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Autore: crisalide    09/11/2008    2 recensioni
Eterna e infelice. Statua di porcellana. Statua bambina, figlia della bellezza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Statua

Eterna e infelice.

Statua di porcellana.

Statua bambina, figlia della bellezza.

Sono stata a lungo dimenticata. Il mio destino, essere dimenticata da coloro a cui appartengo.

Sono stata dimenticata nella polvere, davanti ai vostri occhi.

A quel tempo, ero musa decantata e perduta; angelo nelle fattezze di una bambina, bambola nuda col capo reclinato.

A quel tempo, non chiedevo di meglio: ai miei occhi era celata, la miseria di questo mondo. Col passare degli anni, i bambini della casa crescevano, la madre invecchiava e il padre della famiglia passava le notti seduto sul divano, a guardare la televisione trasmettere immagini, suoni e storie.

La follia degli uomini.

Ormai non tornava più dalla moglie, da colei che era stata il suo amore, la sua dea. La notte, non dormiva più nel suo letto, non l’abbracciava più sotto le coperte, sognava amori più giovani.

Voleva la passione. Il suo unico desiderio era una giovane donna ansimante sotto di lui, ancora capace di accogliere il suo seme, il seme di un vecchio.

La mia eternità non mi ha preservato dalla malizia, dalla putrefazione della bellezza, non ha salvato la mia innocenza; ero dea e puttana, arte e putredine.

E così, ha ceduto. Non il mio corpo, modellato nell’argento.

La mia anima, era caduta in ginocchio. Il mio animo urlava, urlava di dolore muto.

Così, in bilico su un vortice blu di disperazione, sono caduta.

Morta, come gli altri soprammobili miei compagni nella polvere; un guscio vuoto, la mia anima era lontana, eppure ancora legata a quella dolce bambina figlia della ceramica e dell’argento. Bastarda, anche nel corpo.

Inoltre, non ci si può opporre all’inesistenza dell’anima.

Durante quel lungo declino, periodo muto, il mio riflesso deve aver viaggiato nelle nuvole:

incorporea, miravo la passione degli uomini, così invidiosa, spirito maligno.

Non avrei mai potuto provare quell’estasi carnale, o solo la dolce sensazione di accarezzare la guancia del mio amante: non mi era dovuta, questa felicità.

Ma poi, dopo lunghe notti, notti di delirio e pazzia, quando entravo e uscivo dalla fredda realtà e dalla più dura incoscienza, dall’ oscurità piena di visioni orrende e folli, dall’ infelicità. Dopo essere affogata nel fango buio degli abissi, incosciente, e nella lucidità essermi accorta di conservare ancora, quel fango, come un tatuaggio, come una lapide in memoria, dopo sono rinata.

E come per ogni nascita, sono risorta nel dolore: perché nascere è soprattutto ed innegabilmente un evento carico di sofferenza.

Sono sbocciata ancora nel mio vecchio corpo, come un timido fiore di ciliegio che dopo la sua caduta, l’anno successivo fiorirà ancora una volta. Un’altra nascita.

Ero cambiata, i miei occhi vuoti conservavano la fredda, grigia luce che le nuvole hanno quando percorrono questo mondo.

Il mio freddo corpo mi soffocava, la mia anima dentro stava stretta.

Memorie di uno spirito che è stato libero.

Ma io alla libertà ho rinunciato, l’ho scacciata via per ritornare nel mio corpo ibrido, per stare stretta e lontana dal mondo. Il mio sacrificio come ricerca della purezza perduta.

Avevo perduto anche i miei occhi, ero cieca.

Solamente una statua immobile, vergine appoggiata su un ripiano argento, bambina nuda.

I veli della polvere coprivano il mio corpo in ricerca della purezza come un manto, a celare la mia nudità così peccaminosa, nonostante fossi una bambina. Gli uomini non resistono al desiderio, sono solo cadaveri alla ricerca della passione.

Dopo lunghi anni, sono stata soffocata dalla plastica e chiusa in una buia scatola di cartone.

Dormivo, perché non potevo fare altro. Soffocata dall’indifferenza, bellezza dimenticata.

Gli uomini non si curano delle cose belle. Forse riescono a vederla, per un istante.

Ma la dimenticano subito dopo.

Osceni, sono solo esseri osceni.

All’improvviso, però, la luce mi ha svegliata.

Ha scaldato il corpo che è sempre stato freddo, quasi vivo.

Mani ignote mi hanno afferrato e mi hanno appoggiato su una credenza di pietra, esposta al vento e alla pioggia, fuori dalla finestra.Una voce di ragazza mi chiamava Musa bambina, e mi parlava con parole tristi che non avevo mai udito. Un altro lato della bellezza.

Ma avevo perso i miei occhi.

Ormai sono cieca, e non posso più vedere le nuvole, il cielo o qualsiasi immagine si presenti fuori da questa finestra. Non posso vedere colei che mi rivolge tristi pensieri, non posso più vedere la bellezza.

E così, è arrivato il tempo di morire.

Statua di bambina, musa cieca, che è caduta e si è infranta, conservando solo il malinconico cuore d’argento e le rose spinate.

Un grazie infinito a balacov, primo a recensirmi, nella mia prima storia. E sempre con constanza, ha recensito ogni altro scritto che ho pubblicato in questo sito.

Grazie davvero, anche per la tua sincerità.

   
 
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