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Autore: _diana87    22/12/2014    6 recensioni
"E va bene, vi dirò tutto, ma voi dovete lasciarmi parlare senza interrompermi, okay? Fate finta che vi stia raccontando una storia... agente, lei sa come funziona un romanzo, mi auguro... c’è un prologo, che potremmo identificarlo in questo momento, in cui il bravo ragazzo viene scambiato per un traditore e cerca di convincere la polizia che lui non c’entra niente... poi c’è il corpo, che è la parte centrale in cui vi racconto come si sono svolti i fatti... infine, c’è l’epilogo, in cui c’è la resa dei conti e la morale della storia... perché ogni racconto ha sempre la sua morale..."
Genere: Guerra, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle, Sorpresa | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Due anni.
In quell’arco di tempo, una persona può sposarsi, metter su casa, trovare lavoro o semplicemente cambiare stile di vita.
Kate Beckett ha imparato a convivere con l’ultima opzione.
Ospite fissa a casa Castle, che si è ripopolata dopo la scomparsa di Rick Castle, – ormai considerato uomo ricercato dalla polizia internazionale – ogni mattina è Martha a prepararle la colazione, mentre con Alexis condivide i momenti salienti della vita collegiale della giovane. La diva non potrebbe essere più felice nell’avere una nuova inquilina, sebbene si senta che manchi qualcuno.
Ma nessuna donna in famiglia si azzarda a pronunciare il suo nome.
Castle sarà contento di apparire sempre e comunque in televisione; se fino a due anni fa era per i suoi romanzi, adesso è famoso per essere braccio destro di Nasir Sayf Al-Islam. Quando le donne Castle sentono il suo nome, è ricorrenza il non cambiar canale, ma ascoltare in silenzio senza far commenti.
Difficile per loro dimenticarlo, ma è qualcosa con cui hanno imparato a convivere.
La scomparsa di una persona cara, porta al cambiamento e Kate lo sa bene. Ha tagliato di poco i capelli, che sono ugualmente ricresciuti come prima, veste di nero ed è diventata serissima sul lavoro. Non si concede più svaghi, se non qualche occasione rarissima, come compleanni o feste.
Javier e Kevin l’hanno osservata, ma non si azzardano a dirle nulla. Anche se qualche battuta sarcastica sul suo aspetto esce di tanto in tanto.
La Gates è fiera dell’operato della sua miglior detective, ma come i due bro, si comporta normalmente, fingendo che vada tutto bene.
Il Dodicesimo è ancora occupato dall’Interpol, mentre la CIA ha preferito continuare il lavoro monitorando le cose da Washington. Fortunatamente, Hayley passa a salutare i detective, soprattutto Ryan a cui lascia gli aggiornamenti software per i computer del distretto, e Kate, con la quale condivide la passione per la lettura di gialli. Chissà, forse è un modo tutto suo per mantenere un contatto con il suo scrittore di gialli.
 
“Katherine, cos’è successo?”
L’aveva udita piangere dall’ufficio di suo figlio e non si era trattenuta.
La detective aveva il viso coperto di lacrime, che tentava di scacciar via con gesti compulsi.
“Se n’è andato, Martha, non torna più, non torna più.” aveva replicato lei, tra i singhiozzi.
La diva si era stretta nella sua vestaglia di seta violetta, e si era avvicinata. Accarezzandole la schiena, lentamente aveva allungato il braccio, per stringerla poi in un soffice abbraccio. Kate aveva posato la testa sulla spalla e si era lasciata andare in un pianto disperato. Il primo di una lunga serie.
A Martha non serviva aggiungere altro perché aveva capito. L’occhio le era caduto sul computer dove si vedeva la lucetta gialla lampeggiante dello stand-by, e aveva immaginato che suo figlio aveva contattato casa per dare la sconcertante notizia.
L’aveva stretta ancora di più a sé, immaginando il dolore che stesse provando in quel momento.
La testolina arancione di Alexis faceva capolino nello studio, quasi in punta di piedi. Le goto diventavano rosse, vergognandosi di aver udito tutto. Sua nonna aveva alzato lo sguardo, senza dir nulla. Silenziosa, anche la giovane Castle si era avvicinata per unirsi all’abbraccio.
 
Forse l’unica alla quale non può nascondere niente è proprio Lanie.
“Tesoro, ti ho osservata in quest’ultimo anno.” Comincia, come quasi ogni mattina, con il suo sermone, mentre sono sedute a un bar per una pausa caffè. Una di fronte l’altra.
Kate fa finta di non sentirla e continua a girare la tazza con un cucchiaino. Lanie, invece, arriccia il naso. La conosce troppo bene.
“E sai chi mi ricordi? Te. Prima che conoscessi Castle.”
Smette di girare e posa il cucchiaino sul piattino sotto la tazza.
“Lanie, sto bene. Non devi più preoccuparti per me.”
“Ecco un altro segno che mi indica che non stai affatto bene.” L’amica la costringe a voltarsi verso di lei, alzando leggermente il tono della voce. Le sopracciglia sono inclinate in segno di irritazione, ma l’espressione si trasforma in preoccupazione. “Nomino Rick Castle, tu abbassi la testa per non far vedere che ti fa ancora effetto sentire il suo nome, poi cambi argomento. È ora di affrontare il fatto che lui non c’è più.”
“Ma io l’ho affrontato!”
“E come? Standotene silenziosa? Senza reagire?”
Kate si congela, restando a tenere il cucchiaino in quella posizione di incertezza. Non sapendo se intingerlo di nuovo nel caffè, o decidersi a berlo piuttosto. La mente vaga a due anni fa, nell’attimo esatto in cui era tornata al distretto, il giorno dopo la conversazione con Castle, convinta di essersi lasciata tutto alle spalle e di ricominciare.
 
Era tornata al distretto il giorno dopo, indossando i suoi soliti abiti da detective.
Non voleva starsene a casa, o avrebbe finito per piangere come aveva fatto il giorno prima, o la sera, quando Martha e Alexis l’avevano stretta e si erano lasciate andare ad un pianto disperato, ma silenzioso.
Tutti l’avevano guardata camminare dritta, con una meta ben precisa, e poi avevano abbassato lo sguardo mormorando tra loro.
“Detective Beckett... bentornata... tutto apposto?” la Gates l’aveva accolta un po’ incerta, preoccupandosi del suo stato di salute. Le occhiaie erano sintomo che la sua detective aveva passato molto tempo sveglia, cercando di trovare un senso a ciò che era accaduto a Beirut.
Un evento che aveva sconvolto non solo lei, ma l’intero distretto.
“Ho sentito Castle. Mi ha contattata ieri sera su un contatto Skype.” Se fosse stato un robot a parlare sarebbe stato lo stesso. Kate aveva aperto la bocca seguendo i movimenti del labiale per comporre le parole. Un movimento meccanico a cui ogni essere umano è abituato. Aveva alzato le ciglia lentamente, mostrando quello sguardo perso altrove, come se stesse ricreando di nuovo quella scena.
La Gates era rimasta ferma, voltandosi a mezzo busto verso i detective Esposito e Ryan, i quali erano accorsi in modo repentino. Dietro di loro, si erano aggiunti anche Christina e l’agente Jones.
“Detective. Spiegati meglio.”
“Era davanti a un computer. Mi ha detto che intende rimane in Afghanistan, da Nasir. Perché quella è la sua casa. Non più New York.” Aveva deglutito forzamento pronunciando le ultime, durissime parole.
Christina aveva alzato la mano, facendo uno schiocco con le dita. “Hayley, possiamo rintracciare il server?”
“Credo si possa fare. Ma avrò bisogno del computer da dove ti ha contattata.”
“Certo, è...” Kate aveva tentennato per qualche secondo dal dire ‘a casa sua’. Alla fine, si era limitata solo con “A casa Castle.”
Tutti erano rimasti immobili, meravigliandosi della freddezza con la quale la detective aveva risposto. In confronto al giorno prima in cui si era dimostrata scossa e tremava al pensiero di pronunciare qualsiasi frase.
La Finch la stava guardando e vedeva quella donna svuotata davanti a sé, che non riusciva a trasmettere alcuna emozione.
“Perfetto. Manderò i miei uomini seduta stante. Per ora il lavoro della CIA si conclude qui.” Aveva lanciato l’ultima sentenza, alzando i tacchi verso la giovane traduttrice, che l’aveva guardata con un’espressione delusa. Hayley non aspettava di andarsene così presto.
“Ve ne andate?” le aveva chiesto la Gates, bloccandola per il corridoio.
“Dovrò riferire al Presidente cosa abbiamo scoperto, e controlleremo il resto delle operazioni dalla sede di Langley.” Il capitano del Dodicesimo aveva risposto con un lento cenno di assenso, nascondendo anche lei il dispiacere per una collaborazione terminata proprio quando le cose sembravano essersi calmate tra le forze di polizia.
Dal canto suo, Christina aveva portato la pancia in dentro e il petto in fuori, mantenendo una posizione eretta, e le aveva allungato la mano, sfoggiando un mezzo sorriso. Anche lei aveva il suo stesso pensiero, ma c’erano delle cose alte in ballo di cui doveva occuparsi, e restando al Dodicesimo non poteva fare niente. “Victoria, è stato un piacere lavorare con voi. Detective Beckett,” l’aveva chiamata e la stava guardando come un’amica, “mi auguro che questa storia abbia un lieto fine. Ci terremmo in contatto da Washington.” Aveva concluso, portando le labbra all’interno e salutandola con un cenno.
Christina restava comunque una donna fredda e in apparenza distaccata, ma quello sguardo che aveva scambiato con Kate era sincero. Desiderava davvero che le cose si sistemassero e che tutti vivessero felici e contenti come nelle favole. Ma come Rick Castle le aveva insegnato, se volevano avere il loro lieto fine, lui e Beckett dovevano lottare. Ma fino a quando lei sarebbe stata disposta a combattere?
Timidamente, stringendo il suo portatile tra le mani, Hayley si era avvicinata ai detective del Dodicesimo, mostrando le sue gote arrossate.
“Ragazzi, volevo salutarvi e dirvi quanto mi sono divertita a stare con voi.”
Javier e Kevin si erano voltati, e il portoricano le aveva dato un’amichevole pacca sulla spalla.
“Ehi, Hayley, se vuoi uscire qualche volta, sei libera di unirti a noi.”
“Altrimenti sfondiamo le pareti di Langley.”
“Ma la CIA non lavora al Pentagono?”
“Esposito, non dire altro o ti rinchiudono per scarsa informazione.” Aveva aggiunto Kate, camminando a testa bassa verso di loro. L’aveva rialzata per fare l’occhiolino complice alla ragazza.
“Non credo esista un reato del genere.” Aveva replicato il portoricano, quasi sentendosi offeso.
“Mi spiace che tutto quel tempo e tutta quella fretta per imparare l’arabo... e alla fine non è servito...” aveva detto Hayley rassegnata, facendo spallucce verso la detective. Kate le aveva però sorriso genuinamente facendole intendere che il tempo passato insieme non era stata una perdita di tempo.
“Ho imparato una nuova lingua.”
In quello stesso momento, poco lontano dal gruppetto, La Finch aveva raggiunto Mike Jones, tutto indaffarato a impacchettare le sue cose con lo scatolone sopra la scrivania. La donna avanzava con passo svelto e il suo ticchettio era sempre stato inconfondibile. Aveva sempre portato il solito tacco nero a spillo che aveva reso la sua figura slanciata, più adatta ad essere una modella che un funzionario della CIA.
Lui l’aveva riconosciuta e si era voltato per un attimo, salutandola con un’alzata di testa. Poi, era tornato a sistemare le sue cose.
“Mike, tu sai qual è il passo successivo. Dichiarare Richard Castle come persona sospettata di essere membro di Al-Qaida, pericolosa e ricercata per terrorismo.”
“Informerò gli uffici una volta tornato a Londra.”
“Tu resterai qui. Avrò bisogno del tuo aiuto.”
Mike aveva posato la sua cartellina, ultimo oggetto che gli restava da introdurre nello scatolone, e si era voltato guardandola con aria interrogativa.
“Cosa?”
“Sei quello con maggior esperienza sul campo. Cerchi la famiglia di Nasir da vent’anni, e questa è la tua occasione per catturarlo.”
Lei gli stava parlando tranquillamente; lo conosceva da un sacco di tempo, era vero, e aveva imparato a gestirlo. Mike l’aveva guardata divertito, posando entrambe le mani sui fianchi.
“Christina Finch sta cedendo a me la gloria e l’onore?”
Il funzionario della CIA aveva risposto con una smorfia, nascondendo il fatto di essere stata beccata sul fatto. Poi, aveva preso il cellulare dalla sua tasca della gonna e glielo aveva sventolato davanti. “Attento, Mike, non stuzzicarmi. Mi basta una parola per far cambiare idea al Presidente su questa missione.”
Sì, decisamente lei gli stava facendo un favore da amica. Anche se entrambi non avrebbero mai ammesso, neanche sotto giuramento, di stimarsi reciprocamente. Christina aveva allungato lo sguardo dietro di lei, indicando i detective del Dodicesimo che erano presi in una divertente conversazione con Hayley. Mike l’aveva seguita con gli occhi.
“Sai, dopotutto, la detective e il suo team sono delle persone simpatiche.”
C’erano Javier e Kevin che stavano insegnando a Hayley la mossa del ‘feed the birds’. La giovane traduttrice rideva, portandosi dapprima la mano la mano sulla bocca, poi tossendo per le troppe risate. Poi Christina e Mike avevano spostato lo sguardo su Kate, che appariva rilassata e sembrava godersi quell’attimo di evasione.
“E inoltre credo che stare vicino a Beckett non ti dispiaccia poi così tanto.”aveva infine osservato la Finch, rivolgendosi a Jones uno dei suoi sguardi di chi la sapeva lunga.
Mike aveva drizzato la schiena e si era apprestato a rimettere giù lo scatolone. “Avverto i miei agenti.”
Christina aveva trattenuto un sorriso, per poi tornare a concentrarsi sul suo cellulare. Nella rubrica, tra i suoi mille numeri divisi in gruppi da gestire, stava cercando un contatto specifico a cui inoltrare la sua richiesta.“Farò avere a te, Preston e Rodriguez un permesso speciale per stare negli Stati Uniti. Ricordiamoci che non è una vacanza.”
Essere collaboratrice stretta del Presidente degli Stati Uniti aveva i suoi privilegi e la Finch sapeva sfruttarli a dovere.
 
Sorride ripensando all’ultima volta che aveva saluto Christina Finch e Hayley. Quelle due donne così apparentemente distanti per categoria sociale, eppure così vicine a capirsi con un semplice gesto sul lavoro e sul personale, le ricordano troppo lei e Lanie.
Si poggia indietro sullo schienale della sedia e sospira. Il fascicolo che tiene in mano ha ancora troppe pagine che devono essere compilate e gettando l’occhio sull’orologio, capisce che non farà in tempo a fare una piccola pausa merenda.
“Detective Beckett.”
L’inglese si avvicina alzando la testa dal suo giornale per salutarla. Kate risponde a sua volta sorridendo, per poi tornare sulle sue carte.
Era stato carino averlo vicino nel corso dei due anni, ma per lei altro non era che un buon amico, una spalla su cui contare e un buon partner. Anche se le seccava avere intorno altri agenti che non erano parte integrante del Dodicesimo, con i tre uomini dell’Interpol si erano tutti arresi all’evidenza che ormai si erano stanziati al distretto. Qualcuno doveva pur monitorare la situazione nel caso quel qualcuno si sarebbe fatto risentire.
Nota quel caffè sulla scrivania. Una tazza semi vuota. Più volte Mike si era offerto di portarle il caffè al lavoro, ma lei aveva sempre rifiutato, e alla fine anche lui aveva capito il motivo e non aveva più insistito.
“Agente Jones.”
Si siede sopra la scrivania di Kate, prima guardando davanti a sé, poi rivolgendosi a lei. Assorta in quel fascicolo, gira le pagine nervosamente, sbrigandosi a compilarle. Lui sospira.
“Sbaglio o avevamo detto che ti saresti presa una pausa? Ci pensa l’Interpol o la CIA a continuare il lavoro sporco.”
“Sono solo dei fascicoli da compilare, Mike. Posso farlo da sola e impiegarci meno tempo senza perdermi in chiacchiere.” Afferma, ed era vero. Nella sua lunga carriera in polizia aveva appreso che molto spesso chi fa da sé, fa per tre.
“Che ne dici di farlo in compagnia e davanti a un caffè?”
Smette di sfogliare il fascicolo. La penna le trema tra le mani, e si alza per guardarlo. Sta parlando seriamente. Dalla sua bocca escono solo dei balbettii.
Mike la ammonisce sfiorandole la spalla e scende dalla scrivania. “Non c’è bisogno che mi rispondi subito, Kate. Prenditi il tuo tempo. È solo un’uscita amichevole.”
 
Si ripete che non le avrebbe fatto male staccare dal quotidiano e dal mondo lavorativo. Eppure la sua paura più grande è perdersi e non riuscire più a tornare in quel suo posto che si era costruita nel corso dei due anni. Un luogo segreto, nascosto, in cui vi entra ogni volta che varca la soglia dello studio di Castle.
È nel modo in cui passeggia intorno al suo tavolo da lavoro, passando delicatamente il dito su di esso.
È nel modo in cui gira intorno al posto vuoto lasciato dal suo computer, dal giorno in cui la CIA ha deciso di confiscarlo per hackerarlo e scoprire tutto il necessario su Richard Castle, pericoloso e ricercato possibile membro di Al-Qaida.
È nel modo in cui si stringe a sé, abbracciando se stessa con quelle braccia che un tempo stringevano il suo uomo, inclinando la testa di lato e immaginando che lui sia al suo posto, seduto, a scrivere una nuova storia.
Lanie la scruta e le sventola una mano davanti al viso. L’amica la guarda incuriosita e le mostra un cadavere sul lettino, scherzandoci sopra.
“Ti ricordi quando i primi tempi qui immaginavamo che tipo di vita conducevano queste persone? Lo so, era un modo un po’ macabro, ma ci divertivamo.” Inizia a parlare a ruota, ma si accorge che Kate non la sta ascoltando. “Ok, conosco quel tuo modo di torturarti le mani. Allora devo chiederti che hai oppure vuoi parlare?”
Smette di giocherellare con le mani, e pianta i piedi nella direzione della dottoressa. Si porta i capelli dietro le orecchie e fa un bel respiro.
“Giusto. Mike mi ha chiesto di uscire.”
Alza la testa verso Lanie, aspettandosi una sua risposta di spirito, che non tarda ad arrivare. L’amica posa una mano sui fianchi e la guarda con aria maliziosa. “Che sfrontatezza.”
“Già, ma io non intendo uscire.” Pronuncia le ultime parole quasi gridando e riprende a torturarsi le mani. Passeggia avanti e indietro, osservando ciò che vede davanti a sé. Uno scaffale pieno di fogli e cartelle, reperti medici e lettini vuoti, coperti solo da lenzuoli bianchi. “Non voglio avere un altro uomo nella mia vita.” Si lascia sfuggire un sospiro, tornando ad abbassare la testa.
Lanie rilascia la posizione di prima per avvicinarsi e confortarla con un gesto spontaneo. “Oh, tesoro...”
“Nessun altro dramma.”
“Sei chiusa da due anni sul lavoro e lo sappiamo entrambe che l’agente Jones non è rimasto qui a New York per affari col governo, ma perché voleva starti intorno. È un’uscita, cosa può esserci di grave?”
Kate scuote la testa e quando la rialza, ha gli occhi sognanti. “Sai, il suo ufficio è vuoto e impolverato. È come se attendesse il suo ritorno da un momento all’altro.”
“Katherine Beckett, non azzardarti a cambiare argomento con me!” la rimprovera Lanie, ma nella sua voce c’è divertimento.
L’amica detective si volta verso di lei e la ringrazia con un luminoso sorriso. “Lui diceva sempre che se vogliamo il nostro lieto fine, non dobbiamo mai smettere di lottare. Ma son passati due anni e lui è scomparso...” Torna con la testa bassa, lasciando che le ciocche di capelli le coprano il viso. Quando la rialza, delle lacrime scorrono distrattamente sul suo viso. “Dimmi che devo fare perché io non so più niente...”
Lanie abbraccia l’amica e le strofina le spalle con le mani. Poggiano le teste una sull’altra, poi la dottoressa le sussurra, “Fai quello che ti senti.”
 
Lo vede seduto nella sua postazione, quella in fondo a tutto, nel suo angoletto, impegnato in una conversazione telefonica. Regge con una mano il cellulare, mentre con l’altra afferra un pezzo di carta e una penna, scrivendo qualcosa. Si avvicina titubante verso di lui, ma prima si assicura di non avere più l’aria di chi ha appena pianto, quindi passa velocemente le mani sotto gli occhi. La pelle è pulita.
Lui rintraccia il suo sguardo e chiude la conversazione telefonica, salutando il suo superiore di Londra.
“Agente Jones.”
“Detective. Tutto bene?”
Glissa la domanda abbassando lo sguardo. Si morde il labbro inferiore pensando che tutto il fondotinta che ha messo, non è servito a cancellare le ultime tracce di pianto. “Se è ancora valido l’invito, io sono libera.”
Un sussulto improvviso gli sfugge dalla labbra, ma copre il tutto schiarendosi la voce. “Domani sera va bene?”
“Ok, fai tu.” Si affretta a dire, e si allontana da lui velocemente.
Mike resta a fissarla e Kate riesce a percepire il suo sguardo. Ha l’aria incerta, chiedendosi se accettare quell’invito sia stata la scelta giusta.
 
Dall’altra parte del mondo, un uomo conclude il suo addestramento.
Viene coperto d’oro anticipato, nuovi abiti e nuove armi. Ne afferra una, facendola ruotare tra le dita della mano, e poi la depone nella fondina. Prende delle garze e inizia a legarsele intorno alle mani, stringendole a pugno. Poi, un movimento agile, si alza, saltellando sul posto.
Il sacco da boxe davanti a lui continua a urlare; vuole che lui la colpisca di nuovo, fino a morte, fino a farla cadere di nuovo a terra.
Passa le mani sulle sue braccia, diventate forti e muscolose. Il sudore fuoriesce da ogni lembo di pelle, bagnando la canotta nera, corredata con i pantaloni sportivi. Nasir non si è fatto mancare nulla.
Quando Rick aveva accettato il suo folle piano, sapeva di aver firmato un contratto con il diavolo. Lui gli aveva fornito una stanza apposita dove allenarsi, non solo con le armi, ma anche col fisico, proprio come gli aveva richiesto tempo prima. In due anni, ha visto il suo corpo diventare più forte e agile, come una scheggia.
Fa una smorfia ripensando al giorno prima, quando, in un combattimento all’ultimo sangue, era riuscito a prendersi una rivincita su Jamal, strattonandolo a terra con uno sgambetto, e iniziando a colpirlo più volte sul viso. In sottofondo, gli altri uomini che lo incitavano a infierire di più. Rick vedeva il volto di Jamal e ripensava a come era passato vicino a Kate, tempo prima a Beirut, con il terrore che lui potesse farle del male. Più pensava a quell’avvenimento, e più si accaniva sull’uomo, con il pugno fermo e le nocche distrutte dai colpi.
Prende a pugni il sacco, balzando all’indietro di tanto in tanto per riprender fiato. Saltella, si passa una mano sulla fronte sudata e si rimette nella posizione da guerriero. Pugni in avanti, il sacco torna a fermarsi, e lui riprende a pestarlo.
Domani è il grande giorno.
Domani tornerà nella sua patria, a New York, consapevole che sarà l’artefice di un attentato terroristico alla metropolitana della città che tanto ama.
Domani tornerà e si consegnerà alla polizia, come stabilito da Nasir.
Ciò che il grande capo non sa è che lui rivedrà la sua Kate e dovrà far di tutto per convincerla che in questi due anni si è finto collaboratore di Nasir col solo scopo di tornare da lei.
Il domani è ancora lungo, e mancano solo quattro ore, ma l’adrenalina che ha in corpo continua a premere e a fargli bollire il sangue, colpendo ripetutamente quel sacco da boxe, fino a staccarlo dalla catena che lo teneva appesa, e allontanarlo da terra con un calcio ben serrato.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Scusate il capitolo lungo ma non potevo dividerlo :p
Stiamo tornando al prologo della storia, che qui si colloca nel giorno prima dell'attentato.
Kate ripensa agli eventi accaduti due anni prima, quando la CIA se ne era andata lasciando il posto all'Interpol... e l'agente Jones si azzarda pure a invitarla per un caffé... fermatelo, quella è roba dei Caskett! ><
Nel frattempo nessuno si azzarda a parlare di Castle, tranne Kate che lo fa quando si chiude in se stessa, nello studio dello scrittore, ed è come se attendesse il suo ritorno... lui sta tornando, Kate, ed è più cazzuto che mai! *-*
Questo è l'ultimo capitolo dell'anno! Ci si legge a gennaio :*
Grazie a tutte le persone che leggono, quelle che lasciano una recensione, ma anche quelle silenziose!
Buone feste :*
D.
   
 
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