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Autore: Layla    25/12/2014    1 recensioni
Mi sveglio di buon umore, ho sognato quando io e Ash ci siamo messi insieme.
È un bel ricordo, io lo amo ancora e so anche che per lui è lo stesso, solo non siamo ancora pronti per le relazioni a distanza. Cioè, io sono pronta ad aspettarlo anche per duecento anni, è lui che non si sente pronto, ma un giorno lo sarà.
Conosco Ashton, un bel giorno si stuferà di questa situazione e spero correrà da me, se mi dovesse lasciare sarebbe la fine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Wanderlust.

“Ciao, Ashton.
Non so dove sei di preciso adesso. Forse sei a Londra, forse sei a New York, vi muovete così velocemente che ho perso la cognizione dello spazio.
Quest’anno è il vostro anno. Siete esplosi come delle bombe, ma non avete fatto male a nessuno, probabilmente avete salvato qualche vita senza nemmeno saperlo.
Non mi hai chiamato molto – non come avevi promesso almeno – ma non te ne faccio una colpa. Avete fatto un sacco di concerti, registrato quattro video e un cd live e so che sei stato molto impegnato.
La mia vita è ancora la stessa, lavoro ancora al negozio di fiori di mia madre, ma questo lo sai già.
Te l’ho detto il giorno in cui sono venuta a trovarti in ospedale quando avevi l’appendicite, io volevo che mi descrivessi le città che avevi visitato e le persone che avevi incontrato e tu continuavi imperterrito a chiedermi di quei dannati fiori e delle stramaledette persone che li compravano.
Dicevi che ti mancava l’Australia, io ti dicevo che mi mancava il mondo. Tu hai riso, ma non mi hai descritto né New York, né Los Angeles, né tanto meno l’Italia.
La terra dei miei avi continua a rimanere un cliché da cartolina per colpa tua, pentiti, sciagurato!
Adesso immagino che riderai immaginandoti la mia faccia.
Ho parlato con tua madre, dice che sarai a casa per Natale.
Bene, perché questa volta non ho intenzione di mollare sulla descrizione delle città.
Questa volta dovrai dirmi come sono, in modo da immaginarmi là insieme a te.
Perché manchi e tanto.
Non è però questo il posto per parlare di queste cose, so già che quei tre cretini leggeranno la mail mentre tu starai dormendo. Il posto giusto è quella vecchia casa disabitata vicino alla spiaggia, quella a cui tu hai riparato la tv e la radio e in cui abbiamo passato tante notti della nostra adolescenza prima che conoscessi loro e anche dopo.
No, ragazzi. Questo appuntamento è solo per me e Ash.
Vi voglio bene, ma non siete invitati.
Sorry.
So che sei impegnato quindi la finisco qui, ci vediamo il ventisette dicembre alla casa alle undici di notte. Nel frattempo divertiti più che puoi e salutami Cal, Luke e Mickey.

Ti voglio bene.

 

Daria.”

 
Con un ultimo “click” spedisco la mail e poi sbadiglio sonoramente. Uno sguardo all’orologio mi dice che sono le due di mattina ed è ora di andare a letto se voglio essere efficiente con i clienti.
Sospirando, spengo il portatile e mi metto a letto.
I miei pensieri sono tutti per una testa bionda ricciuta. Io e Ash siamo cresciuti insieme, da quando – all’asilo – i suoi occhi verde-castani si sono incrociati con i miei occhi azzurri. Da allora non ci siamo più mollati.
Io mi chiamo Daria De Falco e lavoro nel negozio di fiori di mia madre da quando ho finito il liceo. Dico sempre che odio questo lavoro, che un giorno girerò il mondo con la mia macchina fotografica, ma in realtà creare composizioni sta iniziando a piacermi e sto diventando anche bravina.
Non male per una tatuata e con due piercing sulle guance e un septum, direbbe mia madre, come se avere il corpo decorato ti fottesse il cervello!
Mi rigiro un po’ nel letto e poi cado in un sonno che mi trasporta dritta in una casa sulla spiaggia.

 
{Sono le undici di sera e sto camminando  su un sentiero mezzo invaso dalle erbacce al buio, con la mia mano stretta in quella di Ash, che ha una torcia.
Se lo sapesse mia madre mi ucciderebbe, pensa che io stia dormendo dalla mia amica Josie, lontano dai ragazzi. Pensa che  a quattordici anni io sia troppo giovane per averne uno, io la penso in un altro modo.
Io voglio un ragazzo e so anche chi voglio. Voglio Ashton.
È da qualche mese che mi sono accorta che il compagno di giochi di una vita è diventato qualcos’altro. Non è più il ragazzo con cui facevo gare in bici e giocavo a calcio, cioè, lo è ancora, ma non solo. È anche il ragazzo che vorrei abbracciare, coccolare e soprattutto baciare, ma lui non mi ama.
O almeno credo.
Mi parla sempre di una certa ragazza misteriosa che lo ha colpito, probabilmente deve essere una bomba sexy dell’uni perché rifiuta anche le ragazze più fighe dell’ultimo anno di liceo.
“Cazzo, Ash! Dove stiamo andando?”
Gli dico ad alta voce.
Ad un primo impatto la situazione mi sembrava eccitante, come un’avventura dei Goonies, adesso inizio a essere un po’ spaventata. Siamo solo io e lui nel bel mezzo del nulla e non sono scema.
Quando la gente è nel bel mezzo del nulla può fare cose strane.
“Lo vedrai tra poco, non ti starai cagando in mano?”
Io assumo un cipiglio spavaldo.
“Io? Ma figuriamoci!”
“Non so, mi hai dato questa impressione.”
Io sbuffo sdegnata, ma segretamente spero che questa marcia finisca presto. A un certo punto intravvedo una casa e Ash si ferma proprio lì, davanti a una vecchia casa diroccata.
Mi tende la pila.
“Fai luce sul tappeto e vediamo se ho culo.”
Faccio come dice e lui alza il tappeto polveroso e poi raccoglie una vecchia chiave annerita facendo scappare una colonia di ragni.
“Ma sei scemo? Potevano essere velenosi o poteva esserci un serpente la sotto!”
Lui ride.
“Cagasotto!”
Infila la chiave nella toppa e dopo qualche rumorosissimo giro la porta si apre. La casa è buia e polverosa, ma lui sembra conoscerla bene. Con passi sicuri si dirige verso il salotto e poi mi indica di sedere sul divano.
“Sembri conoscere molto bene questo posto.”
Commento guardandomi in giro curiosa, c’è un camino con una mensola che ospita delle vecchie foto.
“Oh, sì. È il mio posto segreto.”
“Perché non me l’hai mai detto, stronzo?”
“Perché altrimenti non sarebbe più stato segreto, no?
Ci sono venuto spesso a pensare alla ragazza che mi piace.”
“Avanti, sputa il rospo! Chi è?
Una dell’università? Per lei stai rifiutando tutte quelle dell’ultimo anno.”
Lui ride.
“È qui davanti a me.”
Io rimango un attimo in silenzio ad assimilare la notizia, in questa casa ci siamo solo io e lui quindi…
“Sono io?”
“Sì, zucca dura!”
Io lo guardo senza parole, ma in certe occasioni le parole non servono e Ash lo ha capito, perché si siede accanto a me e mi bacia con trasporto.
“Daria, vuoi essere la  mia ragazza?”
“Sì.”
Rispondo semplicemente e riservando solo a lui il più grande dei mie sorrisi.
Quello della felicità pura.}

 

Mi sveglio di buon umore, ho sognato quando io e Ash ci siamo messi insieme.
È un bel ricordo, io lo amo ancora e so anche che per lui è lo stesso, solo non siamo ancora pronti per le relazioni a distanza. Cioè, io sono pronta ad aspettarlo anche per duecento anni, è lui che non si sente pronto, ma un giorno lo sarà.
Conosco Ashton, un bel giorno si stuferà di questa situazione e spero correrà da me, se mi dovesse lasciare sarebbe la fine.
Controllo le mail dal mio smartphone e noto che lui mi ha risposto.

“Ciao, Daria.
Manchi anche tu e tanto, ma non dico molto. Avevi ragione, le tre pettegole hanno letto la mail mentre dormivo, è da quando sono sveglio che mi prendono in giro.
Va bene, ci vediamo a casa nostra.
Forse ti racconterò delle città e dei posti che ho visto o forse no.
Mi piace vederti imbronciata per causa mia. Cal, Luke e Mickey ti salutano.
Ti voglio bene.

 
Ash.”

Io sorrido come una scema e poi mi faccio una doccia e mangio la mia colazione con mia madre che mi fa fretta. Dice che mi sveglio sempre troppo  tardi perché la sera sto troppo al computer e che dovrei smettere di sperare che Ashton torni da me. Secondo lei se ne è andato per non ritornare quando è partito con gli One Direction, io la penso diversamente.
Lei crede che il nostro sia stato uno di quegli amori adolescenziali non destinati a durare, io so che lui è la mia anima gemella. Lui capisce al volo quando qualcosa non va – senza bisogno che io glielo dica – e sa esattamente come consolarmi.
È quello perfetto, deve solo capirlo.
Arriviamo al negozio di fiori e lo apriamo.
Passo una mattinata intera a creare mazzi, ascoltando chiacchiere di gente di cui non mi importa nulla. L’unica che ascolto volentieri e a cui parlo è Malikoa, la sorella di Calum, è felice perché finalmente vedrà suo fratello.
Anche io sono felice più o meno per lo stesso motivo.
Verso mezzogiorno entra una mia vecchia compagna di liceo, che compra un vaso di primule dopo avermi lanciato un’occhiata velenosa. Non sono mai stata molto popolare a scuola, erano tutte invidiose di Ashton.

{“Ma guarda quella! Chi si crede di essere?
Come cazzo ha fatto a prendersi Ashton?
Per me l’ha minacciato!”
“Hai ragione, Hanna.
Non riesco a capire cosa ci trovi in lei, guarda quei piercing sulle guance! Sono la cosa più brutta che abbia mai visto in vita mia.”
Io me la rido ascoltando questi commenti invidiosi, stringendo più forte la mano di Ash nella mia.
“Abbiamo proprio fatto scandalo, eh?”
“Sì ed è meraviglioso.”
Replico io con un sorriso di trionfo. Sono sempre stata la ragazza maltrattata perché era troppo grassa o troppo magra, per il colore scialbo dei capelli e per i piercing.
Questi pettegolezzi mi ripagano di un po’ di anni di umiliazione, ma in fondo non mi importa molto.
L’unico di cui mi importa mi sta stringendo la mano ora.}

Durante la pausa pranzo vado a mangiare un panino sempre allo stesso caffè.
È quello a cui andavamo io e lui dopo la scuola per riprenderci dalle fatiche di un’intera giornata. Mi siedo allo stesso tavolo e ordino lo stesso panino, quello al tonno, che ordinavo quando venivo con lui. La proprietaria sa di questa mia mania e mi sorride indulgente dietro al bancone.

{È una fredda serata di agosto.
Il fiato si condensa in tante nuvolette illuminate dalla luce bianca della tv della vecchia casa. Ashton l’ha riparata e abbiamo scoperto che è in bianco e nero e così quando è accesa riempie la casa di violenti squarci di luce e pozze profonde di buio.
Oggi non ha ancora aperto bocca e mi chiedo perché, di solito non sta mai zitto.
“Daria, devo dirti una cosa.
È arrivato il momento in cui ti devo dedicare “Dear God.””
Io sobbalzo.
Ha detto un sacco di volte che se sarebbe diventato famoso e poi andato in tour mi avrebbe dedicato “Dear God” degli Avenged Sevenfold per farmi capire che io sarei sempre stata nel suo cuore.
“Oh, mio Dio! Ash!
Significa che andrai in tour, sono così felice per te!”
Lo abbraccio con trasporto, ma lui non sembra felice.
“Sì, io e i ragazzi apriremo il tour degli One Direction.
Lo so che ti fanno schifo, ma siamo stati notati da uno di loro.”
“Qual è il problema, Ash?”
Lui non mi guarda negli occhi, si torce nervosamente le mani e guarda un punto indefinito fuori dalla finestra.
“Io non posso continuare questa relazione.”
Il cuore mi si spezza in microscopici pezzi di vetro che mi soffocano.
“No-non mi ami più?”
Lui mi prende le mani.
“No, Daria.
Non è questo, è che non saprei gestire una relazione a distanza, non ora. Ti amo, però, ti amo come il giorno in cui ti ho chiesto di diventare la mia ragazza.
Ti amo perché sei la sola che mi capisce con uno sguardo, che sa lasciarmi i miei spazi e non si sente minacciata dalla musica.
Amo il tuo sorriso perché solo io posso vederlo, amo i tuoi piercing perché ti fanno un sorriso più largo e felice, amo i tuoi capelli lunghi perché ci posso giocare.
Ti amo, ma non posso portarti con me e non riuscirei a sentirti solo via skype.
Sono un ragazzino immaturo, non ce la fa…”
Io gli metto un dito sulle labbra, le lacrime scorrono sulle mie guance.
“Ti aspetterò fino a quando non sarai maturato.
Ti aspetterò fino al giorno in cui mi dirai che non ce la fai a stare  senza di me e ti basterà anche solo vedermi via skype per essere felice.
Ti aspetterò, te lo giuro.
E se ti dovessi rendere conto che non sono io la ragazza per te, sarai sempre il mio migliore amico.”
Lui mi abbraccia e ci scambiamo l’ultimo bacio.
Arrivederci, Ash.
Rispetto la tua decisione, ti seguirò da lontano, come una madre apprensiva con il suo cucciolo, come un’innamorata timida.
Ci sarò dove tu mi vuoi, basta che tu mi voglia.}

“Mani in alto!”
Una voce carica di rabbia mi strappa dalle mie fantasie, un uomo vestito di nero e con un passamontagna punta un mitra verso di noi.
“Questo locale da adesso fa parte dell’ISIS e voi infedeli verrete uccisi se non farete quello che vi diciamo. Alzatevi!”
Io mi alzo con le mani in alto ben visibili per nascondere la ragazzina dietro di me che sta chiamando la polizia.
“Tu! Ferma!”
Un altro uomo si accorge di lei e le strappa il telefonino dalle mani e la spintona a terra e poi comunica al poliziotto che ora il bar è parte dell’ISIS, così come lo sono i clienti, e che non hanno paura di ucciderci.
Il mio cuore si ferma per un attimo, la paura si impossessa lentamente di me.
Se mi uccideranno non potrò mai più vedere Ashton e non posso  morire senza prima averlo visto un’ultima volta.
“A terra!”
Io mi butto per terra, guancia a guancia contro il pavimento, tremando come una foglia.
Non voglio non vederlo mai più, voglio dirgli che lo amo almeno un’altra volta, augurargli buona fortuna e che lo proteggerò da lassù.
“Cosa ti prende?
Perquisiscila!”
Un uomo mi strappa borsa di mano e la rovescia, poi mi mette le mani addosso.
“Non ha niente, capo. Se non questa.”
Porge all’altro uomo la mia collana.
“No, ti prego. Ridammela.”
Mi zittisce con una sberla, l’altro apre il medaglione e guarda la foto con me e Ash.
“È il tuo ragazzo? Potresti non rivederlo mai più, sai?
Potresti diventare una delle mie vergini in paradiso.”
“Per favore, ridammi quel medaglione. Per te non vale niente, per me vale la mia vita.”
Con un gesto sprezzante me lo lancia e io lo stringo tra le mani, lasciando che le lacrime escano dai miei occhi.
Come ci sono finita in questa situazione?
Volevo solo mangiare un panino e adesso sono qui per terra senza sapere se uscirò viva da qui. Vorrei poter abbracciare mia madre e dirle che le voglio bene, anche se non mi capisce, vorrei abbracciare forte Ashton e i ragazzi.
Fuori, intanto, è arrivata la polizia. Sento dei tentativo di negoziazione, ma sono vani: questi pazzi sono determinati a non lasciarci andare, anzi prendono la ragazzina dietro di me, la portano alla finestra e le puntano un’arma alla tempia.
Ho paura.
Ho veramente paura.
Inizio a pregare per la mia anima e a ricordare, perché – se non uscirò viva di qui – voglio morire con petali di lui nella testa.

{“Ash, non ci posso credere! Hai riparato la tv!”
Lo guardo orgogliosa, illuminato com’è dalla luce della tv in bianco e nero.
“Non solo!”
Tiene in mano una vecchia radio e me la mostra orgoglioso. Schiaccia un pulsante e dalle casse escono le note di una vecchia canzone rock.
“Wow! Sei un figo! Magari possiamo trovare una stazione che trasmetta i blink!”
“No, voglio sentire i Rolling Stone.”
Io metto il broncio, a lui non piacciono i blink a me non piacciono i Rolling Stone.
Dopo parecchi litigi la manopola della radio si ferma su una frequenza che trasmette “Dear God” degli Avenged Sevenfold.
“Quando sarò in tour e sarò famoso, te la dedicherò. Se non ti potrò proteggere io, quale migliore protezione di Dio?”}

Già, quale migliore protezione?
Me lo chiedo freneticamente osservando questi uomini armati di mitra che sono disposti a combattere con altri uomini armati di mitra.
È un attimo, il tentativo di formulare un pensiero, che la porta viene violentemente buttata giù e i poliziotti entrano con le loro armi in pugno.
È un infermo di fuoco, ci sono pallottole che volano ovunque e urla spaventate. Io mi metto le mani sulle orecchie e urlo fino a farmi andare via la voce.
Per sapere che sono ancora viva.
Per buttare fuori la paura.
Per non impazzire del tutto.
Un dolore lancinante a un fianco pone fine al mio urlo, stupita mi tocco il punto che mi fa male e sento qualcosa di umido sulla maglia.
Sangue.
Mi hanno colpita.
Forse ora sarò io a proteggere Ash, diventerò il suo angelo a pochi giorni dal Natale. Mi tolgo la maglia e la premo sulla ferita, fino a quando non perdo i sensi.

 

“E poi c’è Los Angeles, Daria.
Dovresti vederla, fa sempre caldo, ma ogni tanto si alza un vento dall’oceano e si sta bene. Ci sono lunghi viali di palme nel centro. Danno una piacevole frescura anche quelle, infatti ci sono tanti caffè che hanno i tavolini fuori.
Ci sono le colline a proteggerla e quella che spicca di più è quella con la scritta “Hollywood”, sembra una specie di santo protettore. Sulle colline ci vivono i ricchi, che possono stare in pace senza essere troppo lontani dalla città. Spesso scoppiano degli incendi e sulla città grava un odore acre e si vedono gli elicotteri dei pompieri.
Ci sono dei sobborghi sterminati di casette basse con il loro pezzo di giardino davanti, abitati da tante persone diverse con storie diverse che non conosco.
C’è il mare, ma non è come quello di Sidney, lì sembra solo un effetto speciale aggiunto a una cartolina.
Se la guardi di notte dalle finestre di un grattacielo vedi le strade e sono dei serpenti luminosi che si contorcono su sé stessi infinite volte. Sono autostrade piene di macchine che viaggiano indifferenti ai grattacieli, ai sobborghi, alle palme e a tutto.
Ti ci porterò, prenderemo qualcosa a uno starbuck e poi ci siederemo a uno dei tavolini sui viali con le palme."
La voce di Ashton arriva da molto lontano, con uno sforzo tremendo tento di muovere una mano, ma non ci riesco. Riesco solo a vederlo dall’alto che parla, ha gli occhi rossi e i capelli scompigliati.
Vorrei dirgli che sono qui e che lo sento, ma non sono ancora in grado. Cullata dal suono della sua voce torno del nero.
“E poi c’è l’Italia. Non l’ho vista tutta, sono stato solo a Milano.
È una città grigia e indaffarata, piena di gente che parla velocemente al telefono, di macchine e di tram. Bisogna stare attenti quando si attraversa la strada o si rischia di finire all’ospedale.
Ho visto il duomo e la sua piazza. È piena di piccioni e di gente da ogni dove, ho sentito parlare un sacco di lingue e ho visto comitive ordinate di cinesi e giapponesi fare le foto.
C’era tanto rumore, ma quando sono entrato nella chiesa è sparito, assorbito da quello spazio senza tempo. È bello, sai?
Ci sono le vetrate che proiettano riflessi colorati sul pavimento, storie dimenticate di santi, ci sono le colonne decorate e lontanissimo l’altare. Ci sono anche le cappelle e una tomba di non so chi.
Ti sarebbe piaciuta.
Poi sono uscito e il casino è tornato, sono andato nella galleria Vittorio Emanuele e ho visitato i negozi e ho fatto una strana cosa. Hanno un rito lì, sai?
Se giri tre volte su te stesso pestando sui testicoli di un toro di una certa piastrella sarai fortunato, l’ho fatto anche io. La piastrella ha una specie di buco lì, sai?”
No, non lo so, ma grazie per avermelo raccontato.
Provo di nuovo a muovere il braccio e questa volta ci riesco. Allora provo ad aprire gli occhi e la mia palpebra si alza solo di un millimetro anche se ci ho messo tutta la mia forza di volontà.
Ash se ne accorge anche perché tutti i macchinari a cui sono attaccata iniziano a fare un casino d’inferno.
Arrivano dottori e  infermiere e finalmente il mio corpo mi viene restituito. Finalmente tutto il manicomio finisce e torno a essere sdraiata a letto nella mia camera quieta. Mi sto giusto godendo la pace quando qualcuno bussa delicatamente alla porta.
Il mio cuore salta un abito, riconoscerei quel modo di bussare ovunque
Ashton.
“Avanti!”
La mia voce è ancora debole e rauca, ma lui la sente lo stesso.
Si siede su una sedia, ma io gli faccio cenno di sedersi sul letto.
“Ciao, Daria.”
“Ciao, Ash.
Che giorno è oggi?”
“È Natale, piccola.”
Risponde lui spostandomi una ciocca di capelli e sorridendomi. Amo le sue fossette.
“Sei stata dieci giorni in coma, un proiettile vagante ti aveva colpito allo stomaco.
Mi dispiace di non averti raccontato nulla l’ultima volta che ci siamo visti. Sono stato uno…”
Io gli appoggio un dito sulle labbra: sono secche e mi accorgo che la barba lunga.
Lui con la barba, non so perché il pensiero mi fa sorridere, per me sarà sempre il bambino biondo che giocava a pallone con me.
“Ti ho sentito, ti ho sentito quando mi hai descritto Los Angeles e Milano.”
Lui sorride debolmente.
“Volevo dirti una cosa il giorno che ci saremmo dovuti vedere.”
“Dimmi.”
“Mi manchi e ti amo. Non posso più fare un altro tour così.
Io… Daria, ti amo.
Ti amo come ti amavo a quattordici anni e non sapevo un cazzo dell’amore. Ho imparato molto sull’amore stando da solo, lo sai?
Adesso so che non posso più lasciare che le mie paure abbiano la meglio.
Io ti amo, vorrei tornare a essere il tuo ragazzo e mi piacerebbe che tu venissi in tour con noi l’anno prossimo.”
Io sorrido, lo attiro e lo bacio come non l’ho mai baciato, con passione, con urgenza.
“Ti amo, Ash.
Ti amo più della mia stessa vita.
Sì, voglio essere la tua ragazza e, sì, voglio venire in tour con te.
Non avresti potuto farmi un regalo di Natale migliore, ti amo.”
Ci baciamo ancora e questa volta sento che è venuto per restare.
La mia attesa è finita.

Angolo di Layla

Questa one shot mi è venuta in mente ascoltando "Those nights" degli Skillet a cui si è poi aggiunto l'atto terroristico di Sidney.

Spero vi piaccia.

Vi auguro buon Natale



Questa è Daria.
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