Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    19/12/2014    8 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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You won’t hurt me
 
Talk to me softly
There's something in your eyes
Don't hang your head in sorrow
And please don't cry
I know how you feel inside I've
I've been there before
Somethin's changin' inside you
And don't you know
 
 
Non ho la più pallida idea di dove cazzo mi trovo.

Sono ore che cavalco verso Nord: ho superato foreste, crepacci e fiumi torbidi, ma ancora non ho visto neanche un dannato villaggio. Ero certo che tagliando per la foresta sarei giunto alla Terra dei Fiumi molto prima, ma non avevo tenuto conto del fatto che metà della strada sia franata ed è impossibile accedervi. Digrigno i denti per la rabbia. ‘Fanculo. ‘Fanculo alla strada e a questa situazione di merda. 

L’uccellino non ha più detto una sola parola da quando è salita in groppa a Straniero. Non che io ami molto parlare, però mi dà comunque fastidio. Alla Fortezza Rossa cinguettava in continuazione quelle belle paroline che le aveva insegnato la septa, mentre adesso non schiude le labbra nemmeno per umettarsi la bocca.

«Ho fame», grugnisco ad un tratto. Lei alza lo sguardo sul mio viso e poi torna ad abbassarlo senza proferire parola. «Dobbiamo trovare una locanda».
«E se dovessero esserci uomini dei Lannister?» La sua voce è appena un sussurro, ma i suoi occhi sono colmi d’ansia. Finalmente realizzo il perché di tutto questo silenzio: ha paura. Più ci avviciniamo ai villaggi e più ha paura che qualcuno possa trovarla. Non ha tutti i torti: semmai i Lannister dovessero davvero scovarla, la scuoierebbero viva.
«Non devi avere paura, uccelletto», un sorriso beffardo mi incurva le labbra. «Ti sei dimenticata quello che ti ho detto alla Fortezza Rossa?».

 I suoi gemiti di dolore mentre il Re Bambino la picchiava sono ancora vividi nella mia mente, taglienti come rasoi. Dopo la cerimonia, tutti i servi erano andati via per lasciare intimità al Re e alla Regina e gli unici ad essere rimasti eravamo io e quel coglione di Meryn. Da dietro la porta udivo le suppliche incessanti di Sansa, il rumore sordo degli schiaffi che Joffrey le dava e la furia mi montava nel petto ad ogni schiaffo di più, ad ogni insulto di troppo. Basta, ripetevo nella mia mente, Basta così. Smettila, dannato ragazzino. Prendila e falla finita, risparmiale altro dolore, ma il bamboccio aveva sempre provato un piacere perverso nel torturare gli altri, e sapevo bene che quella storia non sarebbe finita tanto presto.

Dopo un po’,  Meryn era dovuto andare a pisciare ed io ero rimasto da solo. In quel momento Joffrey mi chiamò. Entrai e ciò che mi si prospettò di fronte mi fece schizzare il sangue al cervello: lui era rosso di rabbia, indossava solo delle brache di tessuto pregiato e i suoi occhi brillavano d’una luce sadica e folle; l’uccelletto invece era accovacciata nel letto, il volto pieno di lividi e lacrime, nuda e con solo un lenzuolo a coprire le sue grazie. Tutto il suo corpo era scosso da brividi e singhiozzi, non l’avevo mai vista in quello stato.

Quando il Re mi ordinò di fotterla pensai per un breve, pericolosissimo istante di ubbidirgli. Da quanto tempo desideravo farlo, dopotutto? Da quanto agognavo baciare quelle labbra, assaggiarne il sapore? Troppo. E quella era la mia occasione: l’avrei presa una volta per tutte, con o senza il suo consenso. In fondo era il Re ad ordinarlo ed io dovevo ubbidire, non poteva odiarmi per questo. Non è colpa mia, continuavo a ripetermi mentre mi avvicinavo al suo letto, È il Re ad ordinarlo, io non c’entro nulla.

Ma quando incontrai il suo sguardo, così spaventato e pieno di delusione, qualcosa dentro di me andò in frantumi e con orrore mi resi conto di essere diventato il mostro che avevo sempre temuto di essere. Persino adesso che ho ucciso quello stronzo di Joffrey e mi sono liberato delle catene dorate dei Lannister la bile mi brucia la gola quando ripenso a quello che stavo per farle. Io non sono Gregor, cazzo. Non lo sono! Eppure Sansa era lì, nuda, bellissima e in mia totale balia, e se non mi avesse fermato, se non avesse detto quelle parole, io… io lo avrei fatto. L’avrei presa. L’avrei davvero presa.

Che razza di cane da guardia sono, se l’unico da cui dovrei proteggerla sono proprio io?

«No», risponde lei, ed io rinsavisco dai miei pensieri. «Non ho dimenticato. Mi ricordo. Però—».
«Però nulla, uccelletto. Ti ho detto che non hai nulla da temere e questo è quanto. Adesso fa silenzio, siamo vicini a un villaggio, posso sentire delle voci».

Lei non fiata, ma sulle sue labbra rosee danzano una decina di proteste. Sogghigno: può sbattere le aluccie quanto le pare, non riuscirà comunque a dissuadermi. Sono due giorni che vado in giro senza una meta, senza bere né mangiare nulla, e per quanto mi riguarda la scuoierei viva pur di avere una bottiglia di vino caldo e speziato.
Sprono Straniero e quelle stesse voci di prima accrescono di tono. Scosto il cespuglio d’un albero e scorgo quello che ha tutta l’aria di essere un villaggio di contadini. Non dovrebbero esserci pericoli, è completamente anonimo, tuttavia rischiare sarebbe pericoloso e non mi va di rimetterci la testa dopo tutto quello che ho fatto.

«Alza quel cappuccio, ragazzina, e tieni china la testa. Se qualcuno ti rivolge la parola tu non rispondere neanche morta, è chiaro?» Bercio, scendendo da cavallo. Straniero è troppo irruento quando è in mezzo alla folla, e l’ultima cosa che voglio è attirare l’attenzione.
«Ma—».
«Vuoi davvero che ti tagli la lingua?Sta zitta.» Gli occhi mi si assottigliano in due fessure iraconde e la mascella si contrae duramente. La ragazzina tace di colpo, evidentemente terrorizzata all’idea di perdere la lingua, ma lo sguardo che mi rivolge è di puro astio. Chissà come reagirebbe se le portassi via quel broncio a suon di baci.

Lei si allontana un po’ ed io lego bene Straniero ad un albero vicino al fiume in modo tale che possa abbeverarsi in caso abbia sete, poi tiro su il cappuccio del mantello. Nessuno deve sapere che sono qui. «Forza, muoviamoci. C’è una locanda laggiù».

Ci inviamo a passo spedito verso la locanda in questione, ben attenti a tenere il cappuccio sopra la testa e non dare nell’occhio. Entriamo in quella che ha tutta l’aria di essere una baracca polverosa e che puzza di vino e di aglio. Mi volto verso l’uccellino: tiene il capo chino e nasconde i capelli rossi dentro il cappuccio, proprio come le avevo detto.

Tsk. Almeno mi ascolta, qualche volta.

Ci sediamo su delle sedie accanto al bancone e l’oste si avvicina, la sua pancia protuberante che sobbalza ad ogni suo respiro. «Posso aiutarvi?», domanda. La sua voce mi ricorda tanto lo squittire di un topo. Non mi azzardo ad alzare lo sguardo, tuttavia con la coda dell’occhio scorgo il pizzetto ridicolo che ha sul mento.
«Dammi una bottiglia di vino», i miei occhi si posano sulla figura silenziosa di Sansa Stark, che continua a tenere il profilo basso e se ne resta silenziosa come una tomba. Decido che anche lei ha sete. «Una anche per lei».

Lui ubbidisce, porta le bottiglie e quando il vino scorre giù per la mia gola mi sento come rinascere. Il liquido è tiepido ma arde come il fuoco dentro il mio stomaco, il sapore dolciastro mi riempie la bocca e lo finisco in poche sorsate. Lo stesso non può dirsi della ragazzina che sta ancora sorseggiando il contenuto del suo calice con lentezza disarmante, ‘manco fosse veleno. Il mio sguardo si sofferma sulle sue labbra appena appoggiate al metallo del calice, rosse e piene come ciliegie, ed una parte di me freme alla sola idea di potersene appropriare. Che gli dèi siano dannati: come fa ad essere così bella anche in un momento simile?
«Intendete rimanere qui per la notte, signori?».

«No. Stiamo per—» Non finisco la frase. La porta dell’osteria si apre di colpo e un gruppo di uomini entrano sbattendo la porta. L’uccellino sussulta spaventata ed io porto le dita all’elsa della spada d’istinto: sono tutti ubriachi, realizzo, e sono armati. E questo non è un bene, soprattutto perché io quegli uomini li conosco: sono soldati di Ashemark, della Casata Marbrand, alleati fedeli dei Lannister, e se c’è qualcuno da cui bisogna stare lontano loro sono fra i primi della lista. Che cazzo ci fanno qui? «Intendo dire sì. Sì, ci serve una stanza e ci serve adesso», l’oste mi guarda diffidente ma non replica nulla. Nella foga, commetto l’errore di lasciargli intravedere il mio volto e, da come mi guarda, capisco subito che ha capito chi sono. Digrigno i denti e stringo forte il legno del tavolo, il sangue che mi sobbolle nelle vene come impazzito. «Muo-vi-ti».

Con reticenza, l’uomo mi porge una chiave in ottone e mi indica la terza stanza sulla destra qualche metro più in là, lungo il corridoio. Quando sto per prenderla, però, la lascia cadere a terra e quella rotola giù accanto al tavolo dove stanno i soldati dei Marbrand.

«Oh, sono mortificato…», sussurra, incurvando le labbra. «Mi è scivolata, sir».

 Figlio di puttana. Faccio per alzarmi, ma l’uccellino mi precede e si dirige svelta verso il tavolo. Non faccio in tempo a fermarla che le sue dita sono già strette attorno alla chiave. Il mondo intero sembra fermarsi e per un attimo dimentico persino come si fa a respirare. Sansa si alza, ignara di tutto e con un sorriso compiaciuto dipinto sul viso, e sta per andarsene finché succede proprio quello che non doveva succedere: uno di quegl’uomini, evidentemente ubriaco più degli altri, l’afferra per un polso e la tira verso di sé con uno strattone. Le abbassa il cappuccio col chiaro intento di baciarla e grida: «Che dite, ragazzi? Forse potrei portare qualche bella puttana alle Torri Gemelle, magari oltre al vecchio pesce Tully anch’io a prenderò moglie! E tu che ne dici, dolcezza?», incrocia il suo sguardo… e impallidisce come un lenzuolo. Nella stanza scende un silenzio di tomba.

«Perdonatemi, mio signore…», sussurra Sansa, cercando di coprirsi il volto in tutti i modi. La sua voce trema: ha capito ciò che sta per accadere. «Perdonatemi, ma io devo—».
«Fottuti dèi, è la ragazzina Stark!», urla uno di loro saltando in piedi. Sguaino la spada e tutti si girano verso di me. «… E quello è il Mastino!», gli fa il verso un altro. Succede tutto in pochi secondi. Un grido terrorizzato riecheggia nell’aria: evidentemente, il fatto che io abbia appena mozzato di netto la mano dell’uomo che la stava tenendo ferma, deve aver spaventato l’uccellino più del dovuto.

«FUORI DAI PIEDI!» La mia spada affonda nel petto di una delle guardie, il sangue schizza ovunque e macchia le pareti. La taverna è in fermento, ovunque riecheggiano grida di donne e bestemmie di soldati. Assesto un colpo alla testa di quello a cui ho appena mozzato la mano, che ricade a terra con un tonfo, e do’ un pugno ad un’altra guardia. Prima che l’uccellino abbia il tempo di fare qualcosa, la prendo di peso e me la carico sulle spalle per poi spalancare la porta e correre fuori. Spavento i cavalli degli uomini dei Marbrand sventolando sotto il loro muso la mia spada ancora pregna dell’odore del sangue, e subito loro si imbizzarriscono dandomi il tempo necessario per correre da Straniero e cavalcare lontano. Ma i soldati non mollano: le loro urla mi inseguono, i loro cavalli mi stanno alle calcagna per ore. Due frecce mi colpiscono la spalla e un braccio; io digrigno forte i denti per non perdere la presa sulle briglie e do di speroni. Sansa è stretta contro il mio petto, gli occhi sgranati e le dita tremanti.

Non l’avranno. Non l’avranno!

È solo dopo diverse ore che riesco a seminarli. Straniero è esausto, l’odore fetido del mio e del suo sudore mi invade le narici, l’interno coscia mi brucia a causa delle piaghe createsi per aver cavalcato troppo e troppo in fretta e l’unica cosa che desidero è sdraiarmi, chiudere gli occhi e risvegliarmi il secolo prossimo. Arriviamo nei meandri di una radura e, seppur a fatica, riusciamo a trascinarci dentro una sottospecie di grotta. Tiro un sospiro di sollievo e provo a rimettermi in piedi, ma la testa mi gira troppo forte e le ginocchia non reggono il mio peso. Mi lascio cadere ai piedi d’una roccia, stremato. «Vino», sussurro. «Ho bisogno di vino». Solo quando sento le sue dita sottili e gentili armeggiare con le cinture della mia armatura, sfiorandomi il collo ed il viso, apro gli occhi e incrocio lo sguardo ceruleo di Sansa Stark.

 Il mio stomaco si stringe in una morsa di ferro e qualcosa dentro di me sussulta quando mi accorgo che i suoi occhi sono lucidi di lacrime. Lei mi accarezza il viso con il dorso della mano ed una vampata di calore mi avvolge dalla testa ai piedi. Un istinto innaturale, dettato probabilmente dal dolore, mi spinge a prendere le sue dita fra le mie. Un singhiozzo spezza il silenzio. La guardo. Piange. Sansa Stark sta piangendo… per me?

«Uccelletto…?».
 

 
 
La voce del Mastino è un rantolo fiacco che si perde nel silenzio innaturale della grotta. Lo zittisco subito: non voglio faccia troppi sforzi, è ancora debole. Il senso di colpa mi stringe lo stomaco ed inumidisce i miei occhi, non permettendomi di sostenere il suo sguardo. Mi ha salvata di nuovo. Sandor Clegane ha ucciso quelle guardie che mi avevano attaccata, mi ha portata in un posto sicuro e adesso è ferito a causa mia. Mi ha salvata di nuovo, ma io non so come salvare lui.

«Oh, è tutta colpa mia…», non riesco a trattenere le lacrime. Oh, Madre, ti prego non lasciare che muoia, le mie dita non smettono di tremare. Il pensiero di tornare ad Approdo del Re mi terrorizza, ma ancora di più quello di restare sola. «Se… se solo io—».

«Se solo tu prendessi il dannato vino e mi aiutassi a disinfettare le ferite forse potrei campare ancora per qualche ora…» Mi zittisce lui, la voce strascicata e rantolosa.

Faccio come dice e cerco a tentoni la fiasca di vino stretta nella sua cintola. Impiego un po’ di tempo prima di aprirla perché le dita continuano a tremarmi.

«Perdonatemi…», mormoro, mentre con imbarazzo lo aiuto a togliersi la casacca per potergli medicare meglio le ferite. Il torso del Mastino è diverso da quello glabro e asciutto di Joffrey: il suo è molto più ampio, più muscoloso, con più peluria sul petto e con più cicatrici; le sue spalle sono larghe e le sue braccia possenti.

Lo vedo incurvare le labbra in una smorfia derisoria e all'improvviso mi rendo conto di essere arrossita. Distolgo in fretta lo sguardo e vado alle sue spalle per disinfettare le ferite sulla schiena. Tiro un sospiro di sollievo: non sembrano gravi, la maglia di ferro ha attutito il colpo e la freccia non è entrata in profondità. Deglutisco a vuoto nell’osservare quanto grande e piena di cicatrici sia la sua schiena e per un momento vengo sopraffatta dall’istinto di toccarle. Solo quando lo sento inarcarsi sotto il mio tocco come scottato, capisco di averlo fatto davvero.

«Mi dispiace», sussurro. Tutte quelle cicatrici… tre delle quali sono a causa mia. Mi sento così in colpa. «State fermo, farà un po’ male», lui annuisce, ma quando verso il vino sulle sue ferite digrigna forte i denti ed emette versi simili a quelli di un cane ferito. Tentando di ignorare le bestemmie e le imprecazioni che grida, faccio lo stesso con le ferite che ha sulle spalle e sulle braccia.

«Porca puttana!», impreca il Mastino, passandosi con rabbia una mano sulla ferita. Prima che possa dirgli di stare fermo e che toccarsi peggiorerebbe solo la situazione, lui mi precede. «Tutto questo solo perché tu non hai voluto aprire le gambe a quel moccioso del cazzo!».

Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi e il cuore salirmi in gola. Il mio labbro inferiore trema: perché deve sempre essere così crudele? Non l’ho fatto apposta, lo sa bene, volevo solo rendermi utile. Perché deve sempre comportarsi così?

«M-Mi dispiace», la mia voce è rotta. «Io… io volevo solo…», qualcosa mi bagna le guance, il panico si impossessa di me quando mi rendo conto di star piangendo. No, no, no non devo piangere. Mi prenderà in giro se mi  vedrà piangere. Non posso piangere… non devo piangere! Tento di asciugarmi il viso prima che mi veda, ma all’improvviso lui si volta, mi guarda ed i suoi occhi si velano di panico. 
«Ah… cazzo, no. Non piangere. Non— oh, e smettila! Non ti sopporto quando piangi!».
«S-Scusatemi…», mormoro, piena di imbarazzo. « -È tutta colpa mia…».
«Credi che si sistemerà qualcosa piangendo?», bercia lui. No, non si sistemerà nulla, vorrei rispondergli, ma le parole sono come bloccate nella mia gola. Lo vedo passarsi una mano callosa sul volto con così tanta pesantezza che per un momento temo che si porterà via un pezzo di naso. «Senti, uccelletto: non mi piacciono le ragazzine che frignano. Specialmente quelle che lo fanno senza un motivo! Ora o la smetti subito o io—».
«N-Non volevo che vi f-faceste del male per colpa mia, lo giuro. Vi prego… vi prego non morite, senza di voi io—» Le parole mi si spezzano in gola, gli occhi si gonfiano di lacrime. Non so nemmeno io perché sto piangendo. Forse per tutto o forse per niente, fatto sta che non riesco proprio a trattenermi e gli occhi iniziano a bruciare così tanto da costringermi a chiuderli. Sento il Mastino borbottare irritato qualche oscenità e poi qualcosa sulle guance. Ci metto qualche secondo a capire che si tratta delle sue dita.

«Ci vuole ben altro che quattro stuzzicadenti per togliermi di mezzo, lo sai? E comunque, sei una pessima curatrice», le sue dita portano via le lacrime con fermezza ma, al tempo stesso, con una gentilezza disarmante. «Chi scoppierebbe a piangere davanti a qualcuno che ha bisogno di medicazioni? Ringrazia che le ferite non siano affatto profonde, uccelletto, o col cazzo che ti avrei riportata a cas—».

Non capisco tanto bene quello che è appena successo. So solo che all’improvviso il mio cuore è sottosopra e le mie braccia sono attorno al collo del Mastino. Il battito del suo cuore preme forte contro il mio petto, lo sento chiaramente, ed il suo collo puzza di vino e di sangue e di uomo. Sussurro che mi dispiace, che non volevo causare problemi a nessuno, ma lui non mi risponde ed io continuo ad ignorare quella vocina nella mia testa che mi dice che tutto questo è sbagliato, che lui è un assassino e che una lady non dovrebbe mai esporsi a tal punto con un uomo. Il Mastino continua a rimanere in silenzio, impietrito come una statua di sale. Poi, ad un tratto, la sua mano si poggia sulla mia schiena, delicata come se temesse di potermi rompere da un momento all’altro, e la sua voce mi sussurra all’orecchio.

«Ascolta, uccelletto: devi calmarti. Io non le sopporto le ragazzine che piangono, va bene? Mi fanno saltare i nervi», la mia presa sulle sue spalle si rafforza. Vorrei solo chiudere gli occhi e tornare indietro nel tempo, a quando la lady mia madre mi spazzolava i capelli ed Arya mi tirava palle di neve addosso insieme a Bran e il piccolo Rickon; a quando Robb mi baciava le guance e mi chiamava “sorellina”, a quando Lady era ancora con me, Jon mi sorrideva gentilmente e mio padre mi regalava delle bambole di pezza e mi prendeva in braccio. «Uccelletto… uccelletto, guardarmi», il Mastino mi prende il viso fra le mani, il suo volto è così vicino al mio che posso sentire il suo respiro sulla pelle. La sua cicatrice mi fa ancora paura, ma è niente in confronto alla paura provata quando quelle guardie stavano per catturarmi. Per la prima volta, noto quanto grigi siano i suoi occhi, quante parole siano nascoste dietro quello sguardo sempre colmo di odio e di rabbia. «Non voglio vederti piangere. Non più».

«Voi non mi farete del male, non è vero? Siete mio amico. Il mio unico amico…» Sussurro piano, la voce rotta dal pianto. Le sue spalle sono grandi e la sua barba mi solletica il viso. Nella mia mente è ancora vivido il ricordo di lui che mi prende per le spalle e mi racconta la storia della sua cicatrice, il momento in cui ha pugnalato Joffrey dritto in mezzo al cuore. È un assassino, un uomo senza onore né gloria e che uccide per divertimento. Non è un cavaliere, eppure mi ha salvato lo stesso ed ha promesso di riportarmi a casa…  e forse è proprio per questo motivo che tremo ancora al pensiero di saperlo morto. Lui è la mia unica speranza di salvezza. Il mio unico amico. Non posso perderlo. Non voglio perderlo.

Le sue dita scorrono lente sulle mie guance, portando via ogni lacrima. L’aria vibra d’un silenzio assordante, carico di parole non dette e sospiri spezzati. Io chiudo gli occhi e mi abbandono al calore delle sue mani. Lo sento sospirare, il suo fiato sa di vino e di sangue e mi fa arricciare il naso.

«No, uccelletto. Non ti farò del male» Risponde. Ed io so che è la verità.
 
 
 

- Note dell’Autrice.
  1. La canzone iniziale è dei Guns N’ Roses, Don’t Cry.
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E con immenso ritardo, eccomi qui!
Purtroppo il computer della mia Beta ha avuto diversi problemi e non è riuscita ad inviarmi il capitolo. Infatti, visto che siamo in argomento, ci terrei a sottolineare che questo capitolo NON è betato e che quindi se trovate errori mi faresti un grande piacere a dirmelo. >_>

Ero molto dubbiosa su questo capitolo. Pensavo di essere andata OOC con Sansa, ma poi mi sono ricordata che è pur sempre di una ragazzina di quindici anni che parliamo, piena di paura e in una situazione a dir poco assurda per un’altolocata come lei, e quindi ho deciso di lasciare le cose così com’erano perché non mi sembrava molto OOC. In fondo, se ci pensiamo, Sansa è di natura molto impulsiva (leggasi: tutte le volte in cui ha fatto qualcosa e poi è finita nei guai) e sentimentale, ed in una situazione come la sua credo che reagirei persino peggio. (Io detesto tutto ciò che ha a che fare con la scomodità, quindi il camminare, correre, dormire fuori, non avere internet eccetera eccetera mi manda ai pazzi. Anzi Sansa è piuttosto calma…).

Sandor è il solito scorbutico tsunderissimo di sempre. XDD Adoro scrivere di lui, c’è poco da fare. Ahaha

Anche se questo capitolo può sembrare di transizione (e per metà lo è) sarà fondamentale per ciò che avverrà in seguito. Lo capirete al prossimo capitolo, don’t worry. Per ora godetevi il fluff! :P
Ringrazio tutte le persone che seguono questa storia e ancor di più le persone che hanno lasciato dei commenti. Non smetterò mai di ringraziarvi. Grazie, grazie, grazie!


Come sempre, vi lascio il mio indirizzo Facebook, caso mai qualcuno volesse mettersi in contatto con me.
Link: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
 
Al prossimo capitolo.
Baci!
   
 
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