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Autore: Mery_Meiko    21/12/2014    0 recensioni
Urlo.
Ho la testa che mi pulsa violentemente, non so quanto forte io abbia urlato, ma a giudicare dall'espressione preoccupata di mia madre dev'essere stato abbastanza forte da svegliarla. Guardo l'orologio alle sue spalle: le cinque in punto.
Come ogni mattina.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"...Sono già stata qui"

é l'unica cosa che riesco a pensare mentre osservo il lungo viale alberato attraverso cui cammino ormai da un bel po'. Tutt'intorno è silenzioso e tranquillo, ma c'è una strana energia nell'aria, come se questo posto si caricasse alimentandosi della mia paura che cresce ogni secondo di più.

"Devo stare calma" ...È l'unica cosa a cui riesco a pensare lucidamente, non so perché ma ad ogni passo cresce sempre di più la mia paura, ho un unica frase che continua a rimbombarmi nella testa: "LUI È QUI"...

Urlo.

Ho la testa che mi pulsa violentemente, non so quanto forte io abbia urlato, ma a giudicare dall'espressione preoccupata di mia madre dev'essere stato abbastanza forte da svegliarla. Guardo l'orologio alle sue spalle: le cinque in punto.

Come ogni mattina.

"Tutto bene tesoro? Ti ho sentita urlare, ancora incubi? "

Vorrei rassicirarla, dirle che sto bene, ma l'unica cosa che riesco a dire è:

"Non lasciarmi da sola".

Lei di siede accanto a me, mi rimbocca le coperte ed inizia ad accarezzarmi dolcemente.

"Andrà tutto bene Cloe, tra poco sarà tutto finito..."

Vorrei chiederle cosa significano quelle parole, ma lentamente scivolo in un sonno tranquillo.

Il mattino seguente mi alzo al primo suono della sveglia. La mamma non è più seduta sul mio letto, sicuramente sarà in cucina a preparare la colazione, le sono grata per essere rimasta al mio fianco ogni notte da ormai un mese, da quando ho iniziato ad avere questi incubi che non danno segno di voler andare via una volta per tutte.

È iniziato tutto per caso, la notte del mio diciassettesimo compleanno ho avuto il mio primo incubo, ero sempre nello stesso luogo, sola, spaventata e inseguita da qualcuno o....Qualcosa. Rabbrividisco e mi impongo di non pensarci più, in fondo è solo un sogno, non posso lasciare che condizoni la mia vita.

Mi vesto e scendo al piano di sotto.

In casa è tutto tranquillo, sento il rumore dei miei passi sul pavimento ed il continuo ticchettio dell'orologio da parete della cucina.

Entro in cucina e cerco con lo sguardo la figura esile di mia madre, la trovo intenta a girare una grossa omelette. Appena mi vede si gira verso di me ed una lunga ciocca di capelli biondi le cade sul viso, con fare pratico la sposta mentre mi sorride allegramente.

"Non le somiglio per niente" é l'unica cosa che mi viene in mente mentre ricambio il suo sorriso. Mi piacerebbe molto essere come lei, bella, slanciata e soprattutto così solare, mentre invece sono l'esatto opposto.

"sei identica a tuo padre", mi ripeteva sempre la mamma quando le chiedevo da chi avessi ereditato quei tratti somatici del tutto diversi dai suoi.

Mia madre ha sempre avuto una pelle chiara e delicata, capelli biondissimi, occhi chiari. Tutto in lei sembrava rappresentare una donna fragile, mentre invece lei è l'esatto contrario, forte e determinata.

Io invece nonostante i miei diciasette anni sembro più piccola a causa della mia statura, né bassa né alta,ho tratti marcati, folti capelli neri e ricci, ed occhi castano scuro tendenti al nero.

"Lui aveva i tuoi stessi occhi, neri e profondi, sembrava che osservandoli ci potessi cadere dentro." Diceva sempre la mamma quando da bambina mi raccontava di papà....Quel padre che nonostante l'abbia desiderato con tutta me stessa non ho mai conosciuto.

"Buongiorno, che ne dici di darmi una mano?" Chiede la mamma mentre mi porge due tazze piene di latte.

Questo gesto mi riporta alla realtà.

" Giorno...Certo, lascia fare a me" Rispondo prendendo le tazze e cercando di sorridere.

Apparecchio la tavola sistemando le due tazze una di fronte all'altra, dopodiché mi siedo al mio solito posto di fronte a mia madre.

"Ho preparato la tua colazione preferita, spero che questo ti tiri un po'su di morale" Dice la mamma porgendomi un omelette appena cotta.

"Ti ringrazio, sto già molto meglio" Rispondo prendendo il piatto e cercando il più possibile di sembrare sollevata.

Ormai ho lo stomaco chiuso e devo fare un grande sforzo per finire metà colazione. Osservo la mamma indaffarata con la sua omelette, la osservo mentre alza gli occhi dal suo piatto e li punta su di me, come a volermi dire qualcosa, ma poi riabbassa lo sguardo e continua a rigirare nel piatto l'omelette senza mangiarla.Trascorriamo il resto della colazione in silenzio.

Guardo l'orologio: le otto in punto.

"Adesso devo proprio andare, è tardissimo" Dico mentre prendo il mio zaino e mi avvio verso l'uscita.

"Se vuoi ti do un passaggio" Risponde la mamma mentre sparecchia la tavola.

"Non ce n'é bisogno, Louise mi aspetta a metà strada". Cosi dicendo chiudo la porta alle mie spalle.

Non ascolto la sua risposta visto che ormai sono già fuori.
 

Chiudo la porta alle mie spalle.

Tutt'intorno è tranquillo, il sole splende nel cielo limpido e l'aria primaverile mi scompiglia i capelli. Saluto con un sorriso Todd, il figlio dei vicini, che canticchiando agita calorosamente la mano nella mia direzione, trascinando dietro di se uno zainetto rosso.

"Ehy Cloe"

Mi giro per vedere da che direzione provenga la voce familiare che mi chiama.

Christine, la madre di Todd, é sull'altro lato della strada, agita una mano in segno di saluto e si copre una mano con gli occhi a causa del sole abbagliante.

"Buongiorno Christina" dico mentre

guardo l'orologio.

Ormai sono le otto passate, dovrei sbrigarmi a raggiungere Louise altrimenti faremo tardi.

Svolto velocemente l'angolo di casa e mi appresto a raggiungere il parco che precede di pochi metri il punto d'incontro mio e di Louise.

A quest'ora il parco è semivuoto, in lontananza si scorgono alcune persone intente a fare jogging o semplicemente a passeggiare.

Sono a metà del parco quando improvvisamente noto tre figure che sembra stiano discutendo. Non riesco a sentire chiaramente le loro parole, ma a giudicare dai loro gesti staranno sicuramente parlando di qualcosa di importante.

La figura al centro, più minuta e bassa rispetto alle altre due sembra perfettamente a suo agio, ha un'aria quasi annoiata, mentre le altre due sembrano innervosirsi ogni secondo di più.

"...Quindi consegnacela subito". È l'unica cosa che riesco ad afferrare dell'intero discorso, poiché la figura di destra, a giudicare dalla voce un uomo, urla queste parole con sdegno.

La figura al centro non da segni di cedere.

Accade tutto così velocemente che quasi stento a credere che sia successo per davvero, l'uomo che precedentemente aveva urlato, con un rapido gesto della mano, prende una strana arma e ferisce la figura al centro che cade su un lato.

Mi copro la bocca per non urlare, le lacrime iniziano ad offuscarmi la vista e lotto con tutta me stessa per non piangere.

"Devo stare calma, se mi scoprissero mi farebbero del male"

È l'unica cosa che riesco a pensare lucidamente. Mi accovaccio il più possibile dietro al grande arbusto che mi separa di qualche metro dai tre, che a giudicare dall'aspetto sono uomini.

Mi giro verso la loro direzione e noto che i due uomini adulti sono scomparsi, mentre il ragazzo al centro è riverso su un lato e perde molto sangue.

"Devo fare qualcosa" Penso mentre cautamente mi avvicino.

Ricordo che una volta, da bambina, la mamma mi sgridò per aver dato confidenza ad uno sconosciuto.

"Mi sembrava simpatico" Fu l'unica cosa che riuscii a dire per giustificarmi.

La conseguenza fu una punizione di una settimana, ero arrabbiata con lei ma in fondo capivo che lo faceva per il mio bene, per farmi diventare una ragazza responsabile.

"Cosa penserebbe se sapesse ciò che sto facendo?" Fu l'ultima cosa che pensai prima di avvicinarmi a quello sconosciuto.

Man mano che mi avvicinavo riuscivo a scorgere sempre più dettagliatamente quella figura semi nascosta dalle siepi che non accingeva a muoversi.

"Sarà ferito gravemente, altrimenti una volta andati via i due uomini si sarebbe rialzato" Pensai mentre il panico si impadroniva di me.

Quando fui abbastanza vicina notai che quel ragazzo doveva avere su per giù la mia età, eppure non l'avevo mai visto in giro, ne tantomeno frequentava la mia scuola.

"Hey, tutto bene?" Fu l'unica cosa che riuscii a dire con voce tremante

Il ragazzo si girò lentamente verso la mia direzione scoprendo una ferita al fianco destro che sanguinava abbondantemente.

"Sto benissimo, chi non sognerebbe di trovarsi disteso tra l'erba con una ferita che da il tormento e una ragazzina che fa domande stupide?"

"Non chiamarmi ragazzina, il mio nome è Cloe" risposi con tono stizzito.

"Oh, scusami tanto, e dimmi Cloe, hai intenzione di renderti utile?"

Iniziai ad odiare quello sconosciuto, non solo per il modo in cui mi parlava, ma soprattutto per quell'aria di superiorità che sembrava non abbandonarlo neppure in una situazione del genere, in cui si vedeva palesemente che avesse bisogno del mio aiuto.

"potrei andarmene e lasciarti qui" Dissi con aria di sfida.

Se non avessi sentito quelle parole uscire dalla mia bocca non avrei mai pensato di poterle pronunciare, di solito non ero cosi brusca, cercavo sempre di mantenere un tono cordiale proprio come mi aveva insegnato la mamma.

"Sii sempre gentile con gli altri Cloe, cosi gli altri saranno gentili con te" Era sempre quello che lei mi ripeteva quando ero bambina, ed io sorridevo e facevo di si con la testa.

"Lasceresti morire cosi un povero ragazzo?" Rispose con aria di scherno.

"Ce la fai ad alzarti?... Aspetta, non mi hai detto ancora come ti chiami"

Dissi piegandomi sulle ginocchia per raggiungere l'altezza del suo viso.

"Non me lo hai chiesto...E comunque il mio nome è Caleb, e no, non credo di potermi alzare, la ferita mi fa troppo male e non credo che riuscirei a reggermi in piedi".

Mi guardai intorno: Ormai la zona era coperta di sangue e il volto del ragazzo diventava ogni secondo sempre più pallido. Notai anche che il parco iniziava a popolarsi, e guardai l'orologio: erano le dieci passate.

"Vado a cercare aiuto" Dissi mentre cercai di alzarmi. Caleb mi strinze improvvisamente il polso e sussurrò: "Non ci sei ancora arrivata, eh?"

"C-cosa?" Balbettai in preda all'agitazione. Fino a quel momento ero stata abbastanza calma, ma adesso l'ansia iniziò ad impadronirsi di me. Nonostante avesse perso tutto quel sangue Caleb aveva una gran forza, riusciva a trattenermi li malgrado tutti i miei sforzi per liberarmi.

"Lasciami, o inizierò ad urlare" Fu l'unica cosa che riuscii a dire con voce tremante.

"Urla pure, nessuno può né vederci né sentirci" Rispose con tono piatto Caleb, come se quella situazione fosse assolutamente normale.

"Cosa stai dicendo?" Risposi sconvolta.

"Quello che hai sentito, i normali esseri umani non possono vedermi, ma a quanto pare tu puoi, cosa sei?" Chiese Caleb, e per la prima volta sembrò stranamente interessato.

Iniziò a scrutarmi con i suoi occhi di uno strano verde con sfumature color glicine, erano occhi che non potevano appartenere ad un comune essere umano.

Con gran fatica distolsi lo sguardo, cercai di mantenere un tono di voce fermo e dissi:

"Smettila di guardarmi in questo modo, non so da quale manicomio tu sia uscito, ma spero vivamente che ti ci rimandiamo al più presto".

Appena ebbi finito di parlare,

Caleb iniziò a ridere come se avessi detto qualcosa di divertente o di particolarmente stupido. La sua risata era come il suono di decine di campanellini e c'era qualcosa in quel modo di ridere che mi irritava come non mai.

"Vedo che quando vuoi riesci ad avere carattere" Disse Caleb con tono di scherno.

"Ma ahimè, non ti sto mentendo.

Fin da quando ti sei avvicinata a me ho percepito qualcosa di diverso, tu sei diversa, e se i miei calcoli sono esatti è una fortuna che io ti abbia incontrato in una situazione del genere" Disse Caleb afferrandomi il braccio. Non capivo cosa volesse dirmi né cosa volesse fare, ma questa volta non cercai di ritirare il braccio, qualcosa dentro me mi diceva che dovevo fidarmi di Caleb, nonostante fosse un perfetto sconosciuto.

Improvvisamente sentii la voce di mia madre che mi intimava di scappare, di correre il più veloce possibile e rifugiarmi lontano di li.

"Com'è possibile che io senta cosi chiaramente la sua voce"? Pensai stupefatta. Molte volte in passato mi era capitato che sentissi i consigli di mia madre nella mia testa, ma si trattava di semplici consigli materni che tornavano alla memoria nel momento giusto, invece in quel momento avevo sentito chiaramente mia madre che mi ordinava di scappare con tono allarmato.

Improvvisamente mi ricordai del perché fossi li, ero stata cosi presa dal cercare la fonte da cui proveniva la voce di mia madre da essermi completamente dimenticata di Caleb.

Quest'ultimo continuava a tenere il mio braccio, quindi questo significava che erano passati solo pochi secondi, iniziavo ormai a perdere la cognizione del tempo e questo servì ad agitarmi ulteriormente.

Cosa vuo- Fu l'unica cosa che riuscii a dire prima che Caleb puntasse uno strano oggetto sul mio braccio. Era un pendente attaccato ad un braccialetto che Caleb portava al polso.

"Strano che io non l'abbia notato" pensai mentre cercai di capire che simbolo fosse quello strano pendente.

Era di metallo e a giudicare dalla grandezza abbastanza leggero. Sembrava una specie di ipsilon ripiegata verso l'esterno a formare una serie di cerchi di circonferenza sempre minore.

Caleb avvicinò quell'oggetto al mio polso e a contatto con la pelle quello strano pendente parve farsi incandescente.
Improvvisamente il mondo intorno a me inizò sfocarsi.

   
 
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