Forse
il monco poteva considerarci suoi ospiti, ma io non mi sentivo
precisamente a mio agio: ero completamente circondata da uomini in
nero, che puntavano le loro armi contro di me per impedirmi di uscire
da un cerchio di ametiste che bloccava la magia. Come se non ne
avessi già abbastanza del mio anello.
Durza, invece, aveva l'aria
di sapere il fatto suo, ma poteva essere un'ennesima maschera.
Non
vedevo molte vie d'uscita da quella situazione, ma lo Spettro aveva
detto di aver già avuto a che fare con i Sacerdoti, quindi
forse
sarebbe riuscito a parlamentare.
Abbassai il pugnale, ma non lo
rinfoderai. Anzi, ero pronta a scattare in qualsiasi momento e a
vendere cara la pelle. Se mi avessero sopraffatta mi sarei uccisa
prima che potessero catturarmi o torturarmi.
Le candele che ci
avevano fatto luce fino a quella stanza giacevano a terra, ormai
annegate nella loro cera, ma i Sacerdoti avevano con loro delle torce
e con esse accesero quelle attaccate ai muri, rendendo l'ambiente
molto più luminoso.
Il Sommo Sacerdote se ne stava sulla sua
lettiga, dietro le Ombre, e non sembrava minimamente intenzionato ad
avvicinarsi. Capii che in fondo aveva paura di Durza, e forse anche
di me.
«Mi hai detto di voler distruggere il re, ma non mi hai
detto cosa sei venuto a fare qui».
«Cercavo appunto la soluzione
ad un problema: il modo per aggirare il potere di Galbatorix».
«Cosa
cerchi?»
Lo Spettro fece un ghigno. «Non posso dirtelo».
«Allora
non vedo come tu possa trattare con noi» sputò
l'altro.
«Non
sto chiedendo la vostra alleanza», specificò,
«ma solo una
consultazione dei vostri archivi».
«Direi che in quello ti sei
già dato parecchio da fare. Ancora due stanze e gli archivi
della
cattedrale sono finiti, altri testi si trovano nella dimora degli
dei» concluse chinando il capo.
C'erano altri testi
nell'Helgrind? Chissà quanti altri mesi avremmo impiegato a
spulciare anche quelli.
«Non ho ancora trovato ciò che cercavo»,
insistette Durza, «e dato che ormai mi avete scoperto
potreste
aiutarmi a farlo».
Il monco assunse un cipiglio duro. «Non ti
lascerò andare senza le dovute garanzie» disse.
«Che ucciderò
il re? Puoi starne certo, se mi darete ciò che
cerco».
«No»,
fece il monco, «io voglio un tuo giuramento vincolante che,
una
volta annientato il re, tu ti ritirerai e lascerai che i legittimi
sovrani prendano le redini di questa terra. Gli Antichi sono i
creatori del mondo ed è loro diritto comandarlo. Se li
libererai
dalla loro schiavitù avranno sicuramente la pietà
di non nutrirsi
di te o dei tuoi cari».
«Abracham, i Ra'zac hanno giurato
di
ubbidire al re. Ed è quello che tu chiami un giuramento
vincolante.
Hai mai pensato che forse a loro vada bene la condizione di
servitù?»
Un cupo mormorio si diffuse tra i nostri ospiti e
alcune Ombre si mossero inquiete. Non ci voleva un genio per capire
che lo Spettro aveva detto la cosa sbagliata: insinuare che il tuo
dio sia il servo di un mortale deve essere considerato una sorta di
sacrilegio.
Ma il monco gli aveva toccato il tasto del potere, e
Durza non lo avrebbe mai abbandonato per nessuno, lo sapevo bene.
«Ti
ricordo che ti trovi ancora nel cuore del culto degli
Antichi» sputò
il Sommo Sacerdote. «Se non vi abbiamo ancora uccisi
è solo perché
i nostri dei ci impongono di pensare a loro».
«Lo so» rispose
Durza, più conciliante. «Ma in ogni caso non
avrete alcun
giuramento né da me né da Ar.. Alba. Posso
esservi utile anche
così, non credete?»
«Nulla ci garantisce che non cercherai di
nuocere agli Antichi, una volta sconfitto il re».
«Io non farò
alcun male ai vostri dei» disse lo Spettro spazientito,
nell'antica
lingua. «Contenti?» aggiunse gettandomi un'occhiata
significativa.
Ovvio. Forse lui non poteva fare del male ai
Ra'zac, ma chiunque altro sì. Io stessa sarei stata in grado
di
ucciderli senza troppe difficoltà, se li avessi colti senza
i
Lethrblaka al seguito.
Il monco parve sorpreso, e subito dopo
soddisfatto. «Non ci basta. Vogliamo avere un ostaggio come
ulteriore deterrente. Lei per esempio potrebbe andare bene»
disse
annuendo nella mia direzione.
Sollevai il pugnale. «Non ho
intenzione di rimanere qui» dissi con voce ferma.
«Non ho
chiesto a te, elfa. Ho chiesto allo Spettro..»
«Che rifiuta»
concluse Durza seccamente. «Non avete bisogno di nient'altro.
Se
volete sconfiggere Galbatorix io so dove bisogna colpirlo, mi serve
solo qualche altra informazione. Voi brancolate nel buio al riguardo,
quindi credo di avere io il coltello dalla parte del manico».
Il
monco fece nuovamente quello che doveva essere un sorriso.
«Sei mio
prigioniero, sono io a dettare la legge qui dentro».
«Credevo di
essere un ospite» lo pungolò il mio compagno.
«Questo finché
ho creduto che sarei riuscito a farti ragionare. O sei totalmente
dalla nostra parte o sei nostro nemico. Lasciaci l'elfa e ti
aiuteremo come possiamo. E ti lasceremo andare, ovvio».
Vidi
Durza tentennare e fui nuovamente colta dal panico. Strinsi con forza
l'elsa del pugnale e portai una mano al petto, pronta a trapassarmi
con la lama o a svuotare la boccetta di Fricai Andlat nel caso mi
fossi trovata costretta a farlo.
«Cosa avete intenzione di fare
con lei?» chiese poi, dandomi le spalle e facendo sprofondare
le mie
speranze nel buio.
«Nulla di male, te l'assicuro».
«Balle»
sentenziò freddamente lo Spettro. «Sono stato
allievo di Gagnsamr
per un mese e ormai conosco le vostre dodici verità a
menadito. Voi
rifiutate chiunque non viva un ciclo normale di anni, e gli elfi
vivono ben più di cento anni. Non ha senso che la torturiate
per
strapparle informazioni perché non ne ha. È
un'elfa nera e le hanno
cancellato la memoria quando l'hanno cacciata dalle terre degli elfi,
quindi il massimo che saprebbe dirvi sarebbe il suo nome, il mio e la
pianta del mio palazzo a Gil'ead».
Mi stava difendendo, ma non
potei fare a meno di chiedermi chi fossero gli elfi neri. A sentire
parlare lo Spettro parevano dei ripudiati, ma non esistevano degli
elfi ripudiati, raramente compievamo atti per i quali era necessario
punirci. L'unico esempio che mi veniva in mente era la triste storia
di Linnea, che aveva finito per punirsi da sola.
Probabilmente se
li stava inventando.
«Non dovrebbe importarti più di tanto del
suo destino. Preoccupati del tuo» lo invitò il
monco.
Mi
balzarono in mente immagini del mio corpo morto tagliato a pezzetti,
analizzato e studiato, e poi dato in pasto ai Ra'zac. Avevo sempre
pensato che una degna pira funebre mi attendesse dopo la morte, non
di certo di diventare oggetto di perversi studi di una setta di
folli.
In fondo neanche ammazzarmi mi avrebbe totalmente
preservata.
«Se rifiutassi?»
«Uccideremo entrambi. Tu ti
credi superiore forse, ma la nostra religione è piena di
adepti e di
potere. Riusciremo a sconfiggere il re anche senza il tuo
aiuto».
Durza scoppiò a ridere. «Stai sopravvalutando le
tue
possibilità Abracham».
«E tu le stai sottovalutando!» rispose
il sacerdote alzando la voce. «Sei in mio potere e non hai
affatto
in mano la situazione. Ecco perché farai esattamente
ciò che ti
dirò, senza discutere se tieni alla vita! Forse non conosco
ancora
il punto debole del re, ma conosco bene il tuo» disse
accennando al
torace dello Spettro, dove il suo cuore batteva leggermente
accelerato.
Il monco aveva scoperto le proprie carte. Non aveva
alcuna intenzione di scendere a compromessi, voleva dettare legge. Le
parole che ci aveva rivolto all'inizio della conversazione avevano il
solo scopo di farci sentire ancora padroni del contesto.
Ad un suo
cenno l'ultima fila delle Ombre lasciò le lance e
incordò dei
piccoli archi dalla gittata sicuramente breve, ma sufficiente a
freddare sia me che Durza.
Lo Spettro sfoderò nuovamente il
pugnale e restò a guardarlo con interesse per qualche lungo
istante,
quasi distratto.
Sta
valutando
la proposta pensai.
E
invece le parole che sussurrò mi stupirono:
«Pronta a correre,
Principessa?»
Flettei i muscoli delle gambe. «Ci ammazzeranno»
risposi allo stesso tono, quasi impercettibile.
«Verso la chiesa»
disse semplicemente.
«Allora, Spettro?» lo richiamò il
monco.
Durza sorrise, snudando terrificanti denti aguzzi, allargò
le braccia e chinò il capo facendo alcuni passi nella sua
direzione.
«Accetto tutte le condizioni».
Fidati..
«Tieniti
Alba, ma non farle del male..»
..di..
«..
e sopratutto forniscimi tutte le informazioni che ti
chiederò».
..me!
Le
sue parole melliflue ebbero il potere di calmare gli animi. Vidi i
lineamenti di molti uomini intorno a me distendersi e gli archi e le
lance di alcune Ombre abbassarsi.
«Ora» sibilò Durza.
Lanciò
il coltello in direzione del Sommo Sacerdote, che gridò non
appena
la lama sprofondò nella sua carne con un tonfo.
Ma non seppi mai
dove l'avesse colpito. Durza non aveva ancora finito di pronunciare
“ora” che già io ero schizzata in
direzione della quarta stanza,
saltando sopra alle Ombre e finendo con i piedi in faccia agli
arcieri.
Forse a causa dei loro riflessi troppo lenti, non
arrivarono a fermarci. Riuscirono appena a tirare qualche freccia
prima che lo Spettro -recuperato l'uso dei suoi poteri- alzasse una
barriera dietro l'altra per chiuderli nella stanza.
Tuttavia le
lance e le frecce dovevano essere incantate perché
superarono in
gran parte quelle difese, andandosi a conficcare dolorosamente in
diversi punti del mio corpo.
Caddi a terra gridando, con una
lancia nella coscia sinistra, due frecce nel polpaccio destro e un
paio di colpi di striscio alle braccia. Durza era passato avanti,
quindi aveva subito meno danni: in qualche modo gli avevo fatto scudo
col mio corpo.
Mi trascinò fuori dal fuoco delle Ombre e mi
strappò frecce e lancia dal corpo senza troppi complimenti,
iniziando a guarire le mie ferite con rapide formule.
«Usciranno
dai muri!» ansimai, la pelle velata di sudore gelido, datomi
dalla
sofferenza.
Lo Spettro realizzò che la sua barriera chiudeva
semplicemente l'accesso più rapido dalla quinta alla quarta
stanza,
ma che probabilmente c'era una serie di tunnel che correvano
paralleli a tutte le stanze, permettendo ai Sacerdoti e alle loro
guardie di muoversi liberamente nonostante il suo sbarramento.
Sentii
le sue lunghe dita circondarmi i fianchi mentre mi caricava sulle sue
spalle e correva con fretta disperata verso le scale che portavano in
superficie.
Rimasi inerte. Non ero in grado di correre,
probabilmente nemmeno di camminare fino a che qualcuno non si fosse
preso cura delle mie ferite, che dolevano terribilmente.
Ci
eravamo trattenuti qualche istante di troppo oltre alla barriera
dello Spettro, ma lui correva parecchio veloce, quindi arrivammo in
prossimità delle scale nello stesso istante in cui le Ombre
cominciavano a raggiungerci per i corridoi paralleli. E infatti
fuoriuscirono dalla cripta, praticamente pestandosi i piedi a
vicenda.
Mi sporsi ad afferrare la barella di legno e la tirai
loro addosso, ostacolandoli ulteriormente, poi fui sballottata su per
le scale e infine praticamente gettata sul pavimento duro della
cattedrale, dove lasciai una piccola scia di sangue.
Durza salì
dopo di me e io pugnalai il braccio che si allungava per afferrargli
la caviglia. Con mio grandissimo stupore, l'uomo non parve farci caso
e continuò imperterrito la sua azione, stringendo infine il
piede
dello Spettro.
Strisciai più vicina e gli tagliai di netto la
mano, ma nemmeno allora parve soffrire particolarmente, anzi, si
issò
fuori dalla botola e cercò la corta spada che portava a
cintura con
l'unica mano rimastagli.
«Tra gli occhi!» mi gridò Durza,
lanciando una sfera di energia contro un'altra Ombra.
Mi alzai in
piedi a fatica, evitai un fendente e conficcai la lama nella fronte
dell'uomo, uccidendolo sul colpo.
Vidi lo Spettro alle prese con
un'altra ombra. Aveva afferrato l'uomo disarmato per la giubba
imbottita e lo stava tenendo saldamente, con gli occhi serrati e
un'espressione concentrata in volto.
Un attacco mentale? Non
avrebbe fatto prima ad ucciderlo e basta?
Sentii i passi
affrettati di altri uomini per le scale di pietra, così feci
scivolare la lastra nell'insenatura e vi trascinai sopra i corpi dei
due uomini che giacevano morti lì accanto, per
appesantirla.
«Durza!» sbraitai, «Stanno
arrivando!»
Lo
Spettro mi ignorò per qualche altro istante, continuando la
lotta
silenziosa con l'Ombra, e io iniziai a trascinarmi in direzione del
portone principale, zoppicando appoggiandomi alle panche e
digrignando i denti per le ferite.
Mi raggiunse e mi prese
nuovamente in spalla, poi corse fino al portone, che aprì
con un
incantesimo e richiuse dietro di sé con un altro.
«La locanda!»
esclamai, pulendo il pugnale gocciolante di sangue sulla mia gonna e
rinfoderandolo.
«Prima ti guarisco, Principessa».
Ci
spostammo in direzione opposta al Covo Segreto e Durza mi
adagiò a
terra in un vicolo, riprendendo a biascicare una formula curativa
dietro l'altra fino a che tutte le mie ferite non smisero di
sanguinare e i tessuti non si furono saldati tra loro. Solo allora la
mia sofferenza si placò.
Avevo decisamente perso l'allenamento da
quando Durza mi torturava ogni singolo giorno.
«Sei abile con la
magia curativa» osservai.
Strano
per uno Spettro portatore di morte.
«Volevo
essere sicuro di poter salvare le persone che volevo restassero in
vita» rispose semplicemente, un po' ansimante.
Mi resi conto che
mi aveva effettivamente salvato la vita. Volevo ringraziarlo, ma la
frase che mi uscì era dettata dall'esigenza di
sopravvivere.
«Andiamo alla locanda ora?»
«Facciamo
attenzione. Ho paura che i Sacerdoti abbiano potere anche sulle
guardie cittadine e se mettessero di ronda anche i soldati potremmo
essere veramente in pericolo. Almeno saremmo attaccati da piccole
pattuglie. Te hai ancora il pugnale?»
«Sì».
«Io no
purtroppo, spero almeno di aver ferito mortalmente il monco»
commentò rabbioso.
Piegò il capo per captare suoni sospetti e io
feci lo stesso. Percepivo ordini urlati in lontananza e rumori di
passi pesanti sparpagliati in ogni direzione.
«Ci verranno a
cercare. Sappiamo molte cose che non dovremmo sapere e non siamo
legati ai loro dei in alcun modo, quindi nulla ci impedisce di andare
a spifferarle in giro. Mi dispiace solo di essermi lasciato scappare
un giuramento di troppo, ma credevo che le cose si sarebbero
sistemate pacificamente a quel punto, invece ho sottovalutato la
testardaggine di Abracham».
«Durza..» mormorai, nuovamente sul
punto di ringraziarlo.
In un impeto di affetto mi sfiorò il
volto, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano.
«Tutto
bene, piccola Elfa?»
A quel punto udii dei passi. «Qualcuno si
sta avvicinando».
«Allora dovremo nasconderci dietro quei barili
laggiù».
Lo facemmo, ma la figura che ci passò accanto non era
né una guardia imperiale né un'Ombra,
bensì una semplice
prostituta.
Cominciammo il nostro lento spostamento in direzione
della locanda. Le guardie cittadine erano state avvisate e
cominciavano a riversarsi per le strade in una ricerca silenziosa, un
terzetto passò nella strada davanti a noi, senza vederci.
Cosa
sapevano di noi? Il colore dei nostri capelli? Probabilmente avremmo
fatto meglio ad alterare nuovamente le nostre sembianze, ma forse
Durza non aveva intenzione di lasciare troppe tracce di magia, per
non indicare la nostra direzione, o forse se n'era semplicemente
dimenticato.
A rigore di logica l'unica nostra via di fuga doveva
essere per la porta principale, che da quel momento in poi sarebbe
stata sorvegliata come solo le ultime due uova rimaste al re dovevano
essere.
Lo Spettro mi aveva guarita in un vicolo in direzione dei
cancelli -dove sicuramente erano rimaste tracce di sangue- e forse
quello avrebbe orientato la nostra ricerca in direzione di essi,
mentre noi ci spostavamo dalla parte opposta.
Trovammo tutte le
lanterne agli angoli delle strade accese, probabilmente per stanarci
più facilmente. Ma se sentivamo un respiro nei paraggi ci
limitavamo
a cambiare strada e allungare ulteriormente il giro.
A nostro
svantaggio andava anche la luna: piena, libera di nubi e brillante.
Illuminava le stradine di una luce liquida che permetteva a noi di
muoverci agilmente, ma anche ai nostri inseguitori di individuarci
con più facilità. Fortunatamente,
però, avevano una vista peggiore
della nostra.
Impiegammo più di un'ora per raggiungere il Covo
segreto. Doveva
avvicinarsi ormai la seconda ora del mattino e io non ero ancora
certa che avrei visto l'alba, anche se la situazione era
infinitamente migliorata rispetto a un'ora prima.
Ovviamente la
porta della locanda era chiusa dall'interno, e anche quella di
servizio della cucina, quindi decidemmo di entrare per una finestra
ed evitare nuovamente di fare uso della magia.
Durza
socchiuse la finestra della cucina dopo una minima forzatura,
sbirciò
all’interno e poi la spalancò del tutto.
Analizzò lo stretto
passaggio per qualche secondo, poi scosse la testa e mi
sussurrò:
«Arya prova a passare tu, le mie spalle sono troppo
larghe.»
Annuii e accettai le sue mani incrociate a mo’ di
scalino per issarmi fino all’apertura. Nemmeno le mie spalle
erano
strette, se si consideravano i canoni di una fanciulla media, ma
stringendomi su me stessa al massimo riuscii a passarci e a scivolare
dentro la cucina. Atterrai, non esattamente con grazia, sul massiccio
tavolo di legno, rovesciando un secchio d’acqua. Soppressi
un’imprecazione e sgusciai fino alla soglia, ma non sentendo
nessun
suono mi rassicurai e mi diressi verso la porta principale, che aprii
con circospezione. Durza scivolò dentro e richiuse il
chiavistello
dietro di sé.
Feci mentalmente il punto della situazione: il mio
abito di riserva e le nostre coperte erano rimaste nei dormitori
della cattedrale. Fortunatamente avevamo con noi i mantelli e avevamo
lasciato le nostre spade sotto al materasso del Covo.
Se avessimo rubato un paio di coperte dalla locanda non avremmo
rovinato nessuno. Del resto la primavera era ormai alle porte e le
temperature erano mitigate di parecchio.
«Vado a recuperare le
nostre cose» dissi salendo i primi scalini.
Lo Spettro annuì e i
suoi occhi scintillarono vermigli nella penombra .«Ti aspetto
in
cucina, prendo qualche provvista nel frattempo».
Salii al secondo
piano, dove dormivano tutti e riuscii a muovermi con
tranquillità
nel buio avvolgente. Cercai la cordella che mi cingeva il collo e
inserii la chiave nella serratura. La porta si aprì con un
lievissimo cigolio.
Una volta all'interno scostai il pannello di
legno dalla finestra per godere un poco della luce lunare e recuperai
i nostri zaini, arrotolai due coperte e ve le agganciai. Poi
strisciai sotto al letto e presi con delicatezza la mia spada e
quella di Durza, facendo attenzione a non farle tintinnare.
Sciolsi
la chiave dallo spago, la lasciai nella toppa e tornai di
sotto.
Durza aveva ammucchiato del pane, del formaggio e delle
mele sul tavolo e mi strappò di mano gli zaini per
riempirli.
«L'incantesimo
che hai lanciato sulla porta perché nessuno la aprisse
andrebbe
sciolto» osservai posando le spade su una sedia.
Esitò.
«Diamine, hai ragione!»
Senza nemmeno avvicinarsi alla porta
bisbigliò qualche parola.
«Se
non avessi ribaltato un intero secchio d’acqua potremmo anche
riempire le borracce». Sbuffò e fece un
sorrisetto. «A proposito,
hai delle gran belle gambe Elfa, non so se nessuno te l’ha
mai
detto».
«E c’era bisogno di sbirciare sotto la mia gonna
per
scoprirlo?» risposi, ma il mio tono mancava del pepe che
doveva.
Guardavo la testa rossa di Durza e non potevo fare a meno
di pensare che lui, mio nemico, che aveva visto le mie gambe almeno
mille volte e solo grazie alle torture che mi aveva inflitto, mi
avesse preferita ad un accordo decisamente vantaggioso che gli
avrebbe procurato più potere di quanto sicuramente potessi
fare io
con il mio ambiguo aiuto.
Sentii una sensazione calda stringermi
la gola e da lì scendere al cuore, tanto che mi parve di
librarmi
nell’aria per qualche istante.. Fino a che una mano bianca
non mi
sfiorò il braccio.
«Tira il chiavistello della porta della
cucina, ce ne staremo qui un’oretta o due per placare le
acque e
poi usciremo dalla porta di servizio». Durza parlò
con un tono
pratico e sbrigativo, ma la sua voce mi toccò in maniera
profonda e
indefinibile.
Quando allungai il braccio per chiudere la porta mi
resi conto di avere la pelle d’oca, diffusa in tutto il corpo
e che
la sensazione di calore aveva al contempo raggiunto ogni mia
terminazione nervosa.
Lo Spettro si accasciò su una sedia di
legno e sospirò di stanchezza. «Non me ne va mai
bene una»
borbottò.
Lo guardai. La pelle pallida del suo volto, anche se
increspata in un cipiglio frustrato, riluceva al bagliore della luna,
gli occhi cremisi erano più profondi e intensi
più che mai e le
sue forti mani erano strette a pugno sulle sue ginocchia. I suoi
vestiti erano sporchi di sangue, probabilmente più mio che
suo.
Non
era la prima volta che lo guardavo in quella maniera, ma quella notte
mi parve quasi insopportabile, le mie labbra bruciavano e bramavano
le sue come acqua fresca e il desiderio mi travolse tutto
d’un
tratto, lasciandomi immobile accanto alla porta,
destabilizzata.
All'improvviso seppi che io e Durza eravamo al
sicuro, che nessuno ci avrebbe trovati per molto tempo, che mi
sentivo addolcita, morbida, accaldata, e che ciò che provavo
per lui
mi stava riempiendo il petto fino a farmi scoppiare il cuore e
tremare le gambe.
E fui perduta.
Colmai la distanza che mi
separava dallo Spettro, ignorando la sua espressione confusa.
Tremavo quando mi chinai su di lui e lo baciai. Vidi i suoi occhi
sgranarsi di scatto e vi lessi la sua esitazione e la sua sorpresa,
prima che li chiudesse e si abbandonasse completamente alle mie
labbra, allungando le mani e stringendomele intorno al viso. Mi parve
di avere già vissuto una situazione simile e il ricordo del
giorno
in cui Durza era partito per Uru'baen mi balzò vivido in
mente.
Ma
io non avevo intenzione di andare da nessuna parte, e glielo
dimostrai quando mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe. Lo Spettro
mi strinse le cosce e mi divorò la bocca nel più
passionale e
irruento bacio che avessi mai ricevuto, mentre il suo corpo si
tendeva contro il mio, come se l’aria tra di noi fosse un
ostacolo
insormontabile.
E non pensai più a nulla se non al fatto che
volevo Durza. Lo desideravo ardentemente, insensatamente,
indecentemente, incondizionatamente.
Quei semplici baci non erano
abbastanza.
Non erano mai stati abbastanza.
Avida, sfiorai il
profilo del suo petto, risalendo fino ai lacci del mantello, che
presi a sciogliere. Quando gli baciai la gola Durza emise un gemito
roco che mi colpì come una ventata d’aria rovente,
ma subito dopo
mi afferrò le spalle e mi allontanò da
sé.
«Elfa», disse
ansimando leggermente, «non c’è bisogno
di ringraziarmi per ciò
che ho fatto.. cioè magari sì, ma non.. non
così». E tentò una
risatina di scherno.
Ma ormai lo conoscevo e individuai la
maschera sul suo viso da falco, sentii la tensione dei suoi muscoli,
lessi il desiderio nei suoi occhi felini e seppi che mi voleva
almeno quanto lo volevo io. Chinai il capo e tornai ad armeggiare con
il mantello.
Strinse la presa sulle spalle. «Che cosa stai
facendo?» E mi parve quasi allarmato.
«Non riesco a slacciarlo»
ammisi fissando le mie mani tremanti e i nodi stretti.
Percepii lo
sguardo dello Spettro, uno sguardo freddo e calcolatore, lo sguardo
di chi cerca di capire dove sia il trucco.
E nonostante ciò si
sfilò il mantello dalla testa, lentamente, senza neanche
provare a
districare la selva di nodi.
«Vuoi per caso sedurmi e uccidermi a
metà dell’opera?» domandò
giocherellando con lo spago che avevo
ancora al collo e sfiorandomi il seno, esitante.
«Perché vorrei
informarti che, se me la lasciassi finire, morirei felice».
«Forse
dovrai rischiare» lo provocai, sporgendomi a baciargli
un'altra
volta le labbra e ritirandomi subito dopo, invitandolo in silenzio a
seguirmi.
Rischiò. Il dubbio e la reticenza sparirono rapidamente
dai suoi occhi e di nuovo li socchiuse quasi con ferocia,
assecondando i miei gesti, rispondendo alla mia bocca e spostando le
mani improvvisamente impazienti sul mio corpo.
Fiori di fuoco
sbocciarono sulla mia pelle quando insinuò le mani sotto il
vestito
e mi accarezzò le gambe, trascinando con sé la
stoffa fino a che le
sue dita non raggiunsero le corte brache che portavo sotto.
Lo
sentii sorridere contro la mia bocca. «E queste?»
«Ti ho detto
che odio le gonne» mugugnai tra un bacio e un altro.
«In ogni
caso adesso non ti servono».
Durza mi strinse nuovamente le cosce
e si alzò in piedi tenendomi a sé,
gettò uno sguardo frenetico
nella stanza e finì per appoggiarmi sull’orlo del
tavolo, che
pareva l’unico angolo libero tra quelle quattro mura.
Fece per
tirare via le brache, ma quelle si incastrarono all'altezza dei miei
stivali. Lo Spettro ridacchiò per l'impaccio e io scalciai
via
direttamente uno stivale, sfilando le brache dalla caviglia
sinistra.
Arrotolai le gambe intorno alle sue, portandolo più
vicino, e gli sganciai la cintura con mani ancora più
tremanti per
la trepidazione. Finì a terra e il fodero vuoto che vi era
agganciato atterrò con un tonfo sul pavimento grezzo.
Il mio
carceriere sollevò la gonna fin sopra alle ginocchia e mi
baciò per
l'ennesima volta, lasciando vagare pigramente le mani sulle mie gambe
scoperte.
Quando si staccò pensai che mai Durza mi era sembrato
così bello. Con i capelli scomposti, i lineamenti distesi in
un
abbandono quasi infantile e gli occhi cremisi ricolmi di una brama
incalzante, che di infantile non aveva nulla.
Con l'ardore che mi
bruciava le vene, tutti i muri che mi avevano tenuta separata da
Durza lo Spettro mi parvero improvvisamente insignificanti e, senza
pensare a nulla che non fosse lui, abbracciai l'uomo di fronte a me
come se non avessi fatto altro per secoli.
Fu brusco e mi fece
male. Mi sfuggì un piccolo singhiozzo, ma mi affrettai a
reprimerlo.
Mi aggrappai con forza alle spalle dello Spettro, irrigidita per
il dolore, e lasciai che soffocasse i sospiri e i gemiti contro la
mia bocca.
Sarebbe passato, lo sapevo, ed in effetti fu così. Il
dolore si ridusse lentamente ad un lieve fastidio, sempre
più
lontano, mentre la passione e una sensazione gradevole prendevano il
suo posto, strappandomi un paio di profondi sussulti e stringendo
ulteriormente il nodo sotto il mio stomaco.
Cominciai a perdermi,
ad annaspare, ad abbandonare la coscienza dei netti confini del mio
corpo, ad annegare nelle iridi di sangue dello Spettro.
Poi Durza
mi strinse a sé, affondando le dita nella mia schiena, e
rilassò
improvvisamente i muscoli con un ringhio gutturale, premendo la
fronte imperlata di sudore contro la mia, il respiro pesante e gli
occhi spalancati. Gli pettinai i capelli tra le dita, insoddisfatta
eppure felice, e lui mi baciò con una dolcezza che non mi
aveva mai
riservato in mesi di baci rubati.
Non sanguinai, e potei
risparmiarmi l'imbarazzante ammissione di non avere mai fatto l'amore
prima di allora e potei restare a godermi ancora un poco le labbra
screpolate di Durza, la carezza gentile delle sue mani e la sua
espressione beata.
Ma non potevamo restare troppo a lungo in
quella bolla di non troppo innocente spensieratezza.
Sentii dei passi frettolosi provenire dalla strada accanto
e la realtà inquinò in un istante tutto: la
cucina tornò ad essere
un luogo squallido e io e lo Spettro tornammo ad essere due
fuggitivi.
«Forse dovremmo andare» mormorai, quasi spaventata
all'idea di interrompere il nostro silenzio complice.
«Non
ancora» rispose Durza pigramente. «Fammi prima
realizzare che
questo non è un sogno».
Gli sorrisi e gli afferrai il volto per
baciarlo sonoramente sulla fronte. «Non lo è. Ma
non è il caso di
farci trovare in queste condizioni dal locandiere, dai Sacerdoti o
dalle guardie cittadine».
Ormai avevo spezzato l'incantesimo.
Durza si separò con reticenza da me, non prima di avermi
sfiorato le
labbra un'ultima volta. Come se fossi effettivamente un sogno che
rischiava di dissolversi tra le sue dita.
Il
mio amante ridacchiò quando mi vide indossare le brache
sotto la
gonna, ma poi si ricompose in silenzio, allontanandosi per recuperare
il mantello, che giaceva ancora a terra accanto alla
sedia.
Inevitabilmente calò un lieve imbarazzo e lo Spettro non
si diede esattamente da fare per dissiparlo.
«Forse
avrei dovuto dirtelo prima di.. insomma..»
cominciò, guardando un
punto indefinito all'altezza delle mie spalle. Gli feci cenno di
andare avanti e lui mi accontentò.
«Prima, quando eravamo alla
Cattedrale, mi hai visto assalire la mente di un uomo,
ricordi?»
«Certamente».
«Ecco forse quell'uomo potrà
portarci qualche informazione entro le prossime due ore».
Trattenni
un'esclamazione di stupore. «Gli hai invaso la
mente?»
Annuì.
«Sta terminando le ricerche per noi. Costringerà
un sacerdote a
dargli indicazioni più precise».
«Hai.. Gli hai detto il tuo
segreto?»
«Non posso. Ho cancellato la sua identità e l'ho
sostituita con l'idea fissa di trovare quello che cerchiamo. Eravamo
vicini, Arya, molto vicini. Se ciò che cerco non si trova in
quella
stanza direi che non si trova in nessun altro luogo di
Alagaësia se
non nella biblioteca privata di Galbatorix».
Era una scelta
orribile, la sua, e così perversa da darmi i brividi.
Cancellare
l'identità di un uomo era molto peggio che ucciderlo.
Avrebbe
potuto consegnare me e riprendere la ricerca con calma.
Ma non lo
avrebbe mai fatto, in quel momento ne fui certa. Spettro o no, nemico
o no, Durza ci teneva a me. In modo singolare e tutto suo, ma ci
teneva.
Fui distratta dalla tinta rosata che avevano assunto le
sue guance mortalmente pallide e così mi dimenticai di
commentare le
sue azioni.
«Non sei arrabbiata?» mi chiese con cautela.
«Non
avevi scelta. Era la nostra ultima possibilità..»
Mi bloccò con
un gesto. «Non parlavo di quello».
Incrociai le braccia sotto il
seno e risposi con una franchezza senza precedenti: «Non mi
sono
data a te solo perché non mi hai consegnata al monco,
Spettro, e lo
sai anche tu. Sono felice che tu abbia avuto la prontezza di mettere
a punto un piano di riserva».
Ammutolì, guardandosi la punta
degli stivali. «Hai sempre intenzione di uccidermi?»
Ero
abbastanza sicura che solitamente non ci si intavolassero discorsi di
quel genere dopo aver giaciuto insieme, ma fui sollevata
dall'impaccio della risposta quando qualcuno dal passo pesante si
avvicinò alla porta di servizio e vi picchiettò
leggermente le
nocche.
Durza sollevò un sopracciglio e andò ad aprire il
chiavistello.
Mi ritrovai faccia a faccia con l'ombra dell'uomo
che aveva lottato contro Durza nella cattedrale. Aveva un'espressione
vuota e assente, i muscoli facciali molli e il passo tremebondo.
Aveva subito una cosa orribile del resto.
Lo Spettro stava per
tirarlo dentro e strappargli la pergamena che stringeva tra le mani,
ma un grido risuonò, sin troppo vicino.
«ECCOLI!»
Erano altre
ombre. Probabilmente il loro compagno così ridotto aveva
attirato la
loro attenzione, ma non era il caso di fermarsi a chiedere
conferma.
Infilai lo zaino in spalla, la spada già legata
saldamente ad esso, ed estrassi il pugnale.
«Ti serve
vivo?»
«No».
Lo colpii al cuore e in qualche modo seppi di
avergli fatto un enorme favore.
Poi mi ritrovai a correre
nuovamente con lo Spettro per i soffocanti vicoli di Dras-Leona, in
direzione della baracca di Ditolesto.
«La pergamena?» gli urlai
dietro.
«L'ho io, Principessa».
I nostri inseguitori erano
parecchi, ma erano lenti. Tuttavia, anche se ci persero di vista,
sapevano ormai alla perfezione in che zona della città ci
stessimo
nascondendo e avrebbero stretto il cerchio frugando in ogni casa
traballante.
Mentre noi avremmo fatto un bel bagno nelle
fognature, sperando di non annegare in quella melma
puzzolente.
Ricordavo la strada per la baracca di Ditolesto, ma
dovetti lasciar passare Durza avanti, perché aprisse la
porta con la
magia. Ormai potevano anche rintracciarci, ma una volta fuori da
Dras-Leona io e lo Spettro avevamo altissime possibilità di
fuggire
indenni, con il buio e la velocità dalla nostra.
Peccato però
che, dopo tutte le emozioni di quella notte, mi sentissi decisamente
esausta. E a quella stanchezza si sommava quella accumulata dalle
notti precedenti.
La botola che portava sottoterra era coperta da
varie assi di legno, secchi, corde, scatole di chiodi e martelli e
picozze. Se non fosse stata l'unica possibile botola in quella stanza
l'avrei scambiata per un semplice ammasso di strumenti e
materiali.
Facemmo troppa confusione.
Ditolesto scese da una
scaletta di legno dopo pochi minuti, una camicia lercia a coprirgli
il torace ossuto e una torcia in una mano.
«Ehi, voi siete quelli
del Ratto, no?»
«Sì», rispose Durza seccamente,
«e dobbiamo
andarcene in fretta se permetti».
Ma l'uomo non sembrava
intenzionato a lasciarci andare con tanta semplicità e
iniziò a
tempestarci di domande. Eravamo entrati tra i sacerdoti? Cosa avevamo
scoperto? Volevamo vendergli qualche informazione?
«Vi ho detto
che c'è un giovane uomo coi capelli scuri che vuole sapere
un paio
di cose su di loro, no? Se restate fino all'alba vi organizzo un
incontro così ci parlate diretto e magari vi fate dare un
po' di
soldi. Oppure vi scambiate altre informazioni..»
Capii che c'era
qualcosa che non andava quando mi accorsi che il suo tono di voce si
faceva sempre più flebile mano a mano che parlava. Alzai gli
occhi
su di lui, abbandonando il martello che stavo spostando, e colsi il
volto di Durza ai margini del mio campo visivo.
Gli occhi
animaleschi assottigliati, la pelle bianca, i denti aguzzi. Nessun
uomo avrebbe esitato a riconoscerlo per ciò che era, e
probabilmente
nemmeno le mie orecchie a punta erano sufficientemente nascoste dalla
treccia ormai totalmente scarmigliata dopo le disavventure della
notte.
Non mi mossi abbastanza in fretta da impedirgli di urlare.
Ditolesto riuscì ad emettere un grido sorprendentemente
acuto -pur
essendo un uomo- prima che gli recidessi le corde vocali col pugnale
ancora incrostato del sangue dell'Ombra. Poi lo colpii al petto e
misi fine alle sue sofferenze. L'uomo cadde a terra fissandosi la
mano destra -quella mezza amputata- lercia di sangue, con
un'espressione di ingenua sorpresa stampata in viso.
Lo Spettro
imprecò quando la torcia, caduta dalle mani della spia,
sparse le
sue fiamme sul pavimento legnoso della baracca. Ma per nostra fortuna
non attecchì a causa dell'umidità del materiale e
con un paio di
calci bruschi riuscimmo ad estinguere il fuoco.
«Arya finisci tu
ti prego!» implorò stirando la pergamena che gli
aveva portato
l'Ombra tra le mani e scorrendola rapidamente.
Avrei voluto
sedermi accanto a lui e leggerla a mia volta, ma le grida di
Ditolesto avevano svegliato un buon numero di vicini, che domandavano
inquieti cosa fosse successo. Entro un minuto avremmo avuto addosso
le guardie imperiali e l'intero manipolo di Ombre.
Gettai via
tutto ciò che trovai sulla botola, senza più
curarmi di essere
cauta e silenziosa.
Quando la botola fu sgombra, Durza la aprì
con un incantesimo e mi fece segno di scendere per prima dalla marcia
scaletta a pioli, per poi seguirmi nel buio e chiudere nuovamente la
botola. Fece danzare una fiammella accanto a me per illuminarmi la
strada, ma non dovemmo scendere troppo prima che i miei stivali
toccassero una superficie solida. Più o meno eravamo alla
stessa
altezza delle stanze sotterranee dei Sacerdoti, solo che al centro
del tunnel scorreva lentamente un melma nerastra e terribilmente
puzzolente.
Stringemmo saldamente la scaletta di legno e dopo una
lunga forzatura, riuscimmo a staccarla dal suo sostegno. Quella
soluzione avrebbe ulteriormente rallentato i nostri inseguitori.
Io
e lo Spettro corremmo su una sorta di stretta piattaforma rialzata,
che tuttavia si estinse presto, affondando direttamente nel
liquido.
L'idea di tuffarmi in quello schifo mi disgustava, ma non
avevo molte altre scelte, quindi scesi il primo scalino e i miei
stivali si mossero con uno sciacquio.
Ben presto mi ritrovai
immersa fino alla vita, con lo stomaco contratto per la
nausea.
«Forza, Principessa!» mi incoraggiò
Durza facendo una
lieve pressione tra le mie scapole. «Non siamo molto lontani
dal
muro esterno. Una volta lì dovremmo cadere in un canale che
porta al
lago e allora ci laveremo tutto di dosso».
«Sono stanca»
ammisi, trascinando le mie gambe dai muscoli tremanti nella
melma.
«Anche io». Mi strinse un gomito, senza smettere un
attimo di camminare.
Alle nostre spalle qualcuno mandò in pezzi
la botola di legno. Lo Spettro estinse la fiammella e io riuscii ad
afferrare la sua mano appena in tempo, prima che tutto sprofondasse
nell'oscurità.
Qualcuno urlò di portare una corda e io mi
ritrovai a camminare nel buio totale, con il respiro di Durza e la
sua mano nella mia come unico segnale della sua presenza e un
sciabordio sempre più forte che si avvicinava davanti a
noi.
Sembrava passata un'eternità, ma probabilmente non
più di
cinque minuti dopo ci trovammo davanti ad una cascata, come intuimmo
dal rumore dell'acqua che si infrange dopo una caduta.
Non era
certamente alta, ma ci avrebbe costretti ad inzaccherarci dalla testa
ai piedi ed esitammo qualche istante prima di buttarci.
Sentivo
ancora il sciabordio del liquame alle mie spalle, causato dai
movimenti dei militari che ci stavano seguendo in quel pantano,
agitando le torce.
Non ero più particolarmente spaventata da
loro. Io e Durza li avevamo distanziati e non avevano un udito buono
a sufficienza per poter azzeccare la nostra posizione e colpirci a
distanza con armi da lancio, in quel buio. Ed ero certa che una volta
fuori dalle acque del lago nessuno sarebbe riuscito a raggiungerci, a
meno che non venissero movimentati i Ra'zac.
Ma probabilmente
sarebbero rimasti a Dras-Leona ad aspettare il cavaliere, com'era
loro dovere. Io non potevo fare altro che sperare che Brom e il
ragazzo se la cavassero contro di loro, mentre accompagnavo Durza lo
Spettro a Gil'ead, lontano da loro e forse vicino ad una soluzione
per deporre Galbatorix.
Sì, perché nonostante l'intimità di
quella notte, nulla era cambiato nelle mie convinzioni e nei miei
propositi.
Quasi a risposta dei miei pensieri, Durza mi sfiorò il
viso, cercando le mie labbra, e mi baciò duramente.
Ricambiai mio
malgrado quel gesto familiare, per poi stringergli nuovamente la mano
e saltare nel vuoto.
Prima di atterrare con un tonfo nei fluidi
puzzolenti, pensai al cibo che avevamo negli zaini. Non lo avrei
mangiato mai, a costo di morire di fame.
Strinsi le labbra, mi
tappai il naso e serrai gli occhi con tale forza che apparvero dei
lampi colorati sotto le mie palpebre. La puzza era diventata
insostenibile, ma ora sembravamo trascinati da una vera e propria
corrente, anche se non osai aprire gli occhi incrostati di melma per
accertarmene.
In un pugno di secondi sentii il contatto di un
liquido freddo e dedussi che fossimo ormai arrivati alle acque del
lago Leona, anche perché non ero più costretta
dall'acqua densa.
Quella era più leggera e liquida.
Tuttavia non ebbi il coraggio
né di lasciare le dita di Durza, né di aprire gli
occhi, né di
immergere la faccia per lavarmi il viso in quella che forse era acqua
pulita.
Nuotammo scomodamente per qualche minuto prima di riuscire
a compiere tutte e tre le azioni.
Quando finalmente aprii gli
occhi sulla notte vidi le luci di Dras-Leona ancora vicine e
l'immensità scura del lago argentato alle mie spalle. La
luna non
aveva abbandonato la sua posizione e presto individuai le rive
più
vicine, continuando al contempo a strofinarmi il lerciume di
dosso.
«Potremmo nuotare fino alla sponda opposta»
suggerii.
Ero
sfinita, ma procedendo con calma ci sarei riuscita.
Ma lo Spettro
scosse la testa rossa. «Non sono un gran nuotatore.
È già buono
che sia riuscito a rimanere a galla finora, ma è il caso che
mi
sposti verso riva» concluse accennando alla sponda
più vicina,
quella sotto le mura della città.
Lo seguii, ovviamente. E
appurai che effettivamente era a malapena capace di galleggiare.
Una
volta arrivati al suolo sassoso cominciammo a correre, tenendo il
lago alla nostra sinistra. Corsi fino a che le gambe non mi ressero
più. Allora camminai, poi traballai, reggendomi al mantello
di
Durza, poi ci sostenemmo a vicenda e infine crollammo l'uno sopra
l'altra, all'estremità settentrionale del lago Leona.
Era mattino
fatto e io crollai addormentata, sfinita.
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Ehilà, salve a tutti! ^_^
Questo è decisamente un capitolo denso di azione e azioni, che dite?
So che molti aspettavano il momento in cui Durza e Arya sarebbero arrivati al sodo e infine eccoci qua!
Rimangono tuttavia dei dubbi: Durza ha tra le mani la soluzione che cercava? Che faranno ora i nostri eroi? Arya è davvero indifferente a ciò che è successo, nonostante il suo trasporto?
Vi lascio con queste domande e vi auguro un felice Natale -che lo festeggiate o meno- e vi mando un mucchio di baci, vi adoro ;)
A domenica prossima (perché non vado in vacanza con la fanfiction, tranquilli),
Lalli