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Autore: SakiJune    19/12/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Jackjamin scalciò via le scarpe con rabbia e si gettò sul letto. Era stanco di cercare, di fare supposizioni, di crackare sistemi e non trovare altro che vecchie leggende oscure e resoconti dell’Agenzia Interventista. Tra le due opzioni, avrebbe preferito di gran lunga essere manovrato da quest’ultima, ma a quanto ne sapeva era stata dismessa ancora prima che lui nascesse… e poi c’era un dettaglio che lo tormentava, proprio perché coincideva perfettamente. Trasse un respiro profondo.

- Non devi pensarci.

- Non mi piace per niente.

Ash allungò la mano ad accendere la luce e si alzò a sedere. Non era sicuro di ciò che stava per dire, eppure lo disse ugualmente.

- Nemmeno a me, ma non devi avere paura. Ti amo.

Non esplosero le finestre, non furono trasportati alla fine dell’universo da una raffica di vento cosmico e nemmeno Jack reagì come aveva temuto.

- Sì, lo immagino, - rispose, senza la minima traccia di stupore nella voce, un poco soffocata dal cuscino. - Voglio dire, è una cosa bella. È una splendida notizia, in mezzo a tutta questa merda.

Ash deglutì e fece un mezzo sorriso, occhieggiando la porta. Era stato un azzardo immenso, ma era andata bene. Ma fu lui a stupirsi quando lo sentì continuare:

- Vuoi baciarmi? - Non sembrava scherzare. Si era tirato su a sua volta e lo fissava con curiosità.

- No, non…

- Andiamo, so che ne hai voglia.

- Non voglio. - Era una bugia bella e buona e una contraddizione, naturalmente eppure in fondo c’era una briciola di verità. Non si era dichiarato perché credesse che sarebbe accaduto chissà che. - Non così. C’è qualcosa che dobbiamo ancora risolvere, sarebbe meglio…

Jack non aveva idea di cosa si provasse. Non l’aveva mai desiderato. Non ci aveva mai nemmeno pensato. Ma aveva bisogno di capire cosa fare della sua vita, e quello poteva essere un punto di partenza.

Premette le labbra sulle sue e rimase ad attendere che qualcosa accadesse, che le campane suonassero come in quella ninnananna che sua madre gli cantava quand’era piccolo.

Non fu esaltante, e con il passare dei secondi non cambiò nulla.

Ma Ash aveva chiuso gli occhi, abbandonandosi. Era suo. E anche solo per questo gli parve ne valesse la pena.

Sentì la sua mano sulla guancia e un fiume di pensieri ingenui riversarsi nella sua mente a rinfrescarla dal troppo arrovellarsi su quei misteri spaventosi.

Forse…

 

La porta della stanza si spalancò e i loro compagni di dormitorio si precipitarono dentro. Stava per scattare il coprifuoco, in pochi minuti i corridoi sarebbero stati pattugliati da professori e assistenti imbronciati. Con l’avvicinarsi degli esami, gli studenti dell’ultimo anno erano tenuti maggiormente al guinzaglio, quasi si temesse che volessero sfuggire al proprio destino di Signori del Tempo. Cosa che per Jack era sicuramente vera, mentre per Ash era tutto il contrario - contava sul momento fatidico più di ogni altro, e avrebbe rappresentato l’unica certezza da cui iniziare a costruire quella parola così grande e finora insperata che si pronunciava futuro.

- Eccoli che fanno pciù pciù! Ti devo un gruzzoletto, Nexus.

Il signorino di Blyledge sbuffò, alzando le spalle. - Con comodo. È da mezzo secolo che la tiriamo con questa storia, posso aspettare ancora un po’. E allora! - gridò, saltando su una sedia e da lì alla scrivania. - Stasera si folleggia?

Quale meraviglioso tempismo, non c’era che dire.

- Nex, a che pensavi? Sbronza colossale o fuga nel deserto?

- Qualcosa di meglio. - Si accoccolò sui talloni, sporgendosi oltre il bordo della scrivania. - Non avete mai sentito parlare dell’Ottavo Uomo? - sussurrò in tono volutamente inquietante.

- Sentito parlare… sì. Ma non dirai sul serio - rispose qualcuno.

Blynexus sbuffò. Era certo che la reazione sarebbe stata quella; non si aspettava nulla di diverso. - Bestioline impaurite, è stasera o mai più.

- Non è questione di aver paura...

- Sì, come no - li schernì. Era sempre stato il leader perfetto della compagnia, e ora che mancava così poco al suo sciogliersi ne era frustrato. Voleva essere al centro dell’attenzione ancora per un po’, trascinarli verso l’ignoto e il meraviglioso.

Gli altri si guardarono, qualche sopracciglio si sollevò.

Jackjamin fece scivolare le dita nella tasca a stringere la foglia, fin quasi a pungersi i polpastrelli. Vi si era formata un’altra crepa, ma lo stesso gli diede coraggio.

- Ci sto. - Allargò la bocca in uno dei suoi strani sorrisi, e Ash capì che l’avrebbe seguito in qualsiasi follia.

Non avrebbe dovuto.

La trama della sua esistenza era fragile, l’aveva sempre saputo nonostante i suoi Cugini avessero cercato di sdrammatizzare la situazione. Non amava così tanto studiare, non più di quanto piacesse a Jack. a quello vero. E checché ne pensassero gli altri, un obiettivo in realtà l’aveva sempre avuto - aver diritto ad accedere al Nucleo Simbiotico prima che la forza vitale in lui svanisse. Era stato un bello scherzo, quello del Telaio di Deeptree. L’ultimo sputo in faccia all’ingratitudine degli Integralisti: uno scampolo incompleto.

Non avrebbe dovuto nemmeno farsi sfiorare dall’idea di partecipare ad un gioco che richiedeva sforzo mentale.

Eppure erano entrambi in ballo, quella sera. Era l’unica possibilità per capire se per loro quella parola tanto grande e luminosa - futuro - fosse una realtà dietro l’orizzonte, e quale forma avesse.



Sì, decise il Dottore, la serata danzante nella sala grande di Lungbarrow stava andando a gonfie vele. La sala non era ancora veramente grande come quella della Casa finita in fondo al dirupo all’epoca della sua settima incarnazione, ma era decorata con bellissime ghirlande di fiori e il sorriso di Thistle ne era inconsapevolmente l’ornamento più splendido. Corgan e Morth, solitamente rumorosi e spavaldi, contemplavano di sottecchi gli abiti delle ragazze con una sorta di terrore mistico, abituati com’erano alle divise di scuola e alle relative acconciature spartane; Ryndane spiava le reazioni degli invitati al sapore dei suoi dolci.

Drax dimostrava di gradirli moltissimo, ma si accorse di qualcosa che gli piaceva assai di più e che tuttavia aveva per lui un retrogusto amaro. Si staccò dal gruppetto di invitati e raggiunse l’eterna fonte delle sue pene.

- Salve - esordì.

- Oh, buonasera, - rispose Romana sbirciandolo appena. Da molti anni, ormai, recitavano una commedia ormai logora: non era più nemmeno divertente.

Lui non si era soltanto rassegnato a non poterla avere, ma negli ultimi anni aveva sviluppato una sorta di rabbiosa antipatia, una maschera così dura da scalfire a cui lei, pur fingendo che non le importasse recuperare la sua amicizia, bussava di nascosto per testare i suoi punti deboli.

- Gira voce che il nuovo Governatore di Tersurus stia per togliere il diritto di voto ai locali. Ma siamo impazziti? Eri là per impedire questo scempio!

- Sì, ho fatto ciò che potevo. Ho ricevuto minacce di morte, non avevo molta scelta. Mi stai giudicando, Drax? Perché non ho la voglia né il tempo per litigare. Devo essere su Karn prima che sorga Razithi... ma ho ancora posto sul carnet per un ballo al sapore di risentimenti.

- Come vuole, signora, sono abituato a quel condimento. Poi devo fuggire anch’io… ho la ronda di notte. Quegli scalmanati ne combinano sempre una.

Lei lo guardò meglio mentre le circondava la schiena con un braccio e ostentava indifferenza. Le venne quasi da ridere, ma non osò. Iniziarono a seguire la musica con passi compiti, come per svolgere un dovere. Tanto valeva andare fino in fondo. La fece volteggiare con grazia e forza inaspettata. Romana pensò a come dovevano sembrare dall’esterno, cosa pensassero gli altri invitati vedendoli, se anche loro la stessero giudicando per aver ceduto alle pressioni del Consiglio ed essersi fatta da parte per l’ennesima volta. La verità era che aveva dato a Gallifrey tutto ciò che poteva. Ma non si sentiva, come dopo la morte di Borusa, inutile e impotente: al contrario, era piena di energie, avrebbe potuto organizzare un coup d’état

(oh, la lingua francese)

e ricominciare da capo, ricostruire tutto quanto di buono era stato cancellato dai governi a tinte verdi che si erano susseguiti nei decenni… sì, avrebbe potuto, ma aveva paura. E non delle minacce altrui, ma di se stessa.

Aveva compiuto grandi cose in passato, ne era consapevole. Eppure le sue conquiste erano state fatte a pezzi e i suoi errori coperti da un quieto oblio. Ammettendo di riuscire ad unire l’opposizione ancora una volta… a far eleggere un nuovo Lord Presidente

(non lei, no, mai più quel potere tra le sue mani)

e riaprire le relazioni diplomatiche con le Federazioni, dare nuovamente fiducia e diritti agli abitanti delle colonie... Ma lei e il Dottore ci avevano già provato, avevano usato tutti i mezzi leciti per farsi ascoltare.

Non c’era che una strada - ma non l’avrebbe percorsa. Non si sarebbe sporcata le mani di sangue un’altra volta. Non si sarebbe più intromessa con la forza nel destino del suo pianeta.

In un’occasione, Ada le aveva raccontato la storia di una regina senza regno che viaggiava con il suo esercito e i suoi tre draghi liberando schiavi di città in città. Ma non appena ripartiva, nuovi padroni prendevano il potere e nessuno restava libero a lungo. Nell’ultima città aveva deciso di restare per mantenere la pace, ma anche questa si era rivelata una decisione fallimentare: aveva dovuto sottostare a compromessi atroci e ogni decisione che prendeva, in totale buona fede, le si rivoltava contro.

Le aveva chiesto cosa fosse successo dopo, ma Ada aveva risposto, con un sospiro malinconico, che quando era partita dalla sua dimensione lo scrittore non aveva ancora terminato la storia.

Era così, la storia non era terminata… ma non era necessario che continuasse su Gallifrey. C’era molto di più là fuori. L’aveva sempre saputo, in parte l’aveva visto e vissuto, ma ora più che mai desiderava tornare a viaggiare.

L’invito su Karn era un passo in quella direzione. Non poteva parlarne con alcuno, ma sembrava trattarsi di un evento unico e prezioso - la nascita di una figura leggendaria per l’intero universo.

Drax sembrava aver abbandonato tutta la rabbia, la timidezza e ogni traccia di orgoglio, se mai ne aveva avuto; dominavano la sala e lei sentì di avere tutti gli occhi puntati addosso, ma a quel punto non le importava più. Rise, e questa volta non di lui. Rise di ciò che erano stati, e forse lui lo capì, perché si unì a lei e per la prima volta Romana notò il colore dei suoi occhi, le fossette sulle sue guance e la semplicità che emanava da ogni suo gesto.

- Romana…

- Cosa? - mormorò, cedendo ad una dolce sensazione di vertigine.

La fece piroettare un’ultima volta e la danza terminò. Lei fece qualche passo verso il buffet, pensando che lui l’avrebbe seguita, ma Drax non si mosse.

- Devo andare, te l’ho detto. Dobbiamo rifarlo, però. Alla prossima festa… non che ci sia molto da festeggiare, ma inventeremo qualcosa. - Le trasmise un’immagine molto precisa delle intenzioni di Kedred e lei si coprì la bocca con una mano, sorpresa ed emozionata.

- Non ci sarà bisogno di inventare niente, allora. Sarà più vero del vero.

- Ora ti riconosco. - Mosse due dita dai propri occhi ai suoi e con una smorfia buffa si allontanò verso l’uscita della sala. Incrociò il Dottore e gli disse qualcosa che lei non riuscì a sentire, ma doveva essere qualche battuta delle solite perché vide Ada ridacchiare scuotendo la testa.

Sarebbero mai cresciuti?

Ma soprattutto, voleva davvero che lo facessero?

Guardò Thistle, graziosa nel suo vestito chiaro, rassicurare la piccola Ryndane sulla bontà dei suoi dolcetti e nel frattempo lasciar vagare lo sguardo verso la finestra, anticipando la gioia futura.

Pazithi splendeva, Razithi stava per sorgere. Era una notte meravigliosa.



Il Dottore prendeva nota dei presenti con curiosità e soddisfazione. Si accorse che Ada aveva preso a lanciargli occhiate inequivocabili, iniziando un gioco di sguardi e gesti che gli piacque moltissimo. Flirtavano a distanza, come se fossero due adolescenti al primo incontro in un pub. La tenerezza di quell’approccio lo commuoveva come al tempo del loro primo bacio - il bacio tra lui e Ada, non tra lui e Honey. Quel legame iniziato in modo così contraddittorio, tra incomprensioni e rivelazioni non richieste, e poi la ricerca di Jenny, quella che che da gratitudine era diventata curiosità e poi…

E poi, Gingko… Honey. E di nuovo lei, semplicemente lei.

Si avvicinò con quell’aria incurante, felina, seducente.

- Le andrebbe di ballare, signorina Markham?

Ada sorrise e la vita gli parve semplice e bella, di una purezza estrema. La prese tra le braccia e mormorò, malizioso: - O preferirebbe Lady Lungbarrow?

Lei non ebbe il tempo di protestare né di acconsentire a quell’ennesima, velata proposta di matrimonio, perché lo vide sbiancare e afferrarsi la testa con le due mani, come in preda ad una fortissima emicrania.

- Thete, che succede? Che cos’hai?



Kedredaselus, uno dei quattro attuali superstiti della famiglia di Deeptree ma soprattutto l’innamorato più ansioso del Continente Meridionale, in quel momento era particolarmente occupato a provare il suo discorso davanti allo specchio.

Drax, di ritorno dalla festa, lo stava ad ascoltare da un buon quarto d’ora quando finalmente lui si accorse di non essere solo e sobbalzò, contrariato. - Stavo cercando di concentrarmi!

- Sì, eri molto rilassato, l’ho notato subito. Tutto bene? Hai controllato tutte le camerate?

- Sì, due volte, l'ultima un'ora fa. Indovina in quale non dormiva nessuno - sospirò, cercando di mostrare il suo miglior profilo.

- Blynexusevendalleraph, che tu possa diplomarti la settimana prossima e levarti dalle scatole! - sillabò stile giaculatoria.

- Sì, l’idea è quella. Secondo te dovrei indossare qualcosa di più formale? Che aria tira laggiù?

- Devo mandartici oggi o andare indietro di qualche secolo per lasciarti l’invito direttamente quando esci dal Telaio?

- Ho avuto due genitori - gli ricordò, malgrado se stesso.

- Oh, giusto, certo. - Si finse sorpreso. - Buon per te, Lumachina, tu e la tua futura moglie partite con qualcosa in comune.

- Mi amavano. - Non sapeva perché si fosse lasciato sfuggire un dettaglio tanto infantile e fuori contesto. Era così nervoso. Come se ogni cosa fosse sul punto di crollare, invece che di rinascere.

- Ti amo anch’io. tesoruccio - sdrammatizzò Drax, somministrandogli due buffetti sulle guance. -,Adesso smettila di preoccuparti e vai difilato dal Dottore, con le tue dolci maniere, e chiedigli la mano della tua bella. Ti strozzerà e poi ti abbraccerà, andrà tutto meravigliosamente. Mi mangio le mani all’idea di non godermi la scena, ma...

Di ciò che accadde dopo, Kedred avrebbe conservato ricordi frammentari, come se lo specchio che aveva davanti si fosse infranto e i pezzi della sua vita si fossero sparsi per le dimensioni, alcuni perduti per sempre, altri conficcati nei suoi cuori a farli sanguinare per le sue restanti esistenze.

Come se fosse stato chiamato, Blynexus si era precipitato nel laboratorio correndo in maniera scomposta, finendo addosso a Drax e rischiando di far cadere tutti e due.

- Ehi, che accidenti… - Gli occhi del ragazzo erano fissi e aveva la mascella contratta. Quando Drax lo afferrò per le spalle, si liberò con uno strattone violento e vomitò a terra.

- Cos’avete fatto, razza di incoscienti? - Era una domanda retorica. In quel periodo dell’anno c’era quasi sempre un gruppetto che tentava l’impresa, nonostante i divieti e le minacce. - Chi altro c’era con te?

Nexus boccheggiò qualcosa e lui lo costrinse a ripetere, ma quando ebbe afferrato il senso delle sue parole si sentì raggelare. Lo schiaffeggiò con forza su entrambe le guance. Kedred, inorridito, si affrettò a sostenere il ragazzo, che paradossalmente ora sembrava più in sé.

- Starà bene. Quante ne hai viste, eh? Quante?

- S-sei, professore.

- Fantastico. Sarai un fantastico Signore del Tempo. Non prima di cinquecento anni, però, ti aspettano lunghi secoli al Monitoraggio Eventi prima di poter tentare di nuovo l’esame, razza di decerebrato.

Stava per mollargli un altro paio di sberle, ma quello si scansò: - Non può mettermi le mani addosso. Il mio Kithriarca saprà di questa…

- Sì, saprà che sei senza speranza. Fila in infermeria e restaci, racconta un po’ delle tue prodezze. Ked, andiamo. È riuscito a trascinare tutta la camerata in questa follia… il tuo fidanzamento dovrà attendere.



L’odore di quello scantinato in disuso era ormai insopportabile.

Ognuno di loro aveva ripetuto il proprio nome senza sosta, fino a sentire la bocca arida e a cadere in trance.

Videro i volti che avrebbero indossato nei secoli in una sequenza distorta e assordante, dilatata in un tempo non percepito dai sensi.

Jackjamin rimase dolorosamente in bilico tra la veglia e l’incoscienza, di fronte a quell’unica figura.

Aveva deciso ormai. Nessuno poteva obbligarlo a diventare un Signore del Tempo, giusto? Era assurdo. Allora chi era quell’uomo con gli occhi azzurri? Non poteva essere lui. Aveva il sorriso strafottente di un seduttore.

Non voglio.

Non voglio diventare qualcun altro.

No, no, no, no, no.

Vide quel volto dalla bellezza nauseante cambiare, trasformarsi in un mostro.

Non voglio.

Non posso essere io!

Era orribile, aveva occhi enormi e labbra enormi e sembrava scrutare l’universo dall’alto dei millenni...

No! Nooooo!

Tentò di svegliarsi, di strappare se stesso a quelle immagini che non potevano, non dovevano essere il suo futuro. Senza accorgersene, strinse la mano di Ash e la sentì fredda, inerte.

Udì le sue parole flebili: - Non c’è… niente… è… tutto buio… - e lottò più forte per tornare da lui, ma più si dibatteva, maggiore era la resistenza di quel guscio onirico. Poi iniziò il dolore. Qualcosa si strappava nella sua coscienza e fu come se due metà si incontrassero - e ricordò, ricordò ogni cosa, dalla sua iniziazione al giorno nel bosco in cui la voce gli aveva parlato per la prima volta, e poi a Oakdown, quando Kew aveva visto quella cosa staccarsi da lui come uno spettro di piume nere… e ancora, ogni discorso che gli aveva sussurrato durante il sonno, su come raggiungere la fama e la grandezza sino al punto più alto, sino ad afferrare il potere e consegnarlo al Caos…

Era vero, allora.

Il Guardiano Nero e il suo Pantheon della Discordia.

Era sempre stato dentro di lui.

Ad ogni passo.

Sentì la parte più profonda di sé prendere il sopravvento e si calmò. Non si sarebbe avverato nulla di ciò che quell’essere desiderava per lui, perché sarebbe morto. Era finita. La sua famiglia avrebbe mai saputo la verità? Forse no. Ma non aveva importanza. Avrebbero pensato che… era stato stupido, molto stupido a tentare quella bravata con gli altri. Forse che suo padre non aveva battuto il record, ai suoi tempi? Ecco. Era come lui. Solo un po’ più sfortunato. E un po’ più… come si dice? Infestato. Come una famigliola di Sorciporci che si annida fra le rovine… ma l’avrebbe sconfitto, annullandosi. Aveva vinto.

 

- Che cosa avete fatto? Sacra Fiamma, che cosa avete fatto?

Qualcuno lo scuoteva con forza, e non avrebbe dovuto, non doveva risvegliare il Guardiano…

Stretta nell’altra mano, la foglia era esplosa in frammenti affilati.



   
 
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