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Autore: Shayla_the_angel    09/11/2008    3 recensioni
Storia ancora in fase di sviluppo. Alena è una giovane ragazza tedesca. Non è appariscente, e non ha nemmeno un bel fisico. Lavora per il gruppo di suo fratello e una sera canta con loro in un pub. David Jost si accorge di loro e li ingaggia per aprire i concerti dei TH nel nuovo tour europeo (date di mia invenzione ovviamente)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi. Dunque, che dire? I Damned hanno registrato un pezzo, David è entusiasta e i gemelli sono al settimo cielo. C’è un gigantesco problema da risolvere però. Matt fa uso di cocaina. Come aiutarlo, ma soprattutto come fare per non far scoprire questa amara verità anche ai Tokio Hotel e al loro manager? Bene, ora vi lascio con l’angolino ringraziamenti e al capitolo numero 7! Küssen!

Grazie a:

billa483: Eh, ancora non so come far evolvere la storia di Matt…in ogni caso spero tu abbia ascoltato la canzone, perché è veramente bellissima!!! (anche se è cantata da un uomo...)

pandina_kaulitz: mah, sinceramente credo poco in una possibile relazione tra Ale e Tom…(più avanti capirai perché)

jaji: non preoccuparti se non hai recensito, l’importante è che ogni tanto mi fai sapere come la pensi sulla storia (anche se è piacevolissimo vedere sempre le stesse persone che recensiscono ogni capitolo ^^). Sono contenta che ti piaccia e x il tempo…beh, neppure io ho tanto tempo per scrivere, solo che quando sono ispirata vado anche piuttosto in fretta!! ^^

Grazie anche a:

evol

che ha aggiunto la fic alle preferite e ovviamente a tutti coloro che leggono la fic, anche senza scrivermi niente (=^^=)

 

 

07.

 

BERLINO_SALA DI REGISTRAZIONE

 

Eric e Tom parlarono a lungo e il giovane rasta provò e riprovò il nostro pezzo, fino a memorizzare il breve inciso da suonare.

Rimasero insieme per tutta la mattina, continuando ininterrottamente a suonare le loro chitarre.

Ero troppo giù di morale per godermi quel momento di pace, tanto che mi isolai in balcone. Aveva cominciato a diluviare, ma non m’importava.

Alzai lo sguardo al cielo e sospirai, sentendo mille gocce gelide sfiorarmi le guance e mischiarsi alle mie lacrime tiepide.

Stavo piangendo senza nemmeno rendermene conto. Stavo piangendo perché ero certa che avrei perso Matt. Lo sapevo…sapevo già cosa sarebbe accaduto.

Me lo sentivo…era come una sorta di presentimento.

Sospirai, restando appoggiata alla ringhiera. Ormai i capelli li avevo incollati. I vestiti da buttare via e il trucco in una situazione penosa, ma non m’importava. Stavo malissimo.

Ad un tratto sentii la porta-finestra aprirsi. L’acqua ticchettare sulla stoffa di un ombrello.

“Ale, vieni dentro o ti ammalerai”. La voce di Georg.

Scossi la testa, un po’ per dirgli di no, un po’ per scacciare il freddo che mi stava penetrando fino alle ossa.

“No…Georg. Lasciami sola” dissi in un sussurro, tanto che dubitai che mi avesse sentita.

La pioggia smise di picchiarmi in testa, al che intuii di trovarmi al riparo di un ombrellino.

“Non ti fa bene tutta quest’acqua” mi disse, sorridendomi.

Piansi ancora di più.

“Che hai?” mi domandò preoccupato, lasciando cadere l’ombrello ed abbracciandomi.

“Si tratta di Matt…”

“Cos’è successo?” era visibilmente preoccupato.

“Sta male…” dissi.

Non mi rispose.

“Sniffa cocaina…solo che lo faceva già da ragazzo…” dissi tra i singhiozzi.

Georg sospirò.

“Ne hai già parlato con gli altri?” mi chiese.

“Solo con Jo”

“Non con tuo fratello?”

“No…Eric potrebbe morire dal dispiacere. Matt è come un fratello per lui…” dissi.

“Senti, questa situazione migliorerà. Te lo prometto” mi disse, poi rientrammo.

Ero fradicia e tremavo di freddo.

“Cos’è successo?” chiese Bill, correndomi incontro.

“Nulla. Stavo pensando e non mi sono accorta che avesse cominciato a piovere” dissi, sorridendo.

In quel momento un fulmine fece saltare la corrente e, dopo pochissimo si udì un tuono terrificante.

Da creatura pavida quale sono, mi gettai addosso alla prima persona che trovai, in quanto terrorizzata dal temporale.

Caso volle che fosse proprio Georg la persona più vicina a me.

“Ragazzi!” esclamò Bill.

“Siamo qui” rispose Georg, tenendomi tra le braccia. Ringraziai il buio per poter arrossire a dismisura, senza che qualcuno se ne accorgesse.

“Bill! Georg! Siete qui?” la voce di Gustav.

“Sì…segui la mia voce” disse Bill.

Eravamo al buio, ma almeno eravamo assieme.

“Ragazzi! Ce la fate ad arrivare fin qui?”. Era la voce di David.

“Aspetta! Forse ci riusciamo. Continua a parlare!” disse Gustav.

La voce di David ci guidò. Chiusi gli occhi, per affinare gli altri sensi.

In breve tempo il mio udito e il mio olfatto migliorarono nettamente, non più distratti dalla vista.

Il profumo di Georg mi invase la mente. Era buono, fresco.

Mi tenne per mano, finché non raggiungemmo David.

“Chi manca all’appello?” chiesi.

“Io ci sono, e anche Tom” disse mio fratello.

“Jo? Matt?” domandai.

“Qui” risposero insieme.

“Ok, allora ci siamo tutti. Un tecnico è andato a controllare il generatore, dato che non si sono accese nemmeno le luci di emergenza” disse David.

Anche di fuori era buio. I nuvoloni neri del temporale avevano oscurato il sole, tanto che non si vedeva ad un palmo dal naso.

“Beh, almeno siamo sicuri che la luce non è andata via solo qui” dissi, osservando il mondo esterno, attraverso quella fitta cortina di nebbia e pioggia.

“Oh, la cosa è confortante!” disse Bill, rabbrividendo.

Sorrisi, poi fu il mio turno ad essere percorsa da lunghi ed incessanti brividi. I vestiti bagnati mi pesavano addosso e, senza rendermene conto cominciai a battere i denti.

“Cos’è questo rumore?” chiese Bill, terrorizzato.

“S-sono io!” esclamai, rabbrividendo.

Georg mi strinse di più.

“Tieni questa” mi disse Tom, porgendo alla cieca la sua felpa extralarge.

“Non puoi tenere su quei vestiti fradici” mi disse Georg.

Io lo guardai, o almeno, mi voltai nella sua direzione.

“Come scusa?” chiesi, esterrefatta.

“Tirati via quei vestiti fradici e mettiti la felpa di Tom. È abbastanza grande per coprirti tutta” disse.

“Un attimo…” disse Eric.

“Stai tranquillo…non mi vede nessuno” dissi, slacciandomi i jeans che pesavano una tonnellata.

Una volta libera dai miei vestiti, mi infilai nella felpa di Tom, calda, enorme e soprattutto asciutta.

Sospirai, soddisfatta.

In quel momento tornò la luce.

Mi guardai. Sembravo una trovatella.

“Ti sta bene la mia felpa” esclamò Tom, sorridendo.

Georg mi strinse le spalle, sorridendomi.

“Bene, per oggi direi che possiamo anche andare a casa. Ragazzi, domattina vi telefono per dirvi bene le date del tour, poi parto per organizzare le cose in Italia. Mi raccomando, mentre sarete qui da soli, niente disastri” disse, rivolgendosi soprattutto a Tom e a Georg.

“Certo David, non devi preoccuparti!” esclamarono.

“Ehm…ragazzi io mica posso uscire conciata così, sennò chissà cosa pensano le persone…” dissi, arrossendo.

“Beh, ma qui di vestiti non ce ne sono…” disse Tom.

“Aspettate! Qui ci sono alcuni vestiti, o almeno c’erano fino a qualche giorno fa!” esclamò Bill prendendomi per una manica e trascinandomi con sé. Gli altri ci seguirono, visibilmente preoccupati.

Ogni volta che Bill aveva un’idea, quasi sempre si trattava di un disastro cosmico.

Mi portò in una sala più piccola della precedente.

“Aspettami qui…dovrebbe esserci qualcosa che ti va bene” disse guardandomi e sparendo dietro ad una porta.

“Ehm, qualcuno ha la minima idea di cosa stia accadendo qui?” chiesi.

“Oh, ora ho capito! Vi ricordate quando Bill ci ha parlato di quei vestiti?” chiese Gustav.

“Sì, i meravigliosi abiti che aveva trovato nascosti vicino alla sala prove?” domandò Tom, imitando la vocetta del gemello.

“Tom guarda che ti ho sentito!” esclamò il frontman raggiungendoci. Tra le braccia portava un vestito rosso porpora in velluto scuro.

“Quello cos’è?” chiesi, additando il prezioso abito.

“Si tratta di un prezioso vestito. Lo hanno usato alcuni giorni fa per un servizio fotografico. Credo che possa andarti bene!” esclamò.

Io arrossii.

“Beh, allora vado a provarlo” dissi, rassegnandomi all’idea che, in qualunque caso mi sarei vergognata a morte, una volta fuori dallo studio di registrazione.

Chiusa nello stanzino con quel vestito tra le mani pensai a quella giornata.

Sospirai, poi mi vestii. Purtroppo non c’erano specchi, quindi non riuscii a farmi un’idea di come potessi apparire agli occhi degli altri.

Uscii, sperando di essere invisibile. Gli occhi di tutti erano puntati su di me.

“Caspiterina! Sicura di provenire da questo secolo?” mi chiese Bill, sorridendomi.

Abbassai lo sguardo ed arrossii.

Eric mi prese sotto braccio.

“Sembri una dama del medioevo” mi disse.

“Stai benissimo” mi disse Jo.

Erano tutti così carini. Facevano il possibile per non farmi sentire a disagio. Sorrisi e ci incamminammo di fuori.

Jo salì in macchina, seguito da Matt e da Eric.

“Ci vediamo a casa?” mi chiese mio fratello.

“Perché?”

“Immagino tu voglia stare con loro” mi disse, indicando i Tokio Hotel.

“Beh…sinceramente prima di tutto vorrei cambiarmi” dissi, sorridendo.

“Ragazzi! Ci state per una pizza da noi?” chiese mio fratello sporgendosi dal finestrino.

I quattro lo guardarono.

“Abbiamo pure la playstation” disse Jo.

“Ok! Ci siamo!” esclamarono Georg e Tom.

Sorrisi.

“Maschi…basta giocare e sono contenti” pensai ridendo. Salii in macchina e mi preparai psicologicamente a rientrare in un comodissimo paio di pantaloni.

 

 

BERLINO_CASA DEI DAMNED ORE 18.45

 

Io ero in tuta, seduta in salotto a guardare mio fratello e Jo che sfidavano Tom e Georg ad una partita virtuale di calcio.

Scossi la testa, esasperata. Gustav era sul divano insieme a Matt e tutti e due si stavano facendo una sorta di interrogatorio reciproco riguardo la batteria.

Bill invece stava passando in rassegna tutti i miei profumi. Sembrava un tossico.

“Ma questo è buonissimo!” esclamò, mostrandomi la boccetta di Alien di Therry Mugler.

“Grazie. È quello che uso sempre” risposi, sorridendogli.

Non appena eravamo entrati in casa, Bill mi aveva chiesto di usare il bagno e, dopo ne era uscito estasiato. Mi aveva chiesto di poter esaminare minuziosamente tutte le boccette colorate che avevo al piano superiore e io, ingenuamente, avevo acconsentito.

Certo non avrei pensato che avrebbe portato tutti i miei profumi in salotto, che si sarebbe seduto a terra e che li avrebbe annusati tutti, uno per uno.

Sorrisi. Sembrava un bambino.

Stavo male a guardarlo. Pensavo al mio bambino, a quello che non avevo mai avuto. A quel bambino che avrei chiamato Sebastian, come il personaggio di un cartone animato, perché mi era simpatico. A quel bambino che, se fosse nato avrebbe avuto quasi un anno.

Mi alzai di scatto dalla poltrona e mi allontanai. Sarebbe stato sciocco mettermi a piangere davanti a tutti e non volevo dare delle spiegazioni inutili.

Salii in camera, fingendo di dover recuperare il cellulare, che avevo chiaramente in tasca.

Mi sedetti sul letto e rimasi in silenzio, finché i singhiozzi non uscirono spontaneamente dalle mie labbra.

Il passato tornò ad assalirmi violentemente. Mi sembrava di stare ancora in quel maledettissimo incubo.

Ero persa nei miei pensieri, quando mi sentii abbracciare.

“Ale, ora va tutto bene. Ci sono qui io”. La voce di mio fratello mi rassicurò un po’. Il mio corpo fu percorso da un lungo brivido.

“Eric…”

“Sssst. Non parlare” mi disse in un sussurro.

Rimasi stretta a lui per minuti interminabili.

Sentii suonare il campanello. Jo andò ad aprire e la vocetta di Bill ci chiamò.

Non ottenendo risposte, udii i suoi passi frettolosi avvicinarsi alla porta.

“Ragazzi! È pronto…”. Le parole gli morirono sulle labbra.

“Scusate…non volevo disturbare” disse a bassa voce, allontanandosi dalla porta.

Eric lo guardò.

“Beh, le pizze sono giù” disse il ragazzo, prima di scendere di sotto.

“Ale, stai bene?” mi chiese mio fratello.

Io annuì, anche se non ero pienamente convinta di quella risposta.

“Sicura?”

“No…cosa ho fatto? Chi mi ha dato il diritto di ucciderlo?” chiesi.

“Ale…ormai è passato un anno. Non puoi continuare a pensarci. La tua vita va avanti…” mi disse.

“Lo so…solo che oggi Bill…era seduto sul pavimento…con i miei profumi…” dissi, piangendo ancora più forte.

“Alena, capisco. Lo so che fa male, ma devi farti forza. Hai solo diciannove anni. Hai tutta la vita davanti…”

Sospirai.

“Hai ragione. Ora scendiamo”.

Eric annuì, poi mi aiutò ad alzarmi.

“Vado a sciacquarmi la faccia” dissi, entrando in bagno.

Sospirai e mi guardai allo specchio.

Non so cosa mi passò per la mente, aprii l’armadietto dei ragazzi e presi una lametta per la barba, poi la strisciai sul polso destro.

Una sottile linea di sangue cominciò a colare sulla ceramica bianca del lavandino.

Subito mi chiesi per quale motivo avessi compiuto quel gesto. Nella mia mente si affacciò un nuovo pensiero.

“Pagherò con il sangue tutto il male che ho fatto…” pensai in quell’attimo di follia.

Aspettai che l’emorragia si fermasse, poi pulii tutto e mi riguardai allo specchio. Nei miei occhi brillava una luce diversa. Nella mia testa era cambiato qualcosa…

Ancora non immaginavo quanto grave fosse quel qualcosa.

 

Ecco, finito questo capitolo. Sempre più all’insegna del tragico…però intanto che David è in Italia deve pur succedere qualcosa, o sbaglio?

In ogni caso non prendetevela troppo ^^.

Sarò brava (prima o poi). Un bacio ragazze (e ragazzi, nel caso qualche maschio legga). Buon rientro domattina.

   
 
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