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Autore: _Lalli    21/12/2014    4 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao
27. Fidati di me

Forse il monco poteva considerarci suoi ospiti, ma io non mi sentivo precisamente a mio agio: ero completamente circondata da uomini in nero, che puntavano le loro armi contro di me per impedirmi di uscire da un cerchio di ametiste che bloccava la magia. Come se non ne avessi già abbastanza del mio anello.
Durza, invece, aveva l'aria di sapere il fatto suo, ma poteva essere un'ennesima maschera.
Non vedevo molte vie d'uscita da quella situazione, ma lo Spettro aveva detto di aver già avuto a che fare con i Sacerdoti, quindi forse sarebbe riuscito a parlamentare.
Abbassai il pugnale, ma non lo rinfoderai. Anzi, ero pronta a scattare in qualsiasi momento e a vendere cara la pelle. Se mi avessero sopraffatta mi sarei uccisa prima che potessero catturarmi o torturarmi.
Le candele che ci avevano fatto luce fino a quella stanza giacevano a terra, ormai annegate nella loro cera, ma i Sacerdoti avevano con loro delle torce e con esse accesero quelle attaccate ai muri, rendendo l'ambiente molto più luminoso.
Il Sommo Sacerdote se ne stava sulla sua lettiga, dietro le Ombre, e non sembrava minimamente intenzionato ad avvicinarsi. Capii che in fondo aveva paura di Durza, e forse anche di me.
«Mi hai detto di voler distruggere il re, ma non mi hai detto cosa sei venuto a fare qui».
«Cercavo appunto la soluzione ad un problema: il modo per aggirare il potere di Galbatorix».
«Cosa cerchi?»
Lo Spettro fece un ghigno. «Non posso dirtelo».
«Allora non vedo come tu possa trattare con noi» sputò l'altro.
«Non sto chiedendo la vostra alleanza», specificò, «ma solo una consultazione dei vostri archivi».
«Direi che in quello ti sei già dato parecchio da fare. Ancora due stanze e gli archivi della cattedrale sono finiti, altri testi si trovano nella dimora degli dei» concluse chinando il capo.
C'erano altri testi nell'Helgrind? Chissà quanti altri mesi avremmo impiegato a spulciare anche quelli.
«Non ho ancora trovato ciò che cercavo», insistette Durza, «e dato che ormai mi avete scoperto potreste aiutarmi a farlo».
Il monco assunse un cipiglio duro. «Non ti lascerò andare senza le dovute garanzie» disse.
«Che ucciderò il re? Puoi starne certo, se mi darete ciò che cerco».
«No», fece il monco, «io voglio un tuo giuramento vincolante che, una volta annientato il re, tu ti ritirerai e lascerai che i legittimi sovrani prendano le redini di questa terra. Gli Antichi sono i creatori del mondo ed è loro diritto comandarlo. Se li libererai dalla loro schiavitù avranno sicuramente la pietà di non nutrirsi di te o dei tuoi cari».
«Abracham, i Ra'zac hanno
giurato di ubbidire al re. Ed è quello che tu chiami un giuramento vincolante. Hai mai pensato che forse a loro vada bene la condizione di servitù?»
Un cupo mormorio si diffuse tra i nostri ospiti e alcune Ombre si mossero inquiete. Non ci voleva un genio per capire che lo Spettro aveva detto la cosa sbagliata: insinuare che il tuo dio sia il servo di un mortale deve essere considerato una sorta di sacrilegio.
Ma il monco gli aveva toccato il tasto del potere, e Durza non lo avrebbe mai abbandonato per nessuno, lo sapevo bene.
«Ti ricordo che ti trovi ancora nel cuore del culto degli Antichi» sputò il Sommo Sacerdote. «Se non vi abbiamo ancora uccisi è solo perché i nostri dei ci impongono di pensare a loro».
«Lo so» rispose Durza, più conciliante. «Ma in ogni caso non avrete alcun giuramento né da me né da Ar.. Alba. Posso esservi utile anche così, non credete?»
«Nulla ci garantisce che non cercherai di nuocere agli Antichi, una volta sconfitto il re».
«Io non farò alcun male ai vostri dei» disse lo Spettro spazientito, nell'antica lingua. «Contenti?» aggiunse gettandomi un'occhiata significativa.
Ovvio. Forse lui non poteva fare del male ai Ra'zac, ma chiunque altro sì. Io stessa sarei stata in grado di ucciderli senza troppe difficoltà, se li avessi colti senza i Lethrblaka al seguito.
Il monco parve sorpreso, e subito dopo soddisfatto. «Non ci basta. Vogliamo avere un ostaggio come ulteriore deterrente. Lei per esempio potrebbe andare bene» disse annuendo nella mia direzione.
Sollevai il pugnale. «Non ho intenzione di rimanere qui» dissi con voce ferma.
«Non ho chiesto a te, elfa. Ho chiesto allo Spettro..»
«Che rifiuta» concluse Durza seccamente. «Non avete bisogno di nient'altro. Se volete sconfiggere Galbatorix io so dove bisogna colpirlo, mi serve solo qualche altra informazione. Voi brancolate nel buio al riguardo, quindi credo di avere io il coltello dalla parte del manico».
Il monco fece nuovamente quello che doveva essere un sorriso. «Sei mio prigioniero, sono io a dettare la legge qui dentro».
«Credevo di essere un ospite» lo pungolò il mio compagno.
«Questo finché ho creduto che sarei riuscito a farti ragionare. O sei totalmente dalla nostra parte o sei nostro nemico. Lasciaci l'elfa e ti aiuteremo come possiamo. E ti lasceremo andare, ovvio».
Vidi Durza tentennare e fui nuovamente colta dal panico. Strinsi con forza l'elsa del pugnale e portai una mano al petto, pronta a trapassarmi con la lama o a svuotare la boccetta di Fricai Andlat nel caso mi fossi trovata costretta a farlo.
«Cosa avete intenzione di fare con lei?» chiese poi, dandomi le spalle e facendo sprofondare le mie speranze nel buio.
«Nulla di male, te l'assicuro».
«Balle» sentenziò freddamente lo Spettro. «Sono stato allievo di Gagnsamr per un mese e ormai conosco le vostre dodici verità a menadito. Voi rifiutate chiunque non viva un ciclo normale di anni, e gli elfi vivono ben più di cento anni. Non ha senso che la torturiate per strapparle informazioni perché non ne ha. È un'elfa nera e le hanno cancellato la memoria quando l'hanno cacciata dalle terre degli elfi, quindi il massimo che saprebbe dirvi sarebbe il suo nome, il mio e la pianta del mio palazzo a Gil'ead».
Mi stava difendendo, ma non potei fare a meno di chiedermi chi fossero gli elfi neri. A sentire parlare lo Spettro parevano dei ripudiati, ma non esistevano degli elfi ripudiati, raramente compievamo atti per i quali era necessario punirci. L'unico esempio che mi veniva in mente era la triste storia di Linnea, che aveva finito per punirsi da sola.
Probabilmente se li stava inventando.
«Non dovrebbe importarti più di tanto del suo destino. Preoccupati del tuo» lo invitò il monco.
Mi balzarono in mente immagini del mio corpo morto tagliato a pezzetti, analizzato e studiato, e poi dato in pasto ai Ra'zac. Avevo sempre pensato che una degna pira funebre mi attendesse dopo la morte, non di certo di diventare oggetto di perversi studi di una setta di folli.
In fondo neanche ammazzarmi mi avrebbe totalmente preservata.
«Se rifiutassi?»
«Uccideremo entrambi. Tu ti credi superiore forse, ma la nostra religione è piena di adepti e di potere. Riusciremo a sconfiggere il re anche senza il tuo aiuto».
Durza scoppiò a ridere. «Stai sopravvalutando le tue possibilità Abracham».
«E tu le stai sottovalutando!» rispose il sacerdote alzando la voce. «Sei in mio potere e non hai affatto in mano la situazione. Ecco perché farai esattamente ciò che ti dirò, senza discutere se tieni alla vita! Forse non conosco ancora il punto debole del re, ma conosco bene il tuo» disse accennando al torace dello Spettro, dove il suo cuore batteva leggermente accelerato.
Il monco aveva scoperto le proprie carte. Non aveva alcuna intenzione di scendere a compromessi, voleva dettare legge. Le parole che ci aveva rivolto all'inizio della conversazione avevano il solo scopo di farci sentire ancora padroni del contesto.
Ad un suo cenno l'ultima fila delle Ombre lasciò le lance e incordò dei piccoli archi dalla gittata sicuramente breve, ma sufficiente a freddare sia me che Durza.
Lo Spettro sfoderò nuovamente il pugnale e restò a guardarlo con interesse per qualche lungo istante, quasi distratto.
Sta valutando la proposta pensai.
E invece le parole che sussurrò mi stupirono: «Pronta a correre, Principessa?»
Flettei i muscoli delle gambe. «Ci ammazzeranno» risposi allo stesso tono, quasi impercettibile.
«Verso la chiesa» disse semplicemente.
«Allora, Spettro?» lo richiamò il monco.
Durza sorrise, snudando terrificanti denti aguzzi, allargò le braccia e chinò il capo facendo alcuni passi nella sua direzione. «Accetto tutte le condizioni».
Fidati..
«Tieniti Alba, ma non farle del male..»
..
di..
«.. e sopratutto forniscimi tutte le informazioni che ti chiederò».
..
me!
Le sue parole melliflue ebbero il potere di calmare gli animi. Vidi i lineamenti di molti uomini intorno a me distendersi e gli archi e le lance di alcune Ombre abbassarsi.
«Ora» sibilò Durza.
Lanciò il coltello in direzione del Sommo Sacerdote, che gridò non appena la lama sprofondò nella sua carne con un tonfo.
Ma non seppi mai dove l'avesse colpito. Durza non aveva ancora finito di pronunciare “ora” che già io ero schizzata in direzione della quarta stanza, saltando sopra alle Ombre e finendo con i piedi in faccia agli arcieri.
Forse a causa dei loro riflessi troppo lenti, non arrivarono a fermarci. Riuscirono appena a tirare qualche freccia prima che lo Spettro -recuperato l'uso dei suoi poteri- alzasse una barriera dietro l'altra per chiuderli nella stanza.
Tuttavia le lance e le frecce dovevano essere incantate perché superarono in gran parte quelle difese, andandosi a conficcare dolorosamente in diversi punti del mio corpo.
Caddi a terra gridando, con una lancia nella coscia sinistra, due frecce nel polpaccio destro e un paio di colpi di striscio alle braccia. Durza era passato avanti, quindi aveva subito meno danni: in qualche modo gli avevo fatto scudo col mio corpo.
Mi trascinò fuori dal fuoco delle Ombre e mi strappò frecce e lancia dal corpo senza troppi complimenti, iniziando a guarire le mie ferite con rapide formule.
«Usciranno dai muri!» ansimai, la pelle velata di sudore gelido, datomi dalla sofferenza.
Lo Spettro realizzò che la sua barriera chiudeva semplicemente l'accesso più rapido dalla quinta alla quarta stanza, ma che probabilmente c'era una serie di tunnel che correvano paralleli a tutte le stanze, permettendo ai Sacerdoti e alle loro guardie di muoversi liberamente nonostante il suo sbarramento.
Sentii le sue lunghe dita circondarmi i fianchi mentre mi caricava sulle sue spalle e correva con fretta disperata verso le scale che portavano in superficie.
Rimasi inerte. Non ero in grado di correre, probabilmente nemmeno di camminare fino a che qualcuno non si fosse preso cura delle mie ferite, che dolevano terribilmente.
Ci eravamo trattenuti qualche istante di troppo oltre alla barriera dello Spettro, ma lui correva parecchio veloce, quindi arrivammo in prossimità delle scale nello stesso istante in cui le Ombre cominciavano a raggiungerci per i corridoi paralleli. E infatti fuoriuscirono dalla cripta, praticamente pestandosi i piedi a vicenda.
Mi sporsi ad afferrare la barella di legno e la tirai loro addosso, ostacolandoli ulteriormente, poi fui sballottata su per le scale e infine praticamente gettata sul pavimento duro della cattedrale, dove lasciai una piccola scia di sangue.
Durza salì dopo di me e io pugnalai il braccio che si allungava per afferrargli la caviglia. Con mio grandissimo stupore, l'uomo non parve farci caso e continuò imperterrito la sua azione, stringendo infine il piede dello Spettro.
Strisciai più vicina e gli tagliai di netto la mano, ma nemmeno allora parve soffrire particolarmente, anzi, si issò fuori dalla botola e cercò la corta spada che portava a cintura con l'unica mano rimastagli.
«Tra gli occhi!» mi gridò Durza, lanciando una sfera di energia contro un'altra Ombra.
Mi alzai in piedi a fatica, evitai un fendente e conficcai la lama nella fronte dell'uomo, uccidendolo sul colpo.
Vidi lo Spettro alle prese con un'altra ombra. Aveva afferrato l'uomo disarmato per la giubba imbottita e lo stava tenendo saldamente, con gli occhi serrati e un'espressione concentrata in volto.
Un attacco mentale? Non avrebbe fatto prima ad ucciderlo e basta?
Sentii i passi affrettati di altri uomini per le scale di pietra, così feci scivolare la lastra nell'insenatura e vi trascinai sopra i corpi dei due uomini che giacevano morti lì accanto, per appesantirla.
«Durza!» sbraitai, «Stanno arrivando!»
Lo Spettro mi ignorò per qualche altro istante, continuando la lotta silenziosa con l'Ombra, e io iniziai a trascinarmi in direzione del portone principale, zoppicando appoggiandomi alle panche e digrignando i denti per le ferite.
Mi raggiunse e mi prese nuovamente in spalla, poi corse fino al portone, che aprì con un incantesimo e richiuse dietro di sé con un altro.
«La locanda!» esclamai, pulendo il pugnale gocciolante di sangue sulla mia gonna e rinfoderandolo.
«Prima ti guarisco, Principessa».
Ci spostammo in direzione opposta al Covo Segreto e Durza mi adagiò a terra in un vicolo, riprendendo a biascicare una formula curativa dietro l'altra fino a che tutte le mie ferite non smisero di sanguinare e i tessuti non si furono saldati tra loro. Solo allora la mia sofferenza si placò.
Avevo decisamente perso l'allenamento da quando Durza mi torturava ogni singolo giorno.
«Sei abile con la magia curativa» osservai.
Strano per uno Spettro portatore di morte.
«Volevo essere sicuro di poter salvare le persone che volevo restassero in vita» rispose semplicemente, un po' ansimante.
Mi resi conto che mi aveva effettivamente salvato la vita. Volevo ringraziarlo, ma la frase che mi uscì era dettata dall'esigenza di sopravvivere.
«Andiamo alla locanda ora?»
«Facciamo attenzione. Ho paura che i Sacerdoti abbiano potere anche sulle guardie cittadine e se mettessero di ronda anche i soldati potremmo essere veramente in pericolo. Almeno saremmo attaccati da piccole pattuglie. Te hai ancora il pugnale?»
«Sì».
«Io no purtroppo, spero almeno di aver ferito mortalmente il monco» commentò rabbioso.
Piegò il capo per captare suoni sospetti e io feci lo stesso. Percepivo ordini urlati in lontananza e rumori di passi pesanti sparpagliati in ogni direzione.
«Ci verranno a cercare. Sappiamo molte cose che non dovremmo sapere e non siamo legati ai loro dei in alcun modo, quindi nulla ci impedisce di andare a spifferarle in giro. Mi dispiace solo di essermi lasciato scappare un giuramento di troppo, ma credevo che le cose si sarebbero sistemate pacificamente a quel punto, invece ho sottovalutato la testardaggine di Abracham».
«Durza..» mormorai, nuovamente sul punto di ringraziarlo.
In un impeto di affetto mi sfiorò il volto, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano. «Tutto bene, piccola Elfa?»
A quel punto udii dei passi. «Qualcuno si sta avvicinando».
«Allora dovremo nasconderci dietro quei barili laggiù».
Lo facemmo, ma la figura che ci passò accanto non era né una guardia imperiale né un'Ombra, bensì una semplice prostituta.
Cominciammo il nostro lento spostamento in direzione della locanda. Le guardie cittadine erano state avvisate e cominciavano a riversarsi per le strade in una ricerca silenziosa, un terzetto passò nella strada davanti a noi, senza vederci.
Cosa sapevano di noi? Il colore dei nostri capelli? Probabilmente avremmo fatto meglio ad alterare nuovamente le nostre sembianze, ma forse Durza non aveva intenzione di lasciare troppe tracce di magia, per non indicare la nostra direzione, o forse se n'era semplicemente dimenticato.
A rigore di logica l'unica nostra via di fuga doveva essere per la porta principale, che da quel momento in poi sarebbe stata sorvegliata come solo le ultime due uova rimaste al re dovevano essere.
Lo Spettro mi aveva guarita in un vicolo in direzione dei cancelli -dove sicuramente erano rimaste tracce di sangue- e forse quello avrebbe orientato la nostra ricerca in direzione di essi, mentre noi ci spostavamo dalla parte opposta.
Trovammo tutte le lanterne agli angoli delle strade accese, probabilmente per stanarci più facilmente. Ma se sentivamo un respiro nei paraggi ci limitavamo a cambiare strada e allungare ulteriormente il giro.
A nostro svantaggio andava anche la luna: piena, libera di nubi e brillante. Illuminava le stradine di una luce liquida che permetteva a noi di muoverci agilmente, ma anche ai nostri inseguitori di individuarci con più facilità. Fortunatamente, però, avevano una vista peggiore della nostra.
Impiegammo più di un'ora per raggiungere il
Covo segreto. Doveva avvicinarsi ormai la seconda ora del mattino e io non ero ancora certa che avrei visto l'alba, anche se la situazione era infinitamente migliorata rispetto a un'ora prima.
Ovviamente la porta della locanda era chiusa dall'interno, e anche quella di servizio della cucina, quindi decidemmo di entrare per una finestra ed evitare nuovamente di fare uso della magia.
Durza socchiuse la finestra della cucina dopo una minima forzatura, sbirciò all’interno e poi la spalancò del tutto. Analizzò lo stretto passaggio per qualche secondo, poi scosse la testa e mi sussurrò:
«Arya prova a passare tu, le mie spalle sono troppo larghe.»
Annuii e accettai le sue mani incrociate a mo’ di scalino per issarmi fino all’apertura. Nemmeno le mie spalle erano strette, se si consideravano i canoni di una fanciulla media, ma stringendomi su me stessa al massimo riuscii a passarci e a scivolare dentro la cucina. Atterrai, non esattamente con grazia, sul massiccio tavolo di legno, rovesciando un secchio d’acqua. Soppressi un’imprecazione e sgusciai fino alla soglia, ma non sentendo nessun suono mi rassicurai e mi diressi verso la porta principale, che aprii con circospezione. Durza scivolò dentro e richiuse il chiavistello dietro di sé.
Feci mentalmente il punto della situazione: il mio abito di riserva e le nostre coperte erano rimaste nei dormitori della cattedrale. Fortunatamente avevamo con noi i mantelli e avevamo lasciato le nostre spade sotto al materasso del
Covo. Se avessimo rubato un paio di coperte dalla locanda non avremmo rovinato nessuno. Del resto la primavera era ormai alle porte e le temperature erano mitigate di parecchio.
«Vado a recuperare le nostre cose» dissi salendo i primi scalini.
Lo Spettro annuì e i suoi occhi scintillarono vermigli nella penombra .«Ti aspetto in cucina, prendo qualche provvista nel frattempo».
Salii al secondo piano, dove dormivano tutti e riuscii a muovermi con tranquillità nel buio avvolgente. Cercai la cordella che mi cingeva il collo e inserii la chiave nella serratura. La porta si aprì con un lievissimo cigolio.
Una volta all'interno scostai il pannello di legno dalla finestra per godere un poco della luce lunare e recuperai i nostri zaini, arrotolai due coperte e ve le agganciai. Poi strisciai sotto al letto e presi con delicatezza la mia spada e quella di Durza, facendo attenzione a non farle tintinnare.
Sciolsi la chiave dallo spago, la lasciai nella toppa e tornai di sotto.
Durza aveva ammucchiato del pane, del formaggio e delle mele sul tavolo e mi strappò di mano gli zaini per riempirli.
«L'incantesimo che hai lanciato sulla porta perché nessuno la aprisse andrebbe sciolto» osservai posando le spade su una sedia.
Esitò. «Diamine, hai ragione!»
Senza nemmeno avvicinarsi alla porta bisbigliò qualche parola.
«Se non avessi ribaltato un intero secchio d’acqua potremmo anche riempire le borracce». Sbuffò e fece un sorrisetto. «A proposito, hai delle gran belle gambe Elfa, non so se nessuno te l’ha mai detto».
«E c’era bisogno di sbirciare sotto la mia gonna per scoprirlo?» risposi, ma il mio tono mancava del pepe che doveva.
Guardavo la testa rossa di Durza e non potevo fare a meno di pensare che lui, mio nemico, che aveva visto le mie gambe almeno mille volte e solo grazie alle torture che mi aveva inflitto, mi avesse preferita ad un accordo decisamente vantaggioso che gli avrebbe procurato più potere di quanto sicuramente potessi fare io con il mio ambiguo aiuto.
Sentii una sensazione calda stringermi la gola e da lì scendere al cuore, tanto che mi parve di librarmi nell’aria per qualche istante.. Fino a che una mano bianca non mi sfiorò il braccio.
«Tira il chiavistello della porta della cucina, ce ne staremo qui un’oretta o due per placare le acque e poi usciremo dalla porta di servizio». Durza parlò con un tono pratico e sbrigativo, ma la sua voce mi toccò in maniera profonda e indefinibile.
Quando allungai il braccio per chiudere la porta mi resi conto di avere la pelle d’oca, diffusa in tutto il corpo e che la sensazione di calore aveva al contempo raggiunto ogni mia terminazione nervosa.
Lo Spettro si accasciò su una sedia di legno e sospirò di stanchezza. «Non me ne va mai bene una» borbottò.
Lo guardai. La pelle pallida del suo volto, anche se increspata in un cipiglio frustrato, riluceva al bagliore della luna, gli occhi cremisi erano più profondi e intensi più che mai e le sue forti mani erano strette a pugno sulle sue ginocchia. I suoi vestiti erano sporchi di sangue, probabilmente più mio che suo.
Non era la prima volta che lo guardavo in quella maniera, ma quella notte mi parve quasi insopportabile, le mie labbra bruciavano e bramavano le sue come acqua fresca e il desiderio mi travolse tutto d’un tratto, lasciandomi immobile accanto alla porta, destabilizzata.
All'improvviso seppi che io e Durza eravamo al sicuro, che nessuno ci avrebbe trovati per molto tempo, che mi sentivo addolcita, morbida, accaldata, e che ciò che provavo per lui mi stava riempiendo il petto fino a farmi scoppiare il cuore e tremare le gambe.
E fui perduta.
Colmai la distanza che mi separava dallo Spettro, ignorando la sua espressione confusa.
Tremavo quando mi chinai su di lui e lo baciai. Vidi i suoi occhi sgranarsi di scatto e vi lessi la sua esitazione e la sua sorpresa, prima che li chiudesse e si abbandonasse completamente alle mie labbra, allungando le mani e stringendomele intorno al viso. Mi parve di avere già vissuto una situazione simile e il ricordo del giorno in cui Durza era partito per Uru'baen mi balzò vivido in mente.
Ma io non avevo intenzione di andare da nessuna parte, e glielo dimostrai quando mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe. Lo Spettro mi strinse le cosce e mi divorò la bocca nel più passionale e irruento bacio che avessi mai ricevuto, mentre il suo corpo si tendeva contro il mio, come se l’aria tra di noi fosse un ostacolo insormontabile.
E non pensai più a nulla se non al fatto che volevo Durza. Lo desideravo ardentemente, insensatamente, indecentemente, incondizionatamente.
Quei semplici baci non erano abbastanza.
Non erano mai stati abbastanza.
Avida, sfiorai il profilo del suo petto, risalendo fino ai lacci del mantello, che presi a sciogliere. Quando gli baciai la gola Durza emise un gemito roco che mi colpì come una ventata d’aria rovente, ma subito dopo mi afferrò le spalle e mi allontanò da sé.
«Elfa», disse ansimando leggermente, «non c’è bisogno di ringraziarmi per ciò che ho fatto.. cioè magari sì, ma non.. non così». E tentò una risatina di scherno.
Ma ormai lo conoscevo e individuai la maschera sul suo viso da falco, sentii la tensione dei suoi muscoli, lessi il desiderio nei suoi occhi felini e seppi che mi voleva almeno quanto lo volevo io. Chinai il capo e tornai ad armeggiare con il mantello.
Strinse la presa sulle spalle. «Che cosa stai facendo?» E mi parve quasi allarmato.
«Non riesco a slacciarlo» ammisi fissando le mie mani tremanti e i nodi stretti.
Percepii lo sguardo dello Spettro, uno sguardo freddo e calcolatore, lo sguardo di chi cerca di capire dove sia il trucco.
E nonostante ciò si sfilò il mantello dalla testa, lentamente, senza neanche provare a districare la selva di nodi.
«Vuoi per caso sedurmi e uccidermi a metà dell’opera?» domandò giocherellando con lo spago che avevo ancora al collo e sfiorandomi il seno, esitante. «Perché vorrei informarti che, se me la lasciassi finire, morirei felice».
«Forse dovrai rischiare» lo provocai, sporgendomi a baciargli un'altra volta le labbra e ritirandomi subito dopo, invitandolo in silenzio a seguirmi.
Rischiò. Il dubbio e la reticenza sparirono rapidamente dai suoi occhi e di nuovo li socchiuse quasi con ferocia, assecondando i miei gesti, rispondendo alla mia bocca e spostando le mani improvvisamente impazienti sul mio corpo.
Fiori di fuoco sbocciarono sulla mia pelle quando insinuò le mani sotto il vestito e mi accarezzò le gambe, trascinando con sé la stoffa fino a che le sue dita non raggiunsero le corte brache che portavo sotto.
Lo sentii sorridere contro la mia bocca. «E queste?»
«Ti ho detto che odio le gonne» mugugnai tra un bacio e un altro.
«In ogni caso adesso non ti servono».
Durza mi strinse nuovamente le cosce e si alzò in piedi tenendomi a sé, gettò uno sguardo frenetico nella stanza e finì per appoggiarmi sull’orlo del tavolo, che pareva l’unico angolo libero tra quelle quattro mura.
Fece per tirare via le brache, ma quelle si incastrarono all'altezza dei miei stivali. Lo Spettro ridacchiò per l'impaccio e io scalciai via direttamente uno stivale, sfilando le brache dalla caviglia sinistra.
Arrotolai le gambe intorno alle sue, portandolo più vicino, e gli sganciai la cintura con mani ancora più tremanti per la trepidazione. Finì a terra e il fodero vuoto che vi era agganciato atterrò con un tonfo sul pavimento grezzo.
Il mio carceriere sollevò la gonna fin sopra alle ginocchia e mi baciò per l'ennesima volta, lasciando vagare pigramente le mani sulle mie gambe scoperte.
Quando si staccò pensai che mai Durza mi era sembrato così bello. Con i capelli scomposti, i lineamenti distesi in un abbandono quasi infantile e gli occhi cremisi ricolmi di una brama incalzante, che di infantile non aveva nulla.
Con l'ardore che mi bruciava le vene, tutti i muri che mi avevano tenuta separata da Durza lo Spettro mi parvero improvvisamente insignificanti e, senza pensare a nulla che non fosse lui, abbracciai l'uomo di fronte a me come se non avessi fatto altro per secoli.
Fu brusco e mi fece male. Mi sfuggì un piccolo singhiozzo, ma mi affrettai a reprimerlo.
Mi aggrappai con forza alle spalle dello Spettro, irrigidita per il dolore, e lasciai che soffocasse i sospiri e i gemiti contro la mia bocca.
Sarebbe passato, lo sapevo, ed in effetti fu così. Il dolore si ridusse lentamente ad un lieve fastidio, sempre più lontano, mentre la passione e una sensazione gradevole prendevano il suo posto, strappandomi un paio di profondi sussulti e stringendo ulteriormente il nodo sotto il mio stomaco.
Cominciai a perdermi, ad annaspare, ad abbandonare la coscienza dei netti confini del mio corpo, ad annegare nelle iridi di sangue dello Spettro.
Poi Durza mi strinse a sé, affondando le dita nella mia schiena, e rilassò improvvisamente i muscoli con un ringhio gutturale, premendo la fronte imperlata di sudore contro la mia, il respiro pesante e gli occhi spalancati. Gli pettinai i capelli tra le dita, insoddisfatta eppure felice, e lui mi baciò con una dolcezza che non mi aveva mai riservato in mesi di baci rubati.
Non sanguinai, e potei risparmiarmi l'imbarazzante ammissione di non avere mai fatto l'amore prima di allora e potei restare a godermi ancora un poco le labbra screpolate di Durza, la carezza gentile delle sue mani e la sua espressione beata.
Ma non potevamo restare troppo a lungo in quella bolla di non troppo innocente spensieratezza
. Sentii dei passi frettolosi provenire dalla strada accanto e la realtà inquinò in un istante tutto: la cucina tornò ad essere un luogo squallido e io e lo Spettro tornammo ad essere due fuggitivi.
«Forse dovremmo andare» mormorai, quasi spaventata all'idea di interrompere il nostro silenzio complice.
«Non ancora» rispose Durza pigramente. «Fammi prima realizzare che questo non è un sogno».
Gli sorrisi e gli afferrai il volto per baciarlo sonoramente sulla fronte. «Non lo è. Ma non è il caso di farci trovare in queste condizioni dal locandiere, dai Sacerdoti o dalle guardie cittadine».
Ormai avevo spezzato l'incantesimo. Durza si separò con reticenza da me, non prima di avermi sfiorato le labbra un'ultima volta. Come se fossi effettivamente un sogno che rischiava di dissolversi tra le sue dita.
Il mio amante ridacchiò quando mi vide indossare le brache sotto la gonna, ma poi si ricompose in silenzio, allontanandosi per recuperare il mantello, che giaceva ancora a terra accanto alla sedia.
Inevitabilmente calò un lieve imbarazzo e lo Spettro non si diede esattamente da fare per dissiparlo.
«Forse avrei dovuto dirtelo prima di.. insomma..» cominciò, guardando un punto indefinito all'altezza delle mie spalle. Gli feci cenno di andare avanti e lui mi accontentò.
«Prima, quando eravamo alla Cattedrale, mi hai visto assalire la mente di un uomo, ricordi?»
«Certamente».
«Ecco forse quell'uomo potrà portarci qualche informazione entro le prossime due ore».
Trattenni un'esclamazione di stupore. «Gli hai invaso la mente?»
Annuì. «Sta terminando le ricerche per noi. Costringerà un sacerdote a dargli indicazioni più precise».
«Hai.. Gli hai detto il tuo segreto?»
«Non posso. Ho cancellato la sua identità e l'ho sostituita con l'idea fissa di trovare quello che cerchiamo. Eravamo vicini, Arya, molto vicini. Se ciò che cerco non si trova in quella stanza direi che non si trova in nessun altro luogo di Alagaësia se non nella biblioteca privata di Galbatorix».
Era una scelta orribile, la sua, e così perversa da darmi i brividi. Cancellare l'identità di un uomo era molto peggio che ucciderlo.
Avrebbe potuto consegnare me e riprendere la ricerca con calma.
Ma non lo avrebbe mai fatto, in quel momento ne fui certa. Spettro o no, nemico o no, Durza ci teneva a me. In modo singolare e tutto suo, ma ci teneva.
Fui distratta dalla tinta rosata che avevano assunto le sue guance mortalmente pallide e così mi dimenticai di commentare le sue azioni.
«Non sei arrabbiata?» mi chiese con cautela.
«Non avevi scelta. Era la nostra ultima possibilità..»
Mi bloccò con un gesto. «Non parlavo di quello».
Incrociai le braccia sotto il seno e risposi con una franchezza senza precedenti: «Non mi sono data a te solo perché non mi hai consegnata al monco, Spettro, e lo sai anche tu. Sono felice che tu abbia avuto la prontezza di mettere a punto un piano di riserva».
Ammutolì, guardandosi la punta degli stivali. «Hai sempre intenzione di uccidermi?»
Ero abbastanza sicura che solitamente non ci si intavolassero discorsi di quel genere dopo aver giaciuto insieme, ma fui sollevata dall'impaccio della risposta quando qualcuno dal passo pesante si avvicinò alla porta di servizio e vi picchiettò leggermente le nocche.
Durza sollevò un sopracciglio e andò ad aprire il chiavistello.
Mi ritrovai faccia a faccia con l'ombra dell'uomo che aveva lottato contro Durza nella cattedrale. Aveva un'espressione vuota e assente, i muscoli facciali molli e il passo tremebondo. Aveva subito una cosa orribile del resto.
Lo Spettro stava per tirarlo dentro e strappargli la pergamena che stringeva tra le mani, ma un grido risuonò, sin troppo vicino. «ECCOLI!»
Erano altre ombre. Probabilmente il loro compagno così ridotto aveva attirato la loro attenzione, ma non era il caso di fermarsi a chiedere conferma.
Infilai lo zaino in spalla, la spada già legata saldamente ad esso, ed estrassi il pugnale.
«Ti serve vivo?»
«No».
Lo colpii al cuore e in qualche modo seppi di avergli fatto un enorme favore.
Poi mi ritrovai a correre nuovamente con lo Spettro per i soffocanti vicoli di Dras-Leona, in direzione della baracca di Ditolesto.
«La pergamena?» gli urlai dietro.
«L'ho io, Principessa».
I nostri inseguitori erano parecchi, ma erano lenti. Tuttavia, anche se ci persero di vista, sapevano ormai alla perfezione in che zona della città ci stessimo nascondendo e avrebbero stretto il cerchio frugando in ogni casa traballante.
Mentre noi avremmo fatto un bel bagno nelle fognature, sperando di non annegare in quella melma puzzolente.
Ricordavo la strada per la baracca di Ditolesto, ma dovetti lasciar passare Durza avanti, perché aprisse la porta con la magia. Ormai potevano anche rintracciarci, ma una volta fuori da Dras-Leona io e lo Spettro avevamo altissime possibilità di fuggire indenni, con il buio e la velocità dalla nostra.
Peccato però che, dopo tutte le emozioni di quella notte, mi sentissi decisamente esausta. E a quella stanchezza si sommava quella accumulata dalle notti precedenti.
La botola che portava sottoterra era coperta da varie assi di legno, secchi, corde, scatole di chiodi e martelli e picozze. Se non fosse stata l'unica possibile botola in quella stanza l'avrei scambiata per un semplice ammasso di strumenti e materiali.
Facemmo troppa confusione.
Ditolesto scese da una scaletta di legno dopo pochi minuti, una camicia lercia a coprirgli il torace ossuto e una torcia in una mano.
«Ehi, voi siete quelli del Ratto, no?»
«Sì», rispose Durza seccamente, «e dobbiamo andarcene in fretta se permetti».
Ma l'uomo non sembrava intenzionato a lasciarci andare con tanta semplicità e iniziò a tempestarci di domande. Eravamo entrati tra i sacerdoti? Cosa avevamo scoperto? Volevamo vendergli qualche informazione?
«Vi ho detto che c'è un giovane uomo coi capelli scuri che vuole sapere un paio di cose su di loro, no? Se restate fino all'alba vi organizzo un incontro così ci parlate diretto e magari vi fate dare un po' di soldi. Oppure vi scambiate altre informazioni..»
Capii che c'era qualcosa che non andava quando mi accorsi che il suo tono di voce si faceva sempre più flebile mano a mano che parlava. Alzai gli occhi su di lui, abbandonando il martello che stavo spostando, e colsi il volto di Durza ai margini del mio campo visivo.
Gli occhi animaleschi assottigliati, la pelle bianca, i denti aguzzi. Nessun uomo avrebbe esitato a riconoscerlo per ciò che era, e probabilmente nemmeno le mie orecchie a punta erano sufficientemente nascoste dalla treccia ormai totalmente scarmigliata dopo le disavventure della notte.
Non mi mossi abbastanza in fretta da impedirgli di urlare. Ditolesto riuscì ad emettere un grido sorprendentemente acuto -pur essendo un uomo- prima che gli recidessi le corde vocali col pugnale ancora incrostato del sangue dell'Ombra. Poi lo colpii al petto e misi fine alle sue sofferenze. L'uomo cadde a terra fissandosi la mano destra -quella mezza amputata- lercia di sangue, con un'espressione di ingenua sorpresa stampata in viso.
Lo Spettro imprecò quando la torcia, caduta dalle mani della spia, sparse le sue fiamme sul pavimento legnoso della baracca. Ma per nostra fortuna non attecchì a causa dell'umidità del materiale e con un paio di calci bruschi riuscimmo ad estinguere il fuoco.
«Arya finisci tu ti prego!» implorò stirando la pergamena che gli aveva portato l'Ombra tra le mani e scorrendola rapidamente.
Avrei voluto sedermi accanto a lui e leggerla a mia volta, ma le grida di Ditolesto avevano svegliato un buon numero di vicini, che domandavano inquieti cosa fosse successo. Entro un minuto avremmo avuto addosso le guardie imperiali e l'intero manipolo di Ombre.
Gettai via tutto ciò che trovai sulla botola, senza più curarmi di essere cauta e silenziosa.
Quando la botola fu sgombra, Durza la aprì con un incantesimo e mi fece segno di scendere per prima dalla marcia scaletta a pioli, per poi seguirmi nel buio e chiudere nuovamente la botola. Fece danzare una fiammella accanto a me per illuminarmi la strada, ma non dovemmo scendere troppo prima che i miei stivali toccassero una superficie solida. Più o meno eravamo alla stessa altezza delle stanze sotterranee dei Sacerdoti, solo che al centro del tunnel scorreva lentamente un melma nerastra e terribilmente puzzolente.
Stringemmo saldamente la scaletta di legno e dopo una lunga forzatura, riuscimmo a staccarla dal suo sostegno. Quella soluzione avrebbe ulteriormente rallentato i nostri inseguitori.
Io e lo Spettro corremmo su una sorta di stretta piattaforma rialzata, che tuttavia si estinse presto, affondando direttamente nel liquido.
L'idea di tuffarmi in quello schifo mi disgustava, ma non avevo molte altre scelte, quindi scesi il primo scalino e i miei stivali si mossero con uno sciacquio.
Ben presto mi ritrovai immersa fino alla vita, con lo stomaco contratto per la nausea.
«Forza, Principessa!» mi incoraggiò Durza facendo una lieve pressione tra le mie scapole. «Non siamo molto lontani dal muro esterno. Una volta lì dovremmo cadere in un canale che porta al lago e allora ci laveremo tutto di dosso».
«Sono stanca» ammisi, trascinando le mie gambe dai muscoli tremanti nella melma.
«Anche io». Mi strinse un gomito, senza smettere un attimo di camminare.
Alle nostre spalle qualcuno mandò in pezzi la botola di legno. Lo Spettro estinse la fiammella e io riuscii ad afferrare la sua mano appena in tempo, prima che tutto sprofondasse nell'oscurità.
Qualcuno urlò di portare una corda e io mi ritrovai a camminare nel buio totale, con il respiro di Durza e la sua mano nella mia come unico segnale della sua presenza e un sciabordio sempre più forte che si avvicinava davanti a noi.
Sembrava passata un'eternità, ma probabilmente non più di cinque minuti dopo ci trovammo davanti ad una cascata, come intuimmo dal rumore dell'acqua che si infrange dopo una caduta.
Non era certamente alta, ma ci avrebbe costretti ad inzaccherarci dalla testa ai piedi ed esitammo qualche istante prima di buttarci.
Sentivo ancora il sciabordio del liquame alle mie spalle, causato dai movimenti dei militari che ci stavano seguendo in quel pantano, agitando le torce.
Non ero più particolarmente spaventata da loro. Io e Durza li avevamo distanziati e non avevano un udito buono a sufficienza per poter azzeccare la nostra posizione e colpirci a distanza con armi da lancio, in quel buio. Ed ero certa che una volta fuori dalle acque del lago nessuno sarebbe riuscito a raggiungerci, a meno che non venissero movimentati i Ra'zac.
Ma probabilmente sarebbero rimasti a Dras-Leona ad aspettare il cavaliere, com'era loro dovere. Io non potevo fare altro che sperare che Brom e il ragazzo se la cavassero contro di loro, mentre accompagnavo Durza lo Spettro a Gil'ead, lontano da loro e forse vicino ad una soluzione per deporre Galbatorix.
Sì, perché nonostante l'intimità di quella notte, nulla era cambiato nelle mie convinzioni e nei miei propositi.
Quasi a risposta dei miei pensieri, Durza mi sfiorò il viso, cercando le mie labbra, e mi baciò duramente. Ricambiai mio malgrado quel gesto familiare, per poi stringergli nuovamente la mano e saltare nel vuoto.
Prima di atterrare con un tonfo nei fluidi puzzolenti, pensai al cibo che avevamo negli zaini. Non lo avrei mangiato mai, a costo di morire di fame.
Strinsi le labbra, mi tappai il naso e serrai gli occhi con tale forza che apparvero dei lampi colorati sotto le mie palpebre. La puzza era diventata insostenibile, ma ora sembravamo trascinati da una vera e propria corrente, anche se non osai aprire gli occhi incrostati di melma per accertarmene.
In un pugno di secondi sentii il contatto di un liquido freddo e dedussi che fossimo ormai arrivati alle acque del lago Leona, anche perché non ero più costretta dall'acqua densa. Quella era più leggera e liquida.
Tuttavia non ebbi il coraggio né di lasciare le dita di Durza, né di aprire gli occhi, né di immergere la faccia per lavarmi il viso in quella che forse era acqua pulita.
Nuotammo scomodamente per qualche minuto prima di riuscire a compiere tutte e tre le azioni.
Quando finalmente aprii gli occhi sulla notte vidi le luci di Dras-Leona ancora vicine e l'immensità scura del lago argentato alle mie spalle. La luna non aveva abbandonato la sua posizione e presto individuai le rive più vicine, continuando al contempo a strofinarmi il lerciume di dosso.
«Potremmo nuotare fino alla sponda opposta» suggerii.
Ero sfinita, ma procedendo con calma ci sarei riuscita.
Ma lo Spettro scosse la testa rossa. «Non sono un gran nuotatore. È già buono che sia riuscito a rimanere a galla finora, ma è il caso che mi sposti verso riva» concluse accennando alla sponda più vicina, quella sotto le mura della città.
Lo seguii, ovviamente. E appurai che effettivamente era a malapena capace di galleggiare.
Una volta arrivati al suolo sassoso cominciammo a correre, tenendo il lago alla nostra sinistra. Corsi fino a che le gambe non mi ressero più. Allora camminai, poi traballai, reggendomi al mantello di Durza, poi ci sostenemmo a vicenda e infine crollammo l'uno sopra l'altra, all'estremità settentrionale del lago Leona.
Era mattino fatto e io crollai addormentata, sfinita.


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Ehilà, salve a tutti! ^_^
Questo è decisamente un capitolo denso di azione e azioni, che dite?
So che molti aspettavano il momento in cui Durza e Arya sarebbero arrivati al sodo e infine eccoci qua!
Rimangono tuttavia dei dubbi: Durza ha tra le mani la soluzione che cercava? Che faranno ora i nostri eroi? Arya è davvero indifferente a ciò che è successo, nonostante il suo trasporto?
Vi lascio con queste domande e vi auguro un felice Natale -che lo festeggiate o meno- e vi mando un mucchio di baci, vi adoro ;)
A domenica prossima (perché non vado in vacanza con la fanfiction, tranquilli),
Lalli
  
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