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Autore: Geah    21/12/2014    3 recensioni
"La stagione autunnale è sinonimo di disagio per Enice Mainreevs.
A dodici mesi di distanza, le memorie dell’antica leggenda della sua città e di un sentimento soffocato sul nascere tornano alla deriva, naufragando contro tutti i buoni propositi di dimenticare e contro gli scogli di polvere di un sogno infranto"
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Storia che ha partecipato al contest "Autumn winds", indetto da Chaotic Alaska, classificandosi .
||Attenzione! Spoiler||
Con la coda dell’occhio cerco il giovane uomo che mi ha fatto battere il cuore all’impazzata, e lo ritrovo intento a guardarmi. Lo fa come se non fosse capace di smettere, come se non ne avesse la forza, ed è lo stesso per me.
Tento di nascondere invano il rossore per l’emozione, abbassando rigorosamente il berretto azzurro. Noto apparire sulle sue labbra un lieve accenno di sorriso.
Non so spiegarmi come, ma improvvisamente è accanto a me, e mi sussurra una frase all’orecchio, che mi lascia senza fiato.
«Io non posso averti».
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è arrivata seconda al contest "Autumn winds" di Chaotic Alaska, poi concluso da un giudice sostitutivo: DarkElf13.  
 




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L'aroma del tè caldo inebria l'ambiente. È così intenso che sembra penetrare la pelle.
Lo bevo adagio, a piccoli sorsi, per gustarmi quella sensazione di calore che scivola giù per la gola. Contemporaneamente socchiudo le palpebre e respiro quel fumo dolce a tratti selvatico che emana, adagiando le narici al centro e le labbra all'orlo della tazza di porcellana rosa antico che ho tra le mani.
All’improvviso sento un rumore familiare e decido di riaprire gli occhi. Guardo fisso davanti a me, fuori dalla finestra della mia stanza: piove. Un brivido di freddo mi percorre lungo il corpo, protetto da un unico maglione di lana chiara, che mi sfiora le ginocchia scoperte.
Osservo tutta quell’acqua cadere a terra, che sprofonda nel terreno umido, e resto immobile a fissare le prime pozzanghere che si formano. Noto le gocce di pioggia che scorrono veloci sul vetro e di nuovo mi sento tremare: un’emozione già conosciuta riaffiora in me, circondando i miei pensieri di avidi ricordi di un anno passato.
Lo scorso autunno sta tornando a perseguitarmi: ora so di non aver mai dimenticato.
 
 

 
Sto passeggiando lungo i viali di Mary Heaven, il “Parco del Cielo”. Lo chiamano così dalle nostre parti, perché c’è chi giura d’aver visto sugli alberi degli angeli. Personalmente non ho mai creduto molto alla loro esistenza, ma ciò non mi ha impedito di sperare di vederne uno.
Sta calando il buio e decido di affrettare il passo. Non ho voglia di fare brutti incontri.
Un vento leggero innalza alcune foglie bagnate, mentre altre cadono dai rami senza opporre resistenza. Ha smesso di piovere da venti minuti, ma il tempo è ancora agitato.
Vedo i riflessi dei colori disperdersi nelle pozze come giochi d’arcobaleno e mi diverto a passarci sopra con gli stivali di plastica blu, come se potessi catturarli. Amo la stagione prima dell’inverno, mi trasmette serenità.
Percorro un tratto di strada che mi sembra di non conoscere: è più illuminato rispetto agli altri ed è meno silenzioso. Non ricordo proprio di esserci mai passata.
Sento le risate dei bambini in lontananza e la mia curiosità si accende all’improvviso. Continuo a camminare finché non raggiungo il punto esatto da cui ho sentito pervenire quei versi gioiosi, e mi ritrovo davanti ad un incantevole bagliore: una giostra di cavalli e carrozze, di piccoli elefanti ed eleganza. È talmente bella che mi viene voglia di salirci sopra.
È circondata da panchine di legno, piene di genitori che assistono al viaggio dei propri figli nelle fiabe, accompagnati da una melodia di carillon. La copertura bianca, grigia, gialla e rossa è decorata ai bordi da animali, principesse e gioielli; la parte interna è animata da specchi che girano, incorniciati da plastica color ocra, e da un pavimento nocciola. Il mio sguardo è letteralmente catturato da quello spettacolo di luminosità e allegria.
Vado a sedermi poco distante, su una panchina di pietra chiara, in modo da avere quasi di fronte a me quella meraviglia che si fa strada nel buio, portando con sé luce e felicità. Resto così, incantata per qualche minuto, fin quando la mia attenzione non si dirige altrove, verso un volto che mi fissa dalla cassa dove vengono effettuati i pagamenti. Da lì non riesce più a staccarsi.
Il proprietario di un paradiso non poteva che essere bello come un angelo.
 
 
Mi stringo nel cappotto viola e attraverso le strisce pedonali con l’ombrello a pallini, sotto ad un temporale che non dà alcun segno di volersi placare. Mi avvio in direzione della scuola, con la triste consapevolezza che quella mattinata trascorrerà lenta.
Durante le lezioni mi perdo ad osservare il parco di Mary Heaven al di là della finestra, esprimendo il desiderio di vedere oltre le piante lontane e di poter scorgere il bellissimo ragazzo della giostra. L’intensità dei suoi occhi mi ha completamente sconvolta: non pensavo che potessero esistere sguardi così penetranti.
Mi abbandono a quel pensiero e lascio che mi trascini via, in una dimensione sconosciuta alla realtà.
Finalmente suona la campanella e segna la fine dell’ultima ora. Esco dall’edificio e mi avvicino alla fermata dell’autobus, constatando che l’acquazzone è passato.
Quanto vorrei che fosse già pomeriggio…
 
 
Eccomi di nuovo qui, come ieri sera, ad ammirare lo splendido carosello. Le luci sono spente perché il sole è ancora alto, ma tra un po’ sarà di ritorno l’oscurità.
I miei capelli rosso fiamma si abbinano perfettamente con i colori sgargianti delle foglie autunnali e la mia giacca beige sembra essere parte integrate della natura che mi circonda.
Con la coda dell’occhio cerco il giovane uomo che mi ha fatto battere il cuore all’impazzata, e lo ritrovo intento a guardarmi. Lo fa come se non fosse capace di smettere, come se non ne avesse la forza, ed è lo stesso per me.
Tento di nascondere invano il rossore per l’emozione, abbassando rigorosamente il berretto azzurro. Noto apparire sulle sue labbra un lieve accenno di sorriso.
Non so spiegarmi come, ma improvvisamente è accanto a me, e mi sussurra una frase all’orecchio, che mi lascia senza fiato.
«Io non posso averti».
 
 
Mi rigiro più volte nel letto, ripensando a quanto successo poche ore prima.
Quelle parole mi hanno attraversato il petto, lacerandolo a fondo, senza che avessi la possibilità di fermarle. Lui era in piedi di fianco a me e ancora non mi è chiaro come abbia fatto a raggiungermi così velocemente.
«Ho bisogno di sapere la verità».
Sperando di non aver avuto un sogno ad occhi aperti, scendo cauta dal letto e m’impedisco di fare rumore. Do un’occhiata alla sveglia e scopro che è l’una.
«Devo andare».
Mi vesto in fretta, prendo le chiavi di casa ed esco, senza svegliare nessuno. Non appena apro la porta, l’aria fredda di fine ottobre mi travolge e mi trascina con sé lungo tutto il tragitto. Profuma di città e cambiamento.
Una lieve pioggerella s’intravede sotto il tenue chiarore dei lampioni e si rispecchia sull’asfalto ruvido. Mi distrae per un breve secondo, ma poi la mia mente torna a vagare tra i ricordi degli ultimi due giorni. I battiti mi accelerano senza preavviso.
Proseguo dritto, fin quando un barbone non spunta fuori da un vicolo chiuso, facendomi trasalire. Sono spaventata, ma non credo voglia farmi del male. Si limita semplicemente a proseguire per la sua strada, ignorandomi come fossi invisibile. O come se qualcuno stesse vegliando su di me.
«Sarà una lunga notte», lo sento mormorare.
I minuti volano talmente in fretta che non mi rendo neanche conto di essere arrivata a Mary Heaven. Subito mi metto a correre come una ragazzina, con il presentimento di essere arrivata troppo tardi, ed il mio timore si fa presto reale.
Ad attendermi non c’è il misterioso ragazzo con i capelli scuri, ma solo una lettera sul terreno, nascosta da alcune foglie secche:
Ti ho aspettata a lungo. Avrei voluto parlarti di persona, ma il mio tempo sulla Terra è scaduto.
Non mi aspetto che tu capisca, d’altronde come potresti? Non ci è concesso dare certezze agli umani. Vorrei solo sapessi che se ci fosse un modo per impedire questo addio, sarei ancora qui, adesso.

So che non c’è un disegno per noi nel destino, ma anche se non posso averti, non potrò mai dimenticarti.
Ti prego… ricordati di me”.
Un soffio di vento dissemina le foglie sul terreno, formando un semicerchio per poi sollevarle. Le porta via insieme al messaggio e le mie lacrime si uniscono alla pioggia, mentre il dolore cieco mi annienta.
Non rivedrò mai più il mio angelo custode…
  
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