti, alla prossima.
  
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