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Autore: ElPsyCongroo    25/12/2014    1 recensioni
Il D.Gray Hospital è un piccolo istituto psichiatrico in cui via sono ricoverati ragazzi e ragazze tra i 14 e i 26 anni. Komui Lee, direttore dell'istituto, si impegna affinché tutti i suoi pazienti possano guarire e condurre una vita normale, a partire dalla sua adorata sorellina Lenalee, ragione principale per cui ha deciso di aprire l'ospedale. Ha accolto coloro che non potevano permettersi una cura, e pur non conoscendo a fondo il passato di alcuni di essi, come del ragazzo dai bianchi capelli o della ragazzina dai grandi occhi viola, fa il possibile per aiutare questi speciali apostoli di Dio.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Road Kamelot, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2. Come un pianoforte con un tasto rotto

«Non se ne parla Cross, lo sai. Provo un rispetto enorme per te e per le tue scelte, ma non ho intenzione di accogliere nuovi pazienti qui, e ancor meno ho intenzione di dimettere Allen.»

«Komui, quel ragazzo ha bisogno di cure differenti, più mirate al suo caso. Credevo anch’io che stando qui si sarebbe ripreso con il tempo, ma sono passati due anni ed è ancora come quando te l’ho portato, se non peggio. Devo rispettare la volontà del padre e occuparmi di lui.»

«So che eri amico di Mana e che se Allen è ancora vivo lo dobbiamo solo alla lettera che ti ha spedito chiedendo il tuo aiuto quando aveva capito che sarebbe morto a breve. Ma se porterai Allen via da qui gli toglierai quel minimo di stabilità che è riuscito a trovare, e di certo questo non lo aiuterà a guarire. Piuttosto tu dovresti restare qui più a lungo e occuparti di lui, lo sai che ti vede come un maestro, come una guida.»

Cross tirò un lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita e contemplò le volute di fumo quando lo espirò. Non era nei suoi piani che il ragazzo si affezionasse a lui, se l’avesse saputo si sarebbe limitato a lasciarlo davanti alla porta dell’istituto e poi se ne sarebbe andato. Invece, per affetto verso l’amico ormai morto, aveva deciso di restare finché Allen si era completamente ristabilito, almeno fisicamente parlando, firmando così la condanna di entrambi. Allen per qualche ragione si era affezionato a lui, lo vedeva davvero come un maestro, e si rivolgeva a lui per qualunque esigenza. Cross non era fatto per occuparsi di un ragazzino, così una notte se n’era andato, ed era tornato pochissime volte. Ora era intenzionato a portare Allen con sé nella sede centrale per sottoporlo a cure più adeguate, ma sapeva che non sarebbe stato facile convincere né Komui, né Allen, che ormai per lui aveva iniziato a provare odio.

Mentre rifletteva sentì un dolce melodia risuonare nell’istituto. Restò un attimo in ascolto per tentare di capire cosa fosse.

«Dev’essere Allen che suona il piano» disse Komui, quasi avesse letto nella mente del collega.

«Allen? Ma lui non sa suonare il piano.»

«Scherzi? Ormai è da circa un anno che ha iniziato a suonarlo, ed è davvero bravo. Per questo gli abbiamo comprato un piano. È stato un po’ difficile trovarlo, per qualche strana ragione ne voleva una bianco con la tastiera nera.»

«Un pianoforte… bianco…» Restò ancora un po’ in silenzio, e quando sentì una voce femminile seguire la melodia suonata da Allen scattò in piedi, in viso un’espressione preoccupata.

«Che ti prende Cross?»

«Dov’è?»

«Dov’è cosa?»

«Il piano! Dov’è Allen che suona quel fottuto piano?!?» Komui lo guardò confuso e gli fece strada per i corridoi dell’istituto. La saletta con il piano era al piano sopra, nel piccolo atrio che separava l’ala maschile da quella femminile. Quando arrivarono la scena che gli si manifestò davanti fu come una visione: Lenalee cantava con una voce soave e Allen suonava in modo divino, e le due cose messe insieme creavano qualcosa simile a un incantesimo.

«Perché sei voluto venire qui Cross? Lo sai che Allen non sarà contento a vederti così all’improvviso» Komui parlò a bassa voce per non farsi sentire dal ragazzo, ma non servì. Allen infatti si fermò premendo con una forza esagerata una delle ultime note, facendo uscire dal piano uno strano suono.

«Allen, che succede? Perché ti sei fermato? Oh, fratellone, dottor Cross, non vi avevo sentiti entrare!» Lenalee andò a salutarli sorridendo felice di vederli.

«Ciao principessa, come stai?»

«Molto bene dottor Cross. Sa, mi sto prendendo cura delle rose che ha lasciato qui, stanno diventando bellissime!»

«Oh sì, le ho viste, sono quelle che hai piantato in cortile vero?»

«Sì, sono felice che le abbia notate.» Lena era davvero felice che Cross avesse riconosciuto il suo impegno. L’ultima volta che era stato lì le aveva lasciato alcune rose bianche di cui occuparsi, e lei si era messa con impegno per farle crescere sempre più numerose. A volte, se vedeva che non crescevano come desiderava lei, aveva delle vere e proprie crisi isteriche, ma la aiutavano a non pensare, a dimenticare i più piccoli dolori che aveva provato nella sua vita, quindi Komui non si l’era sentita di toglierle quella piccola ossessione.

«Brava ragazza. Cosa stavi facendo qui?»

«Cantavo una ninna nanna che mi ha insegnato Allen. Ha detto che se n’è ricordato in sogno, è una canzone che aveva inventato con suo padre. Le piace?»

«Eri molto brava Lena. Ora vado a complimentarmi con Allen.»  Cross si avvicinò al ragazzo, che nel frattempo carezzava delicatamente il tasto rotto del pianoforte, con aria turbata.

«Perché l’hai rotto?»

«Non è stato intenzionale.»

«Capisco. È vero quello che ha detto la principessa?»

«Cosa?»

«Che stavi suonando una canzone che hai imparato da Mana.»

«Non me l’ha insegnata lui, l’abbiamo inventata insieme quando giravamo per le strade alla ricerca di soldi.»

«Non sapevo che sapesse suonare il piano.»

«Sapeva fare molte cose, doveva essere così, altrimenti morivamo.»

«Ha senso. E come mai solo adesso hai iniziato a suonarla?»

«Perché me la sono ricordata poco tempo fa.»

«E da quando suoni il piano?»

«Un annetto circa.»

«Anche quello l’hai ricordato all’improvviso?»

«Sì.»

«Come procedono le tue crisi?»

«Bene.»

«Sicuro?»

«Sì.»

«Non mentirmi.»

«MA CHE CAZZO VUOI?!?!» Allen lo prese per il colletto della giacca e lo strattonò con forza. Era infuriato, e in quel momento non avrebbe risparmiato nessuno, per questa ragione Komui si tenne a distanza stringendo forte a sé la sorella.

«Arrivi qui con la tua solita arroganza, dopo secoli che non ti fai vedere, e inizi a farmi il terzo grado sul perché di ogni cosa che faccio! Magari se fossi rimasto qui invece di andare in giro a fare il coglione sapresti cosa mi succede, sapresti che gli incubi la notte mi tormentano, che ora non mi limito a vedere in sogno l’altro me, ma che lo vedo quando mi guardo allo specchio, quando mangio, quando sto per dormire, in ogni fottuto istante della giornata! Sapresti che è da quando lui è diventato una presenza sempre più costante che ho imparato a suonare il piano, che l’altra notte mi sono alzato all’improvviso seguendo la sua voce fin qui e che mi sono messo a cantare questa maledetta canzone! La sento tutto il giorno in testa, e niente, NIENTE, mi aiuta a placare lo strazio che provo! Forse se tu, che tanto dicevi di essere amico di Mana, che continuavi a ripetermi che mi avresti aiutato a guarire, che avrei potuto seguirti come se fossi il mio maestro, mi fossi rimasto accanto tutto ciò non sarebbe successo! NON OSARE MAI PIÙ FARTI VEDERE DA ME!» Allen lo scansò con forza e se ne andò, seguito da Lenalee. Cross vide che i due raggiunsero l’esterno e che la ragazza lo abbracciava con forza, mentre lui tentava di fuggire in preda alle lacrime, finché non si abbandonò tra le sue braccia.

«Resterò qui per questa notte, domani sera io e Allen partiamo.»

«Cosa? Ma sei impazzito? Cross, quel ragazzo ti odia a morte, non lo capisci? Non l’ho mai visto così, è la prima volta che si arrabbia seriamente con qualcuno! Come pensi di poter portarlo via con te, me lo spieghi?»

«Può scalciare e urlare quanto vuole, potrà anche passare il tempo a insultarmi, ma deve venire via con me. Davvero non capisci?»

«Cosa?»

«Sai perché io e Mana eravamo amici?»

«No, non me lo hai mai detto. In realtà non hai mai parlato di lui finché non è arrivato Allen.»

«Avevo in cura il fratello di Mana. Quello sì che era un pazzo. Non ho mai capito cos’avesse, schizofrenia di sicuro, ma c’era dell’altro. Sai, anche Allen lo conobbe. Anzi, si può dire che Mana lo prese con sé come rimpiazzo del fratello, ormai troppo malato. Morì infatti poco tempo dopo aver conosciuto Allen, a Natale, giusto per essere simpatico. Mana non si riprese mai dalla morte del fratello, ed era ossessionato dall’idea che Allen fosse responsabile. Così decise di trasformare il bambino che aveva appena adottato nel fratello che aveva perso. Gli insegnò tutto ciò che serviva per renderlo il più possibile uguale al fratello, dal modo di comportarsi, di parlare, alle conoscenze generali, come suonare il piano. Quella melodia che lui dice di aver inventato con Mana in realtà è frutto di Mana e del fratello, ed era ovviamente quest’ultimo a suonare il piano. E indovina? Suonava sempre un pianoforte bianco dalla tastiera nera.» Fece un pausa, per vedere la reazione del collega. Komui sembrava completamente perso, come se non volesse credere a ciò che sentiva.

«Modellò la mente di quel povero ragazzo in modo tale da renderlo una copia del fratello in miniatura» riprese Cross, vedendo che non otteneva nessuna risposta dall’amico. «Tentai di convincerlo che non serviva, ma non mi diede ascolto, anzi, non si fece più sentire. Quando mi arrivò la sua lettera arrivai troppo tardi e mi ritrovai davanti ad Allen, con i capelli diventati bianchi a causa dello shock per la morte dell’unica persona che mostrava affetto per lui, e sempre a causa di quella perdita aveva la memoria come resettata. Per quel che riguardava il carattere era come il fratello di Mana, ma non ricordava nulla di ciò che gli aveva insegnato. Pensai che tutto sommato era un bene, almeno era più educato, un vero gentlemen, ma non è servito molto tempo per capire che semplicemente aveva sviluppato un doppia personalità, che per qualche ragione aveva mischiato le peculiarità del “vero” Allen con quello del “falso” Allen. Ora però il falso sta emergendo, e non è un bene. Non lo è affatto.»

«Non capisco. Cioè, ho capito ciò che ha fatto Mana, e non è stato di sicuro un atteggiamento degno di un padre per il proprio figlio. Capisco anche che così facendo ha creato vari danni alla psiche di Allen, ma penso che se riuscirà a far emergere distintamente l’altra personalità sarà più semplice farla sparire.»

«Su questo non hai torto, eccezion fatta per un dettaglio non da poco. Non ne avresti il tempo.»

«Che significa?»

«Che il fratello di Mana era un pazzo assassino, e Allen ha imparato anche questo. Per quale ragione secondo te avrebbe ucciso suo padre, a cui voleva tanto bene? Perché proprio Mana gli aveva inculcato istinti omicidi, e quando essi hanno attecchito il primo su cui si sono manifestati fu proprio il nostro clown. Mana sapeva che correva quel rischio, per questo mi aveva contattato.»

«Non ci credo…»

«Fai come vuoi Komui, questa è la verità, per quanto sia assurdo. Non posso permettere che ricominci a uccidere, non solo perché ero amico di Mana, ma anche perché, per quanto mi costi ammetterlo, io ci tengo a quel ragazzo, e non permetterò che si rovini la vita. Ora vado nella mia stanza, non mi farò vedere fino a domani sera, fammi portare la cena in camera e non dire nulla ad Allen.» Cross se ne andò senza aspettare una risposta da Komui, che nel frattempo si era lasciato cadere a terra in preda alle lacrime, conscio che non avrebbe potuto fare niente per quel povero ragazzo.

  
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