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Autore: difficileignorarti    22/12/2014    3 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si risvegliò quando qualcuno gli buttò dell’acqua addosso.

Tom si sentiva stralunato, e non appena i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco il tutto, si ricordò che dopo aver visto la donna che amava, qualcuno gli diede una botta in testa.

Si rese conto di essere legato mani e piedi a una sedia e di non avere una maglia addosso: era una stanza buia, a parte una luce esageratamente forte sopra la sua testa, ma ce n’era un’altra, dall’altra parte della stanza, meno potente e che inquadrava bene ciò che c’era sul muro.

Sgranò gli occhi quando riconobbe la sua ragazza, o forse ex: c’erano centinaia di foto appese, non era lei da sola, c’era anche lui, c’era Ellen, i suoi genitori; erano tutte foto in bianco e nero, da angolazioni diverse, era più che chiaro che la facesse pedinare, quindi i suoi uomini erano ancora in giro.

Certi primi piani e sorrisi gli fecero bloccare il battito cardiaco: era così dannatamente bella, troppo per lui e si chiese, di nuovo, cosa avesse fatto per meritarsi quella ragazza e la loro bambina; lui era quello che era, un ragazzo di strada, pieno di difetti, che prendeva a pugni la gente, mentre lei era lei, perfetta nella sua semplicità.

«La consumerai a forza di guardarla» portò lo sguardo su Liam, esattamente davanti a lui. «Ma forse dovrei lasciartelo fare, perché sarà, probabilmente, l’ultima volta che la vedrai» disse minacciosamente per poi ridacchiare.

Ma Tom non venne toccato minimamente dalle sue parole, no, lui avrebbe lottato con le unghie e con i denti per le due donne che amava e sì, per loro avrebbe pagato con la vita, ma prima voleva vedere quel verme chiuso in una cella di sicurezza.

 «Questo è quello che vuole la tua mente, non quello che voglio io» lo provocò con un sorriso malizioso sulle labbra, facendo incazzare il biondo. «Cosa pensi di fare, Liam? Uccidermi?» continuò, osservandolo attentamente. «E poi cosa dirai ad Emmeline? Che hai ucciso il padre di sua figlia? Pensi davvero che le faccia così piacere?» disse, sfidandolo con lo sguardo. «A proposito, dimmi dov’è e facciamola finita, Liam» aggiunse.

Liam lo stava guardando e, per la prima volta, Tom lo trovò in difficoltà, glielo leggeva negli occhi, ma sapeva anche quanto fosse spietato e che niente e nessuno lo spaventava.

«Anzi, toglimi una curiosità, perché l’hai rapita? Perché l’hai strappata dalle braccia di sua madre a un giorno dalla nascita?» sbottò, incazzato come non mai, riprendendo il discorso. «Una bambina innocente e appena nata!» ringhiò, strattonandosi dalle corde che lo legavano, cercando di liberarsi, invano.

«Dovevo arrivare a te in un qualche modo» rispose con un’alzata di spalle. «È il tuo punto debole, Tom» aggiunse, incrociando le braccia al petto, scrutando con attenzione il ragazzo seduto di fronte a lui. «Non ti è mai passato per la testa che Emmeline si fosse messa con te solo perché hai un “bel faccino”?» domandò poi, cambiando totalmente discorso, com’era suo solito fare.

Tom aggrottò le sopracciglia, prima di scoppiare a ridere istericamente.

«Em non è così superficiale, Spencer» mormorò in risposta, riprendendosi. «E smettila di cambiare discorso» sputò. «Saresti dovuto venire da me, subito, non prendertela con una bambina che ha bisogno di sua madre ora più che mai e voglio, anzi, esigo, che torni lì, tra le sue braccia e il suo calore» gli disse duramente, la mascella serrata.

«Non ho tempo per questo, ora, Tom» lo liquidò con un gesto della mano. «Ma ti lascerò in buona compagnia» sogghignò, guardando oltre le spalle del moro. «Se ti andrà bene, tornerai in quello squallido posto in cui alloggi e se avrai fortuna potrai rivedere la tua amata» girò sui tacchi, lasciando il moro piuttosto perplesso, anche se sapeva bene, perché lo sentiva, che dietro di lui c’era qualcuno.

Passarono diversi minuti prima che i suoi occhi entrassero in contatto con una nuova figura: non era per niente nuova, lo conosceva quel ragazzo e si ritrovò a scuotere la testa.

«Ben» sputò.

«Ciao, Tom» il suo sorriso idiota, quello che aveva sempre, e che lo aveva irritato fin dal primo momento in cui l’aveva visto, aveva ripreso corpo sulle sue labbra. «È davvero un piacere rivederti» disse. «Soprattutto così impotente» aggiunse, ridacchiando appena.

«Cosa vuoi?» domandò il moro, osservandolo dal basso: Dio quanto lo odiava! Come avrebbe voluto prenderlo a pugni!

«Oh, sicuramente restituirti il favore!» Tom aggrottò le sopracciglia, non capendo. «Il pugno che mi hai tirato quella famosa sera, non vedo l’ora di restituirtelo» spiegò. «Ma prima voglio dirti che pensavo di essere l’unico ad odiarti, non solo per il pugno e per la minaccia, ma anche perché sei  così irritante e ti credi così superiore a tutti! Senza contare che una donna come Emmeline si accontenti di uno come te! La trovo così stupida!» disse, passandosi una mano tra i capelli, mentre Tom voleva semplicemente riuscire a liberarsi per poterlo uccidere.

«Non ti azzardare a parlare male di Emmeline!» gridò: non poteva tollerare che qualcuno offendesse e parlasse male della donna che amava.

«Ma non sono l’unico, anche Liam ti odia» continuò il suo discorso come se lui non esistesse. «Probabilmente ti farò passare un brutto quarto d’ora e ti darò anche tutte quelle botte che hai dato a lui anni fa, visto che lui vuole avere l’onore finale di piantarti una pallottola in testa» spiegò, piegandosi sulle ginocchia per essere alla stessa altezza di Tom. «E quando l’ho incontrato all’ospedale mentre guardavo vostra figlia, mi ha convinto a far parte di questo suo piano, e non ci ho pensato due volte a rapire la piccola Arabella» confessò e Tom non ci vide più: Ben era il colore rosso, e Tom era il toro.

Tirò con tutta la forza che aveva in corpo pur di cercare di liberarsi, ma quelle dannatissime corde lo tenevano piantato lì e in quel momento desiderò tanto di diventare come Hulk.

«Lo sapevo che eri un dannato psicopatico! Esattamente come il tuo amico!» sbottò.

Ben ridacchiò, scuotendo la testa e si alzò, prima di sganciargli un pugno in pieno volto.

Il primo di una lunga serie.


 
***


Faceva freddo, molto, troppo, e stringersi in un giubbotto pesante non stava servando a nulla, ma forse ne valeva davvero la pena rimanere li: stava aspettando Liam, forse avrebbe rivisto la sua bambina quel pomeriggio.

Nella serata precedente si era come sentita osservata mentre usciva, le era sembrato che Tom fosse li, si sentiva i suoi occhi, il suo sguardo indagatore e amorevole che gli bruciava sulla pelle, ma poi, quando si era voltata, non c’era nessuno e una fitta di delusione le aveva colpito lo stomaco: lei non avrebbe mollato, lei sarebbe tornata al suo fianco.

Si guardava intorno, non capendo il perché di quella scelta: era una zona piuttosto traffica e piena di gente e lui era un ricercato.

Aveva così tanta voglia di chiamare la polizia, ma aveva paura, allo stesso tempo, che lui non rivelasse il luogo dove si trovava la sua piccola.

Quindi aveva deciso di vedere come sarebbe andata, dove l’avrebbe portata e poi avrebbe chiesto aiuto a Gustav.

Dall’altra parte della strada vide una coppia felice, senza contare che era il periodo di Natale, il periodo che lei preferiva, e poi vide un passeggino. Perché lei non poteva essere felice come loro? Perché non poteva passare il Natale a casa, con l’uomo che amava e la loro bambina?

Le veniva da piangere, dannazione se voleva farlo, ma doveva essere forte e voleva tenere le lacrime per quando avrebbe rivisto e riabbracciato la sua bambina.

Si voltò dall’altra parte, asciugandosi quelle poche lacrime che erano scese sulle sue guance fredde e arrossate, continuando a stringersi nel suo giubbotto scuro.

Non appena sentí una macchina fermarsi dietro di lei si voltò, trovandosi davanti ad una Range Rover nera e dai vetri oscurati.

Non sapeva cosa fare: non sapeva se salire, non sapeva se doveva aspettare che qualcuno le aprisse la portiera.

E per colpa di tutti quei pensieri che le invasero la mente, non si accorse di avere Ben davanti: si strozzò con la sua stessa saliva e sgranò gli occhi, cominciando a tremare come una foglia e no, non era per colpa del freddo.

Ben le rivolse un sorrise malvagio, squadrandola da capo a piedi.

Gli facevano male le mani, si era sfogato per bene con Tom, e non appena gli aveva liberato mani e piedi e gli era saltato al collo, aveva capito che non l'avrebbe mai messo al tappeto con dei pugni; si era ritrovato con un grosso livido sullo stomaco.

Lo aveva riportato in quel motel schifoso e poi passò a prendere la ragazza, come da ordini di Liam: non aveva ucciso Tom, non ce l'aveva fatta, ma solo perché non aveva le palle per farlo.

«I capelli corti ti donano, Em» continuò a squadrarla con un sorriso strano sulle labbra.

Emmeline indietreggiò impaurita, ma lui la afferrò per un polso, non permettendole di fare un ulteriore passo.

Sotto le proteste e lamentele della ragazza, la costrinse a salire e le bendò gli occhi, per non mostrarle il tragitto.

La ragazza stava letteralmente morendo di paura e tremava continuamente.

Non gli rivolse la parola per tutta la durata del tragitto e non le fregava niente del fatto che potesse mostrarsi maleducata ed irrispettosa, ma stava pensando ad una serie d'insulti da potergli urlare in faccia non appena sarebbero arrivati a destinazione, ed anche un modo per colpirlo talmente forte e vederlo non alzarsi più.

Lui era un complice di Liam e, mentalmente, le veniva da ridere: possibile che su tre ragazzi con cui era uscita, l'unico sano di mente fosse proprio Tom? Che era quello più problematico e lei si era proprio innamorata di lui.

Dio, se lo amava.

«Sei silenziosa, non è da te» constatò Ben, osservandola dallo specchietto retrovisore, consapevole che lei non potesse vederlo. «Immaginavo che mi avresti riempito di insulti e che mi avresti messo le mani addosso» ridacchiò lui, anche se non c’era proprio niente da ridere.

Emmeline, da sotto la benda, alzò un sopracciglio: faceva lo spiritoso? Non era per niente divertente, e se avesse potuto lo avrebbe strangolato, ma sarebbe, tipo, morta anche lei: non era per niente una bella idea.

«Emmeline?» provò di nuovo lui, stavolta più serio.

«Cosa cazzo vuoi? Si può sapere?» grugnì lei infastidita, stupendosi del suo tono di voce e delle parole, pentendosene subito: si morse il labbro inferiore e pregò con le facesse del male, ma lo sentì semplicemente ridere.

Scosse la testa rassegnata dalla sua stupidità e decise di rimanere in silenzio per il resto del viaggio in auto.


 
***


Odiava la scuola, accidenti, se la odiava: odiava dover studiare materie che non sopportava che aveva scelto, per lui, il padre, odiava i suoi compagni di classe e quelli che incontrava nei corridoi, odiava ad essere al centro dell’attenzione e, qualcuno, Tom Kaulitz ce lo metteva continuamente. Lo insultava, si prendeva gioco di lui continuamente, se lo incontrava per i corridoi, lo appendeva agli armadietti e se capitava, lo riempiva di botte.

Ma non era solo la scuola e Tom Kaulitz, era la sua adolescenza in generale a fargli schifo: non aveva praticamente amici, però aveva un bel rapporto con le ragazze, insomma, fino a che non lo scaricavano per motivi futili o senza addirittura.

Ma non gli importava, anche se era all’ultimo anno del liceo, aveva messo gli occhi su una deliziosa morettina di un altro corso: sembrava un po’ come lui, se ne stava sulle sue, lontana dal mondo, anche se aveva delle amiche e no, non sopportava che avesse una sottospecie di rapporto con Tom, quello proprio non gli andava giù.

E non lo sopportava nemmeno ora e ci aveva provato così tante volte ad allontanarla da lui, ci aveva provato così tante volte a corteggiarla e a provarci, ma lui, Tom Kaulitz, le aveva completamente annebbiato la mente e il cuore.

E anche se avesse portato a termine il suo piano, uccidere il ragazzo, lei avrebbe fatto di tutto per ripagarlo con la stessa moneta: Emmeline amava Tom, ed era rimasto stupito quando se l’era trovata a San Francisco dopo quella telefonata, da sola, per poter riportare a casa la sua bambina, così dannatamente bella, anche se aveva preso tutto dal padre; Emmeline lo avrebbe ucciso, con le sue stesse mani, se solo avrebbe fatto del male a Tom o alla bambina.

Vaghi ricordi dell’anno precedente gli passarono davanti: l’aggressività, la rabbia, che provava verso di lui, l’odio più totale, e la paura e il terrore di perdere Tom, erano così palesi nei suoi occhi e lui si sentiva un mostro per averle procurato così tanto dolore.

Lui che diceva di amarla, la stava trattando nel modo più peggiore: come diavolo poteva pensare che lei si buttasse tra le sue braccia? Avrebbe dovuto rimanerne fuori fin dall’inizio, o nemmeno farsi coinvolgere: lei apparteneva a Tom, solo a lui.

Forse avrebbe dovuto lasciarla tornare a casa, con Arabella e con Tom e lasciarle vivere la sua vita, la sua famiglia, ma era troppo egoista per farlo, e voleva far soffrire un po’ Tom, ma non sarebbe mai arrivato a fare del male fisico a quella ragazza.

I pensieri di Liam furono interrotti dalla voce di Ben e dalla sua risata, mentre teneva Emmeline per un braccio, ancora con la benda sugli occhi, le labbra serrate, la mascella tesa, così come il resto del suo piccolo corpo.

«Toglile le mani di dosso, razza d’idiota!» sbottò il biondo, avvicinandosi pericolosamente ai due. «Non mi sembrava di averti detto che potevi toccarla e dovevi toglierle questa cosa non appena sareste arrivati!» continuò, incenerendo l’altro ragazzo con lo sguardo.

Non appena gli occhi di Emmeline tornarono in contatto con la luce, si ritrovò a fare una smorfia di puro fastidio e fece qualche passo indietro, allontanandosi dai due uomini: Ben la osservava con uno sguardo del tutto assente, mentre Liam le faceva la radiografia, come se non l’avesse mai vista.

Voleva andarsene da lì, si era pentita di aver accettato e di non aver chiamato la polizia: voleva essere con Tom, tra le sue braccia, a casa loro a Los Angeles.

Liam accennò un sorriso, porgendole una mano, invitandola ad avvicinarsi, ma lei rimase immobile, a osservare il suo braccio teso verso di lei, prima di negare con la testa e stringersi le braccia al petto.

Il biondo congedò Ben con un’occhiataccia, prima di riportare l’attenzione sulla ragazza di fronte a lui: la vedeva spaesata, spaventata.

«Non volevo che ti spaventasse ulteriormente, ti ha fatto del male?» le chiese, sorprendendosi lui stesso del suo tono di voce e della sua preoccupazione.

Emmeline negò con la testa: voleva rivedere la sua bambina e basta, e lui stava aumentando la sua sofferenza e il suo bisogno.

«Poche chiacchiere, Liam, voglio mia figlia» sbottò, indurendo lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.

Il ragazzo le sorrise, invitandola a seguirlo in quella casa spoglia e tetra: la condusse lungo un corridoio sporco, pieno di ragnatele; aveva il sospetto che quella fosse una casa abbandonata a se stessa da anni.

Aprì una porta, rivelando tutt’altra cosa: c’era luce, era tutto pulito, sembrava un altro mondo; un nascondiglio dentro ad un altro.

Invitò Emmeline ad accomodarsi sul divano di pelle, facendole segno di aspettare.

Non appena un pianto liberatorio si diffuse nell’aria, la ragazza si sciolse totalmente, cercando di trattenere le lacrime, e stringersi le braccia intorno al corpo, come a volersi tenere insieme.

Non poteva piangere ancor prima di vederla e di stringerla tra le braccia.

Liam tornò, accompagnato da una signora che, non appena la vide, le sorrise affettuosamente, con la sua piccola tra le braccia.

E nel momento in cui la strinse al suo petto, iniziò a piangere come non aveva mai fatto prima, nemmeno quando le dissero del suo rapimento: era così cresciuta in quei due mesi, così bella.

Gli occhioni grandi e color cioccolato della piccola Arabella la scrutavano attentamente, ed Emmeline, in cuor suo, sapeva che l’aveva riconosciuta, sapeva che quella era la sua mamma: il profumo di una mamma rimaneva impresso nella mente di un bambino.

Cercò di controllare le sue emozioni, mentre se la stringeva addosso, lasciandole diversi baci sul volto, vedendola sorridere divertita: quella era la prima volta che la vedeva sorridere, era la prima volta, dopo due mesi, che vedeva la sua bambina, poteva toccarla, coccolarla e baciarla tutte le volte che voleva, niente e nessuno l’avrebbe fermata.

Lasciò che la sua piccola bambina portasse le sue manine sul suo viso, la lasciò osservarla, toccarla: era così simile a Tom, aveva preso tutto dall’uomo che amava, di lei aveva veramente poco, ma non gliene importava molto.

Liam si sedette al suo fianco, scrutando attentamente madre e figlia, osservarsi, toccarsi, e si pentì di aver fatto quello che aveva fatto, si pentì di avergli portato via Arabella, di averle fatte soffrire entrambe, quando lui voleva far soffrire una sola persona.

Sì, probabilmente soffriva anche lui, ma non come avevano sofferto loro due.

«È contenta di vederti» mormorò dolcemente, sorridendo appena, ma Emmeline non gli prestò minimamente attenzione: era concentrata su quel fagotto cresciuto che aveva portato dentro di se per nove mesi.

La bambina strinse un dito della madre, e poté vedere benissimo Emmeline scoppiare a piangere di nuovo, di gioia probabilmente.


 
***


Erano su quel divano da ore, forse, e la bambina si era addormentata cullata dalle braccia della ragazza che non smetteva di toccarla, di baciarla e di sussurrarle parole dolci.

«Mi dispiace» disse Liam, attirando, finalmente, l’attenzione della ragazza su di lui, che lo guardava confusa. «Non avrei dovuto portartela via, non era con voi che me la dovevo prendere» mormorò, chiudendo gli occhi e passandosi le mani sul viso. «Io volevo solamente attaccare Tom, spronarlo a fare qualcosa prendendomela con la sua famiglia, la vostra, ma lui ti è rimasto affianco in questi due mesi, rammollendosi, o forse trattenendosi non lo so» spiegò, lasciandola letteralmente a bocca asciutta. «Quella telefonata non era per te, mi sarei aspettato Tom, visto che era il suo telefono» le mandò un’occhiataccia, come a volerla rimproverare, ma Emmeline non si fece toccare da quello sguardo, spronandolo a continuare. «Io voglio, volevo, finire quello che non ho portato a termine, che nessuno ha portato a termine» aggiunse e Emmeline alzò una mano, bloccandolo.

«E questo a cosa ti porterebbe? Ti farebbe sentire meglio? Ti piacerebbe che Arabella ed io rimanessimo sole?» domandò velenosamente. «Tu sei troppo accecato dall’odio che provi per Tom e dell’amore che dici di provare per me, per ragionare lucidamente» disse duramente. «So della tua vita precedente, di quello che facevi, fai, e mi chiedo perché hai dovuto rovinare la tua vita in questo modo? Perché, Liam? Avresti potuto avere tutto, avevi tutto, potevi avere una donna che ti amava, potevi avere una famiglia, senza fare tutto quello che hai fatto!» aggiunse, abbassando il tono di voce, non volendo svegliare sua figlia.

Liam li fissò qualche istante prima di abbassare lo sguardo.

Emmeline aveva ragione.

«Non lo so» rispose con un’alzata di spalle. «Forse non avrei dovuto chiedere aiuto a chi mi doveva un favore, per farmi uscire di prigione, forse non avrei dovuto uccidere quella persona una volta fuori, forse non sarei dovuto venire a Los Angeles, forse non avrei dovuto conoscere e chiedere a Ben di rapire tua figlia, forse non dovevo rovinarti la vita» la ragazza rimase interdetta, ma non lo diede a vedere, non si fidava di Liam e di conseguenza non credeva nemmeno ad una parola che usciva dalla sua bocca.

Qualcun altro avrebbe potuto cascarci nella sua trappola, ma lei no, non l’avrebbe fatto, non di nuovo almeno.

Quando Ben comparve sulla porta, dal nulla, Emmeline si mise un po’ sull’attenti, e quando Liam si avvicinò per prendere Arabella, la sua stretta intorno a sua figlia s’intensificò maggiormente, invitandolo, con lo sguardo, a non avvicinarsi ulteriormente: si sentiva come una leonessa che voleva, che doveva, difendere i suoi cuccioli.

«Emmeline devi andare, mi dispiace» disse Liam, tornando al suo tono duro, arrogante e burbero. «Ma Arabella rimane qui con me» la sfido con lo sguardo, sottraendola dalle sue braccia, stringendosela al petto, come fosse suo padre.

Ben prese la ragazza per un braccio, invitandola, poco gentilmente, ad alzarsi dal divano, strattonandola verso la porta.

«Lei sa che tu non sei suo padre» sputò quelle parole con odio, rivolgendo un ultimo sguardo alla sua bellissima bambina addormentata, prima che Ben la tirò con sé.

«Emmeline?» Liam la richiamò e i due si fermarono. «Tom è molto fortunato ad avergli, ma digli che lo sarà ancora per poco» le disse, facendo aggrottare le sopracciglia alla ragazza.

«Tom ed io abbiamo chiuso» mentì e sperò che lui non se ne accorgesse, ma una risata le fece capire il contrario.

«Bugiarda» sibilò, spaventandola a morte. «Alloggiate nello stesso squallido motel, puoi dirglielo quando vuoi» la mora sgranò gli occhi: di cosa diavolo stava parlando?

Tom era a San Francisco? E Liam come faceva a saperlo?


 
***


«Cavolo, Tom, potevi reagire!» borbottò Georg, passando del disinfettante sulle ferite del moro, che digrignava i denti per non gridare ogni volta.

«Gliele ho date, non preoccuparti, ma prima ero legato mani e piedi, alla sua mercé» ringhiò, per niente contento di tutti quei lividi e quei tagli. «Se voleva uccidermi, non ci è riuscito» disse sprezzante, e si paralizzò di nuovo mentre Georg gli puliva un’altra ferita. «Hai notizie di Emmeline? L’hai vista?» spostò lo sguardo su Bill, seduto su una poltrona: la gamba destra appoggiata alla sinistra, il mento appoggiato alle mani, le sopracciglia aggrottate, gli occhi scuri.

Tom non l’aveva mai visto così, ne era sicuro.

Quando negò con la testa, semplicemente, sentì una morsa dolorosa alla bocca dello stomaco, mentre una tristezza infinita gli invase il corpo.

Tutti e tre sobbalzarono quando qualcuno bussò alla porta: il moro non si scomodò di alzarsi dal letto, esattamente come Bill che rimase nella stessa posizione.

Georg spostava lo sguardo sui due ragazzi, domandandosi mentalmente cosa fare, quando bussarono nuovamente.

Sospirò e si alzò, aprendo la porta e sgranando gli occhi, abbassandoli sulla piccola e minuta figura della ragazza, che ricambiò lo sguardo, incredula.

Lo spostò di lato, entrando in quella squallida stanza, identica alla sua, trovandosi faccia a faccia con Tom che, nel frattempo, si era alzato.

La mora sgranò ulteriormente gli occhi e anche la sua bocca si spalancò alla vista dei segni e i lividi sul suo corpo: cosa gli avevano fatto?

Non ci pensò due volte e gli gettò le braccia al collo, stringendolo, fottutamente felice di vederlo.

Si convinse a non stringere troppo, per non fargli male, visto i segni sul suo corpo, ma non appena sentì le braccia del ragazzo avvolgerla, stringendola con possessione e amore, si lasciò andare, scoppiando a piangere per la terza o quarta volta in quel giorno.

Le passò le mani tra i capelli corti affettuosamente, sussurrandole quanto la amasse.


 
**********

 
Sono tornata dopo secoli, scusatemi davvero!
Ogni volta che aprivo il foglio di word buttavo giù due righe, o non ne buttavo giù mezza: ho tante, troppe idee, ma non so mai come buttarle giù, se buttarle giù e allora non faccio niente, sono imperdonabile, lo so.

Spero di farmi perdonare con questo capitolo che mi sembra piuttosto lungo u.u
Non sono di molte parole, un pò come sempre d'altronde, però voglio augurarvi buon Natale, buone feste, e buon anno, perchè non credo che posterò di nuovo entro la fine dell'anno, quindi ci vedremo nel 2015, fisso.

Intanto, magari, vi chiedo di lasciare una piccola, anche piccolissima, recensione, mi accontento anche degli insulti questa volta, dato che è un mese che non posto.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.

ps. di nuovo buone feste!
   
 
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