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Autore: Koira    21/12/2014    0 recensioni
"Nessuno aveva intenzione di rifiutare la proposta del proprietario, e, quando ci chiese cosa avevamo deciso, firmai quel contratto, convinto di fare la cosa più giusta che potessi fare.
O almeno così pensavo".
Genere: Horror, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cosa più giusta

Capitolo 2

La cosa più giusta

«Allora, qual era la tanto misteriosa sorpresa che non vedevi l’ora di dirci?» esordì Davide a un tratto, senza preavviso.

Eravamo tutti sazi e assopiti dopo la cena “speciale” di Elena a base di lasagne e pollo arrosto (insalata per Melissa), e c’era quasi sfuggito lo scopo di quel lauto banchetto: mia moglie aveva una sorpresa da svelarci. L’aria divenne improvvisamente carica di tensione: ognuno di noi sperava in qualcosa di diverso. Nella mente di Davide, speranzosa, baluginava l’immagine di una vincita alla lotteria di qualche milione di euro, mentre Melissa sperava nella comunicazione dell’imminente adozione di un cucciolo, magari un piccolo yorkshire. Per quel che mi riguarda, tra le due aspettative optavo decisamente per quella di mio figlio.  Correndo il rischio di passare per un venale, un materialista, prevedevo che a Settembre Melissa avrebbe iniziato il primo anno a Medicina, e – lo sapete – lo studio ha un suo bel prezzo: costano i libri, costa l’iscrizione all’università, costa la retta annuale. Chi, quale genitore avrebbe avuto il coraggio di negare l’apprendimento a un figlio così dotato? Io no di certo.

«Giusto, me n’ero quasi dimenticata!» esclamò Elena, appoggiando il vassoio con il dolce sul tavolo.

«Stamattina ha chiamato Riccardo».

«Che fantastica notizia!» sbottai io, non riuscendo a frenare il disappunto.

Riccardo era l’ex fidanzato di mia moglie, il classico bulletto tutto sport niente studio. Non fraintendetemi, era ben diverso da mio figlio Davide: era un totale imbecille. Lui ed Elena stavano insieme ai tempi del liceo: quarto e quinto ginnasio, precisamente. Riccardo era il migliore amico del fratello, e, nonostante la differenza di età, aveva sin da subito adocchiato mia moglie dopo la morte di Francesco. Con la scusa di volerla consolare, non aveva fatto altro che avvicinarsi a lei, come un’anguilla, a poco a poco, approfittando della sua sofferenza. La loro storia durò a malapena due anni, fino al giorno in cui Elena lo trovò a letto con la sua migliore amica, e decise finalmente di lasciarlo. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che lo avesse perdonato, decidendo di mantenere un’amicizia, e che ancora giudicasse “una bella notizia” ricevere una sua telefonata. Attribuivo questa sua decisione, in apparenza assurda, alla volontà di non “tradire” in qualche modo il fratello morto, allontanandosi da quello che era stato il suo migliore amico.

«Scusa, continua» aggiunsi poi, sentendomi un idiota.

Melissa e Davide ascoltavano rimanendo educatamente in silenzio, ma scambiandosi degli sguardi perplessi.

«Stavo dicendo … Riccardo mi ha chiamata, stamattina. Voleva dirmi che un suo amico ha deciso di affittare una villetta in periferia, poco distante dalla palestra di Davide. E’ una casa su due piani, con un grande giardino» proseguì Elena.

Un pizzico di speranza pervase tutto il mio corpo: la villetta di quella mattina, il paradiso terrestre …

«E questa sarebbe la bella notizia? L’ho vista stamattina, a giudicare dalle dimensioni non è proprio alla nostra portata … e poi, se non sbaglio, quella villetta è in vendita» la interruppi, leggermente innervosito.

«Lasciami finire, Edo … come dicevo, il proprietario è un suo amico, e ha deciso all’ultimo momento di non venderla. Pare sia troppo carica di ricordi della madre, defunta da poco … ha detto che può farci uno sconto … 590» concluse.

«590 euro?» chiesi, sgomento. « … al mese?».

«No, al giorno!» esclamò Elena, sarcastica. «Certo che al mese, che domande fai?».

«Non ci credo, c’è qualcosa dietro … una villa così grande, almeno centocinquanta metri quadrati … nessuno sarebbe così folle da affittarla per così poco, in questa città …» sostenni.

La verità era che non mi andava di dovere un favore a Riccardo.

«Ti ho detto che il proprietario è un amico di Riccardo, per questo costa così poco! E poi pare che abbia fretta di affittare la casa, perché si sta per trasferire in un’altra città …» aggiunse Elena, spazientita.

«Ma perché avete tutta questa volontà di trasferirvi? Questa casa va benissimo, non ha niente che non vada!» intervenne Melissa, quasi urlando.

Tutto ad un tratto si era alterata.

«Ha ragione tua figlia, questa casa va bene» dissi io, affermando esattamente il contrario di quello che pensavo.

Quella casa mi piaceva veramente tanto.

«E tu che centri, papà! Non fingere di essere d’accordo con me solo perché detesti Riccardo, fino a poche ore fa sognavi di affittare quella casa! Mi hai persino portata a vederla!» sbottò Melissa.

Era vero. Mia figlia aveva pienamente ragione, per quanto mi costasse ammetterlo: adoravo quella casa.

«Io … be’, mi sarà permesso di cambiare idea o no?» dissi, arrampicandomi maldestramente sugli specchi.

«Se è questo che vuoi …» concluse Elena.

Prese un coltello e tagliò la torta, distribuendone una fetta a tutti, me incluso. La cena terminò nel più avvilente silenzio: nessuno ebbe più il coraggio di proferire alcuna parola. Verso le nove, mia moglie sgombrò la tavola, aiutata da Melissa, e si mise a lavare i piatti. Davide si lasciò cadere sul divano, guardando la televisione, e ben presto fu raggiunto dalla sorella. Iniziò una lotta all’ultimo respiro fra i due per il dominio del telecomando: Melissa voleva seguire il suo telefilm preferito, mentre mio figlio aveva iniziato a vedere un film thriller, uno di quelli tutto sparatorie niente trama. Lasciando la prole a contendersi l’egemonia del televisore, decisi di andare subito a dormire: l’indomani loro sarebbero rimasti a casa, ma io mi sarei dovuto svegliare alle sei per andare a lavoro, dove non esistono sabato liberi. Adagiandomi sul letto, rimuginai sulla serata: era stata un completo fallimento, e tutto per colpa mia, per colpa del mio stupidissimo orgoglio maschile. Potevo veramente rinunciare a una così stupenda villa, per giunta ad un prezzo così basso, solo perché a procurarcela era stato Riccardo?

No, mi dissi. Mi venne in mente il testo di una canzone che Melissa cantava spesso:

… l’orgoglio in amore è un limite che sazia solo per un istante e poi torna la fame …”.

Nina Zilli aveva ragione: l’orgoglio in amore è un limite. Non potevo proprio permettermi di rovinare il rapporto con mia moglie e rinunciare a quella fantastica casa solo per orgoglio! Mi alzai di scatto dal letto e corsi in cucina: Elena stava ancora lavando i piatti. Intravidi la sua espressione, un’espressione triste e amareggiata, e mi sentii ancora più in colpa, ancora più stupido di prima. Melissa e Davide stavano litigando, e iniziai a temere che i vicini chiamassero la polizia lamentando un disturbo alla quiete pubblica. Lentamente e silenziosamente, mi avvicinai a mia moglie e la cinsi con le braccia, facendola sussultare.

«Edo, sei tu! Hai messo a dura prova le mie coronarie!».

«Scusami … e non solo per adesso. Sono stato un vero idiota stasera dissi.

«Infatti, sei stato un imperdonabile deficiente stasera» aggiunse lei, non riuscendo però a nascondere un sorrisino soddisfatto.

«Un deficiente, un idiota, tutto quello che vuoi … hai pienamente ragione ad avercela con me. Ti volevo dire che per la casa va bene».

Non ho mai saputo scusarmi in vita mia.

«Va bene cosa?» insistette Elena.

Era chiaro che da me pretendeva qualcosa di più. E dopotutto, ne aveva pienamente diritto.

«Va bene, possiamo andarla a vedere domani, se il proprietario è disponibile. Domani pomeriggio dopo le due, però, perché fino a quell’ora sono al lavoro» aggiunsi io, esitante.

Ma perché è così difficile scusarsi? Nei film lo fanno sempre con effetto, usando paroloni, e il perdono è assicurato.

«Possono venire anche Davide e Melissa, è giusto che piaccia anche a loro. Quindi tu l’hai già vista?»  chiese mia moglie.

«Sì» risposi.

«E’ bellissima» aggiunsi, laconico.

«Sei veramente incredibile» esclamò lei, baciandomi teneramente su una guancia.

«Visto che questa è la serata delle rivelazioni» seguitò. « Ho preparato una fantastica cena per due motivi … ho … ho deciso di tornare a lavorare».

Silenzio.

«Hai capito, Edo?».

Devo ammettere che quella notizia non mi fece fare i salti di gioia, anzi, tutt’altro, però mi sentivo ancora troppo in colpa per iniziare un’altra discussione.

«Sono contento» dissi semplicemente.

« Non vuoi neanche sapere di che si tratta?» esclamò.

«Certo, amore! … di che si tratta?» chiesi in fretta.

«Complimenti per la spontaneità! Comunque … Alla palestra di Davide cercano un’istruttrice di pallavolo, e io ho deciso di fare domanda. Inizio lunedì. Pensavo fosse giusto fartelo sapere» proseguì.

«Hai fatto benissimo, Elena … anche se avrei preferito che non ti sforzassi, fa sempre comodo uno stipendio in più, specie in vista dell’università di Melissa» affermai.

«Sono contenta che ti faccia piacere … mi impegnerà solo tre volte a settimana, se accettano la mia domanda» aggiunse poi, quasi scusandosi.

«Non preoccuparti, l’importante è che sia quello che vuoi» dissi. Ma dovrai fare i conti con tuo figlio, temo».

«Lo so, ma non diciamogli niente prima di lunedì, è meglio» si affrettò a dire Elena, preoccupata.

Dopo aver stipulato l’”armistizio”, mano nella mano, ci recammo in salotto, dove Melissa e Davide, finalmente, avevano smesso di litigare. Come al solito, aveva avuto la meglio mia figlia, e Davide, ferito nell’orgoglio, era intento a mandare sms, probabilmente al suo amico di sempre Giovanni, il figlio di Riccardo.

«Noi andiamo a letto» esordii a voce un po’ troppo alta, guadagnandomi un’occhiata indispettita di Melissa.

«Buonanotte» si limitò a dire, quasi temendo di perdere una sillaba del telefilm che si era riuscita a guadagnare con tanta fatica.

«Comunque, se vi interessa, domani pomeriggio andiamo tutti a vedere la casa» scandì Elena, forse sperando di suscitare un coro di “evviva!”  che non arrivò.

«E come al solito in questa casa la mia opinione non conta nulla» si limitò a dire Melissa.

Delusi, ci recammo in camera da letto e, entro poco tempo, dormivamo entrambi come ghiri.

 

La mattina seguente fu un’impresa svegliarsi, con tutta la casa in silenzio, assopita. Davide si era addormentato sul divano: sembrava così piccolo, così innocente, disteso su quel sofà. Presi una coperta e gliela gettai sulle spalle: eravamo a Maggio, ma faceva ancora freddo. Bevvi il mio solito caffè in cucina, facendo attenzione a non svegliare nessuno, e uscii, diretto al lavoro. Passando davanti alla villetta non potei fare a meno di sorridere: “adesso chi è il pezzente?”, pensai. Premetti l’acceleratore e, nel giro di dieci minuti, raggiunsi l’ospedale. La mattinata trascorse serena, sostenuto dal compiacimento per il potenziale realizzarsi del mio sogno sulla casa, e riuscii addirittura a mettere in imbarazzo Simone – pardon, il dottor Alberini – davanti ad un paziente. Accorgendomi che stava dimettendo un anziano, a suo dire “guarito”, con tre milioni e mezzo di globuli rossi e sette di emoglobina, non riuscii a trattenermi dall’intervenire.

«Ma dottor Alberini, ha visto gli esami ematochimici del paziente?» chiesi.

Nel frattempo, l’anziano, nonostante fosse visibilmente sofferente, spostava lo sguardo fra me e Simone, turbato, quasi chiedendosi chi dei due fosse il medico.

«Sì, quelli di ieri sera. E’ tutto a posto».

«No, quelli di stamattina, quelli che ha chiesto personalmente la dottoressa Ferrero» continuai.

«Non ce n’è bisogno, non andavano fatti, l’ho detto benissimo anche a Marta. In questi tempi di spending review dovremmo evitare certe cose … e comunque a te non devo dire nulla, torna a pulire i pavimenti».

A quel punto, non riuscii proprio a trattenermi. Se l’era cercato, in fondo.

«Dottore, il paziente ha pochi globuli rossi, e anche l’emoglobina è bassa. Potrebbe avere un’emorragia interna, il che è plausibile, considerando che fa TAO» esclamai, cercando di mantenere un tono di voce piatto, per quanto la situazione non lo consentisse affatto. Il paziente andava prontamente trasfuso. Fu provvidenziale il passaggio in corridoio di Marta, che, resasi conto della gravità della situazione semplicemente dal pallore dell’anziano, chiamò subito un infermiere e ricondusse il paziente in reparto.

«Complimenti, Simone» si premurò di aggiungere, prima di allontanarsi verso l’unità operativa di Medicina Interna.

Da parte sua Simone, visibilmente imbarazzato, quasi più pallido del paziente, non proferì parola. Incredibilmente, iniziai a provare pena per quell’uomo: in fondo, sembrava sinceramente angosciato per le sorti dell’anziano, che peraltro era stato affidato a lui. O forse era più preoccupato di come l’avrebbe presa il primario alla notizia che uno dei suoi migliori medici aveva rischiato di uccidere un paziente, chissà.

Erano quasi le due e un quarto quando timbrai per uscire. Per fortuna, l’anziano era riuscito a salvarsi, grazie all’intervento di Marta. Eccitato per l’imminente incontro con il proprietario della villetta, chiamai mia moglie per avere conferma sull’orario e sulla sua disponibilità. Loro erano già lì, mi disse, “aspettiamo solo te”. Mi misi in macchina e cercai di fare il più in fretta possibile, per non far aspettare troppo il proprietario e la mia famiglia. Arrivato a destinazione in soli cinque minuti, parcheggiai l’auto nel garage della villetta: il padrone fu così gentile da aprirmi il cancello e farmi entrare con la vettura. Entrando, ebbi la stranissima impressione di essere osservato. Non ci feci caso, forse distratto dallo sguardo fin troppo interessato che un ragazzo, affacciato sul balcone della casa accanto, rivolgeva a mia figlia, che non si era accorta di nulla. Prendere a pugni il tuo potenziale vicino non ti aiuterà a fare buona impressione sul proprietario, mi dissi. Scesi quindi dalla macchina e raggiunsi la mia famiglia.

«Buon pomeriggio, signor Martini» esclamò il proprietario. Vicino a lui c’era Riccardo, sorridente, che mi fece un cenno con la mano.

«Buon pomeriggio, signor …» dissi io.

« … Ruffini» concluse lui.

«Molto lieto, signor Ruffini».

«Il piacere è tutto mio! Volete vedere la casa?» chiese il proprietario.

«E ce lo chiede pure» esclamò mia moglie.

Seguendo il signor Ruffini, finalmente entrammo in quella villetta che fino a quella stessa mattina mi sembrava quasi un’allucinazione. Superato il giardino si giungeva a un portico finemente adornato, oltre il quale era collocata la porta di ingresso, ovviamente corazzata, che immetteva in un lungo corridoio. Mia moglie fu immediatamente colpita dalla bellezza dei pavimenti, in marmo. Il corridoio, lungo qualche metro, terminava con un arco che introduceva nella cucina. E che cucina, pensai. Quattro volte la nostra. I soli mobili valevano più della nostra casa di allora. Erano pezzi d’antiquariato, risalenti ad almeno un secolo prima. A destra della cucina c’era un piccolo bagno, provvisto di una doccia che catturò l’attenzione di mia figlia. “E’ due volte la nostra, e questo è il bagno piccolo!”, esclamò. Tornando indietro lungo il corridoio c’era un secondo bagno, seguito dal salotto, un vero capolavoro di interni. C’erano poi la “sala studio”, o almeno così la definì il proprietario, e due rampe di scale, una diretta ai piani superiori, l’altra ad una cantina che avremmo potuto utilizzare come deposito. Salendo al piano di sopra, ai lati di un secondo, lungo corridoio c’erano tre ampie stanze e un terzo bagno. Un sogno ad occhi aperti. Melissa si precipitò ad occupare la più grande fra le due camere destinate ai “bambini”, che malauguratamente si affacciava sul balcone dell’irritante ragazzo della casa accanto, e a Davide non rimase che accettare l’ennesima sconfitta. Visitata la villetta, il proprietario ci invitò a percorrere il giardino, colmo di alberi con frutti rigogliosi e provvisto persino di una piscina (fin troppo, mi dissi, per soli 590 euro mensili), e fu così gentile da insegnarmi ad aprire cancello e garage. Al termine della visita, eravamo tutti soddisfatti: incredibilmente, anche Melissa sembrava aver messo da parte la sua ritrosia iniziale, e sospettavo che, a parte i tre bagni e la camera singola, centrasse qualcosa l’ambiguo vicino, che anche lei aveva iniziato a scrutare con una certa insistenza. Nessuno aveva intenzione di rifiutare la proposta del proprietario, e, quando ci chiese cosa avevamo deciso, firmai quel contratto, convinto di fare la cosa più giusta che potessi fare.

O almeno così pensavo.

 

 

 

   
 
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