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Autore: Achernar    22/12/2014    2 recensioni
“Ma lui è morto, Yugi. È morto!” ormai le lacrime scorrevano senza più un freno dalle sue guance e Anzu scuoteva la testa freneticamente. Non avrei dovuto alzare la voce, non avrei dovuto alzarmi di scatto dal divano. Non avrei dovuto lasciare quel maledetto dito sulla scrivania.
“No, non è morto finché non lo dico io!” ho urlato.
Non avrei mai dovuto lasciarlo andare.
Genere: Dark, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atemu, Dark/Yami Yuugi, Yuugi Mouto
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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All systems go, but the sun hasn't died deep in my bones, straight from inside

31 marzo 1999, Domino

Caro diario,

Non ho avuto tempo di scrivere per mesi. Non ho avuto tempo di stare con i miei amici, non ho avuto tempo per i giochi. Sono stato troppo occupato a studiare. Mi sono iscritto a tutti quei corsi pomeridiani per studenti dell’ultimo anno, sono stato in aula fino alle undici di notte per ascoltare insegnanti privati che spiegavano, e durante il weekend ho lavorato dalla mattina fino alla sera per potermi permettere quegli stessi corsi. So che il lavoro del nonno e i soldi che ci manda mio padre dall’America non sarebbero sufficienti, e non voglio pesare ancora di più sulla mia famiglia. Ma ne è valsa la pena. Oggi si è concluso il nostro ultimo anno di liceo e pochi giorni fa sono cominciati i test di ingresso per l’università.

Nessuno avrebbe mai scommesso un soldo su di me, l’anno in cui ho conosciuto mou hitori no boku ero fra i trenta allievi peggiori dell’istituto. Tre anni dopo, più precisamentedue settimane fa, il preside Tsunesaburo-sensei in persona mi ha affidato il compito di pronunciare il discorso degli studenti dell’ultimo anno. E oggi sono salito sul podio della scuola, nell’aula magna dell’istituto, per leggere il mio discorso a nome dei diplomandi, davanti a tutti gli studenti del Liceo Domino. Perché io, Mutou Yugi, a quasi un anno dalla scomparsa di mou hitori no boku, sono diventato l’allievo numero uno dell’istituto. Con una media e una preparazione, guadagnate con giornate e notti di studio passate sui libri, che prego mi abbiano permesso di passare i test d’ingresso all’Università di Tokyo. Per poter finalmente realizzare il mio progetto.

Mentre parlavo di duro lavoro e di determinazione davanti a tutte quelle persone, ho visto mia madre asciugarsi gli occhi con un fazzoletto. E mentre parlavo dei valori che i tre anni passati in questo liceo mi hanno insegnato, i miei amici mi lanciavano occhiate incredule, eppure compiaciute. E mio nonno sorrideva soddisfatto mentre parlavo dell’importanza di avere al tuo fianco una famiglia e persone da amare.

“Non dimenticherò mai quello che i miei anni al Liceo Domino mi hanno regalato”.

Ma io non mi riferivo a loro. Per tutta la durata del mio discorso, il mio unico chiodo fisso è stato l’articolo che Jonouchi mi aveva fatto leggere a settembre, lo scienziato del Delaware, Arkell Lonerwraith, che a dicembre ha vinto il suo premio Nobel, il test d’ingresso della facoltà di ingegneria e matematica che ho sostenuto due giorni fa e di cui domani saprò i risultati. Le persone care che non vedo l’ora di riabbracciare. Una persona in particolare.

Perché, vedi, diario, anche se loro sono convinti che io mi sia immerso negli studi per distrarmi dal pensiero di mou hitori no boku e che ora stia finalmente incamminandomi verso il mio futuro, con le spalle rivolte al passato, non potrebbero essere più in errore di così. Il mio futuro è cercare di riportare indietro il passato. Io so che è possibile. E se non è possibile, io creerò un modo. Mi procurerò i materiali, la conoscenza necessaria per riportarlo indietro. Mou hitori no boku mi ha insegnato che nulla è impossibile. Solo vivere senza di lui lo è. Ma togliersi la vita prima di aver tentato con ogni mezzo di riaverlo con me è semplicemente stupido. Questo sarebbe qualcosa che lui non vorrebbe, lo so.

E mentre scendevo dal palco, stringendo i miei appunti tra le dita non più così tremanti per l’emozione, mentre mi sistemavo una delle ciocche bionde dietro l’orecchio, ho avuta la sensazione che lui mi stesse osservando. E lo sentivo sorridere.

Lui mi sostiene, ha fiducia in me. Posso farcela.


I'm waking up, I feel it in my bones, enough to make my systems blow.
Welcome to the new age

2 Aprile 2001, Tokyo

Caro diario,

Quel giorno ce l’ho fatta, ho passato il test d’ingresso con il massimo del punteggio. Da due anni sono uno studente dell’università di Tokyo.

In questi due anni sono successe molte cose. Mi sono dovuto trasferire, perché Domino è troppo lontana dalla capitale e io non potevo permettermi di perdere tempo a spostarmi in treno, così come non posso permettermi di perdere tempo a casa e farmi distrarre dalla famiglia o dai miei amici. I miei amici…. È da parecchio che non li sento, da Natale credo. Torno sempre a casa due volte l’anno, a Natale e durante l’estate, giusto per non far preoccupare i miei familiari più del necessario. Non sono soste troppo lunghe però: devo studiare, non posso interrompere le mie ricerche.

So che Anzu è partita per gli Stati Uniti un anno dopo il nostro diploma. Ha dovuto sudare parecchio fra lavori non retribuiti e gavetta, ma alla fine ha trovato una piccola compagnia che la assumesse. L’impegno era tanto e il salario decisamente basso, ma Anzu è una ragazza cocciuta e ha accettato ugualmente, entusiasta all’idea di lasciare finalmente il Giappone e cominciare la sua carriera da ballerina. Siamo tutti con lei: so cosa vuol dire avere un progetto che faresti di tutto per realizzare. Il lavoro duro non ha mai spaventato il nostro gruppo. Anche Jonouchi ha deciso di abbandonare gli studi, sta passando da un lavoro all’altro e occasionalmente continua a duellare, Honda invece ha cominciato l’università a Domino. Dovrei essere un amico migliore, ma davvero non riesco a ricordare che facoltà faccia, scusami.

Quanto a me, come ho detto ho appena finito il primo biennio alla Todai. Sono tutti contenti per me, per i miei voti e per il mio impegno. Mi dicono che sono ambizioso e che sto rendendo orgogliosa la mia famiglia. Mi dicono che mou hitori no boku sarebbe fiero di me, e io sorrido un sorriso senza spirito. Io non mi sentirò orgoglioso di me stesso finché non riuscirò a portare a compimento il mio progetto. Ma finalmente, da oggi, comincerò a studiare quello che mi serve. Matematica, informatica, fisica, tecnologia, ingegneria…

Non che sia rimasto con le mani in mano in questi due anni: ho fatto le mie ricerche, mi sono tenuto sempre il più informato possibile su quello che accadeva nell’ambiente della tecnologia. Dopo che la creazione di Lonerwraith si è rivelata funzionante, le innovazioni si sono susseguite una dopo l’altra, a un ritmo incalzante. Il primo microchip era solo un prototipo, ma era in grado di distinguere fra due affermazioni e giudicarle come un essere umano: scegliendo non quella più logica ma quella più sensata dal punto di vista sociale. Eppure con la precisione di un computer. Era la perfezione. Era il cervello e l’infallibilità della macchina, la sua lucidità e analiticità, finalmente combinati con la capacità di noi esseri umani di empatizzare e giustificare i comportamenti dei nostri simili.

Dopo il primo anno di sperimentazioni, il Massachusetts Institute of Technology ha avviato un programma sperimentale in cui un altro microchip, del tutto simile a quello costruito l’anno precedente, è stato inserito nella scheda madre di un macro processore. A questo computer umano è stata affidata la direzione di un carcere per diversi mesi, e anche se tutti si aspettavano di veder fallire il progetto, di vedere il computer cedere al suo lato cibernetico e abbandonare le insensatezze della mentalità umana, l’esperimento si è rivelato un successo. E poi è stata una valanga di conseguenze, veloci come corrente che corre attraverso fili di rame. Un anno fa il primo computer è stato messo a seggio di un tribunale, il primo computer giudice, in grado di dare responsi imparziali in qualunque causa venisse coinvolto. I programmi che sono stati sviluppati per sostenere questa tecnologia sono ancora terribilmente costosi, e nonostante i risultati incoraggianti, ancora sperimentali. Ma io sono fiducioso. A quel punto, nessuno si è più stupito della mia scelta di studiare ingegneria: le innovazioni incredibili dell’ultimo biennio hanno portato migliaia di studenti in più del solito a intraprendere questo corso di studi, desiderosi di prendere parte a quella che gli accademici chiamano già quarta rivoluzione industriale. E ansiosi di stringere nelle loro mani questa tecnologia, questo potere.

Lo sono anche io, ma il mio scopo è totalmente diverso. Ho passato notti in bianco a navigare su internet e a sfogliare decine di articoli e interviste nella biblioteca dell’università solo per mettere le mani su tutto il materiale riguardante il professore e la sua equipe. Non è un mistero che il governo si sia subito impadronito delle sue scoperte per sfruttarle a scopo bellico. Gli esseri umani sono sempre uguali. Esattamente come tremila anni fa: guerra, sempre guerra… È la guerra che ha portato mou hitori no boku via da me. Eppure, paradossalmente, è sempre la guerra che lo ha portato a me in primo luogo.

Quattro mesi dopo la sua scoperta e il premio Nobel, poco prima dei miei esami di ammissione di due anni fa, Lonerwraith è sparito. Alcuni dicono che sia stato rapito dall’esercito perché aveva rifiutato di prestare assistenza ai militari, altri dicono che i militari lo abbiano addirittura ucciso. Ma ovunque sia andato, non è riuscito a portare in salvo le sue ricerche. La tecnologia è stata fatta progredire da qualcun altro e quelli che ho ricordato prima ne sono i risultati. Ma lui resta il vero genio, la scintilla che mi serve per realizzare il mio intento. E io dovevo trovare il modo di contattarlo.

Ho passato così tante ore al computer che i polpastrelli delle mie dita hanno cominciato a bruciare, e dopo mesi di letture ho dovuto comprarmi un paio di occhiali, io che ho sempre avuto un’ottima vista. Ma non mi importa perderla per mou hitori no boku. Finalmente, ieri, sono riuscito a terminare un mio programma. Un contro firewall così potente che credo che all’esercito non dispiacerebbe metterci le mani. Ma dovranno prima passare sul mio corpo. E il programma funziona: ho scoperto una rete segreta di forum e siti internet in cui scienziati da tutto il mondo si scambiano dati sui chip umani. E lì, ho trovato alcuni account promettenti.

Credo di poter rintracciare il professore, sto inviando messaggi continuamente, spiegando il mio interesse e il mio progetto a ogni profilo che risvegli il mio interesse. Ora, prego solo che lui sia uno di questi.


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