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Autore: SakiJune    19/12/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Innocet si era emozionata per niente. Thistle, dal suo angolino alla finestra, ma senza più fiori tra i capelli né sorrisi sulle labbra pallide, così simili a quelle di Ada, le aveva descritto i dettagli di un sogno e poi la sua fine incomprensibile.

- Non capisco, l’hai respinto?

- Non me lo aspettavo. Non così, non con le parole che ha usato.

- Davvero? Penso che tutti noi ce lo aspettassimo. Sei innamorata di lui da quando hai memoria!

- Non basta che sia io ad amarlo. Io non voglio essere corteggiata da qualcuno che non mi vuole davvero.

- Perché non dovrebbe volerti… che cosa pensi di lui? È la persona più onesta e trasparente che abbia mai conosciuto.

- Non gli credo! Non è di me che ha bisogno, vuole solo far parte di questa famiglia.

Innocet restò sbigottita, in un primo momento. Una parte di lei apprezzava il modo in cui Thistle ragionava: dimostrarsi cauti e riflessivi anche mentre si è in preda a forti passioni era  una qualità innegabile per una futura Kithriarca. D’altra parte, credeva fosse ancora troppo giovane per reagire così freddamente alle opportunità della vita. Le rispose con studiata ironia: - Hai ragione, allora. Non basta l’amore, se non c’è fiducia. Credo che tu abbia fatto bene a rifiutare di sposarlo; in futuro incontrerà una donna migliore che lo renderà felice.

Thistle si strattonò il foulard, quasi si sentisse soffocare all’improvviso. Innocet aveva colto nel segno, come sempre.

- Vorrei essere io a renderlo felice! Ma non posso accettare di essere la seconda scelta, è una cosa che mi fa impazzire!
Ancora con quella storia del bacio con Jenny… oh, la preferiva così: autentica e coinvolta nelle scelte da compiere. Ma quel piccolo dolore causato dall’incomprensione tra i due persisteva. Quella sua incarnazione non era più giovane, si era fatta ogni giorno più sentimentale, sebbene non avesse mai perso la sua deliziosa ironia. - Gli hai detto questo?

- Sì. Ed è rimasto molto calmo. Non lo so, non so se gli importasse davvero. “Se pensi questo di me, non t’importunerò più”, mi ha risposto così.

- È tutto a posto, dunque. Hai già iniziato a fare domanda per un nuovo impiego? Sarà piuttosto imbarazzante lavorare insieme, dopo un discorso del genere.

Mancava pochissimo, giusto una spintarella ancora.

- Io… non ci ho ancora pensato…

- Perché non hai ancora deciso. Non è troppo tardi. Ma finché resterai convinta che non meriti questa felicità, non c’è nulla che io possa consigliarti. È vero, anch’io ho sempre pensato che lui ami questa Casa più di quanto sia legato alla sua. E come dargli torto? Deeptree sta crollando definitivamente e forse è un bene, se questo è davvero il destino che spetta agli ingrati. Se accadesse, accoglieremmo lui e Ash con tutto il nostro calore, che tu lo voglia sposare oppure no. E questo Kedred lo sa da molto tempo. Non rischierebbe di essere umiliato da tuo padre nel caso in cui non fosse d’accordo con la vostra unione. Se è preparato ad affrontarlo, significa che tiene davvero a te, e non al nome che porti.

- Perché papà non dovrebbe essere d’accordo? - L’ultimo muro era caduto. Thistle nascose la bocca tra le mani, improvvisamente consapevole del proprio sciocco errore. Sfiorò i viticci che pendevano dall’arco tra il soggiorno e l’ingresso, passandovi di corsa, e aprì una delle cabine di teletrasporto. Si voltò a cercare l’ultima conferma della sua approvazione, se mai ce ne fosse stato bisogno.

- E sbrigati, non farlo stare in pena! - la spronò Innocet, proprio mentre il Dottore entrava nella stanza, con in mano un vecchio libro preso dalla soffitta e la sua pipa da mordicchiare leggendo.

Un tempo trascorreva intere giornate a pianificare interrogazioni al Panopticon, architettando stratagemmi per andare alle elezioni prima della scadenza del mandato, senza tuttavia scalfire la credibilità del sistema istituzionale. Era un pericolo concreto: la gente del deserto non attendeva che un fremito di instabilità per sollevarsi contro la Cittadella, e Tersurus era ad un passo dalla guerra civile. Romana, nominata Governatrice come concessione alla minoranza, stava imparando a sue spese che una posizione di responsabilità - ma non di potere - era quanto di più simile alla schiavitù. Non poteva, sotto le attuali leggi, migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti più di quanto Drax fosse mai riuscito a rigenerarsi con una folta chioma.

- Dov’è andata Thistle? È mai possibile che in questa casa non ci siano mai più di quattro persone insieme? - Sprofondò in poltrona, massaggiandosi la fronte.

- Sono quasi sicura che sia tornata all’Accademia.

- Io dico…

Innocet lo interruppe. - Questa volta lasciala fare, è innamorata.

- Oh. Devo sempre essere l’ultimo a sapere le novità.

Lei lo guardò con fare materno. Novità, certo. Si potevano possedere le più fini doti telepatiche, ma ad un uomo certe sottigliezze sfuggivano sempre… quando si voleva lasciarle sfuggire.

- E tu sai di chi? - Finse indifferenza, ma il tamburellare delle sue dita sul libro tradirono un certo nervosismo.

- Potrei avere un’idea, ma…

- Segreti di donne, mai immischiarsi. - Il Dottore mimò nuovamente un distacco poco credibile. - Mi fido del suo buon gusto, dopotutto: non sceglierebbe mai uno scapestrato.

- No, Dottore, questo è sicuro. - Si era dimenticata di controllare che Dorium non stesse ascoltando, ma vide che non era così.

- Non sarà troppo giovane? O troppo vecchio?

- L’età è una questione relativa. Ragioni come un terrestre, qualche volta.

Il Dottore fece una smorfia. - Un piccolo indizio?

- È una persona paziente. E questo mi rassicura perché dovrà avere molta, molta pazienza con lei. La tua carciofina è cresciuta, e sa quello che vuole… solo che a volte ha bisogno di capire cosa vogliono gli altri. Ha tutto il tempo per imparare, comunque.

Il Dottore si voltò a guardarla e si accorse delle rughe sottili che iniziavano a contornare i suoi occhi scuri, facendosi più visibili mentre sorrideva. S’intenerì al punto da sentire il bisogno di accarezzarle una guancia mentre le trasmetteva questo pensiero: “Se non fossi mia Cugina, vorrei che fossi mia sorella”.

“E dovrei avere a che fare con Lord Braxiatel?” fu la risposta di Innocet, arguta e sarcastica.

Lui ridacchiò, ma i suoi occhi erano seri. “Davvero. Grazie. Grazie di esistere.”

 

Il trasmettitore aveva trillato e li aveva riscossi da quella tiepida atmosfera familiare. Il Dottore sospirò e aspettò i canonici tre minuti: come aveva sperato, Ada era andata a raccogliere il messaggio, risparmiandogli un viaggio fino all’altra sala. La Casa era diventata piuttosto grande, ormai.

Altri tre minuti, però, e l’indolenza si era già trasformata in furia. Anche Ada era fuori dai gangheri, e aveva appallottolato il foglio con un gesto stizzito. - Non ho rischiato la vita per mettere al mondo un cretino, nossignori. Lo è diventato, non so come, ma lo è diventato.

- Rileggi per me. Non posso crederci se non lo fai.

- Non c’è bisogno di rileggere, Thete. Vai a parlargli tu perché se me lo vedo davanti gli tiro due ceffoni. Ma vuole farci impazzire? - replicò Ada, rivolta a Innocet. - Non si è presentato alla simulazione d’esame. Non gliene importa niente.

- Basta, ora mi sente. Non ti agitare però, non serve a nulla - concluse il Dottore.

 

Quando la TARDIS atterrò in giardino, era già passata l’ora di cena. Jackjamin seguì controvoglia suo padre nello studio, dove lo vide sigillare la porta e fronteggiarlo.

- Non pensavo di dover arrivare a tanto, ma eccoci qui. Non sono soltanto tuo padre, sono il tuo Kithriarca, perciò non puoi semplicemente rifiutarti di obbedire.

- Oh. Quando ti fa comodo te ne ricordi!

Lo schiaffo arrivò senza preavviso. - Questo è da parte di tua madre, a proposito.

- Ti odio!

Fu doloroso, ma non se ne stupì. Era sempre stato così tra lui e Quences, dopotutto.

- Sì, va bene. Continua. Continua! Vuoi restituirmelo? Forza, osa! Ma non uscirai di qui finché non mi avrai detto tutto quello che ti passa per la testa! Quando sei solo, quando guardi in aria e sei da tutt’altra parte, quando gridi e sbatti la porta e non riesco a raggiungerti e questo mi spaventa… perché non so come aiutarti…

- Vuoi sapere a che cosa penso.

- Sì, ti prego! - gridò il Dottore, strabuzzando gli occhi.

- Anche se potrebbe farti arrabbiare.

- Più di quanto io sia già arrabbiato? Ma potrei stupirti. Lasciami leggere la tua mente un’unica volta. Non desidero altro che capire, solo questo, porco schifo!

Dopo un lungo silenzio, Jack chinò la testa e annuì brevemente. Il Dottore si avvicinò e non ebbe nemmeno bisogno di toccarlo, socchiudendo gli occhi per assorbire i suoi pensieri complicati.

 

Più imparo sull’universo, più considero la razza a cui appartengo… e non ne vado fiero.

Sembriamo potenti, ma è un’illusione. Rimaniamo attaccati a tradizioni che già hanno mostrato i loro pericoli, non impariamo dalla storia passata. La prudenza che ci insegnano è in realtà indifferenza, al suo meglio, e ipocrisia a guardare a fondo. Tu no, tu hai saputo andare oltre. Avevi scelto qualcosa di diverso, hai assecondato la tua natura. Ma non hai rinunciato ad essere un Signore del Tempo. A parole hai rinnegato questo pianeta, questa società, la tua stessa famiglia; ma hai conservato la capacità di vivere oltre i limiti che le altre razze hanno, e ne hai fatto uso in grande quantità. Ne hai ottenuto persino più del consentito.

Ma il prezzo? Conosci il prezzo di una vita così lunga, il dolore di ciò che si perde lungo il cammino, e la sensazione di poter raggiungere qualsiasi obiettivo, e la caduta improvvisa nel constatare che nulla può l’orgoglio contro il destino. L’eterna corsa.

Secoli, millenni a desiderare, afferrare e distruggere.

Questo tu hai scelto, e ti può sembrare che io voglia giudicarti, ma considero anche l’alternativa. Quella che mia sorella ha già intrapreso con gioia. Ogni giorno uguale all’altro, gli universi che ti scorrono davanti e sono solo le immagini di uno schermo, i dati di un’equazione,

Secoli, millenni a osservare, catalogare e non sfiorare ciò che c’è fuori nemmeno con l’immaginazione.

Che strada dovrei prendere, allora? La sofferenza o la noia?

Eppure esiste una terza via. Quella di chi vive davvero, ma che non spreca energie perché sa di essere fragile. Relativamente fragile, intendo. Una vita come quella che aveva mia madre prima che la portassi qui, che la privassi di quel privilegio.

Ecco.

Vorrei liberarmi dal peso di un’eredità che non ho domandato, e che può solo rendermi infelice.

 

Il Dottore attese, ma il flusso di pensieri si era interrotto. Il muro era di nuovo al suo posto, impenetrabile come sempre. Jackjamin non osò alzare il capo.

- Mi stai dicendo che non intendi diplomarti?

- Non lo so. Non ne ho la più pallida idea. Fino a qualche tempo fa, ogni volta che tornavo a scuola mi sentivo diverso. Sentivo che… non riesco a spiegarlo, ma la pensavo diversamente. Qualcosa mi spingeva a dare il meglio di me, pensavo fosse giusto così, tiravo avanti…

- Io non voglio che tu tiri avanti, ragazzo mio. Voglio che tu sia te stesso e credimi, non c’è nulla di strano in ciò che mi hai detto. Sai, l’ho fatto. Ho vissuto sulla Terra con un corpo umano, senza ricordi. Avrei potuto vivere e invecchiare e morire in una manciata di decenni, e senza nessun rimpianto.

Jack finalmente lo guardò con occhi sgranati. Sapeva a cosa si riferisse. A scuola aveva imparato il funzionamento di un arco camaleonte, sia nella versione integrata ad una TARDIS che in quella portatile, più complessa internamente. Il professor Drax ne aveva uno, ma lo usava come un normale orologio. - Cosa accadde?

- Ad un certo punto ho dovuto decidere se restare o ripartire, e non è stato facile, non lo è stato affatto.

- Lo rimpiangi?

- Non rimpiango niente. È stato un cammino più lungo, ma mi ha portato a voi.

- E un giorno ti porterà altrove. Saremo solo una delle tante tappe del percorso. Ma se ti fossi fermato allora…

Il Dottore gli puntò l’indice sul petto, punzecchiandolo al ritmo delle sue parole. - Tu. Non sei. Una tappa. Sei il mio arrivo.

- Quindi ti dispiacerebbe se andassi in fondo a quella tua esperienza? - lo sfidò lui.

Era un’eventualità che gli toglieva il respiro. Per così tanto tempo aveva ammirato gli umani e le altre creature più effimere, ma ormai da un secolo era tornato su Gallifrey e aveva perso il gusto della fragilità. Si era ormai abituato alla rassicurante realtà di essere circondato da suoi simili, che avrebbero condiviso il suo cammino per molto tempo ancora… e lui non era semplicemente un suo simile, era il suo sangue. Tentò di negoziare: - Avevo novecento anni. O dicevo di averli, non conta. Perciò, quando avrai anche tu quell’età, sarai libero di scegliere.

- Io non voglio vivere novecento anni! - protestò Jackjamin, frustrato.

Il Dottore l’afferrò per una ciocca di capelli biondi, attirandolo a sé in un gesto rabbioso, e mormorandogli all’orecchio: - D’accordo. D’accordo. Mi basta che tu ci sopravviva. Perciò domani torni all’Accademia e spero proprio che quel “qualcosa” ti ispiri alla grande, perché ormai sei in ballo.

- Sissignore. - Jack sembrava deluso. Forse aveva sperato che capisse e gli concedesse di non tornare a scuola. Di non diventare affatto un Signore del Tempo. Se…

 

Le sue dita scivolarono nella tasca, come ogni giorno da più di due anni, ad afferrare la fonte della libertà.

Non sapeva come altro definirla: non era pace, perché si sentiva anzi più irrequieto e insoddisfatto; non era vera forza, né grandezza. Era soltanto libertà - da che cosa, doveva ancora scoprirlo. Lui e Ash erano riusciti a scartare qualche teoria, ma esistevano ancora varie ipotesi, di cui nessuna era esaltante.

Sul momento, comunque, scoprì qualcosa di ancor meno piacevole: sotto i polpastrelli sentì, sulla superficie della foglia, una minuscola crepa.

 

 

   
 
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