Capitolo
2. Come un pianoforte con un tasto rotto
«Non
se ne parla
Cross, lo sai. Provo un rispetto enorme per te e per le tue scelte, ma
non ho
intenzione di accogliere nuovi pazienti qui, e ancor meno ho intenzione
di
dimettere Allen.»
«Komui,
quel
ragazzo ha bisogno di cure differenti, più mirate al suo
caso. Credevo anch’io
che stando qui si sarebbe ripreso con il tempo, ma sono passati due
anni ed è
ancora come quando te l’ho portato, se non peggio. Devo
rispettare la volontà
del padre e occuparmi di lui.»
«So
che eri amico
di Mana e che se Allen è ancora vivo lo dobbiamo solo alla
lettera che ti ha
spedito chiedendo il tuo aiuto quando aveva capito che sarebbe morto a
breve.
Ma se porterai Allen via da qui gli toglierai quel minimo di
stabilità che è
riuscito a trovare, e di certo questo non lo aiuterà a
guarire. Piuttosto tu
dovresti restare qui più a lungo e occuparti di lui, lo sai
che ti vede come un
maestro, come una guida.»
Cross
tirò un
lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita e
contemplò le volute di
fumo quando lo espirò. Non era nei suoi piani che il ragazzo
si affezionasse a
lui, se l’avesse saputo si sarebbe limitato a lasciarlo
davanti alla porta
dell’istituto e poi se ne sarebbe andato. Invece, per affetto
verso l’amico
ormai morto, aveva deciso di restare finché Allen si era
completamente
ristabilito, almeno fisicamente parlando, firmando così la
condanna di
entrambi. Allen per qualche ragione si era affezionato a lui, lo vedeva
davvero
come un maestro, e si rivolgeva a lui per qualunque esigenza. Cross non
era
fatto per occuparsi di un ragazzino, così una notte se
n’era andato, ed era
tornato pochissime volte. Ora era intenzionato a portare Allen con
sé nella
sede centrale per sottoporlo a cure più adeguate, ma sapeva
che non sarebbe
stato facile convincere né Komui, né Allen, che
ormai per lui aveva iniziato a
provare odio.
Mentre
rifletteva
sentì un dolce melodia risuonare nell’istituto.
Restò un attimo in ascolto per
tentare di capire cosa fosse.
«Dev’essere
Allen
che suona il piano» disse Komui, quasi avesse letto nella
mente del collega.
«Allen?
Ma lui non
sa suonare il piano.»
«Scherzi?
Ormai è
da circa un anno che ha iniziato a suonarlo, ed è davvero
bravo. Per questo gli
abbiamo comprato un piano. È stato un po’
difficile trovarlo, per qualche
strana ragione ne voleva una bianco con la tastiera nera.»
«Un
pianoforte…
bianco…» Restò ancora un po’
in silenzio, e quando sentì una voce femminile
seguire la melodia suonata da Allen scattò in piedi, in viso
un’espressione
preoccupata.
«Che
ti prende
Cross?»
«Dov’è?»
«Dov’è
cosa?»
«Il
piano! Dov’è
Allen che suona quel fottuto piano?!?» Komui lo
guardò confuso e gli fece
strada per i corridoi dell’istituto. La saletta con il piano
era al piano
sopra, nel piccolo atrio che separava l’ala maschile da
quella femminile.
Quando arrivarono la scena che gli si manifestò davanti fu
come una visione:
Lenalee cantava con una voce soave e Allen suonava in modo divino, e le
due
cose messe insieme creavano qualcosa simile a un incantesimo.
«Perché
sei voluto
venire qui Cross? Lo sai che Allen non sarà contento a
vederti così
all’improvviso» Komui parlò a bassa voce
per non farsi sentire dal ragazzo, ma
non servì. Allen infatti si fermò premendo con
una forza esagerata una delle
ultime note, facendo uscire dal piano uno strano suono.
«Allen,
che
succede? Perché ti sei fermato? Oh, fratellone, dottor
Cross, non vi avevo
sentiti entrare!» Lenalee andò a salutarli
sorridendo felice di vederli.
«Ciao
principessa,
come stai?»
«Molto
bene dottor
Cross. Sa, mi sto prendendo cura delle rose che ha lasciato qui, stanno
diventando bellissime!»
«Oh
sì, le ho
viste, sono quelle che hai piantato in cortile vero?»
«Sì,
sono felice
che le abbia notate.» Lena era davvero felice che Cross
avesse riconosciuto il
suo impegno. L’ultima volta che era stato lì le
aveva lasciato alcune rose
bianche di cui occuparsi, e lei si era messa con impegno per farle
crescere
sempre più numerose. A volte, se vedeva che non crescevano
come desiderava lei,
aveva delle vere e proprie crisi isteriche, ma la aiutavano a non
pensare, a
dimenticare i più piccoli dolori che aveva provato nella sua
vita, quindi Komui
non si l’era sentita di toglierle quella piccola ossessione.
«Brava
ragazza.
Cosa stavi facendo qui?»
«Cantavo
una ninna
nanna che mi ha insegnato Allen. Ha detto che se
n’è ricordato in sogno, è una
canzone che aveva inventato con suo padre. Le piace?»
«Eri
molto brava
Lena. Ora vado a complimentarmi con Allen.»
Cross si avvicinò al ragazzo, che nel frattempo
carezzava delicatamente
il tasto rotto del pianoforte, con aria turbata.
«Perché
l’hai
rotto?»
«Non
è stato
intenzionale.»
«Capisco.
È vero
quello che ha detto la principessa?»
«Cosa?»
«Che
stavi
suonando una canzone che hai imparato da Mana.»
«Non
me l’ha
insegnata lui, l’abbiamo inventata insieme quando giravamo
per le strade alla
ricerca di soldi.»
«Non
sapevo che
sapesse suonare il piano.»
«Sapeva
fare molte
cose, doveva essere così, altrimenti morivamo.»
«Ha
senso. E come
mai solo adesso hai iniziato a suonarla?»
«Perché
me la sono
ricordata poco tempo fa.»
«E da
quando suoni
il piano?»
«Un
annetto circa.»
«Anche
quello
l’hai ricordato all’improvviso?»
«Sì.»
«Come
procedono le
tue crisi?»
«Bene.»
«Sicuro?»
«Sì.»
«Non
mentirmi.»
«MA
CHE CAZZO
VUOI?!?!» Allen lo prese per il colletto della giacca e lo
strattonò con forza.
Era infuriato, e in quel momento non avrebbe risparmiato nessuno, per
questa
ragione Komui si tenne a distanza stringendo forte a sé la
sorella.
«Arrivi
qui con la
tua solita arroganza, dopo secoli che non ti fai vedere, e inizi a
farmi il
terzo grado sul perché di ogni cosa che faccio! Magari se
fossi rimasto qui
invece di andare in giro a fare il coglione sapresti cosa mi succede,
sapresti
che gli incubi la notte mi tormentano, che ora non mi limito a vedere
in sogno l’altro
me, ma che lo vedo quando mi guardo allo specchio, quando mangio,
quando sto
per dormire, in ogni fottuto istante della giornata! Sapresti che
è da quando lui
è diventato una presenza sempre più
costante che ho imparato a suonare il piano, che l’altra
notte mi sono alzato
all’improvviso seguendo la sua
voce
fin qui e che mi sono messo a cantare questa maledetta canzone! La
sento tutto
il giorno in testa, e niente, NIENTE, mi aiuta a placare lo strazio che
provo!
Forse se tu, che tanto dicevi di essere amico di Mana, che continuavi a
ripetermi che mi avresti aiutato a guarire, che avrei potuto seguirti
come se
fossi il mio maestro, mi fossi rimasto accanto tutto ciò non
sarebbe successo!
NON OSARE MAI PIÙ FARTI VEDERE DA ME!» Allen lo
scansò con forza e se ne andò,
seguito da Lenalee. Cross vide che i due raggiunsero
l’esterno e che la ragazza
lo abbracciava con forza, mentre lui tentava di fuggire in preda alle
lacrime,
finché non si abbandonò tra le sue braccia.
«Resterò
qui per
questa notte, domani sera io e Allen partiamo.»
«Cosa?
Ma sei
impazzito? Cross, quel ragazzo ti odia a morte, non lo capisci? Non
l’ho mai
visto così, è la prima volta che si arrabbia
seriamente con qualcuno! Come
pensi di poter portarlo via con te, me lo spieghi?»
«Può
scalciare e
urlare quanto vuole, potrà anche passare il tempo a
insultarmi, ma deve venire
via con me. Davvero non capisci?»
«Cosa?»
«Sai
perché io e
Mana eravamo amici?»
«No,
non me lo hai
mai detto. In realtà non hai mai parlato di lui
finché non è arrivato Allen.»
«Avevo
in cura il
fratello di Mana. Quello sì che era un pazzo. Non ho mai
capito cos’avesse,
schizofrenia di sicuro, ma c’era dell’altro. Sai,
anche Allen lo conobbe. Anzi,
si può dire che Mana lo prese con sé come
rimpiazzo del fratello, ormai troppo
malato. Morì infatti poco tempo dopo aver conosciuto Allen,
a Natale, giusto
per essere simpatico. Mana non si riprese mai dalla morte del fratello,
ed era
ossessionato dall’idea che Allen fosse responsabile.
Così decise di trasformare
il bambino che aveva appena adottato nel fratello che aveva perso. Gli
insegnò
tutto ciò che serviva per renderlo il più
possibile uguale al fratello, dal
modo di comportarsi, di parlare, alle conoscenze generali, come suonare
il
piano. Quella melodia che lui dice di aver inventato con Mana in
realtà è
frutto di Mana e del fratello, ed era ovviamente quest’ultimo
a suonare il
piano. E indovina? Suonava sempre un pianoforte bianco dalla tastiera
nera.»
Fece un pausa, per vedere la reazione del collega. Komui sembrava
completamente
perso, come se non volesse credere a ciò che sentiva.
«Modellò
la mente
di quel povero ragazzo in modo tale da renderlo una copia del fratello
in
miniatura» riprese Cross, vedendo che non otteneva nessuna
risposta dall’amico.
«Tentai di convincerlo che non serviva, ma non mi diede
ascolto, anzi, non si
fece più sentire. Quando mi arrivò la sua lettera
arrivai troppo tardi e mi
ritrovai davanti ad Allen, con i capelli diventati bianchi a causa
dello shock
per la morte dell’unica persona che mostrava affetto per lui,
e sempre a causa
di quella perdita aveva la memoria come resettata. Per quel che
riguardava il
carattere era come il fratello di Mana, ma non ricordava nulla di
ciò che gli
aveva insegnato. Pensai che tutto sommato era un bene, almeno era
più educato,
un vero gentlemen, ma non è servito molto tempo per capire
che semplicemente
aveva sviluppato un doppia personalità, che per qualche
ragione aveva mischiato
le peculiarità del “vero” Allen con
quello del “falso” Allen. Ora però il
falso
sta emergendo, e non è un bene. Non lo è
affatto.»
«Non
capisco.
Cioè, ho capito ciò che ha fatto Mana, e non
è stato di sicuro un atteggiamento
degno di un padre per il proprio figlio. Capisco anche che
così facendo ha
creato vari danni alla psiche di Allen, ma penso che se
riuscirà a far emergere
distintamente l’altra personalità sarà
più semplice farla sparire.»
«Su
questo non hai
torto, eccezion fatta per un dettaglio non da poco. Non ne avresti il
tempo.»
«Che
significa?»
«Che
il fratello
di Mana era un pazzo assassino, e Allen ha imparato anche questo. Per
quale
ragione secondo te avrebbe ucciso suo padre, a cui voleva tanto bene?
Perché
proprio Mana gli aveva inculcato istinti omicidi, e quando essi hanno
attecchito il primo su cui si sono manifestati fu proprio il nostro
clown. Mana
sapeva che correva quel rischio, per questo mi aveva
contattato.»
«Non
ci credo…»
«Fai
come vuoi
Komui, questa è la verità, per quanto sia
assurdo. Non posso permettere che
ricominci a uccidere, non solo perché ero amico di Mana, ma
anche perché, per
quanto mi costi ammetterlo, io ci tengo a quel ragazzo, e non
permetterò che si
rovini la vita. Ora vado nella mia stanza, non mi farò
vedere fino a domani
sera, fammi portare la cena in camera e non dire nulla ad
Allen.» Cross se ne
andò senza aspettare una risposta da Komui, che nel
frattempo si era lasciato
cadere a terra in preda alle lacrime, conscio che non avrebbe potuto
fare
niente per quel povero ragazzo.