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Autore: FrancescaPotter    25/12/2014    3 recensioni
Dal primo capitolo:"C'era una persona della quale la legge le impediva di innamorarsi. Una sola persona sulla faccia della terra e, ovviamente, Emma Carstairs si era innamorata proprio di quella persona. Si trattava del suo migliore amico, Julian Blackthorn. "
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, James Carstairs, Julian Blackthorn, Theresa Gray, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Veronica, che con le sue meravigliose parole mi ha fatto tornare la voglia di scrivere,

e a tutti voi, se ci siete ancora e avete piacere di continuare a leggere la mia storia.

Davvero, grazie mille.

Buon Natale.

 

 

Sinistra, destra. Concentrati, Emma. Un piede dopo l'altro: sinistra, destra...

Una volta sceso l'ultimo gradino si concesse di respirare. Per Emma, che era abituata a stivali e tenuta da combattimento, indossare abiti lunghi e scarpe con il tacco era sempre un'ardua sfida.

Si spazzolò la gonna con le mani e raddrizzò la schiena, pronta ad affrontare quell'incubo di serata, un singolo nome infestava la sua mente e, per una volta, non si trattava di Julian Blackthorn.

Stentava ancora a crederci: Camille Belcourt a Santa Monica!

Era una fortuna che la Regina delle Fate le avesse fatto quella soffiata, dato che -ad Emma costava molto ammetterlo- aveva quasi perso le speranze. Ma perché la Regina avrebbe dovuto aiutarla? Se c'era una cosa che aveva imparato con il tempo era che nessuno faceva niente se non aveva un tornaconto personale, in particolare le fate. Suo padre le diceva sempre di stare in guardia dal popolo fatato e di non fidarsi mai, per nessun motivo, di loro.

Attenta, Emma. Sentì la sua voce rimbombarle nelle orecchie. Per quanto quegli esseri possano sembrarti carini e affabili, sono le creature più meschine e manipolatrici del mondo magico. Sono capaci di offrirti la cosa che più desideri in modo da farti pentire di averla mai desiderata.

E così era successo; la Regina della Corte Seelie l'aveva letta come un libro aperto e aveva capito immediatamente il desiderio bruciante che provava ogni volta che Julian le stava vicino. Ci aveva messo meno di un battito di ciglia per farle rimpiangere di aver mai desiderato baciare il suo parabatai.

Eppure, nonostante gli avvertimenti del padre e della propria coscienza, doveva fidarsi delle Fate perché era l'unica pista che aveva, e stavolta sentiva che era quella giusta.

Con la mente da un'altra parte, stava per varcare la soglia della sala delle feste, dalla quale proveniva un leggero e melodioso motivo classico, quando si sentì chiamare:«Signorina Carstairs.»

Emma si voltò un po' troppo veloce e per poco non ruzzolò per terra. «Signor Whitelaw, buonasera.» Sorrise e si appoggiò con nonchalance al muro, sperando di sembrare il più naturale possibile e non una che aveva appena rischiato una brutta distorsione alla caviglia per colpa di un paio di scarpe assassine.

L'uomo diede un'occhiata veloce all'orologio ed imprecò a bassa voce. «Anche tu in ritardo, Emma? Maledizione, sono stato trattenuto da un demone Marax giù dalle parti di Downtown. Sentiamo, qual è la tua scusa?»

Oh, niente, ero impegnata ad escogitare un piano per vendicare la morte dei miei genitori, uccidendo uno dei vampiri più pericolosi e famosi che ci siano mai stati in circolazione che, per inciso, è creduto morto da tutto il Conclave e che io, da Shadowhunter diligente quale sono, dovrei denunciare al Console. Niente di che, insomma.

«Le solite cose da ragazze, non riuscivo a sistemare i capelli.» Sbatté un paio di volte le ciglia con aria civettuola, pregando che non notasse quanto in effetti i suoi capelli facessero schifo. Per Raziel, i capelli! Non aveva avuto tempo di sistemarseli e...

«Joshua ti starà aspettando.» Le disse lui con lo sguardo perso, come se lo stesse cercando tra la folla di Shadowhunters che ballavano al centro della Sala delle Feste per assicurarsi che il suo bambino non fosse solo.

«Eeeeh, ma che cavolo...?» Si lasciò scappare Emma per poi morsicarsi il labbro.

Non poteva rispondere in quel modo ad un membro del Conclave così autoritario. Sarà anche stata impertinente e sarcastica come Jace, ma non aveva bisogno di attirare troppo l'attenzione su di lei, in particolare in quel momento con tutto ciò che stava accadendo nella sua vita. Tra Julian e Camille non sapeva quale segreto custodisse con più attenzione.

L'uomo alzò un sopracciglio con aria eloquente. In circostanze normali Emma gli avrebbe risposto con una scrollata di spalle, come per dire be', che vuoi? Ma conoscendo la severità e le idee conservatrici del Signor Whitelaw, un richiamo ufficiale dal lui per comportamento irrispettoso era l'ultima cosa che le serviva. Per questo cercò di rimediare al danno: «Ehm... cosa intende, Signore?»

«Intendo che non è appropriato presentarsi ad una festa senza la propria accompagnatrice. Cosa penserà la gente?» Sembrava molto indignato, ma mai quanto lo era Emma. Parlava come se lei fosse un oggetto che il figlio dovesse sfoggiare in società e fu costretta a fare ricorso da ogni fibra di buonsenso ed autocontrollo che possedeva per non mandarlo al diavolo.

«Sono sicura che Joshua se la starà cavando egregiamente anche senza di me.- Sibilò forzando un sorriso accondiscendente, sorvolando sul fatto che lei non era l'accompagnatrice di Joshua.

«Certamente. Sa come comportarsi il mio ragazzo, ma... e quello chi diamine sarebbe?» Il Signor Whitelaw sembrava avesse appena visto un fantasma, invece, aveva semplicemente notato che suo figlio stava parlando -filtrando?- con un giovane Shadowhunter messicano dai bellissimi capelli neri.

«Dovrebbe trattarsi di Diego Rosales, dall'Istituto di Città del Messico.» Lo informò Emma.

«Ma che stanno facendo?» Il Signor Whitelaw aveva assunto la stessa colorazione del vestito di Emma, la quale non poté trattenersi dal commentare con un risolino: «Stanno parlando... e sembra che Joshua apprezzi molto la compagnia di Diego.»

Infatti il ragazzo continuava a sorridere ammiccante e, quando lo straniero poggiò una mano sulla spalla del giovane Whitelaw, a Whitelaw senior prese un gran colpo. «Questo è inaccettabile!» Ringhiò furioso.

Afferrò Emma per il braccio con foga e la tirò a sé, i visi così vicini che la ragazza riusciva a percepire il fiato caldo e pesante dell'uomo sulla pelle.

«Stammi bene a sentire, ragazzina. Tu ora vai lì dentro e allontani all'istante mio figlio da quell'essere effeminato. Mi hai capito?»

Emma stava giusto per ordinargli di toglierle le sue sudice mani razziste di dosso, quando qualcuno la precedette.

«Fossi in lei mi allontanerei. Subito.»

Julian, con uno smoking nero, se ne stava lì, appoggiato allo stipite dell'imponente porta di ingresso, con le braccia incrociate e un'espressione spaventosamente calma sul viso, ma i suoi occhi erano scuri come un mare in tempesta.. «Mi ha sentito.» Ripeté, e con due falcate fu al fianco di Emma. «La lasci immediatamente se non vuole che faccia rapporto a Jem e a Tessa. Sono sicuro che saranno lieti di sentire come ha attaccato un membro del Conclave. Oh... guardi, il console Jia Penhallow, scommetto che anche lei sarà entusiasta di sentire questa storia.» Julian sorrise amabilmente e il signor Withelaw lasciò andare con riluttanza il braccio di Emma, che lo massaggiò di nascosto, non volendo far trasparire quanto effettivamente le avesse fatto male.

«Julian, ma che piacere vederti.» Lo salutò l'uomo. «Emma ed io stavamo solo scambiando quattro chiacchiere tra amici, non è così?»

Emma, in risposta, si limitò a scrollare le spalle.

«A me sembrava molto di più di questo. O forse lei strattona per un braccio e sibila minacciosamente contro tutti i suoi amici?»

E bravo, Jules!

Emma si fece un post it mentale di complimentarsi per il sarcasmo. Era strano questo tipo di comportamento da parte del suo parabatai, di solito lui era quello calmo e trasparente.

Il sorriso del Signor Withelaw crollò velocemente, come una marionetta alla quale sono tagliati i fili. Poggiò lo sguardo su Emma e poi su Julian e poi vice versa.

«Capisco...» Borbottò infine, per poi dare una pacca sulla spalla di Julian e andarsene, sparendo tra la folla degli invitati e ridacchiando tra sé e sè.

«Ah, e comunque!» Gli urlò dietro Emma, facendolo voltare. «Io non sono la ragazza di suo figlio! Anzi, penso proprio di non essere il suo tipo.» Il Signor Withelaw le rivolse un espressione carica di odio e poi se ne andò.

Emma sapeva che non avrebbe dovuto, ma doveva avere l'ultima parola. Nessuno poteva trattarla così, Shadowhunter o no.

«Che razza di idiota schifoso!» Sbottò un po' troppo ad alta voce voltandosi verso Julian per ricevere sostegno.

«Shht.» La rimbeccò invece lui avvicinando il dito indice alle labbra. «Hai già fatto abbastanza per oggi.»

«Chi, io?» Emma spalancò gli occhi e si mise le mani sui fianchi, sentiva i capelli drizzarsi sulla nuca. «Ti ricordo che è stato lui a minacciarmi! Io, per una volta in vita mia, non ho fatto proprio un bel niente!»

Incredibile, sempre la guastafeste, sempre quella che attaccava briga, sempre l'irresponsabile, anche quando non lo era.

«Non sto giustificando ciò che ha fatto, ma come mai era così infuriato? Perché, credimi, era particolarmente incazzato.» Julian aveva dato per scontato che lei fosse stata la causa dell'incazzatura del signor Withelaw, che fosse tutta colpa sua, di Emma stessa. Come sempre.

La ragazza gli rivolse uno sguardo assassino, gli occhi diventati ormai due fessure sottilissime. «Certo! Perché ovviamente io devo sicuramente aver fatto o detto qualcosa che lo abbia sconvolto a tal punto di mettermi quasi le mani addosso. Ovvio.»

Julian vacillò.

«Non è così?» Chiese abbassando lo sguardo.

«NO!» Urlò Emma tanto forte che alcuni degli invitati rivolsero loro occhiate inquisitorie.

Julian era a corto di parole e, quando finalmente alzò gli occhi su di lei, questi erano più verdi che mai. Emma lo vide veramente per la prima volta nell'intera serata. Prima non si era accorta delle occhiaie che gli cerchiavano gli occhi, o della stanchezza che aleggiava tutt'intorno a lui come un fitto velo di nebbia.

Si passò una mano sulla faccia e si appoggiò con la schiena al muro per sostenersi. «Suppongo di aver sbagliato a leggerti anche sta volta.» Disse chiudendo gli occhi e parlando con una voce talmente sottile da poter essere spazzata via da un filo di vento. «Ultimamente non so più cosa ti passi per la testa, o cosa fai, o cosa provi. Non sei mai stata brava nelle relazioni, ma pensavo che la nostra fosse diversa.»

«Lo è!» Emma gli si mise davanti e gli prese il volto tra le mani avvicinandolo al proprio. «Lo è!» Ripeté, poggiando la fronte alla sua.

«Scusa se ho dubitato di te.»

Emma scosse la testa. «Non scusarti.» Julian era tanto vicino che riusciva a vedere le pagliuzze azzurro tra le sue iridi verdi, così vicino che sentiva il suo respiro sulla pelle, dolorosamente vicino da risvegliare il bruciante desiderio di premere le labbra contro le sue.

Si allontanò di scatto.

«E' meglio che vada.» Borbottò, fissando il pavimento con insistenza; poi, con il cuore che batteva come un treno ad alta velocità, cercò di allontanarsi il più possibile da lui, perché altrimenti non sarebbe stata in grado di rispondere delle sue azioni.

 

 

«Tuo padre pensa che ci sia qualcosa tra te e Diego.»

«Co-cosa?» Joshua spalancò gli occhi e quasi si strozzò con il vino che stava bevendo.

Emma prese una sedia e ci si svaccò sopra, improvvisamente molto stanca. Joshua la imitò e le pose un bicchiere con aria preoccupata.

«Pensa che ci sia qualcosa tra voi e mi ha espressamente chiesto di tenerti lontano da lui.» Spiegò lei sbrigativa, vuotando il bicchiere con un grande sorso.

«Ma stavamo solo parlando.» Si affrettò lui a rispondere con le guance improvvisamente rosse.

«Lo so, faglielo capire. Lo conosci meglio di me, sai com'è fatto.» Tagliò corto Emma, massaggiandosi le tempie con due dita.

«Ma lui non può sapere, non può aver visto...» il ragazzo continuava a guardarsi intorno freneticamente e a far ballare la gamba su e giù, irritando oltremondo Emma. «Senti.» Gli disse mettendogli una mano sulla gamba per farlo stare fermo. «Non ti devi preoccupare. Tuo padre è uscito di testa solo perché ti ha visto parlare in modo troppo amichevole con lui, non penso che abbia altri indizi sulla vostra relazione, altrimenti avrebbe ucciso Diego con le proprie mani.»

«La nostra relazione!?» Urlò lui con voce assurdamente isterica e rischiando di strozzarsi con il vino che stava bevendo. «No. Non c'è niente tra me e lui. Niente di niente! No, a me piacciono le ragazze, Emma. Le ragazze.» Concluse con tono di voce decisamente più consono agli argomenti che stavano trattando.

Si capiva che non ci credeva nemmeno lui, ma Emma decise di dargli il beneficio del dubbio. Dopotutto, fino a mezz'ora fa era convinta di interessargli, magari suo padre aveva davvero frainteso tutto.

Gli shadowhunters non amavano l'omosessualità. La vedevano come un difetto, come un qualcosa che smorzava il loro spirito guerriero, tuttavia negli ultimi anni avevano ampliato molto le loro vedute, in particolare i più giovani. Restavano però ancora molti conservatori, dalla mentalità stretta e limitata, e il padre di Joshua era uno di loro.

Emma provò un po' di pena nei suoi confronti, con un padre così severo non doveva essere facile... be', almeno lui ha un padre, pensò poi con una punta di amarezza.

«Come vuoi.» Disse muovendo per aria una mano con fare sbrigativo. «Tuttavia, ti consiglio di cercare di fargli cambiare idea.»

«E sentiamo, desidereresti darmi una mano?» Le chiese lui con tono suadente avvicinando la sedia alla sua.

«Oh, no, per l'Angelo!» Lo allontanò con una risata Emma. «Il massimo che posso fare è concederti un ballo, Joshua Withelaw.»

«Vorrà dire che mi accontenterò, Emma Carstairs.» Fece lui alzandosi dalla sedia e inchinandosi davanti a lei. «Milady, vuole concedermi l'onore di questo ballo?»

Emma alzò gli occhi al cielo con un ghigno. «Se proprio insiste, Milord, sarò lieta di concedervi questo favore.» Prese la mano del ragazzo e, insieme, si mischiarono alla folla.

 

Joshua era un bravo ballerino ed Emma lo sapeva, ma non avrebbe mai pensato che fosse così bravo: era riuscito a far sembrare che anche lei se la cavasse, quando invece era negata.

«Wow.» Disse Emma senza fiato. «Non è stato poi tanto terribile.»

«Assolutamente fantastico.» Rispose Joshua sventolandosi la mano davanti al viso per farsi aria. «Non sei una ballerina così terribile come vuoi far credere. Ti serve solo qualcuno che sappia guidarti e tirar fuori il meglio di te.»

«Si certo, io dico che faccio pena e basta.» Emma si tolse una scarpa e iniziò a massaggiarsi il piede, mossa poco femminile, ma al diavolo! Aveva già fatto abbastanza per quella serata.

«Vado a prendere da bere, tu non scappare però.» Joshua le fece l'occhiolino e sparì presto dalla sua vista.

Non fece in tempo a rilassarsi che Julian spuntò dal nulla con un sorriso inquietante stampato in faccia.

«Balla con me.» La salutò senza troppe cerimonie.

«Che cosa?» Chiese Emma, sbigottita.

«Balla con me.» Ripetė Julian con semplicità.

«Non se ne parla.» Emma incrociò le braccia sotto il seno e guardò altrove, consapevole che se avesse continuato a fissare il suo parabatai negli occhi lui l'avrebbe convinta con un solo battito di ciglia a fare tutto ciò che voleva.

«Hai concesso un ballo a tutti stasera, adesso è il mio turno.» Continuò lui imperterrito, allungando una mano verso di lei.

«Non ho concesso...»

«Balla con me.» La interruppe di nuovo con semplicità. «Per favore.» Aggiunse poi con un sorrisetto, assumendo la sua faccia da cucciolo bastonato alla quale sapeva che Emma non avrebbe resistito. Era una dura, lei, ma Julian... per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche mettersi in ridicolo ad un ballo con presenti tutti i membri più illustri del Conclave. Per non parlare del fatto che anche Jace Herondale era uno degli ospiti, e la stava giusto osservando dall'altro lato della Sala con un ghigno malandrino disegnato sul volto. Emma gli fece una linguaccia e seguì Julian in pista alzando gli occhi al cielo. Julian, al contrario, sembrava un bambino in un negozio di caramelle: gli occhi gli brillavano come fari nell'oceano e il suo sorriso era così ampio da poter illuminare l'intera città.

La musica rallentò di colpo, e un quartetto d'archi iniziò a suonare una melodia lenta e un po' malinconica.

Julian le mise le mani dietro la schiena e l'avvicinò a sé, mentre Emma gli allacciò le sue attorno al collo.

Fu in quel momento che si rese conto che Julian era bello. Lo aveva sempre saputo e ne era sempre stata terribilmente consapevole, ma quella sera, lí nel mezzo della Sala dei Ricevimenti, si sentiva come se tutto il mondo fosse in bianco e nero, mentre loro brillavano nell'oscurità. Lo smoking gli metteva in risalto gli scompigliati capelli marroni, per non parlare degli occhi. Quegli occhi sarebbero stati in grado di rovesciare l'ordine cosmico dell'universo e di...

«A che cosa stai pensando?» Le sussurrò piano all'orecchio facendola rabbrividire impercettibilmente.

«A niente in particolare.» Mentì prontamente lei, come si era ormai abituata a fare per nascondere i suoi sentimenti illegali. Perché sí, sembra un'esagerazione ma quei pensieri andavano davvero contro la legge; se qualcuno le avesse letto la mente in quel momento, sarebbe stata sicuramente catturata e portata davanti al Console per un processo. Emma rabbrividí, questa volta violentemente.

«Hai freddo?» Julian le passò le mani su e giù lungo le braccia per riscaldarla, con il risultato che Emma rabbrividí ancora di più, ma non era per la temperatura. Riusciva infatti a sentire con accurata precisione ogni cellula toccata dal suo parabatai bruciare come fuoco ardente. Ogni suo tocco era calore, era tranquillità, era casa.

«Avrei dovuto prendere la giacca, ma ero in ritardo e l'ho dimenticata.» Spiegò spiccia, continuando a dondolare in cerchio stretta a Julian.

«Se Livvy ti avesse vista con la giacca della tenuta sopra l'abito ti avrebbe costretta a cambiarti di sicuro.» Fece notare lui, scoppiando poi a ridere.

La guardò un attimo negli occhi e poi poggiò la fronte sulla sua. «Bel vestito, a proposito.»

Emma sentì un'ondata di calore inondarle le guance, come un fiume in piena dopo la distruzione di una diga, e prese un bel respiro per cercare di rallentare il battito del suo cuore, che sembrava in procinto di uscirle fuori dal petto. Emma Carstairs non arrossisce, nemmeno per Julian Blackthorn, pensò.

«Be', c'é da dire che su di me sta bene tutto.» Sminuì il complimento in perfetto stile Jace Herondale.

Julian rise, e la sua risata le riempì le orecchie come una melodia angelica.

«Ovviamente sei sempre uno schianto, Emm.» Disse lui continuando a sorridere e continuando a premere la fronte sulla sua.

«Anche tu stai bene.» Azzardò lei guardandolo dal basso verso l'alto.

L'orchestra continuava a suonare e diverse coppie volteggiavano leggiadre attorno a loro, ma Emma non ci faceva caso. Esistevano solo Julian e le sue mani che si muovevano piano sulla sua schiena, premendola contro il suo petto; esisteva solo la sua fronte bruciare nei punti dov'era in contatto con quella di Emma; esisteva solo il suo profumo.

«Grazie.» Disse. «Sai, è così che si risponde quando ti fanno un complimento.»

Emma gli tirò un pizzicotto, smorzando un po' quell'atmosfera surreale che si era andata a creare.

Julian le diede un bacio sul naso e poi le sussurrò all'orecchio. «Ma tu non sei una ragazza ordinaria, tu sei la mia Emm.»

Emma lo abbracciò più forte. Non voleva lasciarlo andare più. Voleva stare con lui per sempre; il solo pensiero di Cloe che lo toccava, che lo baciava o che gli stava vicino la faceva i infuriare; il pensiero di qualsiasi ragazza con Julian non era sopportabile.

Non era giusto, non era assolutamente giusto. Loro erano cresciuti insieme: era stata lei ad asciugargli le lacrime quando era caduto dalla bicicletta la prima volta; era stato a lei che si era aggrappato durante la loro prima lezione di surf; ed era stata proprio lei a disegnargli quella runa maledetta sulla scapola. La runa dei parabatai, la fonte della sua salvezza e contemporaneamente quella della sua distruzione. Perché non poter stare con Julian la stava letteralmente riducendo in frantumi.

«Emm, mi sento così lontano da te ultimamente. Ti prego, non respingermi... odio vederti distante, lasciami entrare nella tua testa.» Il suo tono era disperato e ad Emma si appannò la vista. Julian stava soffrendo, ed era colpa sua: aveva fallito il suo compito. Quando i suoi genitori erano morti, e poi era diventata la parabatai di Julian, si era ripromessa che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per renderlo felice; che avrebbe distrutto ogni fonte di dolore per lui. Forse,a questo punto, l'unica soluzione per terminare la sofferenza di entrambi era quella di annientare se stessa.

«Oh, Jules...» Soffiò piano, non sapendo cosa dire. «Mi dispiace, mi dispiace così tanto.» Gli passò una mano tra i capelli all'attaccatura del collo, aggrappandosi a lui come se fosse uno scoglio nel bel mezzo di una tempesta.

«E allora perché tenermi all'oscuro? Dimmi quello che ti succede, Em, lo sai che io sono dalla tua parte, non importa cosa accadrà.»

Emma non lo vedeva in faccia, e ne era grata. Se lui l'avesse guardata in quel momento avrebbe capito; era convinta che avrebbe letto l'amore che la stava pian piano divorando dall'interno logorandole il cuore e le viscere. Avrebbe voluto urlargli la verità, ma non poteva. Perciò disse solo:«Ho ricevuto informazioni su Camille questa sera, prima del Ballo. Per questo ero in ritardo.»

Julian allentò leggermente la presa dalla vita di Emma e si allontanò quanto bastava per poter puntare incrociare il suo sguardo. Era serio e duro come il marmo.

«Te ne avrei parlato non appena fossimo stati da soli, lo giuro!- Si affrettò a puntualizzare Emma. «Non volevo rovinare questa serata, tutto qui.-

L'espressione di Julian si addolcì mentre le sistemava una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio.«Domani ne parliamo, sai che non sono d'accordo con questo tuo collaborare con le Fate, ma è la tua battaglia, e io sono con te.-

Emma non sapeva che cosa avesse fatto nella vita precedente per meritarsi una persona come Julian al suo fianco. Di sicuro qualcosa di buono per l'intera umanità, data la sua fortuna di avere un amico così fantastico, ma doveva aver commesso anche qualche atto terribile che l'aveva condannata a questa condizione di sofferenza, dove viveva costantemente vicino all'oggetto del suo desiderio senza neanche la speranza di poterlo mai avere.

Emma non aveva parole. Si limitò a poggiare la testa sulla sua spalla e a continuare a dondolare su se stessa, al ritmo della musica.

«Emma.» Julian pronunciò il suo nome come fosse l'unico che contava.

«Sí?» Rispose lei sollevando il capo e perdendosi nei suoi occhi.

Sentiva il suo respiro sulla pelle e non poté fare a meno di pensare che le sarebbe bastato alzarsi leggermente sulle punte dei piedi per baciarlo. Erano così vicino, eppure tremendamente lontano.

«Julian! Ti ho cercato dappertutto! Oh, Emma, ci sei anche tu...» Cloe spuntò fuori come un fungo dopo una giornata di pioggia, e tutto ciò che Emma desiderava era schiacciarla senza alcuna pietà.

Ovviamente era bellissima, stretta nel suo vestito argento che le metteva in risalto i capelli del colore del miele. «Devi assolutamente ballare con me, tesoro.»

Julian sembrava decisamente imbarazzato. Lasciò andare piano Emma e si passò una mano tra i capelli. «Certo Cloe, andiamo pure.» Rispose con il suo tono cordiale staccandosi da Emma, e quando le sue mani si allontanarono dal suo corpo, lei si sentì come se tutto il calore del mondo fosse appena stato risucchiato via da una tempesta di neve. E quella tempesta aveva la faccia di Cloe Withelaw.

«Grazie, Emma, lo curo io adesso il tuo Julian.» Cloe le fece l'occhiolino e scomparí tra la folla, e Julian con lei.

Il tuo Julian, aveva detto. Non era più il suo Julian da tempo ormai.

Emma si ritrovò al centro della Sala, circondata da persone conosciute intente a parlare tra di loro, e d'un tratto si sentí terribilmente sola.

 

 

Emma si era decisa a prendere la giacca. Dopo aver ballato con Julian si era diretta risoluta in camera, aveva afferrato la prima cosa che le era capitata, e si era fondata di nuovo di sotto, prima di cambiare idea e buttarsi invece sul letto.

«Togliti quella roba di dosso o giuro, giuro, che ti constringerò con la forza.» Livvy atterrò in modo composto di fianco ad Emma, e si versò un bicchiere di vino.

«Mmph.»

«Mmph?» Livvy alzò un sopracciglio eloquentemente e attaccò. «Non puoi andare in giro conciata così! Quella è la giacca della tenuta, per l'angelo! è di pelle nera e il vestito è di seta rossa, andiamo come puoi...!» Si interruppe di botto quando capì che Emma non la stava ascoltando. Stava invece guardando nel mezzo della Sala da Ballo Julian e Cloe danzare spensierati. Stava scrutando con gli occhi ogni loro mossa e interazione, come una spia che studia il piano d'azione. Ma Emma non era una spia, e di certo non aveva un piano.

Si era fatto tardi, ormai, e molti invitati si erano ritirati nelle proprie stanze, perciò non era difficile per Emma seguire ogni movimento dei due ragazzi al centro della pista. Ogni sguardo che Julian rivolgeva a Cloe, ogni risata che lei gli strappava era come una pugnalata in pieno petto, e allora perché costringersi ad assistere a questa tortura? Perché non andarsene a letto a dormire? Perché non ubriacarsi per dimenticare tutto?

Semplicemente, non voleva dimenticare. Voleva vedere. Voleva soffrire. E magari con il tempo ci avrebbe fatto l'abitudine e si sarebbe abituata all"idea di Julian che si innamorava, che si sposava, che metteva su famiglia, fino a provare nient'altro che indifferenza. Dopotutto, ciò che non ti uccide ti fortifica.

«Terra chiama Emma, ehi! Mi stai ascoltando?» Livvy le tirò una ciocca di capelli, e quando Emma si decise a rivolgerle la sua attenzione lei puntò i suoi occhi nei suoi. «Non guardare.» Le disse seria. «Andiamo via. Possiamo rubare una bottiglia e intrufolarci in cucina per vedere se è rimasto qualcosa da mangiare. Possiamo fare quello che vuoi, ma ora ti porto via da qui.- Livvy fece per alzarsi, ma Emma la bloccò, prendendola per un braccio. «È tutto okay, Liv, possiamo restare. John ti sta cercando, guarda.» Emma le indicò un ragazzo alto e smilzo che si guardava intorno qualche metro più in lá. Livvy lo aveva conosciuto l'anno precedente quando lui aveva sostato a Los Angeles per un paio di mesi, e da quel momento avevano iniziato una corrispondenza che non si era ancora interrotta.

«Sul serio, dovresti sfruttare ogni istante per stare in sua compagnia, tu chi puoi. Non fartelo scappare.» Continuò con un sospiro. Era grata a Livvy per l'interessamento, ma non era necessario. Almeno lei si sarebbe dovuta divertire quella serata, almeno lei sarebbe dovuta essere felice. E poi chi lo sa, magari avrebbe davvero funzionato stare intorno a Julian e a Cloe quando erano insieme. Proprio in quel momento Cloe inciampò e Julian la sorresse per la vita, impedendole di cadere. Aveva quell'espressione rilassata e pacata che lo contraddistingueva in ogni situazione, ma si può restare così indifferenti davanti all'amore della tua vita? Forse, dopotutto, Cloe non lo era.

Basta! Urlò la voce nella sua testa. Smettila di illuderti! Tu non hai nemmeno il beneficio della speranza, questa è una sfida già persa in partenza. È Cloe la ragazza per lui, non tu. Non tu.

«Al diavolo John! Non resto qui a guardarti mentre vai in pezzi.» Una caratteristica che accomunava Emma e Livvy era la testardaggine, perciò quando entrambe si impuntavano su qualcosa era pressoché impossibile uscirne e Julian doveva sempre intervenire come paciere, ma ora Julian non c'era.

«No.» Affermò Emma irremovibile scuotendo la testa. «Non ti permetterò di sprecare il tuo tempo con me, Liv. E lo so, lo so che lo fai con piacere» Si affrettò ad aggiungere smorzando le proteste dell'altra. «Ma, Liv, John è a due passi da te, e ti sta aspettando! Lui vuole stare con te, vuole te... corri! Vai, e passa la serata con lui. Avrai tempo per stare con me domani, ti prometto che parleremo di tutto quello che vuoi.»

Emma riusciva a vedere con precisione la lotta interiore che era appena infuriata in Livvy. La ragazzina la fissò per qualche istante, poi posò il suo sguardo su John ed Emma riuscì a vedere tutte le sue difese crollare di fronte alla vista di quel ragazzo alto, magro e con l'aria nerd che la stava cercando per tutta la stanza come l'acqua nel deserto.

«D'accordo.» Sospirò infine. «Ma domani fatti trovare in giro e non sparire, o ti verrò a cercare.»

«E io so che mi troverai.» Le sorrise leggermente Emma, circondandole le mani con le proprie e scuotendole appena. «Ora vai, forza!»

Livvy le stampò un bacio sulla guancia e corse dal suo John. Quando lui la vide si illuminò, come se avesse appena visto il sole brillare davanti ai suoi occhi, ed Emma desiderò come mai prima essere guardata anche lei in quel modo.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Lo so. LO SO. Scusatemi, scusatemi, scusatemi, sono imperdonabile! E' solo che... tra la scuola e altre attività ho avuto pochissimo tempo per scrivere, avevo perso l'autostima e temevo che la storia non piacesse più. Solo che era tutta nella mia testa e Julian ed Emma spesso mi venivano a trovare e a tormentarmi. Poi Veronica (e anche Daniela (vi adoro)) mi hanno detto cose stupende e mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere.

Perciò, se ci siete ancora, grazie mille.

I Jemma sono decisamente tornati.

A presto,

Francesca

 

 

  
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