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Autore: superpoltix    23/12/2014    1 recensioni
Andrea Libero sogna di fare la scrittrice. Anche Federico Allegri lo sogna. E cosa c'è di meglio di superare un blocco dello scrittore insieme?
"-Ehi Fede! Guarda qui!- chiamai, tirando il mio amico per un braccio.
Lui scattò su come una molla e guardò il computer. -Uh? Cos'è?- strizzò gli occhi per leggere meglio. Quella testa di carciofo non si era di nuovo messa gli occhiali.
-”Vuoi scrivere un libro ma non hai ispirazione? Clicca qui per scoprire come vincere il blocco dello scrittore!”- lessi. Poi guardai Federico. -Secondo te è un virus?-
Non rispose subito. -Ce l'hai un antivirus?-
-Sì.-
-E allora clicca.-
[...]
-Ora qualcuno mi spiega cosa sta succedendo.-
-Non lo so...- si guardò intorno sconcertato. Poi mi si avvicinò e mi sfiorò il braccio con la mano. -Dì, sei sicura che non fosse un virus?-"
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Federico affondò le dita nella terra, sconvolto. I suoi occhi erano fissi verso il basso, cercando disperatamente un segno di vita sul fondo del canyon, ma l'unica cosa che videro, furono le ruggenti rapide trascinare via zolle di terreno e alcune assi del ponte crollato. Ma dell'unica cosa, o meglio, persona, di cui gli importasse in quel momento non c'era nessuna traccia.
-Andrea!- chiamò, disperato. Non voleva credere che fosse morta. No, non poteva, non doveva esserlo.
-Andrea!- ripeté, ancora più forte. Una strana sensazione di gelo gli iniziò ad arrotolare lo stomaco.
Fidia gli si posò accanto. Il suo viso era pallido e pietrificato. Socchiuse le labbra come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Si limitò ad appoggiare la sua piccola mano sulla coscia destra di Federico.
Lui continuava a gridare al vuoto e al fiume, con lo sguardo perennamente puntato in giù. Continuò a chiamare il nome di Andrea finché non gli fece male la gola, e anche allora continuò. Gli occhi gli pungevano e le sue viscere sembrava avessero deciso di mettersi a giocare a twister. Nonostante il sole splendesse su di lui, l'unica senzazione che gli trasmetteva era quella di un gelo penetrante, che gli arrivava fino alle ossa. Quando non ebbe più voce per gridare, continuò a farlo nella sua mente. E il nome era sempre quello. Andrea. Andrea. Andrea.
Fidia lo tirò piano per l'orlo della maglietta. La sua presa era tremolante e la sua voce quando gli parlò, suonò terribilmente forzata e roca.
-Non possiamo restare troppo tempo qui.- disse, gli occhi bassi per non incrociare il suo sguardo -Verranno altri mostri come quello.-
Federico restò immobile.
Il piccolo custode decise di giocare un'ultima carta per convincerlo, seppur anche lui non volesse lasciare quel posto. -Dev'essere caduta nel fiume. Probabilmente ormai non è più qui sotto. Probabilmente ormai sarà già sdraiata su qualche spiaggia a maledire noi e il nostro ritardo.- sembrò di sembrare ottimista.
-No. Non è caduta nel fiume. Dev'essere qui sotto da qualche parte.- Federico continuò a fissare il vuoto sotto di lui.
-Non c'è niente qui sotto- rispose Fidia, con la voce strozzata. -Ma posso andare a controllare, se è questo che vuoi.-
Federico annuì. Ormai anche solo parlare gli procurava tanto dolore come se qualcuno gli artigliasse la gola.
Fidia volò lentamente verso il basso, tenendosi a qualche metro dalla parete per esaminarla meglio. La ispezionò in lungo e in largo, con una meticolosità quasi paranoica, ma tutto si verificò inutile. Sconsolato e scuro in volto, tornò da Federico. Non ci fu nemmeno bisogno di parole, fu sufficente uno sguardo. Il folletto gli poggiò una mano sulla spalla, anche se non era ben sicuro nemmeno lui se lo facesse per dare coraggio al ragazzo o a sé stesso. Quello restò fermo ancora per un istante, poi lentamente si alzò. Farlo gli costò una fatica immane e non solo per i graffi e i tagli che le piante velenose gli avevano procurato in precedenza. Quel gesto significava perdere le speranze di ritrovarmi (anche se sto narrando dal punto di vista di Federico e Fidia non dimenticatevi di me! Sono sempre io, Andrea, a raccontare), di abbandonarmi al mio destino, di... “tradirmi” in un certo senso (che non è il senso che alcuni furbacchioni tra di voi vogliono intendere).
-Non voglio dire che non...- Fidia s'interruppe a metà, non volendo dire ciò che entrambi pensavano, cioè che non mi avrebbero più rivisto -seguiremo il corso del fiume. E vedrai che quando la ritroveremo avrà pure il coraggio di accoglierci con una sfuriata per averci messo tanto.-
-L'hai già detto.- gracchiò Federico, cupo. Senza aggiungere altro, si voltò dall'altra parte e cominciò a camminare allontanandosi dal dirupo.
-Dove vai? Dobbiamo seguire il...-
-Lo so. Solo che non posso più sopportare la sua vista.-
-Ma così non potremmo vedere dov'è Andrea e...- le parole gli morirono in gola. Con esitazione, Fidia gli si accostò e lo guardò in faccia. -Non pensi che la rivedremo, vero?-
Lui in risposta, lo scacciò via come se fosse un insetto particolarmente fastidioso e continuò imperterrito ad avanzare.
Il piccolo folletto dopo ciò ritenne più saggio restare in silenzio e non irritarlo ulteriormente. Camminarono, o meglio, Federico camminò per un lungo tempo sulla terra secca e arida, alzando una leggera nuvola di polvere ad ogni passo, mentre il custode lo seguiva a qualche metro di distanza da lui, restando in volo. Il sole batteva costantemente sulle loro teste, arroventando i capelli e facendoli grondare di sudore. Il povero cervello dei due, già messo a dura prova dagli ultimi avvenimenti, a causa di quel caldo terribile, cominciò a fare le bizze. Il mio amico iniziò a vedere alcuni cactus con addosso cappelli messicani o da cow-boy, muoversi e bere da delle noci di cocco. Una di quelle piante di si avvicinò e di offrì la sua noce, dandogli con un ramo un'affettuosa pacca sulla spalla. A quel punto sobbalzò e si afferrò il baccio. I solchi lasciati dalle spine dei rovi erano diventati di uno strano colorito sul fucsia e gli pungevano come se qualcuno ci avesse appoggiato sopra tanti piccoli spilli e si stesse divertendo a conficcarglieli sempre più a fondo nella pelle.
Fidia invece si vide passare davanti un'intera parata di gente travestita da tutto ciò che potesse essere anche vagamente relazionato con il ghiaccio, la neve e il freddo. Vide persone travestite da ghiaccioli e da coni gelato, altre vestite da yeti che ballavano con i pattini e persino un Babbo Natale con tanto di slitta e renne che lanciava regali a destra e a sinistra.
-È una mia impressione o vedo cose che non dovrebbero essere qui?- commentò rocamente Federico, osservando i cactus iniziare a ballare il can-can tutti insieme a cerchio intorno a loro. Incredibilmente, aveva deciso di mettere da parte la sua irritazione di prima con lui e di ricominciare a parlare.
-Beh...- Fidia schivò un tricheco con un cappellino a cono da festa di compleanno che di stava scivolando addosso su del ghiaccio inesistente -effettivamente, non so quanto possano essere reali.-
Il mio amico cercò di concentrarsi sul folletto, e i cactus iniziarono a sbiadire dalla sua visuale. Quando ritenne di essere sufficentemente lucido, si osservò intorno. Erano nel bel mezzo di un mare di dune sabbiose, senza nemmeno l'ombra di un canyon. -Oh no.- Federico si portò le mani ai capelli, scompigliandoli. -Non va bene. Non va bene per niente.-
-Sono d'accordo.- rispose Fidia, annuendo convinto -quella sottospecie di pinguino non dovrebbe vestirsi in quel modo. È al limite della decenza.-
-Cosa?- il mio amico sbatté le palpebre, confuso. Bastò solo quell'istante che i cactus ballerini tornassero a danzargli attorno, sfiorandolo pericolosamente con i loro fusti irti di spine. Quella volta però alcuni avevano anche degli strumenti musicali e suonavano allegramente “In fondo al mar” mentre altri bevevano da lattine di fanta o di birra. La gola di Federico cominciò a protestare. A furia di gridare gli si era irritata e con il caldo la sete non aveva fatto che peggiorare le cose. Avrebbe dato di tutto per poter avere un sorso di aranciata.
Fidia invece era completamente assorto nella parata dei pinguini. Ogni branco era vestito in modo diverso ed erano tutti capeggiati da una pulcinella di mare, che era quella conciata alla maniera più strana di tutti. In testa aveva una parrucca riccia sull'arancione acceso, come quella di alcuni clown, poi indossava un tutù rosa da danza classica, delle scarpe da Superpippo che dovevano essere almeno tredici volte la sua taglia e un mantello rosso con la scritta “Chi mi ama mi segua” in giallo evidenziatore. Di fianco ai pinguini, alcune orche nuotavano nell'aria e si passavano l'un l'altra come se fosse una palla un piccolo omino travestito da iceberg, accusandolo di aver fatto affondare il Titanic. Fidia si asciugò con un braccio il sudore che di colava lungo la fronte, desiderando come non mai di poter essere anche lui al fresco e non in quell'afoso e caldo deserto. Sfortunatamente i suoi sogni di frescura vennero bruscamente interrotti da Federico, che, dopo aver inseguito per un buon tratto un cactus con i baffi per rubargli la lattina di Coca-Cola, gli si era schiantato addosso. Il piccoletto venne scaraventato a terra di testa, affondando fino alla cintura nella sabbia. Dopo aver sca lciato inutilmente per un paio di volte, riuscì a liberarsi. Si batté la mano diverse volte su un orecchio, con la testa inclinata da un lato per far uscire la sabbia che di si era infilata nel condotto uditivo. -Ehi! Fai un po' di attenzione a dove vai, bisonte! Con la tua immensa delicatezza mi hai fatto riempire i vestiti di sabbia!- subito dopo aver pronunciato la seconda frase, realizzò che non erano più nelle vicinanze del canyon e che si erano completamente persi. Le sue visioni polari erano scomparse e l'unico brivido che provava ora era quello della certezza di essere sperduti nel nulla.
-Fede!- esclamò -dobbiamo tornare indietro!-
-Giusto!- confermò quello, cercando di agguantare l'aria e poi osservando con profondo disappunto le sue mani vuote -dobbiamo convincerla a tornare indietro nel mare. Non può mica andare da quella brutta...- sembrò esitare sul termine da usare -strega- si arrese alla fine, anche se sembrava più propenso ad usare un'altra parola.
-Ma di che parli?- Fidia spiccò il volo e lo strattonò per la maglia. -Dobbiamo tornare al fiume!-
-Al fiume? Al mare vorrai dire!- lo cercò di scacciare distrattamente mentre parlava -Forza piccoletto, balla con noi! La cucaracha, la cucaracha!- e iniziò ad muoversi imitando qualcose che avrebbe dovuto essere un ballo.
-Fede! Avanti riprenditi! Non devi lasciarti conquistare dalle tue fantasie!- il folletto lo tirò per i capelli, deciso a farlo rinsavire.
L'altro però sembrava non essere d'accordo con lui. Si agitò bruscamente e scompostamente le mani sulla testa e borbotto qualcosa di incomprensibile rivolto al custode. La sua gola di bruciava dall'arsura e i cactus proprio in quel momento si stavano tuffando in una mega piscina con di scivoli e i gonfiabili galleggianti, mentre alcune palme servivano loro delle rinfrescanti bibite ghiacciate da bere. Quella visione era fin troppo allettante perché Federico la volesse abbandonare. -Cameriere!- gridò -una bottiglia di acqua! La prego!-
-Federico!- lo chiamò ancora Fidia -svegliati! Riprenditi!-
-Cameriere! Sono io che ho parlato, non il cactus in bikini!-
Il custode sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Doveva trovare un rimedio a quel pasticcio, e in fretta. Improvvisamente, un'idea gli guizzò nel suo cervellino abrustolito. -Acqua! Acqua fresca a metà prezzo!- esclamò, imitando il tono dei venditori ambulanti in spiaggia. Il trucco funzionò subito.
-Dove? Dov'è l'acqua a metà prezzo?- chiese Federico, come risvegliandosi da un sogno.
Fidia fece per dire che era dal fiume, quando il suo sguardo si posò su una figura che ricordava fin troppo bene. -Laggiù...- disse, senza neanche farlo apposta.
Il mio amico si girò e sgranò gli occhi. Poi, un sorriso a trentadue denti di illuminò il viso. -Un Autogrill!- esclamò, tutto contento. E senza ulteriori indugi, prese a correre nella sua direzione.
Al folletto non restò che seguirlo, senza riuscire a capacitarsi come quell'Autogrill si fosse potuto materializzare nel bel mezzo di un deserto. Un pessimo presentimento iniziò a tormentargli lo stomaco. -No... no...- mormorò, iniziando a sudare freddo -non entrare nell'Autogrill! Mi hai sentito? Non entrare!- gridò, ma Federico non lo ascoltò nemmeno, anzi, accelerò ancora di più la sua corsa sfrenata. Sembrava aver completamente dimenticato la precedente esperienza con l'Autogrill assassino.
In effetti, la sua mente in quel momento era completamente stravolta. Prima lo shock di avermi perduta, poi il sole cocente e le visioni dei cactus... insomma, chiunque avrebbe perso il lume della ragione dopo aver visto dei cactus in abiti succinti o in costume da bagno. In quel momento, l'unica cosa che il suo cervello sfinito voleva, era dell'acqua e un po' di riposo. A circa cento metri dall'Autogrill però, i cactus di si pararono davanti, minacciosi e decisi a non farlo passare. Lui li fissò spaesato. -Andiamo ragazzi!- si giustificò -è a metà prezzo!- Alcuni cactus iniziarono a far oscillare pericolosamente delle mazze da baseball, come se avessero un'improvvisa voglia di adoperarle su qualcosa di diverso da una palla.
Contemporaneamente, Fidia si ritrovò circondato da pinguini, omini-ghiacciolo e orche volanti. Tutti lo fissavano con aria ferita e ostile, come se avesse appena detto che la parrucca del capo della loro parata non si intonava con il tutù. Con uno sforzo di volontà, si impose di non far loro caso e di raggiungere Federico, ma non appena ebbe sfiorato la gigantesca pancia di un tricheco, quello si contorse e si deformò orribilmente, diventando un mostro gelatinoso dal colore bluastro. Il folletto si tirò indietro immediatamente, spaventato. Uno a uno, tutti i simpatici animaletti buffo-vestiti cominciarono a cambiare forma e a diventare degli sgorbi gelatinosi e bavosi dagli occhi bianchi. Sembravano essere composti da una sostanza tra il liquido e il solido, poiché dal loro corpo colava una specie di bava nerastra che li avvolgeva completamente. Per semplificare le cose, immaginatevi un budino. Ora immaginatevi un budino blu. Adesso prendetelo e mettetelo cinque minuti nel microonde. Bene, dopo aggiungete a quello che rimane del budino della saliva di un San Bernardo mista a petrolio e benzene. Più o meno quello che ne uscirebbe fuori sarebbe simile alla consistenza di quei mostriciattoli. Oh, e se al terzo minuto si è fuso il microonde va ancora meglio. Ma ora torniamo a Fidia e a quello squinternato del mio amico, poiché anche Fede aveva avuto modo di fare la conoscenza di quegli sbausciosi esseri (sempre se esista il termine “sbausciosi”. Trovo che sia particolarmente azzeccato). Anche lui, come Fidia, ne era stato circondato e per provare a scappare per raggiungere l'Autogrill aveva tentato di spintonare via un cactus, rivelando poi la vera natura delle sue visioni.
-Aiuto!- gridò, con una voce acuta sette volte più del normale -dei cactus si sono traformati in lumache giganti che vogliono uccidermi!-
Fidia, attirato dai suoi strilli, si voltò nella sua direzione, e finalmente poté vedere anche lui gli esseri che lo avevano tormentato fino a condurlo alla pazzia. Con un impeto di coraggio, il folletto si lanciò tra due mostri gelatinosi e volò più veloce che poté in aiuto di Federico, senza curarsi minimamente della sua taglia in confronto a quella dei nemici o alle sue possibilità di successo. In un attimo fu al suo fianco e gli si posò su una spalla. Le gelatine che aveva lasciato indietro emisero degli strani rumori gorgoglianti, poi strisciarono in un modo inspiegabilmente rapido fino ad aggiungersi a quelle che già li accerchiavano. Quelli più vicini allungarono delle zampe simili a quelle di una mantide verso di loro, emettendo orribili versi schioccanti e di risucchio. Federico iniziò a farfugliare cose sul fatto di dover salvare Ariel e Sebatian dalle grinfie del cuoco e si rannicchiò leggermente su sé stesso. Fidia cercò nuovamente una soluzione a quella scomoda situazione. Come poteva evitare di venire fagocitato da una massa informe di gelatine blu?
-Fede- ripeté, con il tono più severo e serio che riuscisse ad avere in quel momento -l'acqua è in saldo.-
-In... saldo?- lui tirò su col naso, e gli indirizzò uno sguardo pieno di speranza.
I mostri informi nel frattempo si avvicinavano ancora di più, soffiando minacciosamente al modo dei gatti e gorgogliando.
-Sicuro.- continuò il custode, con la voce tremante -devi solo entrare nell'Autogrill.- nonostante non fosse esattamente entusiasta di entrare in un altro Autogrill, in quel momento gli sembrava l'unica cosa sensata da fare. Dopotutto se quei mostri si erano frapposti tra loro ed esso, forse non potevano entrarci. Subito dopo aver formulato quel pensiero di parve ancora più stupido di prima.
Federico guardò l'edificio. -Devo correre. Sono bravo a correre.- si voltò verso Fidia, con uno sguardo più stralunato del solito. -Lo sai perché sono bravo?-
Le gelatine erano fin troppo vicine. Fidia era sul punto di accettare il fatto di stare per diventare lo spuntino di un mostro molliccio blu. -Perché?- domandò, sconsolato.
-Perché ho le gambe.-
Il folletto fece appena in tempo ad attaccarsi al bordo del collo della maglietta di Federico, che lui partì a tutta velocità tra i mostri informi dritto verso l'Autogrill. Quando le sue mani e le sue braccia toccarono quegli esseri gelatinosi per farsi spazio e superarli, le sue mani sprofondarono di alcuni centimentri all'interno del loro corpo, e quando ne uscirono erano copletamente ricoperte da una sostanza trasparente e vischiosa, come se quei mostri ci avessero sbavato sopra. Fidia chiuse gli occhi e si strinse a Federico, pregando silenziosamente che andasse tutto bene. Sentì il mio amico insultare Ursula e tutti i suoi tentacoli e lo sentì correre via veloce come il vento. Sentì anche i mostri gorgogliare ed emettere orribili versi irati e infine, sentì delle porte aprirsi e chiudersi di botto.
La corsa di Federico si fermò.
Fidia aprì piano piano gli occhi, incredulo. Ce l'avevano fatta. Possibile che fosse stato tutto così semplice? Spiccò il volo e si fermò a guardare attraverso la porta di vetro dell'Autogrill, lasciando Federico libero di andare a cercare la sua acqua in saldo. Il mostri avevano circondato l'intero edificio, ma non appena cercavano di toccare un muro, una finestra o di entrare in qualsiasi modo, dal punto toccato partiva una scarica di luce bianca che li fulminava. Il piccoletto non poteva crederci. L'Autogrill li stava aiutando! La sua ipotesi era corretta!
-Mammaaa!- gridò Federico. Un fragoroso rumore di decine di bottiglie che cadevano a terra seguì immediatamente alla chiamata.
Il folletto si voltò verso di lui, per rimproverarlo della sua disattenzione, ma invece di trovarsi un Federico ricoperto da una montagna di bottiglie, si ritrovò davanti un ragazzo sconosciuto che cercava di non inciampare tra le “Uliveto e Rochetta, acque della salute” e delle “Powerade” dai colori più improbabili. Inevitabilmente però, scivolò su un Estathe al limone da un litro e capitombolò a terra. Subito Federico di saltò addosso gridando “yu-huuu!” e gli si sedette sulla sua schiena, immobbilizzandolo.
-No! No! Vi prego, lasciatemi andare!- supplicò quello -non uccidetemi vi prego! Non mangiatemi!-
Fidia di si avvicinò, stupito, incuriosito e impaurito al tempo stesso, mentre Federico si gongolava tutto contento e ripetendo “ho preso il cuoco, mamma!”.
-Chi sei?-
Quello smise di divincolarsi e strabuzzò di occhi dalla sorpresa. -Aspettate... voi... voi  non siete dei personaggi delle mie storie?-

  
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