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Autore: Emily Doe    10/11/2008    20 recensioni
Teddy Lupin ha un anno - dodici mesi tondi come il suo faccino - ed è alle prese con una fotografia e l'unica parola che sappia pronunciare: pappa!.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Photograph




Ted Remus Lupin è un bambino come tanti altri: vivace e sano, ha le guanciotte rosee ed un ciuffo di capelli pronti a cambiar colore al minimo stimolo esterno. Sorride sempre, non piange mai. Forse non è così raro che un bimbo di quell’età sorrida spesso, ma è anche vero che, in fin dei conti, Ted Lupin non è esattamente come tanti altri – e non dipende unicamente dai suoi capelli, cangianti come i suoi occhi.
Ha un anno – dodici mesi tondi come il suo faccino – e non sa dire altro che un’unica parola: pappa.
Viene sistemato sul seggiolone e batte le manine sul ripiano in plastica, rovesciando il recipiente con il beccuccio contenente la sua acqua e, fortunatamente, ben chiuso.
Morde con notevole ed encomiabile tenacia – quella che gli consente il suo unico dente – un sonaglio colorato, osservando dritto davanti a sé, senza battere ciglio.
“Hermione,” Ron Weasley, al fianco della propria ragazza, si sporge appena all’indietro per far rientrare il piccolo nel suo campo visivo, sul viso un’espressione vagamente perplessa. “Ti sta di nuovo fissando.”
Eccolo ricominciare con quella storia: Teddy ti fissa, Teddy ti osserva con fare strano, quel bambino ha nello sguardo un qualcosa di particolare…
Prendendo un bavaglino pulito, la ragazza risponde con tono assente.
“Oh, Ron, ancora? È mai possibile che tu debba essere geloso perfino di un bimbo di appena un anno?”
Ron la osserva legare il bavaglino al collo di Teddy e tirar fuori dal cassetto un cucchiaino di plastica.
“Pappa!” Sottolinea lui, agitando in aria il sonaglio e, socchiudendo gli occhi, mutando i propri capelli in un allegro ed acceso color arancione.
Quel fine settimana spetta a loro occuparsi del cucciolo, come lo chiamano Ginny e sua madre: da quando loro due e Harry e Ginny si sono offerti di fare a turno per accudire il piccolo Teddy e dare un momento di tregua a sua nonna, un fine settimana ogni due si occupano di qualsiasi cosa possa necessitare. È faticoso, ma non è poi così spiacevole.
Sì, va bene, a parte il cambiare pannolini.
Ed i continui sguardi di sfida al suono – immaginario – di un tonante ‘Lei-è-mia’, quando Ron trova che il pargolo dedichi troppa attenzione alla sua ragazza.
“Non sono geloso.”
Sa che sta ridendo, lo capisce anche se è voltata verso lo scricciolo e si prodiga nel distorcere la propria voce – ora acuta, quasi uno squittio, Ron la trova angosciante e si chiede come Teddy possa apprezzarla – per divertirlo.
“No, certo che non lo sei.”
Teddy, ridendo, apre finalmente la bocca dando momentaneamente tregua al giochino sbavato, ingloba senza far storie un cucchiaino di pappa e continua a fissare Hermione – con intensità, oserebbe dire Ron.
“Non lo sono.” Beh, non molto. Credo. Si ritrova a pensare. “E’ inquietante, ogni volta che ci sediamo qui non ti perde di vista per un secondo. Devi avere qualcosa che non va: non guarda mai me così.”
Okay, gli è uscita male, lo capisce ancor prima di vedere la luce divertita negli occhi di lei.
“Sei geloso di me o di lui?”
Passa in secondo piano il fatto che, per attirare l’attenzione, la sua ragazza debba avere qualcosa che non vada: il futuro di Ron non è chiaramente quello delle pubbliche relazioni, e nessuno ha mai sospettato il contrario.
“Stavo cercando di fare un discorso serio!”
“Ma davvero? Non credo ti riesca molto bene, allora.”
Alzandosi, soffoca la sua protesta in un rapido bacio, prima di dirigersi verso il bancone e prendere un biberon, agitandolo distrattamente.
“Comunque…”
Aggrotta le sopracciglia, pensieroso. Stranamente pensieroso, trattandosi di Ron.
“Aspetta.”
Si volta e lo fissa, inclinando il capo.
“Cosa?”
“Teddy.” Lo indica con un cenno della mano, Hermione segue il suo sguardo: il bimbo non la sta più fissando, ma è rimasto nell’identica posizione di poco prima. “Non stava guardando te.”
Lei segue la traiettoria dello sguardo del piccolo e raggiunto il punto focale, dischiude le labbra, trattenendo il fiato.
“Stava guardando la foto…” sussurra, quasi come a non voler graffiare la delicatezza del momento.
Ron le rivolge un’occhiata interrogativa, mentre lei gli si risiede accanto.
“Quella.” Indica una fotografia in una cornice color pastello, esattamente dietro di lei. “E’ una foto… beh, è l’unica foto che ci sia rimasta di… dei suoi genitori, insieme.”
Remus Lupin e Ninfadora Tonks.
“Li riconosce?”
Scuote il capo tristemente, sistemandosi, distratta come al solito, i folti capelli castani in una bassa, morbida coda che ora le scende attorno al collo, oltre la clavicola.
“No. Ho provato mille e mille volte a fargli capire chi fossero, ma sembra che il concetto non lo sfiori nemmeno. All’età di un anno, i bambini hanno già una concezione abbastanza chiara e distinta di madre e padre, l’ho letto su svariati manuali di pediatria e psicologia infantile, ma non è così strano che un bimbo che non ha mai visto i suoi genitori non riesca a… capire.” Schiocca la lingua contro i denti per attirare nuovamente l’attenzione di Teddy, che lancia un gridolino e, dopo un ‘pappa!’ estasiato, mette in moto le gengive per smaltire – momentaneamente – un altro cucchiaino di omogeneizzato. “Vedi?” Si alza, prende la foto e la porta davanti agli occhi del bambino. “Teddy, chi sono questi due signori? Sono mamma e papà. Mam-ma e pa-pà. Vero? Mamma e papà.”
Lo scrutano speranzosi e lui, in cambio, li osserva perplesso. Batte con decisione la manina sul seggiolone ed indica euforico la foto.
“Pappa!” esulta, raggiante.
Ron si lascia andare in un mezzo sorriso, la ragazza sospira e poggia l’oggetto lì accanto a loro. Da quando Teddy è rientrato nelle amorevoli cure di nonna Andromeda, Hermione ha fatto sempre in modo che avesse sott’occhio la foto dei suoi genitori, gli ha sempre parlato di loro indicandoglieli come mamma e papà, ha trascorso ore ed ore a raccontargli delle piccole cose che aveva potuto notare in loro due – no, non delle grandi, non della guerra. Avrebbe avuto tanto tempo per sentire quelle cose, per lasciarsele scivolare attraverso la pelle, nelle vene, nel sangue, per volerle rinnegare e chiedersi se fosse stato giusto.
Gli racconta dell’allegria di Tonks e dei sorrisi malinconici di Remus, del portaombrelli in cui sua mamma inciampava sempre a Grimmauld Place e delle appassionanti lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure di suo padre, che lei aveva avuto il privilegio di seguire.
Gli diceva di un abbraccio, e dei tanti piccoli particolari.
Così tanti, e così piccoli, da risultare immensi.
Ma i suoi sforzi non hanno dato alcun frutto, fino a quel momento.
“Ogni volta che ci sediamo qui, gli lascio su quella mensola questa foto: ormai credo ricolleghi il cibo alla sua presenza.”
Teddy – Pappa! Pappa! Paaappa! – allunga le braccia, per quanto gli è possibile, verso i due ragazzi e si agita ridacchiando e protendendosi verso il cucchiaino che Hermione tiene ancora sospeso a mezz’aria. Lei fissa davanti a sé, l’espressione indecifrabile, ma come assente; Ron le toglie delicatamente la posata dalle mani e, sbuffando come una locomotiva ed esibendosi in altri suoni assurdi, imbocca Teddy.
Se si esclude lui ed il mugugnare sommesso del piccolo, la cucina è immersa in un morbido silenzio.
“È solo che volevo… non volevo che loro fossero dimenticati… che lui non avesse…” La sua voce è stranamente sottile, evanescente. “Che non avesse idea… Avrei voluto evitargli almeno questo.”
Espira lentamente, un suono tremolante ed incerto, e si passa nervosamente una mano sugli occhi.
È passato troppo o troppo poco tempo dagli eventi di un anno prima, hai pensato ‘ora basta’ e poi hai tremato (‘non ancora, non adesso, non sono pronto’), e quando speri di esserti lasciato tutto alle spalle, vedi ancora gli effetti di quella distruzione, gli effetti che quel passato può avere sul presente, tuo e non solo.
Sanno cosa significa e quanto sa far male lo sguardo di qualcuno che non ha mai conosciuto i propri genitori, di qualcuno che è la vittima senza ombra di colpa; conoscono la sensazione di impotenza che si prova di fronte a quegli occhi, la rabbia inespressa ed il dolore che non tracima solo per l’abitudine di tenerlo sotto controllo, ma che esplode, poi, tutto assieme.
Harry.
Ricordano, come se fosse ferita ancora fresca sulla pelle, il non poter far nulla, pur volendolo, per recuperare quella porzione di vita, distrutta, svanita nel nulla, nell’ignoranza, nell’oblio. Mai avuta.
La sensazione di base che manchi qualcosa: è quella l’emozione cupa che quello sguardo sa trasmettere.
A guardare quel bambino sorridente e gorgogliante, con i suoi capelli momentaneamente color aragosta, è difficile – è dura sapere di avere la possibilità di poter vedere nei suoi occhi quello stesso sguardo.
Le prende una mano tra le sue, dopo un altro boccone per Teddy.
“Dai, vai a farti una doccia e poi a letto. Sei stanca, hai badato a lui tutto il giorno e tutta sola.” Ron la attira contro di sé e la stringe piano, carezzandole dolcemente la schiena. “Ci penso io.”
“Sicuro?”
“Finire la pappa e a nanna. Credi che non ne sia capace?”
Teddy si rende partecipe della discussione con uno squillante ‘pappa!’, già che Ron gliel’ha ricordato.
“È che…” Occhiataccia fulminante. “Okay, taccio. Grazie.”
Dopo aver gettato un’ultima occhiata alla fotografia di Remus e Tonks, si alza, fa una carezza al piccolo e si dirige verso le scale.
Avrei voluto evitargli almeno questo.
Esita, con il piede poggiato sul primo scalino. Ha gli occhi lucidi, anche nella penombra accogliente della casa, e la voce amara.
È quando tutto è finito che l’assenza ingiusta di qualcuno colpisce con più violenza. È quando credi di aver dato tutto il dolore che potevi concepire che ne arriva una nuova forma – quella sottile delle piccole cose che sono tornate come prima e che, allo stesso tempo ed inevitabilmente, non possono più esserlo.
Essere eroi vale davvero tutto questo?
Guarda il sorridente fagottino di vestiti impiastricciati di omogeneizzato.
“Comincio a pensare che sia inutile. Non può ricordare e riconoscere persone che non ha mai conosciuto, o quasi.”
No, non credo.
E poi, in silenzio, a capo chino, sale lentamente le scale. Il rumore di una porta che si chiude e, se si tendono bene le orecchie nell’improvviso, rinnovato silenzio, il rumore dell’acqua che scroscia gentilmente.
Ron torna ad osservare quello che considera a tutti gli effetti come suo nipote, lo imbocca ancora una volta e gli pulisce con il bavaglino il mento, tamponandolo piano.



Dopo svariati bavaglini, tovaglioli e Gratta e Netta, senza considerare i due barattoli di omogeneizzato alla frutta che gli impiastricciano i capelli, un Ron alquanto provato si chiude alle spalle la porta della camera in penombra, non senza aver osservato con Teddy – per questa volta lo perdona – Hermione dormire rannicchiata su di un fianco, nell’altra stanza. In una mano, nascosto da un paio di copertine e dal dolce peso del passeggero, stringe qualcosa.
Approfittando di un momento di torpore del bambino, lo cambia, lo infila nel pigiamino e lo culla un po’, passeggiando lentamente, in circolo, in un movimento rilassante non solo per Teddy.
L’occhio gli cade sul fasciatoio, dove ha lasciato l’oggetto che ha portato su con sé.
“Magari è anche inutile, ma…” borbotta tra sé. “Perché no?”
Sposta un orsetto sulla mensola di fronte al lettino e vi sistema la cornice color pastello, raddrizzandola un poco in quella che ritiene essere una migliore angolazione.
“Hn? Che te ne pare?”
Come risposta un gorgoglio di difficile interpretazione – ed un’energica tirata di capelli.
“Va bene, va bene!” Capitola infine. “Mi arrendo. Okay, Teddy, è ora di fare la nanna.” Ora che nessuno è presente, può perfino schioccargli un bacio sulla fronte. “Che ne dici?”
Papa!
Lo osserva accigliato.
“Cosa?”
Tendendo l’orecchio per assicurarsi che Hermione non si sia svegliata e non sia nei paraggi, ché di sicuro non apprezzerebbe, lo scuote appena.
“Cos’hai detto?”
Ma Teddy si limita a fissarlo con i suoi occhietti vispi e viola elettrico, prima di tentare di infilargli un ditino su per il naso. Allontanandolo repentinamente da sé, Ron scuote il capo, lo adagia con delicatezza nel lettino, lo copre con cura e si rialza.
È in quel momento che lo vede sorridere, estasiato, di un sorriso sdentato, e puntare un dito verso qualcosa alle sue spalle, i capelli di un rosa acceso.
La foto.
“Pappa!”
“No, non vuol dire che ogni volta che c’è quella foto sia ora della pappa. Ed ora, shh, dormi…” sospira con voce quasi inaudibile, carezzandogli delicatamente una guancia.
Dopo qualche minuto, Teddy batte le palpebre una, due volte, gli occhi velati di sonno e della stanchezza delle scoperte quotidiane di un bimbo di dodici mesi; apre e stringe le manine e se le strofina pigramente in viso.
Ron sorride, poggia il mento sul braccio e resta ad osservare il piccolo che si dimena un po’, apre gli occhi un’ultima volta, le palpebre pesanti, ed indica ancora in direzione di quell’unica foto.
Il suo, alla fine, è solo un balbettio assonnato.
Ma-ma-mama.















Disclaimer: I personaggi qui citati appartengono di diritto a mamma Rowla, non ho scritto questa storia a scopo di lucro (ovviamente ^^), non si ritiene leso alcun copyright.

NdA: Ma sì, svergognamoci ^^’’
Una stupidaggine buttata giù non so neppure io perché e che, per sventura, è sfuggita al Cestino (la maiuscola se la merita tutta). Non mi esprimo oltre (meglio ^^’’). Grazie a chiunque vorrà lasciare un parere ^^.
*raccoglie le capre tibetane con un fischio e torna a meditare*
   
 
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