Wanderlust.
“Ciao,
Ashton.
Non so dove sei di
preciso adesso. Forse sei a Londra, forse sei a New York, vi muovete
così
velocemente che ho perso la cognizione dello spazio.
Quest’anno è il
vostro anno. Siete esplosi come delle bombe, ma non avete fatto male a
nessuno,
probabilmente avete salvato qualche vita senza nemmeno saperlo.
Non mi hai chiamato
molto – non come avevi promesso almeno – ma non te
ne faccio una colpa. Avete
fatto un sacco di concerti, registrato quattro video e un cd live e so
che sei
stato molto impegnato.
La mia vita è
ancora la stessa, lavoro ancora al negozio di fiori di mia madre, ma
questo lo
sai già.
Te l’ho detto il
giorno in cui sono venuta a trovarti in ospedale quando avevi
l’appendicite, io
volevo che mi descrivessi le città che avevi visitato e le
persone che avevi
incontrato e tu continuavi imperterrito a chiedermi di quei dannati
fiori e
delle stramaledette persone che li compravano.
Dicevi che ti
mancava l’Australia, io ti dicevo che mi mancava il mondo. Tu
hai riso, ma non
mi hai descritto né New York, né Los Angeles,
né tanto meno l’Italia.
La terra dei miei
avi continua a rimanere un cliché da cartolina per colpa
tua, pentiti,
sciagurato!
Adesso immagino che
riderai immaginandoti la mia faccia.
Ho parlato con tua
madre, dice che sarai a casa per Natale.
Bene, perché questa
volta non ho intenzione di mollare sulla descrizione delle
città.
Questa volta dovrai
dirmi come sono, in modo da immaginarmi là insieme a te.
Perché manchi e
tanto.
Non è però questo
il posto per parlare di queste cose, so già che quei tre
cretini leggeranno la
mail mentre tu starai dormendo. Il posto giusto è quella
vecchia casa
disabitata vicino alla spiaggia, quella a cui tu hai riparato la tv e
la radio
e in cui abbiamo passato tante notti della nostra adolescenza prima che
conoscessi loro e anche dopo.
No, ragazzi. Questo
appuntamento è solo per me e Ash.
Vi voglio bene, ma
non siete invitati.
Sorry.
So che sei
impegnato quindi la finisco qui, ci vediamo il ventisette dicembre alla
casa
alle undici di notte. Nel frattempo divertiti più che puoi e
salutami Cal, Luke
e Mickey.
Ti voglio
bene.
Daria.”
Con un ultimo “click” spedisco la mail e poi
sbadiglio
sonoramente. Uno sguardo all’orologio mi dice che sono le due
di mattina ed è
ora di andare a letto se voglio essere efficiente con i clienti.
Sospirando, spengo il portatile e mi metto a letto.
I miei pensieri sono tutti per una testa bionda ricciuta.
Io e Ash siamo cresciuti insieme, da quando –
all’asilo – i suoi occhi
verde-castani si sono incrociati con i miei occhi azzurri. Da allora
non ci
siamo più mollati.
Io mi chiamo Daria De Falco e lavoro nel negozio di fiori
di mia madre da quando ho finito il liceo. Dico sempre che odio questo
lavoro,
che un giorno girerò il mondo con la mia macchina
fotografica, ma in realtà
creare composizioni sta iniziando a piacermi e sto diventando anche
bravina.
Non male per una tatuata e con due piercing sulle guance
e un septum, direbbe mia madre, come se avere il corpo decorato ti
fottesse il
cervello!
Mi rigiro un po’ nel letto e poi cado in un sonno che mi
trasporta dritta in una casa sulla spiaggia.
{Sono le undici di
sera e sto camminando su
un sentiero
mezzo invaso dalle erbacce al buio, con la mia mano stretta in quella
di Ash,
che ha una torcia.
Se lo sapesse mia
madre mi ucciderebbe, pensa che io stia dormendo dalla mia amica Josie,
lontano
dai ragazzi. Pensa che a
quattordici
anni io sia troppo giovane per averne uno, io la penso in un altro modo.
Io voglio un
ragazzo e so anche chi voglio. Voglio Ashton.
È da qualche mese
che mi sono accorta che il compagno di giochi di una vita è
diventato
qualcos’altro. Non è più il ragazzo con
cui facevo gare in bici e giocavo a
calcio, cioè, lo è ancora, ma non solo.
È anche il ragazzo che vorrei
abbracciare, coccolare e soprattutto baciare, ma lui non mi ama.
O almeno credo.
Mi parla sempre di
una certa ragazza misteriosa che lo ha colpito, probabilmente deve
essere una
bomba sexy dell’uni perché rifiuta anche le
ragazze più fighe dell’ultimo anno
di liceo.
“Cazzo, Ash! Dove
stiamo andando?”
Gli dico ad alta
voce.
Ad un primo impatto
la situazione mi sembrava eccitante, come un’avventura dei
Goonies, adesso
inizio a essere un po’ spaventata. Siamo solo io e lui nel
bel mezzo del nulla
e non sono scema.
Quando la gente è
nel bel mezzo del nulla può fare cose strane.
“Lo vedrai tra
poco, non ti starai cagando in mano?”
Io assumo un
cipiglio spavaldo.
“Io? Ma
figuriamoci!”
“Non so, mi hai dato questa impressione.”
Io sbuffo sdegnata,
ma segretamente spero che questa marcia finisca presto. A un certo
punto
intravvedo una casa e Ash si ferma proprio lì, davanti a una
vecchia casa
diroccata.
Mi tende la pila.
“Fai luce sul
tappeto e vediamo se ho culo.”
Faccio come dice e lui alza il tappeto polveroso e poi raccoglie una
vecchia
chiave annerita facendo scappare una colonia di ragni.
“Ma sei scemo?
Potevano essere velenosi o poteva esserci un serpente la
sotto!”
Lui ride.
“Cagasotto!”
Infila la chiave nella toppa e dopo qualche rumorosissimo giro la porta
si
apre. La casa è buia e polverosa, ma lui sembra conoscerla
bene. Con passi
sicuri si dirige verso il salotto e poi mi indica di sedere sul divano.
“Sembri conoscere
molto bene questo posto.”
Commento
guardandomi in giro curiosa, c’è un camino con una
mensola che ospita delle
vecchie foto.
“Oh, sì. È il mio
posto segreto.”
“Perché non me l’hai mai detto,
stronzo?”
“Perché altrimenti
non sarebbe più stato segreto, no?
Ci sono venuto
spesso a pensare alla ragazza che mi piace.”
“Avanti, sputa il rospo! Chi è?
Una
dell’università? Per lei stai rifiutando tutte
quelle dell’ultimo anno.”
Lui ride.
“È qui davanti a
me.”
Io rimango un attimo in silenzio ad assimilare la notizia, in questa
casa ci
siamo solo io e lui quindi…
“Sono io?”
“Sì, zucca dura!”
Io lo guardo senza
parole, ma in certe occasioni le parole non servono e Ash lo ha capito,
perché
si siede accanto a me e mi bacia con trasporto.
“Daria, vuoi essere
la mia
ragazza?”
“Sì.”
Rispondo semplicemente e riservando solo a lui il più grande
dei mie sorrisi.
Quello della
felicità pura.}
Mi sveglio di buon umore, ho
sognato quando io e Ash ci
siamo messi insieme.
È un bel ricordo, io lo amo ancora e so anche che per lui
è lo stesso, solo non siamo ancora pronti per le relazioni a
distanza. Cioè, io
sono pronta ad aspettarlo anche per duecento anni, è lui che
non si sente
pronto, ma un giorno lo sarà.
Conosco Ashton, un bel giorno si stuferà di questa
situazione e spero correrà da me, se mi dovesse lasciare
sarebbe la fine.
Controllo le mail dal mio smartphone e noto che lui mi ha
risposto.
“Ciao,
Daria.
Manchi anche tu e
tanto, ma non dico molto. Avevi ragione, le tre pettegole hanno letto
la mail
mentre dormivo, è da quando sono sveglio che mi prendono in
giro.
Va bene, ci vediamo
a casa nostra.
Forse ti racconterò
delle città e dei posti che ho visto o forse no.
Mi piace vederti
imbronciata per causa mia. Cal, Luke e Mickey ti salutano.
Ti voglio bene.
Ash.”
Io sorrido come una scema e poi mi
faccio una doccia e
mangio la mia colazione con mia madre che mi fa fretta. Dice che mi
sveglio
sempre troppo tardi
perché la sera sto
troppo al computer e che dovrei smettere di sperare che Ashton torni da
me.
Secondo lei se ne è andato per non ritornare quando
è partito con gli One Direction,
io la penso diversamente.
Lei crede che il nostro sia stato uno di quegli amori
adolescenziali non destinati a durare, io so che lui è la
mia anima gemella.
Lui capisce al volo quando qualcosa non va – senza bisogno
che io glielo dica –
e sa esattamente come consolarmi.
È quello perfetto, deve solo capirlo.
Arriviamo al negozio di fiori e lo apriamo.
Passo una mattinata intera a creare mazzi, ascoltando
chiacchiere di gente di cui non mi importa nulla. L’unica che
ascolto
volentieri e a cui parlo è Malikoa, la sorella di Calum,
è felice perché
finalmente vedrà suo fratello.
Anche io sono felice più o meno per lo stesso motivo.
Verso mezzogiorno entra una mia vecchia compagna di
liceo, che compra un vaso di primule dopo avermi lanciato
un’occhiata velenosa.
Non sono mai stata molto popolare a scuola, erano tutte invidiose di
Ashton.
{“Ma
guarda quella!
Chi si crede di essere?
Come cazzo ha fatto
a prendersi Ashton?
Per me l’ha
minacciato!”
“Hai ragione,
Hanna.
Non riesco a capire
cosa ci trovi in lei, guarda quei piercing sulle guance! Sono la cosa
più
brutta che abbia mai visto in vita mia.”
Io me la rido ascoltando questi commenti invidiosi, stringendo
più forte la
mano di Ash nella mia.
“Abbiamo proprio
fatto scandalo, eh?”
“Sì ed è meraviglioso.”
Replico io con un sorriso di trionfo. Sono sempre stata la ragazza
maltrattata
perché era troppo grassa o troppo magra, per il colore
scialbo dei capelli e
per i piercing.
Questi pettegolezzi
mi ripagano di un po’ di anni di umiliazione, ma in fondo non
mi importa molto.
L’unico di cui mi
importa mi sta stringendo la mano ora.}
Durante la pausa pranzo vado a
mangiare un panino sempre
allo stesso caffè.
È quello a cui andavamo io e lui dopo la scuola per
riprenderci dalle fatiche di un’intera giornata. Mi siedo
allo stesso tavolo e
ordino lo stesso panino, quello al tonno, che ordinavo quando venivo
con lui.
La proprietaria sa di questa mia mania e mi sorride indulgente dietro
al
bancone.
{È
una fredda
serata di agosto.
Il fiato si
condensa in tante nuvolette illuminate dalla luce bianca della tv della
vecchia
casa. Ashton l’ha riparata e abbiamo scoperto che
è in bianco e nero e così
quando è accesa riempie la casa di violenti squarci di luce
e pozze profonde di
buio.
Oggi non ha ancora
aperto bocca e mi chiedo perché, di solito non sta mai zitto.
“Daria, devo dirti
una cosa.
È arrivato il
momento in cui ti devo dedicare “Dear
God.””
Io sobbalzo.
Ha detto un sacco
di volte che se sarebbe diventato famoso e poi andato in tour mi
avrebbe
dedicato “Dear God” degli Avenged Sevenfold per
farmi capire che io sarei
sempre stata nel suo cuore.
“Oh, mio Dio! Ash!
Significa che
andrai in tour, sono così felice per te!”
Lo abbraccio con
trasporto, ma lui non sembra felice.
“Sì, io e i ragazzi
apriremo il tour degli One Direction.
Lo so che ti fanno
schifo, ma siamo stati notati da uno di loro.”
“Qual è il problema, Ash?”
Lui non mi guarda
negli occhi, si torce nervosamente le mani e guarda un punto indefinito
fuori
dalla finestra.
“Io non posso
continuare questa relazione.”
Il cuore mi si spezza in microscopici pezzi di vetro che mi soffocano.
“No-non mi ami
più?”
Lui mi prende le
mani.
“No, Daria.
Non è questo, è che
non saprei gestire una relazione a distanza, non ora. Ti amo,
però, ti amo come
il giorno in cui ti ho chiesto di diventare la mia ragazza.
Ti amo perché sei
la sola che mi capisce con uno sguardo, che sa lasciarmi i miei spazi e
non si
sente minacciata dalla musica.
Amo il tuo sorriso
perché solo io posso vederlo, amo i tuoi piercing
perché ti fanno un sorriso
più largo e felice, amo i tuoi capelli lunghi
perché ci posso giocare.
Ti amo, ma non
posso portarti con me e non riuscirei a sentirti solo via skype.
Sono un ragazzino
immaturo, non ce la fa…”
Io gli metto un
dito sulle labbra, le lacrime scorrono sulle mie guance.
“Ti aspetterò fino
a quando non sarai maturato.
Ti aspetterò fino
al giorno in cui mi dirai che non ce la fai a stare
senza di me e ti basterà anche solo vedermi
via skype per essere felice.
Ti aspetterò, te lo
giuro.
E se ti dovessi
rendere conto che non sono io la ragazza per te, sarai sempre il mio
migliore
amico.”
Lui mi abbraccia e ci scambiamo l’ultimo bacio.
Arrivederci, Ash.
Rispetto la tua
decisione, ti seguirò da lontano, come una madre apprensiva
con il suo
cucciolo, come un’innamorata timida.
Ci sarò dove tu mi
vuoi, basta che tu mi voglia.}
“Mani in alto!”
Una voce carica di rabbia mi strappa dalle mie fantasie,
un uomo vestito di nero e con un passamontagna punta un mitra verso di
noi.
“Questo locale da adesso fa parte dell’ISIS e voi
infedeli verrete uccisi se non farete quello che vi diciamo.
Alzatevi!”
Io mi alzo con le mani in alto ben visibili per
nascondere la ragazzina dietro di me che sta chiamando la polizia.
“Tu! Ferma!”
Un altro uomo si accorge di lei e le strappa il
telefonino dalle mani e la spintona a terra e poi comunica al
poliziotto che
ora il bar è parte dell’ISIS, così come
lo sono i clienti, e che non hanno
paura di ucciderci.
Il mio cuore si ferma per un attimo, la paura si
impossessa lentamente di me.
Se mi uccideranno non potrò mai più vedere Ashton
e non
posso morire senza
prima averlo visto
un’ultima volta.
“A terra!”
Io mi butto per terra, guancia a guancia contro il
pavimento, tremando come una foglia.
Non voglio non vederlo mai più, voglio dirgli che lo amo
almeno un’altra volta, augurargli buona fortuna e che lo
proteggerò da lassù.
“Cosa ti prende?
Perquisiscila!”
Un uomo mi strappa borsa di mano e la rovescia, poi mi
mette le mani addosso.
“Non ha niente, capo. Se non questa.”
Porge all’altro uomo la mia collana.
“No, ti prego. Ridammela.”
Mi zittisce con una sberla, l’altro apre il medaglione e
guarda la foto con me e Ash.
“È il tuo ragazzo? Potresti non rivederlo mai
più, sai?
Potresti diventare una delle mie vergini in paradiso.”
“Per favore, ridammi quel medaglione. Per te non vale
niente, per me vale la mia vita.”
Con un gesto sprezzante me lo lancia e io lo stringo tra
le mani, lasciando che le lacrime escano dai miei occhi.
Come ci sono finita in questa situazione?
Volevo solo mangiare un panino e adesso sono qui per
terra senza sapere se uscirò viva da qui. Vorrei poter
abbracciare mia madre e
dirle che le voglio bene, anche se non mi capisce, vorrei abbracciare
forte
Ashton e i ragazzi.
Fuori, intanto, è arrivata la polizia. Sento dei
tentativo di negoziazione, ma sono vani: questi pazzi sono determinati
a non
lasciarci andare, anzi prendono la ragazzina dietro di me, la portano
alla
finestra e le puntano un’arma alla tempia.
Ho paura.
Ho veramente paura.
Inizio a pregare per la mia anima e a ricordare, perché
–
se non uscirò viva di qui – voglio morire con
petali di lui nella testa.
{“Ash,
non ci posso
credere! Hai riparato la tv!”
Lo guardo orgogliosa, illuminato com’è dalla luce
della tv in bianco e nero.
“Non solo!”
Tiene in mano una
vecchia radio e me la mostra orgoglioso. Schiaccia un pulsante e dalle
casse
escono le note di una vecchia canzone rock.
“Wow! Sei un figo!
Magari possiamo trovare una stazione che trasmetta i blink!”
“No, voglio sentire
i Rolling Stone.”
Io metto il broncio, a lui non piacciono i blink a me non piacciono i
Rolling
Stone.
Dopo parecchi
litigi la manopola della radio si ferma su una frequenza che trasmette
“Dear
God” degli Avenged Sevenfold.
“Quando sarò in
tour e sarò famoso, te la dedicherò. Se non ti
potrò proteggere io, quale
migliore protezione di Dio?”}
Già, quale migliore
protezione?
Me lo chiedo freneticamente osservando questi uomini
armati di mitra che sono disposti a combattere con altri uomini armati
di
mitra.
È un attimo, il tentativo di formulare un pensiero, che la
porta viene violentemente buttata giù e i poliziotti entrano
con le loro armi
in pugno.
È un infermo di fuoco, ci sono pallottole che volano
ovunque e urla spaventate. Io mi metto le mani sulle orecchie e urlo
fino a
farmi andare via la voce.
Per sapere che sono ancora viva.
Per buttare fuori la paura.
Per non impazzire del tutto.
Un dolore lancinante a un fianco pone fine al mio urlo,
stupita mi tocco il punto che mi fa male e sento qualcosa di umido
sulla
maglia.
Sangue.
Mi hanno colpita.
Forse ora sarò io a proteggere Ash, diventerò il
suo
angelo a pochi giorni dal Natale. Mi tolgo la maglia e la premo sulla
ferita,
fino a quando non perdo i sensi.
“E poi
c’è Los Angeles, Daria.
Dovresti vederla, fa sempre caldo, ma ogni tanto si alza
un vento dall’oceano e si sta bene. Ci sono lunghi viali di
palme nel centro.
Danno una piacevole frescura anche quelle, infatti ci sono tanti
caffè che
hanno i tavolini fuori.
Ci sono le colline a proteggerla e quella che spicca di
più è quella con la scritta
“Hollywood”, sembra una specie di santo protettore.
Sulle colline ci vivono i ricchi, che possono stare in pace senza
essere troppo
lontani dalla città. Spesso scoppiano degli incendi e sulla
città grava un
odore acre e si vedono gli elicotteri dei pompieri.
Ci sono dei sobborghi sterminati di casette basse con il
loro pezzo di giardino davanti, abitati da tante persone diverse con
storie
diverse che non conosco.
C’è il mare, ma non è come quello di
Sidney, lì sembra
solo un effetto speciale aggiunto a una cartolina.
Se la guardi di notte dalle finestre di un grattacielo
vedi le strade e sono dei serpenti luminosi che si contorcono su
sé stessi
infinite volte. Sono autostrade piene di macchine che viaggiano
indifferenti ai
grattacieli, ai sobborghi, alle palme e a tutto.
Ti ci porterò, prenderemo qualcosa a uno starbuck e poi
ci siederemo a uno dei tavolini sui viali con le palme."
La voce di Ashton arriva da molto lontano, con uno sforzo
tremendo tento di muovere una mano, ma non ci riesco. Riesco solo a
vederlo
dall’alto che parla, ha gli occhi rossi e i capelli
scompigliati.
Vorrei dirgli che sono qui e che lo sento, ma non sono
ancora in grado. Cullata dal suono della sua voce torno del nero.
“E poi c’è l’Italia. Non
l’ho vista tutta, sono stato
solo a Milano.
È una città grigia e indaffarata, piena di gente
che
parla velocemente al telefono, di macchine e di tram. Bisogna stare
attenti
quando si attraversa la strada o si rischia di finire
all’ospedale.
Ho visto il duomo e la sua piazza. È piena di piccioni e
di gente da ogni dove, ho sentito parlare un sacco di lingue e ho visto
comitive ordinate di cinesi e giapponesi fare le foto.
C’era tanto rumore, ma quando sono entrato nella chiesa
è
sparito, assorbito da quello spazio senza tempo. È bello,
sai?
Ci sono le vetrate che proiettano riflessi colorati sul
pavimento, storie dimenticate di santi, ci sono le colonne decorate e
lontanissimo l’altare. Ci sono anche le cappelle e una tomba
di non so chi.
Ti sarebbe piaciuta.
Poi sono uscito e il casino è tornato, sono andato nella
galleria Vittorio Emanuele e ho visitato i negozi e ho fatto una strana
cosa.
Hanno un rito lì, sai?
Se giri tre volte su te stesso pestando sui testicoli di
un toro di una certa piastrella sarai fortunato, l’ho fatto
anche io. La
piastrella ha una specie di buco lì, sai?”
No, non lo so, ma grazie per avermelo raccontato.
Provo di nuovo a muovere il braccio e questa volta ci
riesco. Allora provo ad aprire gli occhi e la mia palpebra si alza solo
di un
millimetro anche se ci ho messo tutta la mia forza di
volontà.
Ash se ne accorge anche perché tutti i macchinari a cui
sono attaccata iniziano a fare un casino d’inferno.
Arrivano dottori e
infermiere e finalmente il mio corpo mi viene restituito.
Finalmente
tutto il manicomio finisce e torno a essere sdraiata a letto nella mia
camera
quieta. Mi sto giusto godendo la pace quando qualcuno bussa
delicatamente alla
porta.
Il mio cuore salta un abito, riconoscerei quel modo di
bussare ovunque
Ashton.
“Avanti!”
La mia voce è ancora debole e rauca, ma lui la sente lo
stesso.
Si siede su una sedia, ma io gli faccio cenno di sedersi
sul letto.
“Ciao, Daria.”
“Ciao, Ash.
Che giorno è oggi?”
“È Natale, piccola.”
Risponde lui spostandomi una ciocca di capelli e sorridendomi. Amo le
sue
fossette.
“Sei stata dieci giorni in coma, un proiettile vagante ti
aveva colpito allo stomaco.
Mi dispiace di non averti raccontato nulla l’ultima volta
che ci siamo visti. Sono stato uno…”
Io gli appoggio un dito sulle labbra: sono secche e mi
accorgo che la barba lunga.
Lui con la barba, non so perché il pensiero mi fa
sorridere, per me sarà sempre il bambino biondo che giocava
a pallone con me.
“Ti ho sentito, ti ho sentito quando mi hai descritto Los
Angeles e Milano.”
Lui sorride debolmente.
“Volevo dirti una cosa il giorno che ci saremmo dovuti
vedere.”
“Dimmi.”
“Mi manchi e ti amo. Non posso più fare un altro
tour così.
Io… Daria, ti amo.
Ti amo come ti amavo a quattordici anni e non sapevo un
cazzo dell’amore. Ho imparato molto sull’amore
stando da solo, lo sai?
Adesso so che non posso più lasciare che le mie paure
abbiano la meglio.
Io ti amo, vorrei tornare a essere il tuo ragazzo e mi
piacerebbe che tu venissi in tour con noi l’anno
prossimo.”
Io sorrido, lo attiro e lo bacio come non l’ho mai baciato,
con passione, con
urgenza.
“Ti amo, Ash.
Ti amo più della mia stessa vita.
Sì, voglio essere la tua ragazza e, sì, voglio
venire in
tour con te.
Non avresti potuto farmi un regalo di Natale migliore, ti
amo.”
Ci baciamo ancora e questa volta sento che è venuto per
restare.
La mia attesa è finita.
Angolo di Layla
Questa one shot mi è venuta in mente ascoltando "Those nights" degli Skillet a cui si è poi aggiunto l'atto terroristico di Sidney.
Spero vi piaccia.
Vi auguro buon Natale
Questa è Daria.