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Autore: Ysera    19/12/2014    0 recensioni
«Incredibile» sussurrò il ragazzo, sfiorandosi le labbra con la punta dell’indice, lo sguardo perso nel vuoto «Talvolta ciò che succede per caso è ciò che più segna le nostre vite. Ma...» si interruppe per qualche istante, fissando i profondi occhi castani della ragazza. «Tua madre aveva ragione: questo luogo è davvero infestato.»
Un attimo di silenzio. Il vento rinforzò repentinamente come volesse riempire l’istante di vuoto formatosi con il suo gelido ululato.
«Cos... che intendi dire?» chiese la ragazza dopo averci pensato su un momento, barcollando all’indietro.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Devi smetterla! Rischio l’infarto ogni volta che lo fai...»
Brandon non aveva ancora imparato a fingere di essere infastidito. In realtà, tutte le volte che Dakota gli arrivava quatta quatta alle spalle, cingendolo in un caldo abbraccio “a sorpresa” -come la ragazza stessa amava definirlo-, provava un senso di pace e serenità che solo lei era in grado di dargli. In quel fresco pomeriggio primaverile, Brandon sentiva di non aver bisogno d’altro.
La risata fragorosa di Dakota risuonò nell’aria.
«So che mi senti arrivare, se non ti sposti vuol dire che non ti dispiace» esclamò, ben consapevole di aver ragione.
Brandon, in tutta risposta, si limitò a fare una smorfia. Erano sette anni, ormai, che i due ragazzi si incontravano ogni pomeriggio nel piccolo parchetto poco fuori dal centro abitato, completamente immerso nel verde e di cui gli unici visitatori erano solitamente solo loro due. Né le condizioni climatiche, né catastrofi imminenti o addirittura la fine del mondo stesso avrebbero impedito ai due giovani di ritrovarsi lì, per stare insieme qualche ora, dimenticandosi di tutto e di tutti. Anche la panchina su cui solevano sedersi era sempre la stessa: l’unica che affacciasse sull’immensa distesa d’erba sottostante, incorniciata da morbide colline che si distendevano ondeggiando al di là dell’orizzonte. Quel giorno nel cielo erano sparse qua e là candide nuvole dalle varie forme, sospinte da una leggere brezza di stagione.
«Come ti senti, oggi?» riprese la ragazza, accomodandosi a gambe incrociate sulla panchina.
«Un po’ debole e assonnato, ma non così male dopotutto» rispose Brandon.
«Quanto stanco e quanto debole?» Dakota inarcò le sopracciglia e curvò leggermente le labbra verso il basso, assumendo la sua consueta espressione preoccupata, tanto familiare al ragazzo da ricordarne ogni dettaglio a memoria. Se avesse chiuso gli occhi non avrebbe faticato ad immaginarsela così com’era, nella sua dolce semplicità.
Brandon pensò alla risposta da dare per qualche istante, poi disse, seccamente:
«Abbastanza.»
«Devi farti controllare, sono mesi che ti senti in questo modo pur mangiando e dormendo normalmente» asserì Dakota, chinando leggermente la testa verso destra. I lunghi capelli rosso mogano le scivolarono disordinati sulle spalle.
«Non è niente, non devi preoccuparti. E poi, anche volendo fare un controllo per togliersi ogni dubbio, sai che i miei sarebbero troppo “indaffarati” per portarmi dal medico».
«E allora? Che importa! Dal medico ci andiamo insieme, non hai bisogno dei tuoi. Non hai bisogno di nessuno!»
Brandon sorrise, limitandosi a dire:
«Non credo funzioni proprio così».
«Te ne prego, Don... io-»
«Ok» la interruppe il ragazzo. «Ti prometto che ci andremo, ma tu devi promettermi di stare tranquilla.»
I due si scambiarono uno sguardo d’intesa, a cui seguì un lungo silenzio in cui entrambi si concentrarono ad ascoltare tutto ciò che li circondava: l’uno il respiro dell’altra, il frusciare delle fronde degli alberi mosse dal vento, il cinguettio degli uccellini, il frettoloso zampettare degli scoiattoli che saltellavano da un albero all’altro in cerca di ghiande...
«Ricordi... come ci siamo incontrati?» chiese Brandon con un velo di imbarazzo, spezzando il silenzio.
«Certo che me lo ricordo! Uno degli incontri più strani della mia vita!» rispose Dakota, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
«Chi l’avrebbe mai detto che saresti tornata, dal momento che la prima volta in cui ci siamo visti sei scappata a gambe levate».
Dakota lanciò a Brandon uno sguardo tagliente.
«Beh... non è certo copla mia se all’epoca mi sembrasti un malefico nano da giardino
«Ehi, miss altezza, non ti conviene prendermi in giro per la mia statura. Ti ricordo che sei più alta di me a malapena di qualche centimetro».
«Seppur pochi, son pur sempre centimetri che fanno la differenza».
Brandon le lanciò una delle sue solite occhiate maliziose, facendola scoppiare a ridere.
«Sei sempre il solito idiota» disse la ragazza, per poi alzarsi in piedi di scatto. «Ricordi...» continuò, indicando un albero al centro del parco. «Eri seduto proprio lì, leggevi un libro. Ero convinta che qui non ci fosse nessuno poiché stando alle storielle che mi raccontava la mamma, questo parco era poco frequentato perché infestato dai fantasmi. Lo diceva perché temeva che qualcuno avrebbe potuto farmi del male se ci fossi venuta da sola, ma da bambina curiosa e scettica qual ero non diedi conto alle sue parole. Tuttavia, quando ti incontrari pensai che forse ciò che mi aveva detto la mamma non era solo un’accozzaglia di frottole e finii per scambiarti per uno spettro. Tornata a casa realizzai che eri troppo... uhm... “materiale”? “Sostanzioso”? “Vivo”? Vivo, ecco, questa è la parola giusta. Realizzai che eri troppo vivo per essere uno spirito e decisi di tornare. In realtà, non credevo ti avrei ritrovato qui».
«Quanti anni avevamo allora? Tredici?» chiese Brandon, pensieroso.
«Sì, esatto. Credevo di essere l’unica bambina di quell’età amante dei luoghi solitari e della natura. Poi sei arrivato tu...»
«Incredibile» sussurrò il ragazzo, sfiorandosi le labbra con la punta dell’indice, lo sguardo perso nel vuoto «Talvolta ciò che succede per caso è ciò che più segna le nostre vite. Ma...» si interruppe per qualche istante, fissando i profondi occhi castani della ragazza. «Tua madre aveva ragione: questo luogo è davvero infestato.»
Un attimo di silenzio. Il vento rinforzò repentinamente come volesse riempire l’istante di vuoto formatosi con il suo gelido ululato.
«Cos... che intendi dire?» chiese la ragazza dopo averci pensato su un momento, barcollando all’indietro.
«Perché non mi tocchi?» sussurrò Brandon.
Nessuna risposta.
«Perché non mi tocchi, Dakota?» ripeté, alzando il tono della voce. Sul suo viso si dipinse un’espressione che oscillava tra il nervoso e il premuroso. «Devi smetterla. Smetti di vivere nel passato. Non ti rendi conto di star parlando al nulla? Non ti rendi conto che non ci sono più, che la malattia mi ha consumato mesi fa?»
Dakota sentì il grosso nodo alla gola sciogliersi in calde lacrime, che le scivolarono, copiose, lungo le guance.
«Basta, ti prego...» sussurrò.
«Ti prego, Dakota. Vivi nel presente, vivi qui e ora anche per me. Non restare intrappolata nel tuo passato, va’ avanti. Abbandona questo luogo di oscura sofferenza, lascia che ad occuparsene siano i fantasmi del passato che lo popolano. Qui sono raccolte le storie di moltissime persone e qui devono restare. Volta pagina e non abbandonare a se stessa la persona fantastica che sei.»
La ragazza sospirò, socchiudendo gli occhi per qualche istante. Quando li riaprì si ritrovò completamente sola in quel parco ricco di ricordi, ma povero di vita. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano ed estrasse dalla tracolla un foglio di carta, che poggiò delicatamente sul lato della panchina di legno dove soleva sedersi il suo Don.
«Ecco, solo... ti ho fatto un ritratto. Ti prego, accettalo. Non tornerò qui e questo sarà l’ultimo dei miei doni, quindi per favore... prenditene cura. E’ parte della mia anima e l’affido a te» disse, con voce tremante.
Fece un profondo respiro e si mise la borsa in spalla, pronta a tornare a casa. Uscita dal cancelletto in ferro battuto, si voltò un’ultima volta ad osservare il luogo della sua infanzia, della sua adolescenza, del suo primo amore e della sua più grande perdita. Un soffio di vento le accarezzò la guancia asciugandole l’ultima lacrima che avrebbe versato in quel luogo. Dopodiché, si voltò e andò via, consapevole che mai più sarebbe potuta tornare nel parco dove incontrò lo spettro di un malefico nano da giardino.
   
 
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